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1. COS'È L'INFRASOTTILE
La parola
4. il calore di una sedia (nel momento che è lasciata) è infra mince.
5. inframince (aggettivo) e non nome. Mai renderlo sostantivo.
9v. pantaloni di velluto - loro rumore (mentre si cammina) per lo strofinio
delle 2 gambe è una separazione infra mince segnalata dal suono.
11. trasparenza dell’infra-sottile [...]
33. Quando il fumo di tabacco ha anche l'odore della bocca che lo esala, i 2
odori si sposano per infra mince (infra mince olfattivo).
1
Il termine “inframince” (infrasottile) compare per la prima volta in queste Note che
Duchamp scrive tra il 1935 e il 1940, mentre lavora alla Scatola in valigia, che
racchiude in una valigetta le riproduzioni in scala ridotta di tutte le sue opere.
Questa parola, mai apparsa prima d'ora nel suo vocabolario, ha del misterioso. Lui
stesso sembra non darne una definizione chiara; eppure la riflessione aperta da questo
termine è importante.
Partendo dalle indicazioni date in queste Note, l'infrasottile ci viene presentato come un
aggettivo.
Già linguisticamente perciò è qualcosa di sfuggente, qualcosa di non delineato e
delineabile con la concretezza e la chiarezza di un sostantivo.
Il termine è infatti associato, anche in queste poche note, a esperienze differenti,
connesse sensorialmente alla percezione di alcune sensazioni: calore, rumore, odore...
Sicuramente si possiede nella memoria un'esperienza delle situazioni descritte in queste
poche righe, anche se sono fatti su cui raramente ci si sofferma col pensiero.
1
Marcel Duchamp, Notes, a cura di Paul Matisse, Flammarion, Paris 1999.
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E tuttavia, sebbene innegabilmente tutti abbiano avvertito, per esempio, il calore di una
sedia o il rumore dell'attrito del velluto, c'è qualcosa che sfugge allo sforzo di
comprensione.
Sapere dell'esistenza dell'odore del fumo “sposato” all'odore della bocca non sembra
essere abbastanza per definirne il concetto con precisione.
C'è qualcosa di “intuibile” nel concetto di infrasottile che rende difficile una sua
definizione nei termini tradizionali con cui si usa descrivere qualcosa.
Appare come qualcosa di non quantificabile-dicibile con precisione matematica.
L'infrasottile indica lo spazio-tempo che separa o distanzia due cose quando è
impossibile quantificare questa distanza-differenza. Quando “si sa” che esiste uno
scarto, ma non lo si può individuare con precisione.
L'incavo della carta, tra recto e verso di un foglio sottile... da studiare.
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Ecco un altro esempio calzante. Infrasottile come lo spessore minimo tra due cose, così
sottile, appunto, da non poter essere misurato. Eppure c'è, perché se ne riconosce
l'esistenza e la si percepisce. Nessuno direbbe che i due lati di un foglio sono lo stesso
lato.
C’è uno spazio minimo tra le due facce, e questo spazio è nell’ordine dell’infrasottile.
Ma il concetto non è solo spaziale, non indica soltanto una distanza fisica impercettibile
tra due cose.
L’idea insiste sulla differenza:
Tutti gli identici, per quando identici possano essere (e anzi più sono
identici) si avvicinano a questa differenza dissociativa infrasottile. [...]
meglio cercare di penetrare l’intervallo infrasottile tra due identici che
accettare comodamente la generalizzazione verbale che paragona due
gemelli a due gocce d’acqua.
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Differenza tra due oggetti simili, pressoché uguali (concetto fondamentale del
readymade).
Nel tempo un oggetto non è più lo stesso a 1 secondo di distanza [...].
4
2
Ibidem.
3
Appunto 35 rv, ibidem.
4
Appunto 7, ibidem.
7
Differenza dello stesso oggetto nel tempo. Quando il tempo è lungo, il cambiamento è
spesso evidente ai nostri occhi. Ma ridurre il tempo di distanza tra un’osservazione e
l’altra (battere le ciglia è già separare uno sguardo da un altro), rende difficile verificare
empiricamente la differenza creatasi nell’oggetto.
Ancora una volta c’è un cambiamento che riusciamo a intuire, ma non ad afferrare
completamente.
Sempre parlando di sottigliezze, il significante stesso è scritto alternativamente da
Duchamp in tre modi: infrasottile, infra sottile, infra-sottile.
La parola incarna in questo modo il concetto che esprime, differenziandosi
minimamente nella scrittura o nella pronuncia.
11. trasparenza dell’infra-sottile [...]
Si avverte la sua presenza, come un vetro che si frappone tra gli occhi e l’oggetto
guardato. Non si può affermare (senza dubitare) che guardare attraverso il vetro è la
stessa cosa che guardare senza; eppure non si riesce a isolare con precisione lo scarto
insito in questa trasparenza.
La differenza intuibile che permea tutti questi esempi pratici, lasciati volutamente (o
obbligatoriamente) senza una definizione che li racchiuda, è l’infrasottile.
Genesi dell’infrasottile
Come si è detto, il termine “inframince” compare per la prima volta attorno agli anni
’35-’40 come idea rifinita.
Ma, indagando nelle opere di Duchamp, si nota che il concetto serpeggiava fin dagli
albori nel suo operato, forse non in modo così consapevole, ma certamente imperniato
nella sua figura artistica.
Possiamo far risalire l’inizio della gestazione del concetto agli incontri di Puteaux
(1911), dove Marcel apprende dell’esistenza degli studi sulla quarta dimensione.
Tali studi si interessavano a ciò che non era rappresentabile, e di fatto al dominio del
possibile: a un modo di concepire la realtà che metteva in discussione i significati
creduti assoluti.
L’interesse per la quarta dimensione si sposa in Duchamp con l’anacronistico interesse
per la prospettiva, che interpreta in modo del tutto personale:
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L’ombra proiettata di una figura a 4 dimensioni sul nostro spazio è un'
ombra a 3 dimensioni.
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La prospettiva, dominio del visibile, del “retinico” (come avrebbe detto Duchamp), è
spostata con queste considerazioni verso un piano puramente intuibile e non verificabile
empiricamente.
La quarta dimensione apre inoltre spunti verso la proiezione e il movimento:
...Una forma 4 dim.le è percepita sotto un infinito numero di aspetti 3 dim.li
che sono le sezioni di questa figura 4 dim.le con il numero infinito di spazi
(a 3 dim.) che avviluppano questa figura. – per dirla altrimenti: si può
girare intorno alla figura 4 dim.le secondo le 4 direzioni dell’estensione. Il
numero di posizioni di colui che percepisce è infinito […] e allora ogni
percezione in queste diverse posizioni, è una figura 3 dim.le.
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Considerando questi scritti, possiamo meglio comprendere anche i dipinti risalenti a
questi anni, come Giovane triste in treno, Il re e la regina attraversati da nudi veloci, e
il controverso Nudo che scende le scale n° 2.
Se consideriamo i quadri con “un’ottica quadridimensionale”, ci viene più facile capire
perché Duchamp fosse restio a farsi incorporare nei movimenti cubista e futurista, che
in quegli anni avevano già prodotto dipinti di notevole importanza.
Per i due movimenti la questione è visiva, è la rappresentazione simultanea di più punti
di vista sullo stesso oggetto, della velocità.
Per Duchamp non è solo questo.
Prendiamo come esempio il Nudo che scende le scale (1912), opera che creò tanto
dissenso quando fu presentata alla mostra cubista al Salon des Indépendants nello stesso
anno.
Per lui quel quadro in particolare diventa “l’organizzazione di elementi cinetici, di
un’espressione del tempo e dello spazio attraverso la presentazione astratta del moto”
7
.
Duchamp cerca di svincolarsi dalla forma, e di passare ad altro. L’anatomia è quasi
irriconoscibile del resto, è molto meccanica e assolutamente non sessualmente
connotata.
5
Marcel Duchamp, Scritti, a cura di Michel Sanouillet, trad. it. Abscondita, Milano 2005, p. 108 – tratto
dalla “Boite blanche”, 1913.
6
Ibidem.
7
Bernard Marcadé, Marcel Duchamp. La vita a credito, trad. it. Johan & Levi, Milano 2009, p. 62.
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Quel che importa è il passaggio del nudo. Ma non la traccia constatabile che esso lascia,
che è invece esaminata retinicamente da cubisti e futuristi. A Duchamp interessa il
passaggio, la proiezione tridimensionale di una quarta dimensione ipotetica che egli
cerca di mettere su una tela, pur sapendo di non poterlo fare completamente. Le linee
del Nudo sono linee mentali.
Ancora una volta l’operazione è solo intuibile.
Sulla scia di queste considerazioni intellettuali, Duchamp prende definitivamente le
distanze dalla pittura, da lui considerata troppo attaccata al gusto e all’estetica visiva.
Si rivolge con più interesse al disegno, considerato più utile per indagare le cose nella
maniera “cerebrale” che a lui interessava. I suoi disegni non sono certo in preparazione
a una tecnica pittorica, ma appaiono come schizzi o appunti usati per comprendere
qualcosa.
Sono disegni strumentali, che trasportano verso qualcosa posto oltre il visivo.
Il disegno è affiancato inoltre dalla parola, altro aspetto su cui Marcel pone la sua
attenzione. I suoi titoli, come lui stesso ama ricordare, sono una sorta di colore per i suoi
disegni.
Opera spartiacque di questo nuovo metodo di lavoro è il piccolo schizzo contenuto nella
Scatola del 1914, intitolato Avere l’apprendista nel sole. Secondo l’artista stesso, con
questo piccolo disegno sperava “di raggiungere una totale dissociazione tra la parola
scritta e l’immagine disegnata per poter espandere il significato di entrambi”
8
.
I titoli non sono più solo descrittivi dell’opera (com’era d’uso in quel periodo storico),
ma aprono a un significato ulteriore, che nasce solo con la presa in considerazione
simultanea di disegno e parola. Il nuovo senso così generato si infila proprio tra la
visione del disegno e il concetto del titolo, creando un “cortocircuito” nel significato
delle parole. In una dimensione infrasottile.
Da qui in poi è questo il modo di operare di Marcel. Le varie Note, così come la Scatola
verde e la Scatola bianca, sono da affiancare alle sue opere come parte integrante di
esse e non solo come commento.
In questo periodo, e proprio in concomitanza con questo piccolo schizzo, nasce una
parte importante dell’opera duchampiana: il readymade.
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Carla Subrizi, Introduzione a Duchamp, Laterza, Roma 2008, p. 58.