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CAPITOLO 1
CONSIDERAZIONI GENERALI
1.1 - DEFINIZIONE DI MENOMAZIONE, DISABILITA’
ED HANDICAP
In questo capitolo si cercherà di raggiungere il
significato, cui si farà riferimento in seguito, di termini quali
menomazione, disabilità, ed handicap, che spesso, nel
linguaggio comune, si confondono.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità
(OMS) il termine menomazione, si riferisce a perdite o
anormalità che possono essere transitorie o permanenti e
può comprendere l'esistenza o 1'evenienza di anomalie,
difetti o perdite a carico di arti, organi, tessuti o altre
strutture del corpo, incluse le funzioni mentali. La
menomazione rappresenta l'esteriorizzazione di uno stato
patologico, e in linea di principio riflette i disturbi a livello
d'organo.
Per quanto concerne le disabilita’, l’OMS precisa
che, nel contesto delle conoscenze e delle esperienze
sanitarie, si intende per disabilità qualsiasi restrizione o
carenza (conseguente a una menomazione) della capacità
di svolgere un'attività nel modo o nei limiti ritenuti normali
per un essere umano.
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La disabilità si riferisce a capacità funzionali
estrinsecate attraverso atti e comportamenti che per
generale consenso, costituiscono aspetti essenziali della
vita di ogni giorno.
E’ importante precisare, accanto alla presenza o
meno di disabilità, il livello di gravità per individuare, da un
lato, i supporti e gli ausili che potrebbero ridimensionarne
gli effetti invalidanti e, dall'altro, quelle risorse e abilità
possedute dalla persona che potrebbero essere
efficacemente utilizzate in sede di trattamento e di
integrazione.
Se all'accertamento delle menomazioni, è richiesto
soprattutto di chiarire la natura dei danni, dall'accertamento
delle disabilità ci si attende la precisazione di ipotesi
terapeutiche, curative e riabilitative, un ausilio, quindi, nella
pianificazione dei supporti necessari all'integrazione della
persona.
E’ opportuno soffermarsi a considerare il concetto
stesso di disabilità, opponendolo a quello di abilità e
inabilità.
L'abilità di qualsiasi soggetto animato consiste nella
capacità di realizzare un'azione, di compiere un lavoro, di
portare a termine un programma o un progetto
predeterminato. L'abilità dipende dal possesso di una o più
capacità e, fatta eccezione per alcune azioni di estrema
semplicità, di solito sono più funzioni integrate a
determinare l’abilità complessiva o specifica individuale.
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Saremmo in presenza di abilità e di persone abili
anche quando esse, a fronte di menomazioni che
causerebbero la riduzione dell’efficienza di organi, sistemi
o apparati, riescono a manifestare comportamenti
caratterizzati da livelli soddisfacenti di efficienza operativa.
Ne deriva che non necessariamente le menomazioni
comportano disabilità o inabilità, così come si verifica
quando, ricorrendo a protesi, si eliminano o si riducono
drasticamente le capacità invalidanti di alcune
menomazioni.
L'impossibilità o l'incapacità di attivare comportamenti
in grado di consentire la realizzazione dei suddetti
programmi determina invece inabilità rispetto all'azione
considerata e in riferimento alle capacità ritenute normali in
un campione di popolazione omogenea.
L'inabilità consiste dunque nell'assoluta incapacità a
svolgere un'azione, sia nel caso che questa capacità non
sia stata mai posseduta, che in quello, invece, in cui sia
andata perduta. L'incapacità di portare a compimento
1'azione, ma con risultati più o meno soddisfacenti, realizza
la condizione di disabilità, riconoscibile per l'anomalia del
risultato, casualmente riconducibile ad una menomazione.
Risulta pertanto evidente che l'inabilità costituirebbe
l'intensità “zero” della prestazione abile, mentre la
disabilità, un qualsiasi altro livello intermedio tra essa e la
completa abilità. La disabilità, dunque, per essere ben
compresa e precisata, richiede operazioni di stima in grado
di evidenziare la quantità di discrepanza dalla prestazione
abile.
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Le persone disabili, da questo punto di vista non
sarebbero inabili, ma solamente meno o diversamente
abili.
Non tutte le menomazioni, come si è detto,
provocano necessariamente inabilità e disabilità; la loro
gravità si riferisce all'entità della compromissione
funzionale effettivamente registrata, e non è detto che
debba necessariamente esistere una relazione lineare tra
la gravità della compromissione e quella delle disabilità.
Si tratta di una precisazione importante, e doverosa
anche per le sue ripercussioni a livello medico - legale,
sociale e assicurativo, che mira a valutare l'incidenza di
una menomazione secondo la capacità del soggetto di
assolvere richieste specifiche.
Mentre alcune di esse potranno comportare inabilità
o disabilità di diverse entità, altre potranno consentire
anche livelli soddisfacenti e ottimali di abilità
1
.
Tra le conseguenze delle malattie possono
comparire, accanto alle situazioni di menomazione e di
disabilità, anche gli handicap.
Handicap è un termine inglese del XVII secolo,
derivato dalla locuzione “hand i’ cap” (letteralmente: mano
nel cappello) che stava ad indicare il giocare d’azzardo, lo
scommettere affidandosi al caso.
ξ
1
Soresi F.: “Psicologia dell’handicap e della riabilitazione”, Bologna, Il Mulino, 1998,
pp.19,26,32.
6
Nel secolo XVIII handicap assunse un nuovo
significato, indicando lo svantaggio (specialmente di peso,
o di distanza) che veniva attribuito nelle gare (ippica, golf)
ai concorrenti più bravi, in modo da metterli sullo stesso
piano di quelli meno bravi, con conseguente pari possibilità
di vittoria.
Handicappato, pertanto, è un termine sportivo
internazionale con il quale vengono indicati i concorrenti
che in una competizione sono posti in condizioni di
inferiorità, di svantaggio rispetto agli altri.
Se invece, si considera l'Organizzazione Mondiale
della Sanità, il termine handicap è definito come “una vasta
condizione che si presenta con grado, causa, patologia e
aspetti sociali diversi, caratterizzati però da uno stato o
sviluppo incompleto della psiche, in modo tale che
1'individuo è incapace di adattarsi all'ambiente sociale in
modo ragionevole, efficiente ed armonioso”
2
.
Esso è caratterizzato dalla discrepanza tra l'efficienza
o lo stato del soggetto e le aspettative di efficienza e di
stato sia dello stesso soggetto che del particolare gruppo di
cui egli fa parte. L'handicap rappresenta pertanto la
socializzazione di una menomazione o di una disabilità e
come tale riflette le conseguenze culturali, sociali,
economiche e ambientali che per l'individuo derivano dalla
presenza della menomazione e della disabilità.
ξ
2
Jesu F.: “Handicap e integrazione. Nel contesto europeo”, Napoli, Editrice Tecnodid 1991, pp13-
14.
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Lo svantaggio proviene dalla diminuzione o dalla
perdita della capacità di conformarsi alle aspettative o alle
norme proprie all'universo che circonda l'individuo
La definizione qui ripresa contiene alcuni elementi
che meritano di essere sottolineati e commentati. Ci si
riferisce in modo particolare al fatto che:
ι si può parlare di handicap solamente riferendosi a
persone con delle disabilità o menomazioni;
ι si tratta di uno svantaggio «vissuto»;
ι riguarda l'ambito dei ruoli e delle attività
normalmente attesi dall'ambiente socioculturale di
appartenenza della persona;
ι si caratterizza in termini di discrepanza tra
efficienza e aspettative di efficienza.
Sebbene nel linguaggio corrente i termini handicap e
handicappato siano sovente e impropriamente associati a
svariate persone e contesti, è innanzitutto opportuno
sottolineare che, il ricorso a questa espressione può
essere considerato corretto solamente qualora si faccia
riferimento a una situazione in cui una persona manifesta
inabilità, o livelli non soddisfacenti di abilità (disabilità), a
causa di menomazioni che ne compromettono la possibilità
di rispondere a specifiche aspettative di efficienza.
Da ciò deriva che al variare delle richieste e delle
aspettative di efficienza può, da un lato, registrarsi o meno
la presenza di situazioni di handicap, e dall'altro, variare
anche notevolmente l'intensità dello svantaggio percepito e
provocato.
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In assenza di menomazioni, in ogni caso, non si può
utilizzare il termine di handicap, né etichettare in questo
modo situazioni di difficoltà d'apprendimento non
determinate da danni ascrivibili ad arti, organi, tessuti o
altre strutture del corpo incluso il sistema delle funzioni
mentali, di svantaggio socioculturale, di ritardo mentale, di
demotivazione nei confronti dell'apprendimento, né, tanto
meno, di persone con problemi di adattamento personale e
sociale.
Sempre a questo proposito, va ancora ricordato che
non tutte le menomazioni provocano di fatto disabilità, e
che queste ultime sono “attive” solamente in precisi
contesti: ne deriva che, una persona con menomazioni
eterogenee, così come può palesare abilità diverse in
contesti diversi, può anche “essere o non essere
handicappata”.
Come non tutte le menomazioni provocano disabilità,
e come non tutte le difficoltà che le persone possono
incontrare sono determinate da menomazioni (disturbi della
personalità, difficoltà d'apprendimento, scarsa competenza
sociale, ecc.), si può assistere anche alla presenza di
handicap in assenza di disabilità. E’ il caso, ad esempio, di
“menomazioni deturpanti” (volti sfigurati a causa di incidenti
e di ustioni) che pur non provocando disabilità, possono far
registrare vissuti di svantaggio associati soprattutto al
contesto interpersonale.
Dal momento che una persona non è globalmente
disabile e che al variare dei contesti e delle richieste può
manifestare abilità o disabilità, ne deriva che non può
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nemmeno essere considerata, altrettanto superficialmente
e globalmente, handicappata solo perché, in alcuni ambiti
specifici, sarebbe disabile a causa di specifiche
menomazioni.
Pur essendo vero che le menomazioni continuano ad
essere presenti al variare delle situazioni, delle richieste e
delle aspettative (un danno uditivo, ad esempio, esiste
anche quando la persona che ne soffre è impegnata in una
gara di corsa,e così via), o al variare del “dove”, del
“quando” e del “con chi”, le disabilità si manifestano invece
solamente quando è necessario compiere specifiche
prestazioni.
Gli handicap, si manifestano solamente quando si
attendono o pretendono livelli di prestazione standard a
prescindere dalle effettive possibilità della persona in
questione. Al variare delle richieste e dei compiti possono
quindi essere messe in evidenza o meno le disabilità di
una persona, così come, al variare dei compiti e delle
aspettative di efficienza, le stesse situazioni possono
determinare o meno vissuti di svantaggio (handicap).
In considerazione del fatto che l'handicap
comparirebbe in contesti che, formulando richieste
standard di prestazione, non tengono in debita
considerazione le caratteristiche individuali e l'eventuale
presenza di disabilità, si dovrebbe sostenere, che le
disabilità tendono ad associarsi a situazioni di handicap
solamente in contesti di integrazione scolastica, sociale e
comunitaria.
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Specifico dell'ambito riabilitativo è invece il
perseguimento di obiettivi che tengono in giusta
considerazione le disabilità e le possibilità di incremento,
non pretendendo dalla persona più di quanto essa possa
effettivamente dare.
Tutte le agenzie, le organizzazioni, i centri e le
cooperative che istituzionalmente prevedono l'erogazione
di interventi riabilitativi, in altri termini, opererebbero in
favore delle situazioni di disabilità, ma non di handicap.
Coloro che invece si interessano di integrazione
sociale, molto probabilmente, si troveranno ad operare con
persone disabili che, sperimentando sulla propria pelle lo
svantaggio, potranno essere considerate anche, persone
con handicap.
Analogamente a quanto si verifica per le situazioni di
disabilità, anche in questo caso non avrebbe senso parlare
in termini globali e generalizzati di handicap e di persone
handicappate, dal momento che al variare dei contesti e
delle richieste di volta in volta indirizzate alle persone, e
della presenza o meno di svantaggi, la stessa situazione di
handicap può presentarsi o meno.
Da questa prospettiva (anche se paradossalmente a
prima vista), i fautori dell'integrazione sarebbero anche
“portatori di handicap”, nel senso che, non accontentandosi
delle prestazioni disabili, ne stimolano il decremento
facendo frequentemente riferimento a quanto richiesto
dalla “normalizzazione” e dal costante confronto con
persone e prestazioni “più abili”.
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Anche il “rifiuto dell'handicap”, da questo punto di
vista, potrebbe addirittura essere considerato sinonimo di
impotenza operativa, di sfiducia nei confronti delle
possibilità di integrazione, di quella “passività” e di quel
“fatalismo” che troppo spesso, a mio avviso, si constatano
quando ci si limita a “inserire” le persone disabili, senza
preoccuparsi di stimolarle a incrementare i loro livelli di
partecipazione attiva alla vita comunitaria, anche a costo di
far loro vivere situazioni sopportabili di “svantaggio” e di
handicap.
Gli handicap, infine, si riferiscono in modo specifico a
“funzioni della sopravvivenza”; non è pertanto possibile
indicare con questo appellativo situazioni che non si
caratterizzano per la presenza di menomazioni e disabilità
e che non si riferiscono alle funzioni di cui sopra, come
avviene ad esempio quando erroneamente si etichettano in
questo modo alcune situazioni di difficoltà d'apprendimento
e di svantaggio socioculturale, o le situazioni di persone
che incontrano difficoltà nello svolgimento di attività “non
essenziali” alla sopravvivenza.
In realtà il termine handicap si lascia preferire ad altri
termini, per motivi essenzialmente pratici, in quanto è usato
nel linguaggio internazionale.
Infine dopo aver esplicato i tre termini: disabilità,
menomazione ed handicap, potrebbe essere interessante
notare come si possano relazionare fra loro:
1. una persona può essere menomata senza essere
disabile (per esempio una menomazione che non porti a
sensibili restrizioni delle “attività normali”);
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2. l’handicap può essere diretta conseguenza di una
menomazione (per esempio una menomazione sfigurante,
senza dare luogo ad alcuna disabilità, può creare una
situazione di svantaggio);
3. una persona può essere disabile senza essere
handicappata (per esempio, in dipendenza del grado di
compensazione funzionale della disabilità e d'accettazione
personale e sociale);
4. certe disabilità possono ritardare lo sviluppo o il
riconoscimento di altre capacità, come pure certi handicap
che, influenzando il comportamento della persona,
possono generare ulteriori disabilità o menomazioni.
In sostanza la catena menomazione – disabilità -
handicap può interrompersi in qualunque punto e non vi è
una precisa corrispondenza fra il grado della menomazione
o della disabilità e quello dell'handicap; tuttavia questa
sequenza, aiuta ad individuare le correlazioni, tenuto conto
che un intervento a livello di un elemento ha in sé la
possibilità di modificare quelli successivi.
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1.2 - CLASSIFICAZIONE DEGLI HANDICAP
In sintonia con quanto sin qui considerato, ed in
accordo con una visione di tipo marcatamente
ambientalista e situazionale, si possono descrivere una
serie di “circostanze che pon-gono queste persone in
condizione di svantaggio nei confronti dei loro simili
considerati sulla base delle convenzioni sociali”
3
.
La proposta è piuttosto una classificazione che
rifugge dal ricorso a criteri tassonomici per una sistematiz-
zazione degli svantaggi sociali o dei soggetti disabili,
ponendo invece in tutta evidenza le dimensioni e gli ambiti
in cui il soggetto portatore di menomazioni disabilitanti
incontra difficoltà o ostacoli di qualsi-voglia natura in
situazioni necessarie alla sua partecipazione sociale.
Si tratta in definitiva di una classificazione che ha il
suo fondamento nell'identificazione di situazioni reali,
facenti parte della quotidianità; situazioni che esigono
azioni risolutive e comportamenti adeguati. Le “funzioni
della sopravvivenza” considerate sono le seguenti:
1. handicap nell'orientamento;
2. handicap nell'indipendenza fisica;
3. handicap nella mobilità;
4. handicap nell'occupazione;
5. handicap nell'integrazione sociale;
6. handicap nell’autosufficienza economica;
7. altri handicap
4
;
ξ
3
Soresi F.: “Psicologia dell’handicap e della riabilitazione”, Bologna, Il Mulino, 1998, pp.36-37.
ξ
4
Soresi F.: “Psicologia dell’handicap e della riabilitazione”, Bologna, Il Mulino, 1998, pp.38-42.
14
Ma, al di là della definizione formale, la figura dello
handicappato è da ricondursi a due ordini di parametri: a,
quello medico - biologico ed a quello socio - pedagogico.
Secondo il parametro, medico - biologico la persona
affetta da handicap presenta, come conseguenza di un
processo morboso (sofferenza cerebrale, etc.), una
menomazione permanente delle proprie condizioni fisiche
(senso-motorie) o psichiche. Da un punto di vista
strettamente medico, si sostiene che la presenza di un
danno permanente e l'assenza di uno stato patologico
sono le caratteristiche di una persona portatrice di
handicap anche se, si riconosce che la casistica è quanto
mai varia e sempre in via di perfezionamento clinico e
scientifico; in ogni caso, handicappato non vuol dire
ammalato.
Di contro secondo il parametro socio - pedagogico, si
tratta di soggetti impediti per ragioni di ordine socio -
economico - culturale.
In conclusione se si volessero elencare i vari tipi di
handicap, raggruppandoli in poche macro aree, la
suddivisione risulterebbe tale:
ι fisico (disartria, paralisi cerebrale infantile, ecc),
consistente in anomalie di sviluppo degli arti che possono
così essere parzialmente o totalmente assenti;
ι psichico (psicopatia, sindrome di Down, ecc),
indicante deficit dello sviluppo mentale di vario grado;
ι sensoriale (sordità, cecità, ecc), consistente
nell’invalidità di uno dei sensi, totalmente, o creando
semplici difficoltà nella vita di ogni giorno.
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Alla macro area sensoriale, che raggruppa tutti i vari
tipi di handicap che colpiscono uno o più dei cinque sensi
che l’uomo possiede, appartiene la sordità, tema analizzato
nei vari aspetti nel seguente capitolo.