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3.2 Il processo di decolonizzazione e il protocollo di New York
Il processo di decolonizzazione modificò lo scenario geo–politico mondiale
provocando un elevato numero di conflitti e crisi umanitarie, che non sempre furono
adeguatamente riportati all’attenzione dell’ opinione pubblica internazionale. Lo
sgretolamento degli imperi coloniali avvenne in alcuni casi pacificamente mentre in altri
causò aspri conflitti armati e violenze generalizzate che costrinsero intere popolazioni
all’esodo. E’ in questi anni che l’Unhcr comincia ad estendere il proprio mandato,
ricomprendendo altri soggetti e situazioni che non riguardavano l’applicazione della
Convenzione ma che richiedevano l’intervento e la protezione internazionale.
Dinanzi a tale situazione la comunità internazionale cercò di rispondere elaborando un
documento che superasse i limiti della Convenzione e allargando l’ambito di operatività
dell’Unhcr al di fuori dell’Europa.
Agli inizi degli anni ’60 le violenze che accompagnarono l’indipendenza del Congo, del
Ruanda e del Burundi, nella regione dei Grandi Laghi, provocarono eccidi generalizzati e
massicci esodi di popolazione. Durante gli anni ’60-’70, in Algeria, si svolse una delle
guerre di liberazione nazionale più sanguinose. Il ricorso generalizzato delle forze francesi
alla tortura spinse molti algerini a lasciare il paese (ACNUR 2000, p. 38). Nel 1962, anno
dell’indipendenza algerina, fu attuata la prima grande operazione di rimpatrio che vide
tornare nel proprio paese circa 250.000 profughi. Le attività dell’Alto Commissariato
durante questa crisi misero in evidenza non solo la dimensione mondiale del fenomeno dei
rifugiati ma anche la potenzialità di un’azione coordinata ed efficace volta a proteggere ed
assistere i rifugiati.
L’ondata di guerre verificatesi in Africa, a partire dagli anni ’60, per l’ottenimento
dell’indipendenza dagli Stati europei o causate dal vuoto di potere, provocato dal processo
di decolonizzazione, portò la comunità internazionale ad elaborare uno strumento atto alla
tutela dei nuovi soggetti da ricomprendere nella categoria dei rifugiati: il Protocollo
relativo allo status di rifugiati, successivamente conosciuto come Protocollo di New York.
Tale documento è integralmente correlato alla Convenzione di Ginevra del 1951 ma
costituisce uno strumento giuridico a parte; in esso è ampliata la definizione giuridica di
rifugiato contenuta nella Convenzione. Infatti nel suo primo articolo leggiamo:
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art. 1 comma 2:
<<Ai fini del seguente Protocollo, il termine “rifugiato”, (…) intende tutti coloro che
rispondono alla definizione data dall‟art. 1 della Convenzione come se le parole “a
seguito di avvenimenti verificatesi anteriormente al 1° Gennaio del 1951” e le parole “a
seguito di tali avvenimenti” (…) fossero omesse >>.
Come possiamo notare in questo articolo, il Protocollo di New York riconferma la
definizione data dall’art. 1 della Convenzione di Ginevra del 1951, ma abolisce la clausola
temporale allargando così il suo campo d’applicazione anche ad altri soggetti non
ricompresi in tale Convenzione.
Nel Protocollo venne inoltre consentita la restrizione geografica facoltativa della
Convenzione solo agli Stati che l’avevano invocata all’adesione lasciando, alla
discrezionalità degli stati, la decisione di impegnarsi nei confronti dei soli rifugiati
provenienti dal blocco sovietico o allargare la propria accoglienza ad altre aree.
I firmatari del Protocollo avrebbero inoltre , avuto la facoltà di esprimere una riserva,
rifiutando la giurisdizione obbligatoria della Corte Internazionale di Giustizia per le
controversie da esso derivanti.
L’innovazione più importante di tale documento riguarda la sua apertura a Stati che non
avevano ancora sottoscritto la Convenzione del 1951, come ad esempio gli Stati Uniti.
Infatti in esso era prevista l’adesione al solo Protocollo rendendo applicabili agli Stati
firmatari la maggioranza delle disposizioni della Convenzione. L’approvazione del
Protocollo rese gli Stati che esitavano ad assumersi la responsabilità dei futuri rifugiati, più
aperti a tale problema.
Per caratteristiche dimensioni e bisogni, questi “nuovi” gruppi di rifugiati erano molti
diversi da quelli europei e richiedevano una nuova metodologia per la determinazione del
loro status giuridico. Per assistere quei nuovi rifugiati, l’Unhcr doveva agire con elasticità.
Le grandi masse in gioco rendevano impossibile l’esame di ogni singolo caso, per accertare
l’esistenza o meno di un fondato timore di persecuzione. L’Unhcr ricorse pertanto ad un
accertamento dello status di rifugiato per gruppi, basato sui primi indizi, mediante il quale,
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alla luce delle circostanze che avevano causato la partenza dal paese di origine, i rifugiati
potevano essere individuati come un gruppo.
Tale situazione contribuì a rendere necessaria una nuova definizione di “rifugiato” che
meglio corrispondesse alle reali condizioni di profughi; ciò favorì la stipulazione di accordi
regionali come la Convenzione dell‟Organizzazione Unità Africana (OUA) del 1969 e la
Dichiarazione di Cartagena del 1984 e la formulazione di una normativa nazionale, con la
quale veniva esteso il godimento dello status di rifugiato ad ulteriori soggetti oltre a quelli
previsti nella Convenzione di Ginevra.
4. La nascita di Accordi Regionali
4.1 La Convenzione sui rifugiati dell’Organizzazione dell’Unità
Africana
In seguito all’approvazione del Protocollo di New York, gli Stati membri
dell’Organizzazione dell’Unità Africana (OUA) decisero di elaborare una propria
convenzione regionale sui rifugiati. Tale decisione non fu una diretta conseguenza
dell’approvazione del Protocollo (ACNUR, p. 56), ma l’OUA aveva, sin dal 1963,
riconosciuto la necessità di un trattato regionale che tenesse conto delle particolari
caratteristiche del fenomeno dei rifugiati in Africa. L’Unhcr temeva per la creazione di
uno strumento che avrebbe potuto sminuire il carattere universale della Convenzione di
Ginevra ed entrare in qualche modo in conflitto con essa; inoltre se una convenzione
regionale non avesse contenuto i principi della Convenzione di Ginevra, i rifugiati
africani non avrebbero goduto dello stesso livello di protezione. Tali preoccupazioni si
attenuarono quando l’OUA chiamò l’Unhcr a collaborare con la stesura del documento
(ACNUR, p. 56).
Tale documento costituì un’integrazione regionale alla Convenzione, fu inserito infatti
nel Preambolo la dicitura che riconosceva la Convenzione del 1951 “come lo strumento
fondamentale e universale riguardante lo status dei rifugiati”. Di conseguenza essa
riconobbe la nozione di rifugiato contenuta nell’art. 1, allargandone però la portata fino
a ricomprendere “chiunque sia costretto, a causa di un‟aggressione esterna, di
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un‟occupazione o di una dominazione straniera, o di gravi turbative dell‟ordine
pubblico, in tutto o in una parte del paese di origine” (art. 1 comma 2). Veniva così
estesa la possibilità di essere riconosciuti rifugiati a coloro che fuggivano da guerre e
sommosse indipendentemente dalla possibilità di dimostrare o meno un fondato timore
di persecuzione.
La Convenzione prevedeva inoltre ogni sforzo all’accoglienza e all’assistenza dei
rifugiati definendo la concessione dell’asilo come un atto “pacifico e umanitario” che
non poteva essere considerato come un atto ostile da un altro stato membro (art. 2
comma 2). Viene ribadito inoltre il principio di non refoulement (art. 2 comma 3)
prevedendo, in presenza di un gran numero di rifugiati, anche la ripartizione degli oneri
tra gli Stati.
In tale Convenzione veniva espresso per la prima volta il principio del rimpatrio
volontario ed invitava a “distinguere tra il rifugiato che voleva una vita pacifica
normale, e la persona che fugge dal proprio paese all‟unico scopo di fomentare la
sovversione dall‟esterno”.
Tale documento è tutt’oggi molto importante nell’ambito della tutela dei rifugiati e
rappresenta una risposta importante, da parte di quei paesi che hanno vissuto sulla
propria pelle guerre e violenze che hanno causato massicci esodi di popolazione. In tal
modo “I Paesi meno sviluppati hanno risposto a principi universali che sono un monito
per l’Europa delle libertà universali conclamate” (M. Delle Donne, p. 49).
4.2 L’America Latina e la Convenzione di Cartagena
Le guerre civili scoppiate in Centroamerica negli anni ’80, portarono gli Stati Uniti e il
regime comunista cubano a collaborare con le diverse fazioni coinvolte, applicando così
l’ottica della guerra fredda in questa zona.
La violenza di tali guerre causò circa 2 milioni di profughi che vissero come sfollati nei
rispettivi paesi o come stranieri, privi di documenti, in altri paesi del centroamerica e del
nordamerica. In centroamerica e in Messico, furono riconosciuti rifugiati solo 150 mila tra
quelli che abbandonarono il paese. Delle centinaia di migliaia che ripararono negli Stati
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Uniti ne furono riconosciuti ancora meno. La maggior parte di loro non ebbe la possibilità
di chiedere tale status, oppure preferì non fare la domanda per timore di essere espulsi in
caso di rifiuto.
La maggioranza, degli oltre mezzo milione di esuli fuggiti negli Stati Uniti, non
ricevettero protezione come rifugiati. Tale atteggiamento da parte del governo statunitense
era influenzato da considerazioni politiche che vedevano beneficiare dell’asilo
nicaraguensi e rifiutarlo a guatemaltechi e salvadoregni.
Due della maggiori concentrazioni di rifugiati ufficialmente riconosciuti si trovavano in
Honduras e Messico (ACNUR, pp. 124-125). In questi anni, le attività di protezione e
assistenza dell’Unhcr in queste zone furono limitate dal clima di guerra fredda che mise in
difficoltà il lavoro dell’organizzazione. Un esempio di tale difficoltà ad operare è la
politica d’asilo dell’Honduras. Le disparità di trattamento di governo honduregno, vicino
agli Stati Uniti, tra i profughi nicaraguensi (accolti con favore) e quelli salvadoregni, portò
a situazioni di tutela diverse per i due gruppi. Per tutti i profughi furono predisposti campi
gestiti dall’Unhcr, ma mentre ai rifugiati Nicaraguensi era consentita la libertà di uscire e
rientrare nel campo, quelli salvadoregni erano costretti a soggiornare in campi chiusi,
sorvegliati dalle Forze Armate. I problemi derivati dal riconoscimento del diritto d’asilo
per molti di questi profughi, a causa delle pressioni della guerra fredda, ripropose tra gli
Stati latino – americani il problema della tutela e del riconoscimento dello status di
rifugiato. In risposta al massiccio esodo dei rifugiati derivato dalle guerre civili in
Guatemala, El Salvador e Nicaragua negli anni ’80, vene formulato un nuovo documento
in favore dei richiedenti asilo: La Dichiarazione di Cartagena.
La Dichiarazione fu elaborata da un gruppo di rappresentanti dei governi, professori
universitari e giuristi centroamericani, messicani e panamensi e venne adottata dal
Colloquio sulla protezione internazionale dei Rifugiati in America centrale, Messico e
Panama il 19 – 22 Novembre 1984. Tale Dichiarazione, pur essendo strutturata sulla
falsariga della Convenzione delle Nazioni Unite del 1951, estende la definizione del
termine rifugiato a coloro che fuggono dal proprio paese:
“… perché la loro vita, la loro sicurezza o la loro libertà, è minacciata da violenze
generalizzate, un‟aggressione straniera, un conflitto interno, massicce violazioni dei diritti
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umani o altri gravi turbative dell‟ordine pubblico”. In essa è inoltre riaffermato il
principio di non refoulement. Vengono ribaditi l’importanza e il significato di tale
principio come pietra angolare della protezione internazionale dei rifugiati, includendo in
tale divieto anche quello di respingi memento alla frontiera. Inoltre, al paragrafo 5 punto
III troviamo: “Questo principio imperativo, nei confronti dei rifugiati deve essere
riconosciuto e rispettato, allo stato attuale del diritto internazionale, come principio di jus
cogens” (M. Delle Donne, p. 50).
La Dichiarazione di Cartagena è un atto giuridicamente non vincolante, ma viene spesso
ripresa dall’Assemblea Generale dell’Organizzazione degli stati americani. Molti paesi
centroamericani e latinoamericani applicano la definizione di rifugiato in essa contenuta,
recependola persino nelle rispettive legislazioni nazionali.
5. La tutela dei rifugiati alla fine della guerra fredda
Verso la fine degli anni ’80, le guerre per procura terminarono rapidamente grazie alla
fine della guerra fredda, che vide ritirare l’appoggio delle superpotenze alle parti in campo.
Inoltre gli accordi conclusi in tali contesti furono mediati dalle Nazioni Unite, che
lasciarono in quei contesti grandi operazioni di mantenimento e consolidamento della pace
(ACNUR, p. 133).
La fine della Guerra Fredda vide essenzialmente iniziare un periodo piuttosto
ottimistico e in molte regione gli accordi per la pace si tradussero in movimenti di
rimpatrio su larga scala. L’ Unhcr vedeva inoltre allargarsi il proprio mandato, collaborò
infatti al reinserimento dei rifugiati in America Centrale, Cambogia e Mozambico,
partecipò ad una serie di programmi per la ripresa e la ricostruzione di tali aree e lavorò ad
attività volte ad incoraggiare la riconciliazione nazionale.
L’Unhcr e la comunità internazionale si trovarono così a collaborare per cercare di
garantire il consolidamento del processo di pace. Tale situazione, unita ad un generale
miglioramento dei mezzi di comunicazione, permise ai singoli profughi, e non più ai soli