4Il parere negativo prevale su quello positivo di soli pochi punti percentuali; la
situazione è più delineata se si considerano gli orientamenti politici: tra gli elettori
di sinistra netta è la prevalenza del parere negativo, al contrario tra gli elettori di
destra prevale il parere positivo, diversa è anche la percentuale degli italiani che
dichiarano di non avere opinioni (maggiore tra gli elettori di destra). Ma il dato più
interessante è la sostanziale equiripartizione tra favorevoli, contrari e astenuti degli
italiani chiamati ad esprimere un parere su un quesito ambiguo. Premesso che la
globalizzazione è un fenomeno multidimensionale che include il progressivo
abbattimento delle barriere al commercio, alle migrazioni, ai flussi di capitali, ai
flussi informativi, ai trasferimenti di tecnologia e conoscenza, su cosa esprimevano
un giudizio gli italiani intervistati? Cosa intende l’opinione pubblica per
“globalizzazione” e a cosa attribuisce la diffusione o la riduzione del benessere?
Nonostante la Banca Mondiale abbia ribadito che una definizione assodata del
termine non esiste, di globalizzazione si parla ovunque e ne parlano tutti. L’uso
eccessivo, a volte distorto e l’associazione del termine alle questioni più disparate,
ha fatto della globalizzazione “il concetto simbolo degli anni ’90” (De Benedictis e
Helg, 2002), “l’idea chiave con la quale si identifica il passaggio della società
umana nel terzo millennio” (Waters, 2001). Nella riflessione sociale, concetto ed
epoca storica (di cui il concetto è simbolo) si sono sovrapposti e tale assimilazione
rende più complessa la risposta alle domande precedenti. I giudizi espressi nel
sondaggio potrebbero, infatti, riguardare l’epoca in cui viviamo e quindi
l’evoluzione delle disparità attualmente esistenti tra i Paesi e nei Paesi. Se così
fosse il giudizio sulla globalizzazione sarebbe solo un giudizio riflesso. Alla base
di tale suggestione vi sono due convinzioni errate: la prima è che la
globalizzazione sia un fenomeno nuovo e incontrollabile da parte dei policy
markers, la seconda è che abbia effetti univoci sulla disuguaglianza.
L’obiettivo di questo lavoro è approfondire i termini del dibattito accademico su
globalizzazione e diseguaglianza, analizzando l’evoluzione della diseguaglianza
nella distribuzione mondiale del reddito nel lungo e nel breve periodo e cercando
di mettere in luce l’impatto dei processi di integrazione internazionale su tale
fenomeno, sia a livello teorico che a livello empirico.
5La struttura di questo lavoro è la seguente. Il primo capitolo illustra il processo di
integrazione economica internazionale mettendo in luce i trends storici, le
determinanti e le dimensioni di tale fenomeno. Tale capitolo è finalizzato a
dimostrare che la globalizzazione economica, intesa come la crescente integrazione
internazionale dei mercati dei beni, dei servizi e dei fattori produttivi, non è né un
fenomeno nuovo peculiare della nostra epoca, dato che nella storia economica
mondiale si sono susseguite due ondate di globalizzazione, né un processo
incontrollabile e irreversibile, dato che nel periodo tra le due guerre il ritmo e
l’entità della stessa hanno subito un’inversione di tendenza a causa di una reazione
violenta dei governi alla globalizzazione. In altri termini, l’esistenza della
globalizzazione dipende dalla volontà dei policy markers e in ultima analisi dalla
volontà dei cittadini che li eleggono. Ciò impone di prestare particolare attenzione
alla critiche mosse dagli oppositori in quanto un malcontento diffuso aumenta la
probabilità che l’inversione di tendenza del periodo interbellico si verifichi
nuovamente. Il secondo capitolo illustra i principali strumenti elaborati in
letteratura per misurare la diseguaglianza tra gli individui all’interno di una data
distribuzione di reddito. Si tratta di un capitolo teorico necessario per comprendere
i termini del dibattito accademico su globalizzazione e diseguaglianza e le cause
dell’esistenza e del perdurare di posizioni divergenti. Nel terzo capitolo, abbiamo
analizzato l’evoluzione della diseguaglianza nella distribuzione mondiale del
reddito nel lungo e nel breve periodo, cercando di mettere in luce i principali
contributi in materia. Abbiamo mostrato come l’assenza di un data set ideale e la
scarsità di dati disponibili per la costruzione degli indici di diseguaglianza abbiano
determinato l’adozione di tecniche di analisi diverse e il conseguimento di risultati
non unanimi. Abbiamo discusso tali risultati alla luce delle tecniche impiegate al
fine di trarne indicazioni unanimi: è emerso che l’idea diffusa tra gli oppositori che
la diseguaglianza sia aumentata tra e nei Paesi non è necessariamente in contrasto
con l’evidenza empirica. Infine abbiamo comparato le indicazioni provenienti dai
principali studi inerenti all’evoluzione della diseguaglianza mondiale e delle sue
componenti con quelle derivati dagli studi teorici ed empirici in materia di impatti
redistributivi della globalizzazione. Nel quarto capitolo abbiamo mostrato come la
difficoltà di raggiungere un compromesso tra le posizioni degli oppositori e dei
6sostenitori dipende dal fatto che il concetto di diseguaglianza non è univoco così
come non lo è il concetto di giustizia sociale. Impostazioni ideologiche differenti
inevitabilmente conducono ad una lettura opposta degli stessi fatti empirici, ma se i
sostenitori della globalizzazione non si sforzano di comprendere le ragioni della
dilagante insoddisfazione nei confronti di tale fenomeno il rischio è elevato: la
globalizzazione non è un fenomeno irreversibile, il ritmo e l’entità della stessa
hanno subito un’inversione di tendenza a causa di una reazione violenta dei
governi alla globalizzazione. Questo può succedere di nuovo se non si provvederà
a gestire correttamente tale fenomeno in modo tale che esso possa andare a
vantaggio di tutti. Comprendere le motivazioni di chi si oppone alla
globalizzazione rappresenta il primo passo per capire come intervenire affinché la
globalizzazione possa migliorare in maniera concreta la vita di tutti e possa così
esplicare il suo enorme potenziale e in tal modo trovare sostegno unanime.
7- CAPITOLO I -
L’INTEGRAZIONE ECONOMICA
INTERNAZIONALE: TRENDS STORICI
1.1. La globalizzazione tra simbolo di un’epoca e remake storico
Nonostante le implicazioni politiche, sociali, culturali e ambientali, la
globalizzazione è fondamentalmente un fenomeno economico: è la crescente
integrazione internazionale dei mercati dei beni, dei servizi e dei fattori produttivi.
La Banca Mondiale (2002) ha recentemente definito tale fenomeno come la
tendenza dell’economia ad assumere una dimensione globale.
Nella storia economica mondiale si sono susseguite due ondate di globalizzazione:
una che va dal 1870 al 1914 e l’altra dal 1945 ad oggi, quest’ultima si compone di
due fasi, la prima coincide con gli anni dal 1945 al 1980 e la seconda con la fine
del XX° secolo e l’inizio del XXI° (Baldwin e Martin, 1999); pertanto, spesso si
distingue tra prima, seconda e terza fase di globalizzazione.
FIGURA 1:
LE DUE ONDATE DI GLOBALIZZAZIONE
Fonte: Banca Mondiale (2002), Maddison(2001)
8Come emerge dalla figura 1, già nei primi anni del XX° secolo l’economia
mondiale era ben integrata: la prima ondata di globalizzazione fu caratterizzata dal
raddoppio del commercio internazionale e da un’elevata crescita dei flussi
migratori e dei flussi di capitali. Nel periodo successivo al 1914, gli effetti della
prima ondata furono annullati dal peggioramento delle relazioni internazionali. La
nuova ondata di globalizzazione, nata sulle ceneri della seconda guerra mondiale,
pose fine ai trends discendenti e il grado di apertura commerciale e finanziaria
dell’economia mondiale ricominciò a crescere. Analoga fu la dinamica dei flussi
migratori. Da tale punto di vista, l’attuale fase di globalizzazione può essere
considerata come un tentativo di recuperare le perdite subite nel periodo
precedente che ha, però, come esito il superamento, per certi aspetti, dei livelli di
integrazione raggiunti nel 1914.
La globalizzazione non è, quindi, un fenomeno nuovo, peculiare della nostra
epoca, ma allo stesso tempo non può essere considerata un remake del processo di
integrazione del XIX° secolo, date le rilevanti differenze esistenti tra cause ed
effetti delle due ondate.
1.2. Il progresso tecnologico
La principale determinante del processo di integrazione dei mercati è stata il
progresso tecnologico, ossia quel flusso inarrestabile di innovazioni che a partire
dalla seconda metà del XIX° secolo ha progressivamente abbattuto le barriere
naturali tra i mercati, sconvolgendo la dimensione spaziale e la sua percezione fino
a generare la sensazione della “morte della distanza”
2
.
La prima ondata di globalizzazione deve le sue origini essenzialmente a due fattori:
la rivoluzione nei trasporti e nelle comunicazioni e la vittoria delle teorie liberiste
su quelle mercantilistiche che avevano dominato le corti europee nei due secoli
precedenti. I principali protagonisti della rivoluzione nei trasporti e nelle
2
Per “morte della distanza” s’intende l’intensificarsi delle relazioni sociali, politiche, economiche e
culturali che, unendo luoghi molto distanti tra loro, rendono il mondo molto più piccolo che in
passato e i luoghi tradizionalmente lontani molto più vicini, al punto che ciò che accade a livello
locale è influenzato da ciò che accade a migliaia di chilometri di distanza. In altri termini con tale
espressione s’intende la sovrapposizione della dimensione locale e globale e la riduzione del mondo
fino a rendere irrilevante la distinzione tra nazionale e internazionale.
9comunicazioni, che nei decenni centrali del XIX° secolo trasformò il rapporto
dell’uomo con lo spazio, furono: la ferrovia, la nave a vapore e il telegrafo.
Dal 1840 al 1906 l’estensione mondiale delle ferrovie passò da 7200 chilometri a
925 mila; tale nuovo mezzo di trasporto fece scomparire le diligenze, ridusse il
trasporto a cavallo alle brevi distanze in complementarietà con le strade ferrate,
relegò il trasporto marittimo e fluviale alle merci voluminose e consentì il
collegamento di zone irraggiungibili via acqua (Fontana, 2002). Nell’ultimo
ventennio del secolo furono realizzati i grandi collegamenti internazionali in
Europa (trafori alpini) e intercontinentali in Nord-America, in America Latina e in
Asia.
A conferire certezza e stabilità ai traffici intercontinentali contribuì la sostituzione,
a partire dalla metà del secolo, dei pesanti velieri condizionati alla forza e al
regime dei venti, che partivano a discrezione del comandante, con regolari linee a
vapore che trasportavano persone e merci. Nel 1969 l’apertura del Canale di Suez
abbreviò i percorsi per India e Oceania mettendo in comunicazione il Mediterraneo
e il Mar Rosso e nel 1914 fu completato il Canale di Panama che consentì di
collegare l’Atlantico e il Pacifico.
La principale conseguenza della rivoluzione dei trasporti fu il ribasso dei prezzi dei
noli marittimi e delle tariffe ferroviarie; tale effetto aumentò la possibilità di
movimento delle persone agevolando la moltiplicazione dei contratti, degli scambi
e delle interdipendenze economiche e sociali, favorì la specializzazione e
l’orientamento al mercato dell’agricoltura, rese possibili approvvigionamenti
regolari e meno costosi per la manifattura e mise in crisi le unità marginali di
produzione (Fontana, 2002).
Determinante nel processo di integrazione dei mercati nazionali e internazionali fu
la rivoluzione nelle comunicazioni: i miglioramenti del telegrafo e l’impiego di tale
strumento (in passato utilizzato solo per scopi militari) nella comunicazione
commerciale, nonché la costruzione tra il 1851 e il 1902 di una rete di cavi
sottomarini che collegava l’intero globo terrestre, consentì di mettere in
comunicazione in tempo quasi reali città e continenti diversi. Il trasferimento di
informazioni divenne ancor più rapido con l’avvento del telefono che nel 1879
trasmetteva 100-200 parole al minuto in luogo delle 15-20 del telegrafo, senza
10
alcun operatore presso gli utenti (Fontana, 2002). A partire dagli anni ’20 del XX°
secolo, la diffusione internazionale del telefono consentì di ridurre sensibilmente il
costo delle comunicazioni a lunga distanza. Il costo di una telefonata da New York
a San Francisco passò dai 320 dollari del 1915 ai 130 del 1920 e agli 85 del 1930
(De Benedictis e Helg, 2002) e analoga fu la dinamica dei costi delle
comunicazioni telefoniche transoceaniche a partire dal 1949 e satellitari a partire
dal 1970.
Come si evince dalla figura 2, i costi di trasferimento delle informazioni al pari dei
costi di trasporto presentano trends discendenti nel corso del XX° secolo.
FIGURA 2
Fonte: De Benedictis e Helg, 2002
Il costo del trasporto marittimo posto pari a 100 nel 1915 era diminuito del 60 per
cento nel 1945 e continuò a ridursi dopo la seconda guerra mondiale ad un tasso
più moderato fino agli anni ’60.
11
Nel primo dopoguerra i fenomeni tecnologici più rilevanti furono la diffusione
dell’elettricità nei trasporti, nell’industria, nei servizi e nella vita domestica nonché
la diffusione di massa dell’automobile che determinò la rinascita della grande
strada. A partire dagli anni ’30 al trasporto marittimo e stradale si aggiunse il
trasporto aereo la cui dinamica nei costi fu ancor più pronunciata. Ma la vera
rivoluzione tecnologica che ha segnato il secolo scorso riguarda l’elaborazione e la
trasmissione di informazioni mediante la combinazione dell’informatica e della
telematica. Il costo d’uso di elaboratori elettronici, a partire dall’utilizzo nel 1970
di un Mainframe IBM fino ai moderni computer dotati di processori Pentium, si è
ridotto vertiginosamente: se nel 1970 il costo dell’elaborazione era pari a 100 ogni
secondo nel 1990 tale costo è sceso a 0,1 (De Benedictis e Helg, 2002).
Lo sviluppo e la diffusione di PC da un lato e i progressi nelle telecomunicazioni
dall’altro hanno portato all’adozione del protocollo WWW (Word Wide Web) che
ha reso possibile il trasferimento di informazioni in tempo reale e a costi limitati in
ogni parte del pianeta ponendo le basi per una rivoluzione relazionale e cognitiva.
L’avvento delle ITC (Information and Communication Tecnologies) ha, infatti,
portato al superamento del paradigma tecnico-economico fordista, innescato dalla
seconda rivoluzione industriale e dominante nel XX° secolo, aprendo la strada ad
un nuovo e diverso paradigma “il capitalismo delle reti” (Rullani, 2002) che
rivoluziona le forme organizzative delle imprese a favore di un maggior
dispiegamento spaziale della catena del valore.
1.3. Il ruolo dei policy makers
Il progresso tecnologico, che ha reso sempre più interconesse le diverse aree del
mondo, non ha subito rallentamenti dalla fine del XIX° secolo ad oggi, anche se
diverse sono state le innovazioni fondamentali e i Paesi leaders nei due secoli.
Nonostante tale aspetto, tra il 1914 e il 1945 il processo di integrazione economica
internazionale ha subito una brusca interruzione che ha riportato il commercio
internazionale ai livelli del 1870 e ha ridotto i flussi migratori e i flussi di capitale
al disotto dei livelli di partenza della prima ondata di globalizzazione (figura 1).
Tale inversione di tendenza suggerisce che il progresso tecnologico, seppure
necessario per la progressiva integrazione internazionale, non è sufficiente: perché
12
la globalizzazione possa esistere è necessaria la volontà dei policy makers. Fu,
infatti, l’adozione di politiche protezionistiche da parte dei principali Stati europei
e degli USA ad annullare nel periodo interbellico “gli 80 anni di progresso
tecnologico nei trasporti” (Banca Mondiale, 2002).
La prima ondata di globalizzazione fu favorita dalla diffusione della teoria del free
trade ad opera degli economisti classici che mise in crisi le teorie mercantilistiche
e la maggior parte degli Stati europei che le avevano abbracciate tra ‘600 e ‘700
3
.
Secondo il pensiero liberista dell’800, una volta superate le barriere naturali
all’intensificazione degli scambi e delle attività finanziarie tra gli Stati, era
necessario abbattere le barriere artificiali, ossia dazi e proibizioni su beni importati
ed esportati, in modo da lasciar operare la mano invisibile del mercato che avrebbe
portato ad un’allocazione ottimale delle produzioni e dei fattori sulla base della
legge dei costi comparati, con conseguente aumento della specializzazione e quindi
della produttività globale del sistema economico.
L’Inghilterra fu la prima a rompere con la tradizione mercantilistica che proponeva
una visione dei rapporti commerciali fra Stati basata su un saldo positivo della
bilancia commerciale che avrebbe assicurato la prosperità della nazione. I
cambiamenti economici del XIX° secolo avvennero in una costante dialettica tra
scelte liberiste, adottate per lo più da Paesi piccoli come l’Olanda e la Danimarca
oltre che da economie forti come l’Inghilterra, e scelte protezionistiche adottate dai
second comers quali Stati Uniti, Russia e Germania che intendevano proteggere lo
sviluppo dei settori industriali nascenti puntando sulle potenzialità del mercato
interno. Prevalente era, anche in tali Paesi, la convinzione che un protezionismo
eccessivo producesse solo effetti negativi nonostante una protezione moderata e
temporanea fosse necessaria per potenziare le proprie capacità competitive. Dal
1860
4
vi fu una drastica riduzione delle tariffe in Europa nonostante l’afflusso di
grano a basso prezzo proveniente da Stati Uniti e Russia e l’affermarsi del
nazionalismo e dell’imperialismo che portarono a conflitti diplomatici e a un
3
“The Wealth of the Nations” di A. Smith (1776), “On the Principles of Political Economy and
Taxation” di D. Ricardo (1819) e “Principles of Political Economy ” di J.S. Mill (1848) furono le
opere che posero le basi teoriche del free trade.
4
Anno del trattato commerciale Colben-Chevalier fra Inghilterra e Francia che introdusse per la
prima volta la clausula della nazione più favorita.
13
maggior fabbisogno di entrate fiscali e spinsero i Paesi dell’Europa continentale a
ritornare su posizioni più o meno protezionistiche.
Contestualmente in Asia la riduzione dei costi di trasporto non portò ad un
aumento delle tariffe: Cina, India, Giappone, Corea Tailandia e Indonesia si
muovevano verso il libero scambio (K.H. O’Rourke, 2001).
Nel XX° secolo tecnologia e politica smettono di influenzare nella stessa direzione
l’integrazione internazionale: l’impatto delle politiche commerciali sul processo di
globalizzazione è netto come risulta dalla tabella 1 che fornisce i dazi medi sui
beni manufatti relativi a 26 Paesi per i quali i dati sono disponibili dal 1913.
TABELLA 1
DAZI MEDI SUI BENI MANUFATTI
Fonte: K.H. O’Rourke, 2001
Note: NA= NON APPLICATA, -- = NON DISPONIBILE,
= SI RIFERISCE AL FATTO CHE
L’U.R.S.S. ADOTTAVA UNA POLITICA COMMERCIALE TALMENTE RESTRITTIVA DA
RENDERE IRRILEVANTI I DAZI MEDI,
a
= 1997,
b
=1996,
c
=1993.