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SOMMARIO
Il presente lavoro di tesi si inserisce in un progetto di sviluppo di nuove molecole ad
attività antimicrobica a partire da sostanze naturali. Particolarmente importanti da
questo punto di vista si sono rivelati i peptidi antimicrobici (AMP), i quali
interagiscono selettivamente con le membrane delle cellule procariotiche. Tale
comportamento si ritiene essere una conseguenza della differente composizione
chimica delle membrane procariotiche ed eucariotiche, e rappresenta un elemento
chiave per distinguere tra molecole antibatteriche e molecole tossiche. I principali
componenti delle membrane batteriche sono la fosfatidiletanolammina (PE) –
zwitterionico –, il fosfatidilglicerolo (PG) – anionico –, e la cardiolipina (CL) –
anionico. La cardiolipina è un insolito fosfolipide anionico ritrovato nelle membrane
cellulari di molti tipi di batteri Gram-positivi e Gram-negativi e nelle membrane
interne di cloroplasti e mitocondri eucariotici. Questo fosfolipide è un componente
presente in percentuali relativamente piccole rispetto alla totalità dei lipidi di
membrana, ma svolge un ruolo fondamentale nelle dinamiche delle membrane
biologiche.
La trattazione che segue riporta diversi aspetti chimico-fisici dell’interazione della
myxinidina, peptide derivante dal pesce Myxine glutinosa L., e del suo analogo
WMR, con i doppi strati lipidici di due membrane modello (liposomi): DOPE/DOPG
(80/20% mol) e DOPE/DOPG/CL (65/23/12% mol), che mimano le membrane
cellulari dei batteri Gram-negativi: Pseudomonas aeruginosa ed Escherichia coli,
rispettivamente. Studi precedenti hanno infatti dimostrato una migliore attività della
myxinidina nei confronti dei suddetti batteri rispetto ad altri. Inoltre, per valutare
l’effetto dovuto alla carica e quello dovuto alla presenza della cardiolipina sono stati
testati anche liposomi costituiti da DOPE/DOPG (53/47% mol), che contengono lo
stesso numero di cariche negative di DOPE/DOPG/CL (65/23/12% mol) ma non
contengono la cardiolipina.
E’ stata valutata la capacità dei peptidi myxinidina e WMR di perturbare la struttura
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delle membrane modello attraverso esperimenti di fluorescenza ed altre metodologie
(DLS e SPR).
Tutti i risultati ottenuti hanno coerentemente mostrato che, sebbene sia la myxinidina
che WMR interagiscano con entrambe le membrane, il loro effetto sulla struttura e
sulla stabilità della membrana è differente. Inoltre è stato osservato che la presenza di
cardiolipina gioca un ruolo chiave nell’interazione di WMR con la membrana. In
particolare, WMR perturba drasticamente la stabilità delle membrane costituite da
DOPE/DOPG/CL. Al contrario la myxinidina non è in grado di perturbare
significativamente la membrana DOPE/DOPG/CL, mentre interagisce meglio con la
membrana DOPE/DOPG, inducendo una significativa perturbazione delle catene
aciliche lipidiche. In altre parole, la myxinidina risulta essere meno efficiente rispetto
a WMR contro i batteri che presentano un elevato contenuto di CL nelle proprie
membrane. Queste osservazioni sono in pieno accordo con la maggiore attività
antimicrobica riportata di WMR contro P. aeruginosa rispetto a quella della
myxindina.
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1. INTRODUZIONE
1.1 Resistenza agli antibiotici e possibili
strategie di intervento
La scoperta e lo sviluppo di antibiotici per il trattamento delle infezioni batteriche
rappresentano uno dei maggiori successi ottenuti nel campo della terapia umana nel
secolo scorso.
Due linee di indagine chimica si sono rivelate proficue in tal senso: l'isolamento di
prodotti naturali con attività antibiotica, e la sintesi chimica mirata di agenti
antibatterici.
La prima iniziò nel 1928 con la scoperta del tutto casuale da parte di Alexander
Fleming di un fungo in grado di produrre la penicillina, sostanza che inibisce la
crescita delle colonie di Stafilococco. Tale scoperta fu immediatamente seguita dalla
ricerca sistematica di microrganismi che producessero sostanze ad attività
antibatterica. Da allora infatti, circa 5000 nuovi antibiotici sono stati identificati da
microrganismi del suolo, e di questi, 300 sono diventati nuovi farmaci (sulfonamidi,
chinoloni, amminoglicosidi, tetracicline, cloramfenicolo ecc.) e sono presenti sul
mercato.
Attualmente però, l’eccessivo utilizzo di tali sostanze ha contribuito all’insorgenza di
un fenomeno piuttosto preoccupante: la resistenza agli antibiotici.
Per resistenza agli antibiotici si intende la capacità di un microrganismo di mantenere
le sue funzioni vitali in presenza di farmaci letali per il ceppo originario, quindi
appunto di resistere agli effetti degli antibiotici. Questa capacità può essere intrinseca,
ed è in tal caso dovuta alla natura preadattativa delle mutazioni geniche, oppure
acquisita, indotta appunto dagli antibiotici stessi.
Vi sono tre meccanismi principali che possono dare luogo a questo fenomeno:
1) blocco dell’interazione del farmaco con il target cellulare;
2) riduzione dell’internalizzazione della sostanza da parte del microrganismo;
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3) modifica enzimatica o distruzione del composto [1].
Negli ultimi anni, a causa dell’assunzione non sempre opportuna o corretta di
antibiotici in presenza di un’infezione (es. somministrazione di antibiotici in caso di
infezioni di natura virale), ma anche e soprattutto del cospicuo impiego di queste
sostanze nel settore agro-alimentare e negli allevamenti intensivi, l’antibiotico-
resistenza è diventata un serio problema per la salute pubblica.
La tubercolosi, la gonorrea, la malaria e le otiti infantili sono solo alcune delle
infezioni che si stanno rivelando difficili da trattare con gli antibiotici classici. I ceppi
batterici resistenti e le aree geografiche interessate dal fenomeno sono in continuo
aumento, con conseguenze che si riflettono sul benessere globale della comunità:
aumento della durata e della gravità delle infezioni, e quindi della degenza
ospedaliera, nonché della mortalità, soprattutto nel caso dei soggetti
immunocompromessi, maggiormente esposti al rischio di infezioni opportunistiche.
Di recente, si è verificato un maggior incremento nella resistenza agli antibiotici tra i
batteri Gram-negativi.
Ecco dunque la necessità di progettare nuovi farmaci antibatterici con nuove modalità
d’azione per poter combattere le infezioni.
Oltre agli analoghi di composti antimicrobici esistenti, candidati promettenti come
terapia sostitutiva per fronteggiare il problema della resistenza sembrano essere i
peptidi antimicrobici (AMPs), un ampio gruppo di molecole ritrovate in
numerosissimi organismi viventi, uomo compreso, in quanto componenti di quella
che viene definita immunità innata [2] (immunità di tipo non specifico presente sin
dalla nascita che protegge l’individuo in maniera generica dalle varie forme di
patogeni).
Essi rappresentano una valida alternativa agli antibiotici tradizionali per una serie di
proprietà, quali ampio spettro d’azione, rapida attività, elevata potenza e selettività,
bassa tossicità, ampia diversità chimica e biologica, e basso grado di accumulo nei
tessuti.
E’ pur vero che l’utilizzo clinico di detti peptidi presenta diversi limiti, tra cui gli
elevati costi di sintesi, la bassa permeabilità nelle membrane, la potenziale
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immunogenicità, l’inattivazione in seguito a somministrazione orale, la bassa stabilità
sistemica (bassa biodisponibilità) ecc. [3], ma la manifestazione degli enormi
vantaggi sopraelencati, insieme alla possibilità di apportare al peptide modifiche
chimiche tali da garantirgli una maggiore adattabilità alla somministrazione ed
incrementarne l’emivita, ha consentito la commercializzazione di oltre 100 farmaci di
natura peptidica.
1.2 Le membrane batteriche e i peptidi
antimicrobici
1.2.1 La membrana batterica
La membrana cellulare o membrana plasmatica rappresenta un componente
essenziale in tutti gli esseri viventi.
Essa trattiene il citoplasma, contrastando la perdita di materiale intracellulare, ed è
responsabile delle interazioni tra la cellula e l’ambiente circostante.
La struttura - nonchè la composizione - della membrana procariotica è abbastanza
simile a quella della membrana eucariotica: in entrambi i casi si tratta di un doppio
strato fosfolipidico, costituito da una componente idrofilica rappresentata da molecole
di glicerolo (teste polari) cui sono legati gruppi fosfato, e da una componente
idrofobica rappresentata da acidi grassi (code lipidiche), ciascuno dei quali è legato al
glicerolo mediante un legame estereo.
Le due tipologie di membrane sono dunque accomunate dalla presenza di lipidi
anfipatici, ma si differenziano per l’assenza degli steroli in quelle procariotiche. Per
stabilizzare la struttura e renderla meno flessibile, alcuni batteri presentano gli
opanoidi, composti pentaciclici simili agli steroli. Vi è poi un certo numero di
proteine integrali e non, indispensabili per le funzioni di riconoscimento,
comunicazione e trasporto [4].
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Figura 1.1. Struttura della membrana plasmatica di una cellula batterica.
Le caratteristiche fisiche dei fosfolipidi sono alla base di molte proprietà della
membrana, quale ad esempio quella di essere semipermeabile, ovvero di consentire il
passaggio di molecole idrofobiche grandi o piccole ma non quello di ioni e molecole
idrofiliche più grandi dell’acqua come le proteine.
La membrana plasmatica svolge quindi l’importante funzione di “selezionare” le
sostanze che possono entrare nella cellula, ma al contempo rappresenta una barriera
per il trasporto dei farmaci e degli agenti diagnostici. Essendo però una struttura
altamente conservata, resta il principale bersaglio delle terapie antimicrobiche.
L’elevata specificità dei peptidi antimicrobici nei confronti delle membrane
batteriche si basa sul fatto che mentre la membrana delle cellule eucariotiche è ricca
di lipidi zwitterionici, quella delle cellule procariotiche è ricca di lipidi carichi
negativamente che possono essere legati selettivamente dai peptidi antimicrobici
cationici.
1.2.2 Peptidi antimicrobici (AMPs) e meccanismi d’azione
Come detto precedentemente, i peptidi antimicrobici sono presenti in natura in
maniera praticamente ubiquitaria. Essi mostrano varie caratteristiche comuni: sono