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descrivono le sequenze d’apprendimento della seconda lingua di
un individuo, è che esiste un processo d’apprendimento comune.
L’ipotesi, perché possa essere accettata, deve quindi riconoscere
la natura sistematica delle interlingue. Nel secondo paragrafo,
Metodologia e procedure utilizzate nella raccolta e analisi dei dati,
descrivo la procedura seguita per raccogliere e analizzare i dati. Le
procedure utilizzate per la raccolta dei dati traggono spunto dal
lavoro di Dulay, Burt e Krashen (1973), effettuato su tre differenti
gruppi di bambini ispanofoni che apprendevano l’inglese come
seconda lingua. Poiché l’interesse di questo studio è quello di
osservare gli apprendenti nello sviluppo delle loro interlingue usate
in maniera spontanea (o in ogni caso meno guidata possibile), si è
scelto di escludere dall’analisi le produzioni ottenute attraverso
esercizi formali. Gli esercizi formali non possono essere utilizzati
come dati giacché non rappresentano l’intento comunicativo del
parlante. Per quanto riguarda invece la modalità con cui i gli errori
sono stati classificati, mi sono rifatto alla tassonomia descrittiva
basata sul componente linguistico creata da Politzer e Ramirez
(1973) e, per quanto riguarda il calcolo delle percentuali di
accuratezza formale, ho utilizzato la formula proposta da Chan
Swee Heng (2004). La funzione dell’analisi degli errori e delle
percentuali di accuratezza formale è di descrivere la natura
dell’interlingua dello studente e confrontarla con lo stardard della
lingua d’arrivo, verificandone gli eventuali progressi nel tempo.
Nel secondo capitolo, Analisi quantitativa dei dati, sono presentati i
risultati ottenuti per ciascuno studente nelle diverse prove
affrontate. È da notare che in questo capitolo non cerco di dare
spiegazioni ad un determinato fenomeno o deviazione osservato. I
commenti e le riflessioni sono difatti raccolte nella parte conclusiva
del lavoro.
Per quanto riguarda l’evoluzione della ricerca, il lavoro si è
sviluppato in più fasi e segue l’evoluzione dell’interlingua degli
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studenti durante il periodo che va dal gennaio 2005 a giugno dello
stesso anno.
Un primo periodo è stato dedicato alla ricerca di un quesito
generale su cui focalizzare il lavoro, in questo caso
l’apprendimento di una seconda lingua.
Una fase successiva è stata caratterizzata dalla ricerca del
materiale bibliografico da utilizzare sia per la creazione di
un’ipotesi di ricerca sia per stabilire la procedura da seguire per la
raccolta dei dati necessari per la realizzazione del progetto.
Stabilita la procedura da seguire, si è passati alla fase di studio sul
campo, dove attraverso le interviste semistrutturate, le
composizioni scritte e il test attitudinale, si è proceduto a
raccogliere e analizzare il materiale linguistico.
Nel rispetto della privacy degli studenti coinvolti nella ricerca, si è
scelto di usare solo il loro nome di battesimo.
Desidero ringraziare la Prof.ssa Marra per la preziosa
collaborazione e disponibilità nel contribuire alla riuscita di questo
lavoro e per aver creduto in questo progetto dal primo istante.
Ringrazio la preside Susan Isaac, la docente di EFL Anne Hargrave
e i ragazzi della Saint James’ School per l’entusiasmo e la
disponibilità con cui hanno partecipato alla mia ricerca.
Desidero ringraziare inoltre la mia famiglia e Giuseppina per il
sostegno e supporto morale dimostratomi durante questi difficili
anni di studio.
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I. Premesse teoriche e metodologie di ricerca
I.I Introduzione teorica
L’analisi contrastiva (AC) sostiene che la prima lingua (L1)
dell’apprendente interferisce con l’acquisizione della seconda
lingua (L2), e che la L1 costituisce l’ostacolo principale al
raggiungimento dell’apprendimento della nuova lingua. L’ipotesi
dell’AC afferma che laddove le strutture della L1 differiscono da
quelle della L2, si commettono errori che rispecchiano la struttura
della L1.
Gli studiosi che seguono questo filone sono convinti che un’attenta
analisi delle differenze tra i due sistemi linguistici rivelerebbe quali
siano le aree in cui s’incontrano le difficoltà maggiori per gli
apprendenti della seconda lingua e poter fornire così agli
insegnanti della L2 direttive specifiche per la programmazione della
lezione (Dulay, Burt e Krashen, 1985: 144).
Gran parte della filosofia sottostante l’ipotesi contrastiva,
popolarissima negli anni Sessanta, trae spunto dai principi della
psicologia comportamentista basata sul principio dello stimolo –
risposta – rinforzo (Dulay, Burt e Krashen, 1985: 145). Gli studiosi
di questo periodo sostengono che l’apprendimento di una lingua
non è altro che il formarsi d’abitudini linguistiche automatiche, e
che gli errori sono perciò il risultato dell’interferenza delle abitudini
della prima lingua con i tentativi dell’apprendente di imparare
comportamenti linguistici nuovi (Pallotti, 1998: 17). Un’attenta
analisi dei dati empirici riguardanti l’ipotesi contrastiva, ha
evidenziato come buona parte degli errori compiuti attraverso l’uso
della L2 da adulti e bambini non riflette però la loro prima lingua.
Altra considerazione, che è spesso riportata tra i punti deboli
dell’ipotesi dell’AC, è che molti degli errori sono realizzati proprio
in aree della grammatica che sono simili nelle due lingue.
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Il clima teorico della fine degli anni Cinquanta fornì la base per
l’approccio dell’Analisi degli errori (AE). L’articolo di Chomsky, “A
Review of Skinner’s Verbal Behaviour” (1959), mette in discussione
il punto centrale della teoria elaborata dai comportamentisti
sull’abitudine vista come spiegazione dell’apprendimento di una
lingua. Il punto di vista della linguistica generativa chomskiana
mostrò come la forza centrale del processo dell’apprendimento
fosse la formazione mentale degli apprendenti. Ciò significa che
l’apprendente, a differenza di quanto afferma il pensiero
comportamentista, non è più visto come una tabula rasa, alla
mercé degli stimoli esterni. L’apprendimento è percepito come un
processo individuale e creativo in cui entrano in gioco concetti
come mente, memoria, attenzione e personalità (Pallotti, 1998: 18-
19). Alcuni studiosi e insegnanti notarono infatti che molti degli
errori commessi dagli studenti di L2 non erano direttamente
correlati alla loro lingua nativa. Riscontri di questo tipo si ebbero
negli studi di Hernández e Chávez (1972), che rilevarono come
alcuni bambini ispanofoni attraversassero una fase in cui non
facevano uso della marca del plurale quando parlavano inglese,
nonostante il plurale dei nomi sia formato in maniera del tutto
simile nello spagnolo.
Secondo il punto di vista di Pit Corder (1981), il grado di
competenza linguistica, in un determinato momento del processo di
apprendimento, può essere dedotto dagli errori commessi da un
apprendente L2. Attraverso la descrizione e la classificazione degli
errori si riesce a dare una forma ai tratti della lingua che creano
maggiori problemi d’apprendimento.
L’utilizzo pratico dell’analisi degli errori è destinato principalmente
agli insegnanti. Gli errori forniscono infatti un informazione di
ritorno; indicano agli insegnanti la validità o meno dei materiali
utilizzati e sottolineano quali parti sono state apprese o insegnate
in modo inadeguato e che richiedono ulteriori chiarimenti.
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Gli studiosi sono soliti distinguere fra gli errori causati dalla fatica
e dallo stress, definiti da Chomsky (1965) errori d’esecuzione, ed
errori dovuti alla mancata conoscenza delle regole, definiti sempre
da Chomsky (1965) come errori di competenza. In parte della
letteratura gli errori di esecuzione vengono chiamati sbagli
(mistakes), mentre vengono chiamati errori (errors) tutte quelle
deviazioni sistematiche dovute alla conoscenza ancora in fase di
sviluppo del sistema di regole della L2 (Corder, 1967: 151-169).
Nel presente studio verranno considerati come errori tutte le
deviazioni dal modello linguistico standard inglese.
I.I.I. Ipotesi di ricerca
Gli studi sull’apprendimento della L2 sono stati fortemente
influenzati dallo studio longitudinale effettuato da Roger Brown
(1973) su tre bambini che apprendevano l’inglese come prima
lingua. Lo studioso raccolse settimanalmente, per quattro anni le
produzioni linguistiche dei tre bambini, giungendo alla conclusione
che tutti e tre avevano appreso quattordici morfemi inglesi
seguendo un ordine del tutto simile. Brown rilevò che l’ordine di
acquisizione non era influenzato dalle caratteristiche ambientali e
che le strutture prodotte più frequentemente non erano apprese
prima.
I risultati ottenuti da Brown vennero in seguito confermati dagli
studi di de Villiers e de Villiers (1973) effettuati trasversalmente su
ventiquattro bambini. Questi studi portarono Brown a ritenere che:
I bambini elaborano le regole della lingua parlata che sentono,
passando da una complessità minore ad una maggiore, semplicemente
perché gli esseri umani in un determinato periodo della loro vita sono
programmati per elaborare in questo modo i dati linguistici in entrata
(Brown, 1973; cit. in Dulay, Burt & Krashen, 1985: 262).
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Gli studi sull’ordine d’apprendimento sulla L1, hanno portato gli
studiosi di L2 a chiedersi se esiste un ordine comune anche per
l’apprendimento delle strutture della seconda lingua. Dulay e Burt
(1985) hanno individuato un preciso ordine d’acquisizione per i
morfemi dell’inglese L2, evidenziando poche differenze rispetto
all’ordine individuato da Brown.
L’ipotesi iniziale del mio studio, e di tutti quelli che descrivono le
sequenze d’apprendimento di un gruppo d’individui, è che esiste un
percorso d’acquisizione comune. L’ipotesi di un percorso
d’acquisizione universale sarà verificata attraverso l’analisi degli
errori commessi dai soggetti impegnati in diverse situazioni
comunicative.