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Nel quarto capitolo sarà la volta dell’Italia e del suo sistema bancario,
sottolineando sia il lavoro svolto verso un processo di integrazione con gli altri
sistemi europei, sia le anomalie che ha presentato, anche attraverso casi
specifici.
Infine, nel quinto capitolo, analizzando i dati italiani con particolare attenzione
all’incidenza delle operazioni cross border, si cercherà, con questa nuova
chiave di lettura, di interpretare quanto sia ancora rilevante la nazionalità della
proprietà ed i motivi per cui si possa privilegiare un consolidamento all’interno
dei propri confini piuttosto che un criterio più generale di competitività che
incentivi operazioni transnazionali all’interno della medesima comunità.
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Capitolo 1
“Le determinanti delle M&A”
11
Par. 1.1 “L’aumento delle M&A negli anni ’90 e le sue
cause”
Negli ultimi 10 anni si è assistito in Italia ad un aumento significativo delle
fusioni e acquisizioni nel settore bancario.
Tra il 1989 ed il 1995 si sono verificate oltre 240 concentrazioni, che hanno
coinvolto quasi il 20% dei crediti erogati e oltre il 10% dei depositi raccolti in
Italia.
1
Molteplici sono le cause di questa prolungata fase: la riduzione dei vincoli
all’apertura degli sportelli, la deregolamentazione nella fissazione dei tassi,
l’erogazione di credito a breve e a lungo termine e numerosi altri
provvedimenti introdotti in Italia e recepiti dall’Unione europea che hanno
facilitato la liberalizzazione di questo settore, così cruciale all’interno di ogni
paese per la propria economia, aumentando il grado di concorrenza.
Quella che si può realmente definire “mergermania” ha creato una vera e
propria rivoluzione nelle principali borse mondiali, senza esclusione per quanto
riguarda ogni settore economico e coinvolgendo tutti i principali paesi
industrializzati del mondo (vedi figura1).
Pur dovendo precisare le singolari caratteristiche che ogni paese possiede
(relative ad ogni settore), si possono trovare dei comuni denominatori che
hanno interessato questa nuova “merger wave” che a partire dal 1993/94 nei
principali paesi industrializzati ha preso avvio assumendo caratteristiche
profondamente diverse dalle precedenti ed in particolare da quella degli anni
’80, che è stata molto influenzata da aspetti di natura finanziaria.
2
1
“Costa fondere le banche “ di Michele Polo-IGIER-Bocconi-2 novembre 1998-“Idee in campus” articles
2
Articolo di Valter Conca dell’ Osservatorio M&A- Findustria- Centro Studi per la Finanza e l’Industria
dell’Università Bocconi, pubblicato su “MilanoFinanza” il 30 Ottobre 1999.
12
Nella letteratura economica le motivazioni e gli effetti di un progetto di
concentrazione sono fatti risalire a tre ragioni principali:
3
1) Entrare in un nuovo mercato locale
2) Comprimere i costi sfruttando maggiormente le economie di scala e di
varietà
3) Aumentare il potere di mercato
Queste ultime due motivazioni sembrano maggiormente rilevanti per i mergers
tra banche già presenti nel mercato, mentre la prima motivazione è
ovviamente tipica delle operazioni promosse da una nuova banca non
operante in precedenza nel mercato locale.
Come si vedrà in seguito, nel corso di questa analisi, si può notare che questa
prima divisione tra i criteri che motivano un’operazione così complessa come
quella di una fusione o di una aggregazione è in realtà un po’ riduttiva, in
quanto non tiene conto delle diverse esigenze e particolarità che il mercato
delle M&A presenta, anche nei suoi aspetti più singolari, nel quale sono
contemplate anche le ragioni appena viste, ma con motivazioni ed elementi a
volte nuovi e di interessante lettura.
E’ infatti rilevante considerare il contesto dove avvengono tali operazioni
poiché se ad esempio ci si trova a dover valutare un certo numero di banche
oggetto di fusioni in un contesto di modesta dimensione, come accade ad
alcune realtà europee quali l’Italia (soprattutto nel passato), il Portogallo o
l’Irlanda, ecco che ci ritrova ad enfatizzare alcune condizioni quali il voler
meglio presidiare il mercato locale oppure l’obiettivo, appunto, di realizzare
economie di scala e, in misura minore, economie di diversificazione.
4
3
“Costa fondere le banche “ di Michele Polo-IGIER-Bocconi-2 novembre 1998-“Idee in campus” articles
4
“Le concentrazioni bancarie: esperienze internazionali ed il caso italiano” di Ruozi, Roberto- Alemanni,
Barbara. Milano, Egea 1992.
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Se poi prendiamo in considerazione elementi che pilotano il cambiamento
quali le privatizzazioni, per quanto riguarda un contesto strettamente
particolare, o la globalizzazione in uno molto più generale, ci troviamo di fronte
all’esigenza di un aggiornamento necessario che ha portato le banche a
ripensare le proprie aree di business e a nuove opportunità derivanti dalle
attività telematiche e legate ad internet.
5
Figura 1- Valore delle operazioni di fusione e acquisizione fra imprese 1991-1998 (dati semestrali)
(Tratta dalla Relazione annuale dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Roma, 30
Aprile 1999)
5
Rapporto semestrale Associazione Bancaria Italiana-ABI-30 Giugno 1999.
14
Par. 1.2 “L’aspetto del size-effect in relazione al problema di
un sistema bancario federalistico”
Un ulteriore aspetto che è stato segnalato dagli studiosi è il cosiddetto “SIZE-
EFFECT “: si è spesso osservato come le banche tendano a specializzarsi
nell’erogazione di crediti in certe categorie di clientela; le piccole banche locali
finanziano le piccole imprese in misura assai maggiore rispetto alle banche
maggiori.
Tra le principali ragioni di questo fenomeno si segnala il diverso modo di
procedere alla valutazione dei potenziali utenti, la maggior conoscenza
personale della clientela locale, sino alla possibilità che, potendo godere i
piccoli istituti di credito di situazioni di relativo monopolio locale nella raccolta,
siano meno selettivi nella scelta dei clienti.
In relazione all’aspetto del “SIZE-EFFECT “ si sono osservati due aspetti molto
importanti,
6
per quanto riguarda gli effetti delle fusioni e acquisizioni realizzate
negli anni ’90 in Italia sui tassi e sull’ammontare dei crediti erogati prima e
dopo la concentrazione.
A) In un lavoro svolto nel 1998 dalla dott.sa Paola Sapienza, della
Northwestern University, “The effects of banking mergers on loan
contracts”, e partendo dai dati a disposizione della Centrale dei Bilanci e
della Centrale dei Rischi,
7
si sono avuti dei risultati molto interessanti
riguardanti le operazioni di concentrazione tra istituti di credito che già
operavano sul mercato locale.
Lo studio ha rilevato effetti diversi a seconda della dimensione della banca
acquisita: quando l’impresa target è di limitate dimensioni la fusione non ha
portato ad aumentare significativamente il potere di mercato del nuovo
soggetto e i tassi praticati alla clientela si sono ridotti, coerentemente con
6
Articolo di Valter Conca dell’ Osservatorio M&A-Findustria-Centro Studi per la Finanza e l’Industria
dell’Università Bocconi, pubblicato su “MilanoFinanza” il 30 ottobre 1999.
7
“Costa fondere le banche “ di Michele Polo-IGIER-Bocconi-2 novembre 1998-“Idee in campus” articles
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l’idea che la fusione ha consentito una compressione dei costi che si è
traslata sui tassi attivi.
Al contrario quando è stata acquisita una banca di dimensioni maggiori, gli
effetti del maggior potere di mercato così creatosi si manifestano in tassi
sui crediti più alti, in particolare per i prenditori di medie dimensioni (risultati
in parte analoghi a quelli del mercato americano).
B) L’importanza del “SIZE-EFFECT “, sempre rilevato dalla dott.sa Paola
Sapienza, è tanto più rilevante se si pensa che molte delle fusioni
realizzate, soprattutto in Italia, hanno visto una banca di dimensioni
maggiori acquisire un piccolo istituto locale.
A seguito della fusione si è riscontrata una contrazione di circa 1/3 dei
crediti erogati in precedenza, in particolare quelli della piccola clientela.
Questo razionamento non coinvolge i clienti della banca promotrice ed è
praticato esclusivamente nei confronti della clientela finanziata in
precedenza dalla banca acquisita, in misura più marcata quanto è
maggiore la differenza dimensionale tra la banca d’origine e la dimensione
del nuovo istituto di credito.
Se mettiamo in relazione quest’ultimo effetto, derivante da una fusione tra due
istituti bancari, con le diverse analisi che si sono fatte sul sistema bancario
italiano, troviamo che uno dei possibili difetti riscontrati nel passato, e cioè un
sistema federale, nelle aggregazioni bancarie, possa invece diventare una
delle determinanti possibili ad una fusione, poiché risolve delle problematiche
che una vera e propria fusione, di tipo anglosassone per intenderci,
comporterebbe.
Infatti, se si assume che in Italia alcune scelte strategiche, fatte dai Consigli di
Amministrazione, di alcune banche di medie dimensioni (ad esempio la Banca
Lombarda nell’acquisizione della Banca Regionale Europea) sono andate
nella direzione di valorizzare il rapporto che la banca ha con le piccole-medie
imprese (PMI) di una determinata area geografica (nell’esempio precedente il
cuneese), ecco che quest’effetto diventa una leva per possibili
16
fusioni/acquisizioni da parte di una banca che focalizzi su business particolari
e profittevoli il proprio futuro, puntando sugli effetti che quest’operazione
comporta, come abbiamo visto prima.
Oltretutto se poi si vuole confrontare una fusione, per così dire, di modello
anglosassone, con quella fatta in un sistema a modello federale, ecco che
nella prima gli effetti sono molto più duri, nella forma di drastici tagli di costi
con uno sfruttamento immediato delle sinergie, mentre nel secondo caso, si
richiede un approccio più soft, in quanto anche se si concentra la produzione
dei servizi e si lascia ai marchi regionali solo la distribuzione, i risultati, alla
fine, possono essere quasi gli stessi
8
(come conferma un’analisi fatta
dall’agenzia “Standard&Poor’s” sul sistema bancario italiano nel Gennaio
2000).
8
Articolo di Maria Teresa Concetto pubblicato su “CorrierEconomia” del 31 Gennaio 2000 (inserto del
“Corriere della Sera”) dal titolo “L’Italia non è più malata. Ma in Europa…”.
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Par. 1.3 “Le determinanti implicite ed esplicite delle fusioni
bancarie”
Per poter generalizzare l’analisi delle fusioni e acquisizioni bancarie, al di là
degli eventi economici di questi ultimi anni e senza considerare il caso singolo,
occorre fare una distinzione sulla natura delle fusioni bancarie, che possiamo
dividere in
A) COMPORTAMENTALE
B) RAZIONALE
A) Le motivazioni comportamentali possono peraltro essere dovute a fattori
interni o esterni alle aziende oggetto del processo.
Nel primo caso assumono rilievo, ad esempio, le attese dei gruppi di
pressione riconducibili di volta in volta al top-management, al middle-
management e/o ai lavoratori e ai loro rappresentanti sindacali.
Nel secondo caso la fusione viene promossa da gruppi di pressione
esterni, che vedono attraverso di essa, lo strumento che consente una
rapida trasformazione dei rapporti di potere all’interno del sistema in cui
le banche coinvolte sono poste.
I gruppi di pressione esterni possono essere di volta in volta riconducibili
ad attori politici, a forze economiche, ad organizzazioni sindacali, alle
autorità di vigilanza o di governo e via dicendo.
In particolare, nel settore creditizio, una specifica causa di intervento
delle pubbliche autorità è rappresentata dall’opportunità di prevenire o di
sanare degli stati di crisi aziendali: la banca in difficoltà è in questo caso
fatta incorporare da un’azienda di credito solitamente di dimensioni
maggiori spesso su pressioni dirette o indirette delle citate autorità.
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B) Le motivazioni razionali invece sono profondamente diverse da quelle
comportamentali: in questo caso le fusioni dovrebbero essere viste
come il risultato di analisi “oggettive”, cioè espressione di razionalità
economica.
Nel settore bancario possono essere ricondotte, ad esempio,
all’opportunità di migliorare l’accesso ai mercati finanziari internazionali,
alle possibilità di realizzare una strategia difensiva in vista dell’entrata di
nuovi concorrenti di un determinato segmento di mercato, alla necessità
di migliorare la posizione di mercato delle banche coinvolte attraverso la
maggiore integrazione produttiva e/o il conseguimento di economie di
scala e di scopo.
In realtà, questa prima distinzione tra motivazioni comportamentali e razionali
è nella pratica assai sfumata, poiché la fusione è, infatti, spesso la risultante di
un mix di motivazioni che difficilmente possono essere ricondotte unicamente
a gruppi di pressione piuttosto che a razionalità economica.
Di fatti è importante sottolineare che il successo di una fusione quasi sempre
dipende dalle capacità di coloro che la gestiscono di combinare al meglio le
attese dei diversi portatori di interessi con le prospettive economiche
dell’organizzazione aziendale nel suo complesso.
Ulteriore distinzione fra le determinanti di una M&A è quella tra motivazioni
ufficiali ed effettive.
Considerando, infatti, le fusioni avvenute in Italia a cavallo degli anni ‘80/’90,
emerge una notevole discrepanza: mentre a livello ufficiale si riconduce
spesso la fusione all’opportunità di conseguire vantaggi o benefici derivanti da
una diversificazione geografica o da economie di scala, in realtà, analizzando
più attentamente, si realizza come l’operazione di fusione sia lo strumento di
salvataggio di un’azienda di credito che sta incontrando difficoltà
economiche/finanziarie.
Dunque in questo caso emerge una dicotomia interessante tra l’Italia e l’estero
in quanto, da un punto di vista più generale, nei casi esteri emerge una
maggiore eterogeneità fra motivazioni ufficiali/effettive che non in Italia.
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Questa dicotomia si conferma anche per il fatto che un’altra motivazione
particolarmente importante in Italia concerne nella volontà di meglio
“presidiare” il mercato locale, in quanto vi è l’esistenza di un istituto di
dimensioni modeste ma fortemente radicato in un territorio limitato (come si è
visto nel paragrafo 2.2).
Fra le motivazioni ufficiali utilizzate all’estero, invece, risalta nettamente
l’opportunità di realizzare economie di scala e di meglio controllare i costi fissi,
ma anche l’opportunità di conseguire un maggiore potere di mercato.
Quest’ultima figura, specie nell’ambito dei casi europei, fa emergere con
chiarezza che le necessità di conseguire un maggiore controllo del proprio
mercato ha come fine ultimo la volontà di ostacolare l’entrata di concorrenti
esteri (soprattutto nella prospettiva del mercato unico europeo).
Oltretutto, tale obiettivo, è generalmente condiviso dalle pubbliche autorità
nazionali che hanno spesso indotto a sollecitare l’attuazione stessa delle
fusioni tra istituti appartenenti alla stessa nazione.
Alla luce di quanto detto fino ad ora, in linea generale, quindi, la motivazione
dominante della stessa concentrazione pare consistere nella convinzione che
essa porti ad ottenere un risparmio di costi in seguito alla crescita
dimensionale e/o alla presenza di complementarietà nella produzione e nella
distribuzione dei servizi e dei prodotti di cui dispongono le aziende.
Si suppone, quindi, che quasi sempre i due istituti oggetto del processo di
M&A operino a livelli produttivi aventi dimensioni qualitative e/o quantitative
non ottimali rispetto a quelli necessari per ottenere le opportunità date dal
mercato e per essere vincenti nella lotta concorrenziale.
In questo senso la fusione è uno strumento che può consentire ad un istituto
creditizio di colmare almeno parzialmente ed in tempi più o meno lunghi, le
lacune che possiede in alcuni settori della produzione e della distribuzione o al
proprio sottoutilizzo di alcuni fattori produttivi.
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Par. 1.4 “Le determinanti ed alcuni effetti collaterali delle
M&A nel settore bancario in relazione all’introduzione della
moneta unica europea attraverso dati ed aspetti statistici”
Nel corso dell’ultimo decennio, il progressivo passaggio di consolidamento in
Europa, dall’Unione doganale CEE al mercato comune, fino all’Unione
Economica Monetaria (UEM), ha permesso l’armonizzazione delle politiche
monetarie e fiscali fra gli stati membri.
Ciò che è definito come lo stadio più avanzato dell’integrazione economica, ha
comportato diversi effetti interessanti che hanno coinvolto molti settori in modo
diverso.
Se alcuni di essi sono stati coinvolti in una nuova creazione o diversione di
flussi commerciali, altri, invece, hanno incontrato nuove componenti che
hanno influenzato le decisioni all’interno del settore stesso sotto nuovi vincoli
d’efficienza e di confronto.
Un primo aspetto che si evidenzia è proprio come un’analisi di un determinato
settore (ad esempio proprio quello bancario) venga fatta dalle fonti ufficiali,
quali banche centrali ed authority di garanzia della concorrenza, con criteri più
specifici al confronto tra i paesi membri di una stessa area.
Ciò ha portato a riconsiderare uno sviluppo della concorrenza attraverso
fusioni ed acquisizioni con un consolidamento che ha determinato un maggior
grado complessivo concentrazione.
Venendo, infatti, ad anni più recenti, si può notare come l’aumento delle M&A
ha avuto un’ulteriore crescita che probabilmente, come abbiamo visto in
precedenza, è sì nata nei primi anni ’90, ma si è consolidata ed accentuata
con l’avvicinarsi delle scadenze che hanno portato a quella fase transitoria
d’introduzione alla moneta unica europea (Euro).
Infatti, l’introduzione dell’euro è servita da stimolo anche a fenomeni di
riorganizzazione del settore bancario, che sono tenuti sotto stretta
osservazione dalle autorità di vigilanza.