Introduzione
Negli ultimi anni numerose ricerche sono state dedicate
all’approfondimento dei materiali a base cementizia caratterizzati da un
comportamento piuttosto fragile, una limitata resistenza a trazione e scarsa
capacità deformativa. Questi, inoltre se sottoposti a sforzi di trazione si
deformano elasticamente, ma alla risposta elastica segue subito una fase di
micro fessurazione ed una successiva localizzazione delle fessure che
portano al collasso.
Introdurre un rinforzo fibroso d’acciaio diffuso, all’interno della matrice
cementizia, permette di limitarne la fragilità incrementandone la duttilità,
originando materiali caratterizzati da maggiore resistenza, migliore
durabilità e maggiore tenacità.
La dispersione delle fibre in una matrice legante per incrementarne le
proprietà meccaniche è l’idea base del calcestruzzo fibrorinforzato (FRC,
Fiber Reinforced Concrete), dove l’aggiunta di fibre non contribuisce in
modo significativo né al miglioramento delle proprietà meccaniche prima
della fessurazione, né all’incremento di resi stenza a compressione; i
benefici dell’impiego delle fibre sono evidenti solo in fase post -fessurativa,
svolgendo un’azione di cucitura della fessura e fornendo una resistenza
residua ad avvenuta fessurazione.
Si parla di resistenza residua in quanto, con i dosaggi di fibre che
ordinariamente vengono utilizzati, il comportamento del materiale resta di
tipo degradante (softening), pertanto le fibre generalmente non vanno ad
influenzare la resistenza di picco del materiale, ma ne aumentano la sua
duttilità.
L’idea di rinforzare mediante fibre corte distribuite casualmente materiali
fragili per migliorarne le proprietà fisiche e chimiche è molto antica,
bisogna tuttavia arrivare fino alla metà del 1900 per parlare effettivamente
di compositi con l’accezione co rrente.
Il maggiore sviluppo del calcestruzzo fibrorinforzato si è avuto a partire
dagli anni Sessanta. Da allora sono stati fatti dei progressivi miglioramenti
sulle conoscenze relative al ruolo svolto dal rinforzo fibroso nei materiali a
base cementizia, studiando l’effetto delle fibre sulla tenacità del composito
e l’interazione fibra -matrice.
Inizialmente l’utilizzo di questo calcestruzzo era confinato solamente alle
applicazioni nell’ingegneria delle infrastrutture, come nel caso di
rivestimenti in galleria, e nell’edilizia industriale che sfruttava le
potenzialità offerte dall’FRC per pavimentazioni industriali.
Ora invece, grazie soprattutto a studi che evidenziano l’efficacia di questo
calcestruzzo fibroso per la realizzazione di elementi strutturali
monodimensionali, iniziano a svilupparsi sperimentazioni legate anche alla
realizzazione di elementi prettamente strutturali quali travi, pilastri,
mensole tozze, dove l’uso di fibre con adeguata geometria e dosaggio
permette di ridurre o in alcuni casi persino di sostituire l’armatura sia essa
trasversale che secondaria.
Inoltre l’uso del fibrorinforzato è talvolta economicamente più conveniente
rispetto all’armatura ordinaria poiché consente di eliminare i tempi di posa
dell’armatura, di risparmiare spa zi di stoccaggio dell’armatura e
manodopera, garantendo la presenza di un rinforzo anche nei punti in cui la
tradizionale armatura fatica a rimanere nella corretta posizione durante le
operazioni di getto.
A questo si aggiungono tutti i vantaggi offerti dalla presenza delle fibre in
termini di ampiezza delle micro fessure, che risultano particolarmente
importanti per la durabilità strutturale.
Le prestazioni del calcestruzzo fibrorinforzato dipendono da una
distribuzione omogenea delle fibre di acciaio nella matrice, dalla loro
forma e dalla qualità dell’acciaio. Pertanto con il seguente elaborato di tesi
si cercherà di individuare un metodo per ottenere il giusto mix design che
garantisca la miglior risposta prestazionale del calcestruzzo fibrorinforzato.
Infatti, un materiale per impieghi strutturali può esser preso in
considerazione da un progettista nella misura in cui può esser prescritto in
forma prestazionale dall’Impresa che dovrà poi garantirla sotto la
sorveglianza della Direzione dei Lavori. Ciò fino ad oggi non è stato
possibile quando ci si limita a prescrivere il solo dosaggio di fibra, in
quanto questo non rappresenta alcuna garanzia sul raggiungimento delle
prestazioni del materiale in fase di calcolo poiché queste non dipendono
solo dalla fibra, ma anche dalla matrice cementizia.
La seguente sperimentazione è orientata a trovare un metodo per
disciplinare il quantitativo di fibre d’acciaio da inserire nel calcestruzzo
fibrorinforzato per avere il miglior comportamento flessionale. Il
presupposto su cui si basa la tesi è quello di “parità di volume” , ovvero il
volume di fibre introdotto nella miscela va ad occupare il volume di ghiaia
che si sarebbe dovuta metter se il calcestruzzo fosse stato ordinario, cioè
senza rinforzo fibroso.
Dopodiché si andrà ad analizzare il comportamento del calcestruzzo con di
diversi dosaggi di fibre per valutarne il volume critico, cioè quello che
delinea il passaggio del calcestruzzo da un comportamento degradante ad
incrudente.
L’obiettivo che si vuole raggiunge re con l’inclusione di fibre nel
calcestruzzo è di aumentare l’energia di frattura del materiale per realizzare
strutture con elevati gradi di duttilità. L’introduzione di elementi fibrosi
dunque non deve concorrere tanto all’aumento della resistenza ultim a,
quanto a realizzare un meccanismo dissipativo di energia. La strada che si
deve intraprendere è quella di produrre materiali cementizi fibrosi in cui la
fibra si sfila lentamente dissipando energia.
Capitolo 1
Cenni Storici Ed Evoluzione Del
Calcestruzzo Fibrorinforzato
1.1 Cenni Storici Ed Evoluzione
Si definisce calcestruzzo fibrorinforzato FRC “un materiale composito costituito da
calcestruzzo di base nel quale è inglobato un rinforzo fibroso diffuso ed
omogeneamente distribuito. Le fibre possono essere di acciaio, di materiale polimerico,
di carbonio, di vetro o di materiale naturale”.
L’aggiunta di fibre nel calcestruzzo ha lo scopo di ridurne la fragilità, di contrastare gli
effetti del ritiro e, in definitiva, di aumentarne la durevolezza.
Inserire nell’impasto materiali che vadano a migliorarne le composizione non è
un’invenzione dei giorni nostri.
Antichi reperti di abitazioni, datati quasi 2500 anni prima di cristo e risalenti alle civiltà
mesopotamiche, hanno messo alla luce l’utilizzo d i impasti fatti di argilla e paglia, a
testimoniare che l’idea di un rinforzo fibroso, a sostegno della miscela, sia sempre stato
un metodo per aumentare le prestazioni.
Altre pratiche quali la prefabbricazione di mattoni in argilla o fango con l’aggiunta di
paglia sono state applicate sin dai tempi degli antichi Egizi; civiltà come Inca e Maya
erano solite aggiungere fibre vegetali al loro vasellame per impedire che si crepassero
durante la fase di asciugatura al sole.
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Alla "opus caementicium",risalente all’anno zero, si possono ricondurre le primordiali
forme di calcestruzzo così come lo conosciamo. Questa è una tecnica costruttiva
utilizzata dagli antichi romani che si basa sull’utilizzo di calce aerea per la produzione
di malte da costruzione, in seguito perfezionata con l’introduzione nel composito di
pozzolana, come legante (nacquero così le malte idrauliche).
Da questo momento in poi il calcestruzzo è spesso stato additivato con elementi fibrosi
che ne migliorassero la qualità, andando a contrastare la formazione di crepe e fessure.
Le fibre erano costituite principalmente da materiali di risulta quali paglia, fibre
legnose, pelo di suini, di bovini o crine di cavallo. Fino agli inizi del XX secolo si sono
addizionate malte e intonaci con questi materiali, dopodiché l’esigenza di trovare nuove
soluzioni, che potessero rispondere alle esigenze antifessurative in modo industriale
stimolò la ricerca verso nuovi materiali, da sostituire alle fibre fino ad ora utilizzate.
Inizialmente una buona soluzione, sia da un punto di vista strutturale che di costi di
produzione, sembrò potesse essere esser ricondotta all’utilizzo delle fibre d’amianto;
furono poi abbandonate quando diventarono noti i danni che l’amianto comportava sulla
salute umana.
Sono gli anni 60, però, quelli che diedero il via a studi più concreti circa lo sviluppo di
nuovi materiali da adottare come fibre costruttive, che potessero essere producibili
industrialmente con costi contenuti e ovviamente senza effetti secondari sul benessere
dell’uomo.
Da allora la ricerca, nel campo delle fibre per conglomerati cementizi o a base di calce,
ha provato con le tecnologie più disparate: furono sviluppate fibre in acciaio, fibre di
vetro, fibre vegetali, fibre sintetiche e via via fino a soluzioni quali fibre in carbonio,
basalto, alluminio o kevlar.
Furono poi i progetti pioneristici effettuati negli USA che diedero un forte avvio
all’utilizzo del calcestruzzo fibrorinforzato con l’accezione attuale. Tali progetti
prevedevano la costruzione di opere quali le pavimentazioni per aeroporti, le barriere
per la protezione delle darsene portuali e i rivestimenti temporanei delle gallerie
minerarie realizzati con la tecnica dello “shotcrete”.
L’FRC venne lentamente introdotto nel mercato europeo solo alla fi ne degli anni
settanta, quando ancora non esistevano prescrizioni normative che regolamentassero
l’impiego di tale materiale; ciononostante, il settore della prefabbricazione, assai diffuso
in Europa e in particolar modo in Italia, iniziò dal principio a sfruttare i calcestruzzi
rinforzati con fibre di acciaio (SFRC) esclusivamente nella realizzazione di elementi di
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piccole dimensioni (tubi per condotti fognari, cabine di trasformazione elettrica,
pozzetti d’ispezione ecc.).
Per quanto riguarda il panorama Italiano, la storia delle fibre per calcestruzzo
"moderne" inizia nel lontano 1982, anno in cui fu eseguita la prima malta premiscelata
fibrorinforzata. Si trattava del rivestimento di un canale Enel a Villadossola, eseguita
con una malta cementizia tixotropica, decisamente innovativa in quanto appunto
fibrorinforzata e modificata con fumi di silice, messa a punto dall’ing. Edoardo Mocco.
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