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INTRODUZIONE
Questo lavoro di tesi si propone di analizzare il “sistema impresa”, con gli elementi più
importanti che permettono di definirne classificazione e comportamento nell’ambiente circostante,
per porre poi l’attenzione sui sistemi produttivi che applicano in modo effettivo il concetto di
“integrazione verticale” successivamente alla fase di programmazione e di progettazione.
Sulla base di queste valutazioni, nel primo capitolo questo lavoro di tesi si concentrerà
innanzitutto nell’analizzare i tanti protagonisti del mondo d’impresa (gli imprenditori, gli
stakeholders e gli organi deliberanti coinvolti), illustrandoli secondo criteri e classificazioni che
renderanno chiari i loro rispettivi ruoli e funzioni. Di seguito, alla luce di queste descrizioni, verrà
approfondito il rapporto tra queste figure e l'ambiente nel quale esse operano, esaminando le
caratteristiche dell’ambiente stesso e le reciproche influenze nel determinare i risultati finali.
Torneranno utili, in tal senso, due esempi di casi aziendali di stringente attualità: Amazon e
Granarolo.
Il secondo capitolo esaminerà, invece, il concetto di strategia d’impresa, offrendo un’iniziale
panoramica storica sugli studiosi che ne hanno approfondito le caratteristiche nei decenni scorsi, per
poi concentrarsi sugli elementi fondamentali che permettono di definire e classificare la strategia
imprenditoriale al giorno d’oggi: l’inquadramento degli obiettivi aziendali, le azioni orientate al
raggiungimento di questi obiettivi e il corretto utilizzo delle risorse a disposizione. Un esempio
analizzato in questo capitolo è rappresentato dal “Modello delle 7 S” di Peters e Waterman,
ampliato e completato poi da Hajluf e Hax, con il quale si distinguono le principali variabili in
grado di influenzare il comportamento strategico da attuare per il corretto e redditizio
funzionamento dell'azienda. Altresì importante sarà poi la descrizione dei livelli di strategia
imprenditoriale, perché tali valutazioni permetteranno di esaminare nel dettaglio il concetto di
integrazione verticale (a sua volta classificata in quattro tipologie secondo gli studi di K.R.
2
Harrigan). Infine, il capitolo si concluderà con l’analisi della nozione di “catena del valore”,
partendo dalle teorie di Adam Smith, fino a giungere agli studi più recenti di M.E. Porter che ne
determinano i contorni concettuali e pratici: verranno esaminate, infatti, le attività primarie e
secondarie di un’impresa che permettono, con le loro rispettive funzioni, di creare valore per
un’azienda e permettere a quest’ultima di acquisire vantaggi competitivi nei confronti dei
concorrenti presenti nello specifico settore operativo.
Il terzo e ultimo capitolo si aprirà con un’introduttiva digressione storica riguardante i modelli
produttivi che si sono susseguiti ed evoluti nel corso degli scorsi decenni. Ci si concentrerà, poi,
sulla definizione di produttività offerta da Genco e Calvelli, grazie alla quale sarà possibile
identificare le principali e specifiche tipologie di produzione imprenditoriale (le produzioni
continue, quelle in serie e quelle unitarie). Un’altra tappa di questo capitolo sarà rappresentata
dall’analisi dei piani di programmazione che ogni azienda è chiamata ad attuare con lo scopo di
raggiungere. Infine si giungerà ad un ulteriore approfondimento del concetto di “integrazione
verticale” in relazione alle scelte di “make or buy”, considerando queste ultime come le opzioni che
un’azienda può attuare per orientare la propria produzione secondo due binari: il primo, quello del
“make”, che accentra il controllo della programmazione produttiva e il secondo, quello del “buy”,
che invece offre maggiore elasticità organizzativa delegando alcune funzioni aziendali a soggetti
esterni.
Le conclusioni di questo lavoro di tesi evidenzieranno quanto l’estrema complessità del mondo
imprenditoriale non possa permettere ad un’azienda di giungere a categorizzazioni assolute e
immutabili, dato che il raggiungimento dei propri obiettivi d’impresa dipenderà dalle valutazioni di
elementi variabili a seconda del contesto, dei concorrenti e della situazione contingente in cui
l’impresa stessa sarà chiamata a operare.
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I CAPITOLO
I protagonisti, l'impresa e l'ambiente
1.1 I protagonisti: imprenditori, stakeholders e organi deliberanti coinvolti
L'imprenditore, secondo l'art. 2082 c.c., “è chi esercita professionalmente un'attività economica
organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni e servizi”. Nonostante non esista
alcuna disciplina accademica che possa definirne il carattere nozionistico, l'Organizzazione per la
Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse) propone tre caratteristiche sulle quali si basa
l'imprenditorialità
1
:
gli imprenditori, cioè coloro che, identificando nuovi prodotti, processi e mercati generano
valore in una specifica area di business;
l'azione imprenditiva, cioè la suddetta attività svolta dalla figura dell'imprenditore;
l'entrepreneurship, identificata come il fenomeno associato all'attività imprenditoriale.
Un economista che ha fornito un valido inquadramento della figura dell'imprenditore è Joseph
Schumpeter
2
, il quale nella prima metà del '900 sosteneva che l'imprenditore dovesse avere qualità
come la capacità di previsione, la razionalità consapevole, l'intuito, spirito d'iniziativa, forte volontà,
libertà individuale e capacità di leadership. Attraverso queste caratteristiche, l'imprenditore porta
avanti un processo di “distruzione creatrice”, implementando così idee creative per attuare un
nuovo business o per dare nuova linfa a un business già esistente, sviluppando così nuove
combinazioni produttive.
1
https://www.oecd.org/industry/
2
Joseph A. Schumpeter, The Theory of Economic Development: An Inquiry Into Profits, Capital, Credit, Interest, and the
Business Cycle (1934)
4
È nel 1979 che Israel Kizner
3
introduce il concetto di alertness, ampliando così lo spettro di
abilità che un imprenditore è chiamato a possedere, dovendo infatti percepire spazi di opportunità
creati dall'asimmetria tra domanda e offerta di beni e servizi.
Saranno poi Claudio Baccarani e Gaetano Golinelli
4
, nel 2006, a rendere di centrale importanza
la leadership strategica dell'imprenditore, il quale deve formulare valutazioni e prendere decisioni
autonome potenzialmente differenti da quelle che potrebbero assumere altre persone in circostanze
analoghe.
Anche la componente psicologica dell'attività imprenditoriale è stata oggetto di studio nel corso
degli ultimi decenni. Robert McCrae e Paul Costa
5
, per esempio, nel 1985 teorizzarono i cinque
grandi fattori della personalità (i cosiddetti Big Five): il nevroticismo, l'estroversione, l'apertura,
l'amabilità, la coscienziosità. Ciononostante, negli anni successivi si comprese quanto fosse difficile
identificare caratteri psicologici stereotipati per inquadrare gli imprenditori, i quali vennero sempre
più analizzati secondo specifiche tipologie. Antonio Thomas
6
, riprendendo le teorie di Carlo
Brugnoli
7
, li distingue per esempio in imprenditori a tutto tondo (persone con competenze su
diversi fronti della gestione aziendale), gli specialisti (con specifiche competenze in un'unica area
funzionale) e gli inventivi (persone con scarsa esperienza, ma mosse da grande entusiasmo. Anche
John B. Miner
8
propose una classificazione in quattro tipologie: il predisposto implicitamente, il
persuasore innato, il tipico manager e l'innovatore.
3
Israel M. Kizner, Perception, Opportunity, and Profit: Studies in the Theory of Entrepreneurship (1979)
4
Claudio Baccarani e Gaetano Golinelli, L’imprenditore tra imprenditorialità, managerialità, leadership e senso del
futuro, Sinergie, n.71 (2006)
5
Robert McCrae e Paul Costa, The NEO personality inventory (1985)
6
Antonio Thomas, Il legame biunivoco tra imprenditorialità e sviluppo economico: origini, evoluzioni e scelte di policy
(2009)
7
Carlo Brugnoli, L’imprenditorialità per lo sviluppo di nuove aziende (1990)
8
John B. Miner, A psychological typology and its relationship to entrepreneurial success. Entrepreneurship & Regional
Development (1997)
5
Tuttavia, altre correnti di pensiero sottolineano l'importanza del comportamento imprenditoriale
in sé a discapito dei tratti psicologici del singolo imprenditore, ponendo come fulcro della teoria
“ciò che l'imprenditore fa e non ciò che egli è”.
Un'altra figura rilevante nella vita di un'impresa è rappresentata dagli stakeholders, identificati da
Robert Edward Freeman
9
come gruppi o individui che diventano i principali interlocutori
dell'impresa in relazioni di scambio, di informazione e di rappresentanza.
Una prima classificazione degli stakeholders da considerare è quella in primari e secondari, con i
primi che esercitano un ruolo diretto nella gestione aziendale e i secondi che influenzano le
relazioni aziendali con un'ottica a lungo termine.
Fonte: “La gestione dell'impresa”, Sergio Sciarelli (2014)
Un'ulteriore classificazione, che fa riferimento al modello del 1997 di Ronald K. Mitchell
10
,
suddivide gli stakeholders a seconda che essi esprimano criteri quali il potere, la legittimità e
l'urgenza. Sulla base di questi ultimi, la Stakeholder Salience costruisce una gerarchia dei portatori
9
Robert Edward Freeman, Strategic Mangement: a Stakeholder Approach (1984)
10
Ronald K. Mitchell, Toward a Theory of Stakeholder Identification and Salience: Defining the Principle of Who and
What Really Counts (1997)
6
di interesse stabilendo il grado di priorità che l'impresa deve porsi nel relazionarsi con essi. In tal
senso, si identificano sette tipologie di stakeholders:
i dormienti, che condizionano l'operato dell'organizzazione, seppur non legittimati ad
esercitare il potere non esprimendo un'aspettativa urgente;
i discrezionali, che non hanno il potere di influenzare l'organizzazione, né alcuna aspettativa
urgente, ma possiedono l'attributo della legittimità;
gli impegnativi, il cui unico attributo è l'urgenza delle aspettative;
i dominanti, dotati di potere e legittimità, con i quali possono influenzare l'operato
dell'organizzazione;
i pericolosi, che possiedono potere e urgenza, ma non la legittimità. Essi possono talvolta
esercitare il loro potere con la forza e rappresentare, per tale motivo, un pericolo per
l'organizzazione;
i dipendenti, che dispongono di legittimità e di urgenza, ma non del potere. Difatti devono
affidarsi al potere di altri stakeholders per esprimere le proprie esigenze;
i definitivi, che possiedono tutti gli attributi poc'anzi citati e che, per questo, rappresentano
l'interlocutore principale con il quale l'impresa deve relazionarsi.
Queste sette tipologie possono a loro volta essere inglobate in tre macrogruppi: gli stakeholders
latenti, che comprendono i dormienti, i discrezionali e gli impegnativi, caratterizzati dal possedere
solo uno dei tre attributi della Stakeholder Salience; gli stakeholders attivi, che comprendono i
dominanti, i pericolosi e i dipendenti, caratterizzati dal possedere almeno due dei tre attributi prima
citati; i key stakeholders, rappresentati dai definitivi e che possiedono tutti e tre gli attributi della
Stakeholder Salience.