Alla luce di questi elementi, si vuole lanciare l’ipotesi che la rete
organizzativa, e il sistema delle alleanze conseguenti, rappresenti il modello più
idoneo a fortificare le storiche competenze del settore musicale: questo modello
organizzativo potrebbe superare per efficienza e qualità i modelli alternativi
dell’integrazione verticale a controllo gerarchico. E tale lavoro conferma,
supportandola con diverse evidenze empiriche, l’ipotesi proposta: è il network
organizzativo che può cogliere la sfida della modernizzazione e della
competitività legata alle nuove piattaforme tecnologiche digitali.
L’Industria Musicale, quindi, sta rapidamente e radicalmente cambiando
ed è, attualmente, al centro dell’attenzione come mai le era capitato nel corso
della sua storia. Oggi, infatti, il settore è sotto osservazione speciale da parte degli
analisti finanziari come delle multinazionali del marketing e delle telecomunica-
zioni, ma simultaneamente, guadagna in gradimento da parte del pubblico e, fatto
non necessariamente piacevole, ma inevitabile, la sua visibilità è spesso al centro
delle cronache giudiziarie e dell’interesse degli organi di governo e amministrativi
in tutto il mondo.
Struttura del lavoro
Il lavoro è costituito da quattro capitoli. Il primo capitolo traccia, nella
prima parte, una breve storia dell’Industria Musicale, dalla rivoluzionaria
invenzione del grammofono ad opera di Thomas Edison fino ai giorni nostri,
caratterizzati dalla diffusione di nuovi supporti come i CD e i DVD e dalla
crescente interazione tra i diversi dispositivi tecnologici. La seconda parte del
primo capitolo, invece, mostra la configurazione attuale del mercato musicale
mondiale, in generale, e italiano, in particolare, nonché le caratteristiche strutturali
del business musicale.
Il secondo capitolo evidenzia la struttura delle relazioni interorganizzative
nell’Industria Musicale prima dell’avvento della Rivoluzione Digitale,
evidenziando il ruolo fondamentale e insostituibile svolto dalle case discografiche
nella promozione e nella distribuzione della musica nonché i problemi e le
inefficienze connesse con la precedente struttura.
Il terzo capitolo analizza l’impatto che la Rivoluzione Digitale ha avuto
sull’Industria Musicale e sulle relazioni interorganizzative tra i diversi attori
presenti al suo interno. In particolare tale impatto viene valutato alla luce di tre
driver distinti: i nuovi soggetti che entrano nel business per effetto della
digitalizzazione, le relazioni tra i soggetti operanti nel settore, destinate a
cambiare radicalmente, e le risorse chiave per la costruzione del vantaggio
competitivo.
Il quarto capitolo, infine, presenta l’analisi di due casi reali. Tale capitolo
illustra come la digitalizzazione della musica viene affrontata da una casa
discografica presente nel segmento major, la Universal Music Group, e come
viene, invece, affrontata da una casa discografica indipendente, la Carosello
Records, e si conclude con un confronto tra le due case.
Metodo
Il lavoro di ricerca è stato svolto con una metodologia mista: fonti
bibliografiche e ricerca sul campo.
L’argomento è decisamente nuovo, quindi sono stati pochi i testi cui poter
far riferimento: tra questi, si segnalano “Artwork e Network: reti organizzative e
alleanze per lo sviluppo dell’industria culturale” di Severino Salvemini e
Giuseppe Soda, “Dal vinile a Internet: economia della musica tra tecnologia e
diritti” di Francesco Silva e Giovanni Ramello, “Entertainment Industry
Economics” di H.R. Vogel e “La musica on line” di Giampiero di Carlo. Merita
una menzione particolare anche il testo “Organizzazione. Assetto e relazioni nel
sistema di Business” di Riccardo Mercurio e Francesco Testa, contenente
un’interessante analisi dei modelli di assetto dei network. Il presente lavoro,
infatti, ricorre a tali modelli per comprendere e interpretare il funzionamento del
business musicale e il comportamento dei diversi attori in esso collocati.
Una notevole quantità di informazioni è stata, poi, ottenuta attraverso
Internet, visitando siti tematici e siti di riviste specializzate, case discografiche,
associazioni di discografici, istituzioni pubbliche e web-forum.
Per quanto riguarda la ricerca sul campo, risulta fondamentale la
collaborazione di alcuni operatori del settore, i quali, oltre a fornire materiale di
consultazione, hanno contribuito con le loro esperienze e impressioni alla stesura
di questo lavoro.
In particolare si ringraziano il Dr. Fabio Riveruzzi, Responsabile New
Media e Web content della Universal Music Italia, e il Dr. Claudio Ferrante,
Direttore Generale della Carosello Records.
CAPITOLO 1 L’INDUSTRIA MUSICALE: NASCITA E CONFIGURAZIONE
1.1 La nascita e l’evoluzione dell’Industria Musicale
L’Industria Musicale è nata poco più di un secolo fa, negli ultimi decenni
del diciannovesimo secolo, quando le innovazioni tecnologiche consentirono la
“cattura”, l’immagazzinamento e la riproduzione dei suoni (Parikh, 1999).
I primi anni dell’Industria Musicale furono estremamente caotici,
caratterizzati da approcci sbagliati e aspre rivalità. Ma l’idea di ascoltare suoni
che erano stati catturati in un altro luogo e in un altro tempo era così affascinante,
come lo è ora, che i pionieri di questa industria perseverarono nonostante le
notevoli difficoltà tecniche e finanziarie, gettando le fondamenta per il rigoglioso
mercato attuale dei suoni registrati (RIAA, 2001).
1.1.1 Invenzione e contesto storico
Era il 18 luglio del 1877 quando un visionario inventore del New Jersey,
Thomas Alva Edison, compì un esperimento straordinario. Con l’aiuto di uno
strumento di sua invenzione, il fonografo, Edison registrò e riascoltò un semplice
“Hello!”. Di questo primo esperimento non rimase purtroppo traccia, ma quello
successivo fu decisivo: il 6 dicembre dello stesso anno Edison registrò una breve
canzone (“Mary had a little lamb”) che rappresenta la prima registrazione di una
voce umana della storia (Schoenherr, 2002).
Il rivoluzionario strumento che Edison aveva utilizzato, il fonografo,
attraverso la dinamica dei fluidi (come l’aria), permetteva di incidere i suoni su
cilindri prima ricoperti di stagno (tin foil), poi di cera, e successivamente di
riprodurli (Silva e Ramello, 1999). Il meccanismo era semplice quanto geniale:
mentre il cilindro ruotava, il suono, indirizzato verso un corno, faceva vibrare un
diaframma collegato ad una puntina metallica, e i movimenti del diaframma
venivano incisi come un solco nello stagno. Al momento della riproduzione, il
movimento della puntina nel solco, faceva vibrare nuovamente il diaframma,
trasformando questa volta il corno in uno speaker (RIAA, 2001).
Questa almeno è la versione ufficiale dei fatti, benché alcuni hanno
sollevato dubbi circa l’effettiva paternità dell’invenzione e l’autenticità della data
medesima, a vantaggio del francese Charles Cros che, contemporaneamente, a
Parigi presentava domanda di brevetto per il suo Paléophone, un apparecchio che
applicava lo stesso principio a dischi di cristallo (Ciravegna e Galbiati, 1995).
Ciò che conta è che pochi mesi dopo, il 19 febbraio 1878, Edison ottenne
la concessione del brevetto U.S.200521 che gli attribuì la paternità e, di
conseguenza, la titolarità dei diritti di sfruttamento economico del fonografo,
dando così avvio all’epopea della registrazione.
Vale la pena soffermarsi brevemente sul contesto storico nel quale
l’invenzione si colloca, che è quello estremamente dinamico e vitale della
rivoluzione industriale. Tale periodo di cambiamento generato dall’evoluzione
tecnologica determinò, tra l’altro, con l’introduzione massiccia dei rumori degli
impianti produttivi, uno stravolgimento sonoro del paesaggio, la cosiddetta
“cacofonia del ferro” (Schafer, 1985), il quale trovò il suo contraltare proprio nel
fonografo, in grado di riportare agli individui la perduta “armonia” dei suoni ben
ordinati. Se è vero, quindi, che la rivoluzione industriale aveva introdotto
moltissimi suoni nuovi, questi avevano però oscurato molti dei suoni dell’uomo e
della natura e le tecniche di registrazione/riproduzione cercavano di riportare in
equilibrio il rapporto, fornendo uno strumento di conservazione, di
moltiplicazione e di diffusione dei suoni medesimi. La rivoluzione elettrica, poi,
portò a compimento tale slancio, permettendone l’amplificazione e la trasmissione
(Silva e Ramello, 1999).
Si inaugurò così l’era della “schizofonia”, cioè dell’estrapolazione dei
suoni dal contesto originario e della loro trasmissione attraverso il tempo e lo
spazio (Schafer, 1985).
1.1.2 Dall’invenzione al mercato
Ritornando alle vicende riguardanti la nascita dei suoni registrati,
l’invenzione del fonografo aprì le porte ad un mercato veramente di massa, dove
l’informazione si fondeva con l’intrattenimento, con la formazione, con le attività
ludiche e quelle lavorative, fino a permeare ogni aspetto della vita sociale (Silva e
Ramello, 1999). I nuovi ascoltatori possono ora ascoltare la musica leggendo,
lavorando, sbrigando le faccende domestiche e così via, inventando una nuova
forma di fruizione non competitiva con le altre attività.
Edison aveva già compreso queste potenzialità ed, infatti, il suo motto era
“un fonografo in ogni casa” (Edison National Historical Site, 2001). Dovettero
passare alcuni anni, però, prima che la portata di tale invenzione fosse realmente
compresa e sfruttata. Negli ultimi anni dell’Ottocento, l’apparecchio che avrebbe
invaso nel secolo successivo ogni ambito, pubblico e privato, era ancora guardato
dai più come un bizzarro e curioso aggeggio che permetteva di conservare suoni
familiari, non necessariamente musica. Una sorta di fotografia sonora per
tramandare le voci e i discorsi dei propri cari (Millard, 1995).
L’incredibile e definitivo successo della fonografia fu decretato da due
eventi: l’invenzione del “grammofono” e dei “dischi” e il boom della radio.
Nel 1888 il fonografo, grazie al contributo di Emile Berliner, si trasforma
in grammofono (Schoenherr, 2002), un apparecchio identico al fonografo ma che
utilizza per la registrazione “dischi” di gommalacca al posto degli ingombranti
cilindri di cera. Il disco riscontrerà un maggiore successo rispetto al cilindro
(Morton, 2001) innanzitutto per la manifesta superiorità tecnologica (i dischi
suonavano meglio e duravano di più dei cilindri di cera) ma soprattutto per una
banale ragione: i sottili dischi di gommalacca si prestavano ad essere conservati
nelle dimore borghesi più comodamente e in minor spazio. L’invenzione di
Berliner gettava così le basi per la produzione di massa dei suoni registrati (RIAA,
2001).
1.1.3 L’avvento della trasmissione
Il vero trampolino di lancio dell’industria fonografica sarà rappresentato,
comunque, dal boom della radio.
La prima significativa crescita dell’industria fonografica, infatti, avviene
contemporaneamente a quella dell’industria radiofonica, dopo la fine del primo
conflitto mondiale, grazie ad una combinazione esplosiva di registrazione, radio e
mutate condizioni socio-economiche (Silva e Ramello, 1999). Questo periodo, a
cavallo del decennio 1920-1930, segna per la storia tecnologica della registrazione
il passaggio dall’era acustica a quella elettrica.
Nei primi anni Venti la fortuna della radio cresceva a ritmi incalzanti, tali
da pregiudicare, almeno nelle aspettative dell’epoca, la vita stessa dell’industria
fonografica: nei soli Stati Uniti, nel 1921 vi erano 250.000 apparecchi che,
nell’anno successivo, divennero 400.000. Di contro, nel 1924, la Edison Company
dovette addirittura dimezzare la produzione dei fonografi (Millard, 1995).
Nell’arco di cinque anni, la radio si era trasformata da prodigio
tecnologico a complemento di arredo fondamentale per ciascuna famiglia. Con le
sue valvole e gli amplificatori, dava corpo e brillantezza al suono e conquistava le
orecchie e i portafogli dei consumatori, dando vita a quelli che furono definiti
radio days: nel 1930 la radio aveva espugnato circa 12 milioni di dimore
americane e nel 1935 il numero raddoppiò (Morton, 2001).
Quando ormai i commentatori annunciavano la disfatta della musica
registrata, i suoi produttori ebbero la geniale intuizione che, se i nemici non
potevano essere battuti, dovevano allora essere imitati; nacque così l’era della
fonografia elettrica e amplificata (Schoenherr, 2002).
Dopo le diffidenze iniziali, si scoprì il vantaggio di combinare i due
apparecchi e apparvero così i primi sistemi integrati di home entertainment (Silva
e Ramello, 1999). La registrazione, d’altronde, forniva buona parte dei contenuti
ai canali radiofonici, mentre questi ultimi agivano da promotori dei prodotti
fonografici. In più, i programmi radiofonici veicolavano, in modo crescente, i
messaggi pubblicitari di prodotti disparati, promuovendo nel contempo se stessi e
la massiccia quantità di musica trasmessa. Il potere della radio, anzi, diventò
pressoché assoluto, riuscendo a determinare in larga misura il successo o il
fallimento di un fonogramma (Morton, 2001).
Tutto ciò conferma la sinergia tra radiofonia e fonografia, ma tale sinergia
è generata anche da un altro evento, di carattere strutturale. La complementarietà
dei settori tecnologici e la necessità di fornire all’hardware il relativo software ha
determinato un processo di concentrazione delle diverse filiere produttive in
enormi conglomerati definiti come entertainment industry (Schoenherr, 2002).
Secondo una logica ineccepibile, i costruttori di apparecchi hi-fi trovano il settore
fonografico una naturale e conveniente diversificazione delle proprie attività,
mentre i produttori radiofonici, televisivi e cinematografici, utilizzatori per
necessità di grandi quantità di musica, hanno ben presto realizzato i numerosi
vantaggi derivanti dal possedere le proprie record company.
Inoltre, i vantaggi del controllo congiunto dei diversi settori mostra
ulteriori punti di forza in ambito strategico, finanziario e così via. E’ sancita così
la nascita dei grandi oligopoli internazionali che hanno interessi nell’elettronica,
nelle industrie musicali, televisive, cinematografiche e in gruppi editoriali
(Salvemini e Soda, 2001).
Da una parte, le sempre più sofisticate esigenze produttive e di consumo
stimolano le economie di varietà, dall’altra la stretta analogia tra i diversi settori
permette un facile travaso di competenze e costituisce il naturale mastice per
questi colossi internazionali.
E’ questa, dunque, la genesi dell’industria dell’informazione che raggiunge
il suo apice con la tecnologia digitale, poiché testi, suoni e immagini sono
codificati in byte e possono essere organizzati tra loro in combinazioni inedite. Ma
buona parte di questa storia è ancora da scrivere (RIAA, 2001).
1.1.4 Le tecnologie fonografiche
Quanto fin qui narrato riguarda, in effetti, un periodo che è possibile
definire come l’infanzia dell’industria fonografica. L’evento che segnerà il
passaggio alla maturità è costituito dalla seconda guerra mondiale (Silva e
Ramello, 1999).
Il conflitto mondiale aveva impresso, infatti, un’accelerazione senza
precedenti alla ricerca scientifica e al successivo sviluppo tecnologico: si
rendevano così disponibili novità che potevano rivoluzionare prodotti e consumi.
Venivano messi in commercio, perciò, il microsolco, il nastro magnetico e la
stereofonia che, congiuntamente, aprivano l’era dell’alta fedeltà.
Il disco
Il formato a 78 giri, diffuso fino agli anni Cinquanta, aveva mostrato la
propria debolezza sotto l’aspetto qualitativo della riproduzione, della resistenza
all’usura
1
e dell’estensione del tempo di registrazione (Schoenherr, 2002).
Quest’ultimo limite, in particolare, era stato avvertito soprattutto in ambito
radiofonico, dove la necessità di registrare air time di lunga durata si scontrava
con la fragilità dei dischi a 78 giri che potevano contenere al massimo quattro
minuti di musica. Durante la guerra, poi, la richiesta di lunghi tempi di
registrazione era divenuta fortissima, a causa delle intense attività di spionaggio, e
aveva incentivato la ricerca di nuovi supporti. Nasceva così il microsolco, che
dava la possibilità di custodire nei robusti dischi in vinile decine di minuti di
messaggi, comunicati radiofonici e così via.
L’industria fonografica, quindi, non dovette far altro che recepire e
organizzare i notevoli progressi compiuti in ambito militare e diede così vita al
long playing a 33 e 1/3 giri (il cosiddetto LP) e al singolo a 45 giri, che erano più
leggeri, più durevoli e suonavano meglio (Millard, 1995).
1
Si pensi, a tale proposito, che la scarsa resistenza dei materiali dei 78 giri, combinata con la
grossolanità delle puntine dei grammofoni, permetteva a un disco una vita media compresa tra le
75 e 125 esecuzioni.
Il long playing consisteva nella raccolta di un certo numero di fonogrammi
da ascoltare senza interruzioni nel salotto di casa e introduceva una serie di
innovazioni: la fragile e usurabile miscela di gommalacca dei 78 giri veniva
sostituita dall’indistruttibile vinile che, per la sua compattezza, permetteva di
realizzare circa ottocento metri di microsolco, ovvero mezz’ora di musica per
ciascun lato del disco. La qualità sonora, misurata dal rapporto segnale/rumore
2
,
migliorava passando dai 30 dB dei 78 giri a circa 50-60 dB (Morton, 2001).
Il successo dell’LP fu, poi, definitivamente sancita da un strategia
commerciale vincente che nella storia delle industrie dell’intrattenimento sarà
ripetuta: prima di lanciare sul mercato il nuovo standard, la Columbia Records,
che lo aveva sviluppato per prima, strinse un accordo con la Philco per mettere a
disposizione del grande pubblico un hardware a buon mercato per la riproduzione
e, successivamente, allestì un ampio catalogo di musica registrata (Millard, 1995).
L’intuizione geniale della Columbia, però, fu quella di permettere a terzi di
adottare l’innovazione. Tale mossa, inizialmente, fu considerata da molti
controproducente, poiché la concessione della licenza a terzi da parte del titolare
di un brevetto implica l’annullamento del potere di esclusiva associato al brevetto
medesimo. Ma, al contrario di ciò che avviene in altri settori, dove effettivamente
la rendita associata al potere di esclusiva concesso all’innovatore è l’elemento che
incentiva la ricerca e lo sviluppo (Grillo e Silva, 1992), nell’industria
dell’informazione la diffusione di uno standard tecnologico è alla base della sua
affermazione.
L’unica azienda che tentò di tener testa alla Columbia fu la RCA, che
contrappose al long playing un formato altrettanto innovativo, il 45 giri. Esso era
caratterizzato da dimensioni e prezzo minori rispetto all’LP, e poteva essere
ascoltato su semplici portatili e apparecchi economici.
Tale concorrenza portò all’affermazione di entrambi i formati. Il long
playing si rivolgeva soprattutto ad un pubblico adulto, che preferiva ascoltare la
musica senza interruzioni; il 45 giri, immediato e accessibile, divenne un oggetto
2
Si definisce rapporto segnale/rumore il massimo livello di segnale audio in uscita diviso
l’ammontare del residuo rumore, sempre in uscita. Esso misura la qualità di un segnale audio ed è
espresso in deciBel.
di culto del pubblico giovanile (Silva e Ramello, 1999). Il “singolo” (come veniva
definito nel gergo discografico) era, infatti, caratterizzato da un unico brano che
diventava il leit-motiv di una breve stagione, destinato ad essere sostituito da
quello successivo. Più tardi, quando anche i giovani iniziarono ad apprezzare gli
LP, il 45 giri assunse la funzione di “assaggio” del 33 che conteneva il singolo
(Schoenherr, 2002).
Il nastro magnetico e la musicassetta
La tappa successiva è costituita dall’avvento, negli anni Settanta, di una
nuova tecnologia, la compact cassette, inventata e messa sul mercato dalla Philips.
La cassetta consentiva un’opportunità fino ad allora sconosciuta: la possibilità per
gli ascoltatori di registrare (e naturalmente riascoltare) i propri fonogrammi
nonché i programmi radiofonici (Schoenherr, 2002).
La premessa per l’introduzione del nuovo supporto fu il successo delle
tecniche di registrazione mediante nastro magnetico.
I precursori di tale tecnica di registrazione furono gli ingegneri della
tedesca AEG, che spinti dall’imponente attività propagandistica richiesta da Adolf
Hitler, costruirono il primo registratore a nastro magnetico, il Magnetophone che
utilizzava nastri di carta e di vinile acetato (Gracyk, 2000).
Alla fine del secondo conflitto mondiale gli Americani trovarono i German
Magnetophone e li portarono negli Stati Uniti come “bottino di guerra” (Millard,
1995). I magnetofoni riscossero immediatamente un notevole successo,
nonostante fossero abbastanza costosi e le bobine che utilizzavano ingombranti.
Dopo vari tentativi, nel 1966 la Motorola, su commissione della Ford
Motor Company, realizzò un progetto che inscatolava in una speciale “cartuccia”
un nastro magnetico a otto tracce (Millard, 1995). Nasceva così la cassetta
Stereo8, un po’ più ingombrante di un pacchetto di sigarette, ma maneggevole
anche nei luoghi più disagiati, come l’abitacolo di una vettura in movimento
(quantunque non mancassero problemi di qualità acustica).
Negli stessi anni la Philips stava studiando una sorta di miniaturizzazione
del sistema a bobine chiamato compact cassette, più piccola, resistente e pratica
della Stereo8 e più affidabile dal punto di vista qualitativo. La mossa vincente
della multinazionale olandese, però, fu quella di concedere in licenza il brevetto
ad un numero elevato di produttori, soprattutto giapponesi, come Sony e
Matsushita, che inserirono i magnetofoni nei nuovi sistemi di home entertainment
(Schoenherr, 2002).
Da questo momento in avanti la storia della musicassetta è lunga e
avvincente e segnata dalla concorrenza con il supporto disco, in termini di qualità
e resistenza. L’esito di questa concorrenza fu una convivenza più o meno pacifica:
il disco rimaneva sovrano del mercato per quanto riguardava la qualità, mentre la
cassetta era il supporto di musica nelle situazioni più contingenti. Ciò anche
perché la cassetta diventava il supporto principe per i sistemi portatili (RIAA,
2001).
La pietra miliare a tal proposito fu posta dall’invenzione del walkman,
introdotto nel 1979 dalla Sony (Schoenherr, 2002). Il walkman, figlio della
miniaturizzazione elettronica, ha mutato radicalmente le abitudini di consumo, in
quanto sanciva definitivamente un processo di individualizzazione del consumo
(Silva e Ramello, 1999). Il piccolo riproduttore permette un consumo esclusivo
che porta il rapporto prodotto/consumatore 1:1. Esso infatti può essere ascoltato
da una sola persona alla volta. Proprio la sua portabilità lo ha fatto entrare nei
momenti più diversi della giornata, aumentando le possibilità temporali di ascolto
musicale.
Un ultimo aspetto, poi, dell’introduzione commerciale della compact
cassette merita attenzione: il supporto a nastro magnetico introduceva la citata
possibilità per il consumatore di registrare, ma anche di infrangere il controllo che
i produttori avevano sui fonogrammi. L’home taping, ovvero la duplicazione
domestica dei prodotti commerciali, e la pirateria sono le due facce di una
medesima situazione la cui origine risiede nel nuovo potere conferito al mercato
consumer dalla musicassetta (RIAA, 2001).
Il compact disc
Gli anni Ottanta segnano un’altra tappa fondamentale del settore
fonografico con lo sviluppo da parte di Philips e Sony del compact disc, un
supporto in policarbonato, di 12 cm. di diametro, destinato a sferrare il colpo di
grazia al disco in vinile e prenderne il posto sul mercato (Caroli, 2002).
Con il nuovo disco di resina termoplastica, infatti, la durata saliva a 75
minuti, la dimensione diminuiva e non vi era deterioramento dall’uso poiché era
svanito l’attrito tra puntina e disco. La qualità e la resa acustica, poi,
raggiungevano vette inimmaginabili.
Inizialmente, l’affermazione del CD segna un nuovo periodo di estrema
prosperità dell’industria anche per merito di un fenomeno inedito, definito effetto
stock: i consumatori ricompravano nel nuovo formato digitale quanto già
possedevano in formato LP (Morton, 2001). La domanda, come drogata e in preda
ad una insaziabile frenesia di consumo, sommava nuovi desideri di acquisto con
antichi impulsi e, in definitiva, procurava un’impennata esponenziale delle
vendite.
Il passaggio dal mondo dell’analogico (e deteriorabile) a quello del digitale
poneva però nuove problematiche che forse gli industriali della musica non
avevano ben ponderato.
L’informazione sonora diveniva di ancor più facile appropriazione e
trasformazione, senza mai perdere l’originale qualità acustica. Il vincolo con il
supporto fisico diveniva sempre più labile, mettendo a rischio l’esistenza stessa
del mercato. Nella migliore delle ipotesi, infatti, l’elevata fedeltà sonora dei CD
offriva a pirati e home tapers una nuova fonte dalla quale ricavare le proprie
musicassette (Millard, 1995). Altrimenti, fatto più terribile, la prospettiva di
diffusione di apparati di duplicazione digitale avrebbe minato alle fondamenta
l’industria stessa (Silva e Ramello, 1999).
E proprio in quest’ottica si spiega l’immissione sul mercato da parte della
Sony, nel 1990, del prodotto succedaneo alla musicassetta, il DAT (acronimo di
Digital Audio Tape). Il nuovo supporto, che ha una qualità pari o superiore al
compact disc, trovò però l’opposizione delle etichette discografiche e così
l’esistenza del DAT fu relegata al settore professionale anche a causa del fatto che
nessuna casa discografica mise in circolazione un catalogo sufficientemente
ampio, né compì una promozione sufficientemente convinta da stimolarne
l’adozione da parte dei consumatori (Schoenherr, 2002).
Successivamente, la Philips con la Panasonic e la Sony, sempre all’inizio
degli anni Novanta, svilupparono separatamente nuovi sistemi di registrazione e
riproduzione digitale che nelle intenzioni originali avrebbero dovuto sostituire la
cassetta. I due nuovi supporti creati furono la Digital Compact Cassette (DCC)
per la Philips e il MiniDisc per la Sony (Morton, 2001). Molto simili ai floppy disc
utilizzati per i computer, i due nuovi supporti sono accomunati dall’eloquente
peculiarità di semplificare notevolmente la tecnologia di registrazione,
impoverendo il segnale audio in entrata. In altre parole, la qualità acustica dei
fonogrammi duplicati è sempre inferiore a quella degli originali, specialmente se
si tratta di compact disc, secondo la strategia, inespressa ma evidente, che le copie
devono essere peggiori dell’originale (Silva e Ramello, 1999).
Per questi motivi, ma anche per l’incertezza dei consumatori che avevano
appena terminato la ricostituzione della propria discoteca in CD, si è verificato
uno scarso interesse sia per la DCC che per i MiniDisc, i quali attualmente
giocano un ruolo trascurabile nella produzione fonografica mondiale (IFPI, 2001)