2
stati applicati step di 10, 20, 30 minuti. L’applicazione degli step
avrebbe dovuto contrastare l’ipotensione indotta dall’emodialisi,
l’aspettativa era infatti di assistere a un incremento dei valori della
pressione dopo lo step.
Le variazioni di pressione in seguito all’applicazione degli
step sono state confrontate con le variazioni spontanee che
avvenivano durante l’impiego del dializzato a temperatura
standard. I confronti sono stati effettuati considerando la pressione
sistolica, diastolica e media. Per valutare la significatività delle
differenze osservate sono stati impiegati dei test statistici
parametrici (t-test) e non parametrici (Mann-Whitney test e
Wilcoxon test).
3
Capitolo 1. FISIOLOGIA DEL RENE
1.1 Funzione biologica dei reni
Ogni rene [1] è composto da più di un milione di unità
funzionali dette nefroni, che lavorano in parallelo. I nefroni
possono essere visti come un insieme di elementi preposti al
trasferimento di massa: il glomerulo, il tubulo prossimale e il
tubulo distale. Le funzioni principali dei reni sono:
1. depurativa, in quanto rimuovono i prodotti non volatili
del metabolismo cellulare
2. di mantenimento dell’equilibrio elettrolitico
3. di mantenimento dell’equilibrio idrico ossia di un
volume costante di acqua nell’organismo e la sua
ripartizione intra-extracellulare
4. di equilibrio acido-base, ossia di eliminazione
dell’eccesso degli acidi prodotti dall’organismo
mantenendo così il pH corporeo costante.
La funzione renale si espleta attraverso due meccanismi:
l’ultrafiltrazione, che consiste in una separazione del fluido extra-
cellulare attraverso la filtrazione del plasma nei glomeruli, e un
trasporto attivo e passivo a livello tubulare degli elettroliti e degli
altri soluti che assieme all’acqua compongono il filtrato
glomerulare.
La filtrazione glomerulare è un processo passivo determinato
dal gradiente pressorio tra il plasma e il filtrato glomerulare, infatti
come il sangue fluisce attraverso i capillari glomerulari circa un
quinto dell’acqua presente nel plasma passa attraverso delle
membrane permeabili per finire nella capsula di Bowman che è
4
l’estremità sferica del tubulo. Tutti i soluti sufficientemente piccoli
passano attraverso la membrana glomerulare e infatti quasi tutti gli
ioni, glucosio, amminoacidi urea e creatinina si trovano nel filtrato
glomerulare all’incirca nella stessa concentrazione del plasma. La
velocità di filtrazione glomerulare normale raggiunge i 120 ml/min.
La funzione tubulare è quella di riassorbire selettivamente la
maggior parte dell’acqua e dei soluti (glucosio, amminoacidi,
vitamine) che compongono il filtrato glomerulare. Infatti l’acqua e
i soluti, attraverso la parete del tubulo, passano nel liquido
interstiziale e di qui nei capillari peritubulari. Altre sostanze
effettuano un percorso inverso, dai capillari tubulari al tubulo, che
viene detto di secrezione, permettendo così una maggiore
eliminazione delle sostanze di quella possibile con la sola
filtrazione glomerulare.
Il tubulo prossimale riassorbe circa due terzi dell’acqua e del
sale presente nel filtrato glomerulare. Le cellule epiteliali espellono
Na+ ( e con esso Cl-) dal filtrato glomerulare al fluido interstiziale.
L’acqua passa passivamente attraverso la membrana del tubulo
prossimale a causa del gradiente di pressione osmotico. Nell’ansa
di Henle il filtrato glomerulare, già ridotto di un terzo del suo
volume originario, viene sottoposto ad una ulteriore rimozione del
suo contenuto di acqua pari al 20%. Il ramo ascendente non è
permeabile all’acqua, per questo motivo il fluido tubulare diventa
sempre più diluito. In tale tratto infatti le cellule sottraggono Na+ e
Cl- al filtrato. I vasi sanguigni attorno all’ansa di Henle non
riportano il sodio nel circolo, per questo la concentrazione di Na+
cresce lungo il tratto discendente dell’ansa.
Il tubulo distale è sede di pompa Na+/K+ che crea un
gradiente di concentrazione Na+. Le pareti del condotto sono
permeabili all’acqua ma non al Na+ e al Cl-. Per questo motivo,
l’acqua passa attraverso le pareti e viene rimessa nel circolo
attraverso i capillari. Il gradiente osmotico anche presente
5
comporta un riassorbimento di acqua da parte del condotto anche
se la permeabilità delle membrane cellulari è modulata dall’ormone
antidiuretico (ADH). Una diminuzione di ADH indebolisce il
riassorbimento di acqua da parte dell’organismo e comporta
l’eliminazione di un maggior volume di urina più diluita.
Concludendo possiamo riportare i valori tipici delle portate
in massa di alcune sostanze nell’urina, nel filtrato glomerulare, e le
rispettive concentrazioni plasmatiche e peso molecolare.
Urina
Filtrato
glomerulare
Conc.
plasmatica
Peso
molecolare
(u.m.a)
Glucosio
0.0 mg/min
125 mg/min
100 mg/dl
180
Urea
18.2 mg/min
33 mg/min
26 mg/dl
60
Creatinina
1.4 mg/min
1.96 mg/min
1.4 mg/dl
113
Sodio
0.128 mEq/min
17.7 mEq/min
142 mEq/l
23
Cloruro
0.134 mEq/min
12.9 mEq/min
103 mEq/l
35.5
Potassio
0.06 mEq/min
0.63 mEq/min
5 mEq/l
39
Calcio
4.8E-3
mEq/min
0.5 mEq/min
4 mEq/l
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Sulla base di tali valori si posso fare alcune considerazioni.
La membrana glomerulare non permette il passaggio di sostanze la
cui massa atomica (o molecolare) sia superiore ai 60.000 Dalton,
come lipidi o proteine, la pressione osmotica dipende dunque
essenzialmente dalla concentrazione plasmatica della proteine
(essendo queste in numero molto superiore ai lipidi). La membrana
è permeabile ai soluti il cui peso è inferiore ai 5000 Dalton, tali
soluti sono presenti nel filtrato glomerulare nella stessa
concentrazione plasmatica.
6
La creatinina (sostanza prodotta dal metabolismo proteico)
ad esempio, non viene né sintetizzata né distrutta all’interno del
rene né tanto meno riassorbita da parte dell’organismo. Viene
dunque utilizzata per valutare la filtrazione glomerulare.
Il glucosio invece viene completamente riassorbito
dall’organismo a livello tubulare, una sua presenza nelle urine
indica dunque un eccesso di glucosio nel sangue.
L’urea appare nel filtrato glomerulare nella stessa
concentrazione del plasma. Un terzo dell’urea ritorna al sangue
attraverso il tubulo distale. In tale tratto, l’urea segue la stessa sorte
dell’acqua, infatti se viene riassorbita una grande quantità di acqua
a livello del tubulo distale, verrà riassorbito anche un terzo
dell’urea.
1.2 Malattia dei reni
L’origine della malattia renale può essere infettiva, genetica,
traumatica, vascolare, immunologia, metabolica o di tipo
degenerativo. Il deficit renale [2] può essere acuto o cronico.
Quando il deficit è acuto i reni possono riacquistare una normale
funzionalità in seguito a dialisi, mentre nel deficit cronico i reni
sono irrimediabilmente danneggiati e la dialisi risulta l’unico
mezzo di sopravvivenza oltre al trapianto.
Il deficit acuto è tipicamente associato ad ischemia,
glomerulonefriti acute, necrosi tubulare, mentre il deficit cronico è
generalmente causato da glomerulonefriti croniche (di origine
infettiva e immunologica), ipotensione (che porta a nefrosclerosi) o
da malattie vascolari (generalmente causate da diabete).
Il livello di urea nel sangue è un indicatore della funzionalità
renale in quanto in caso di insufficienza renale tale livello risulta
troppo alto. L’urea è il risultato metabolico del catabolismo delle
proteine e non è dannoso per l’organismo neanche in elevate
7
concentrazioni, risulta essere solo lo specchio della funzionalità
renale e del conseguente accumulo di altre sostanze tossiche
nell’organismo.
L’insufficienza renale si manifesta quando la velocità del
filtrato glomerulare diminuisce fino a meno di un terzo del suo
valore normale e a quel punto sostanze come urea o creatinina, che
vengono eliminate solo attraverso i glomeruli, aumentano
considerevolmente. I segnali di una malattia renale giunta
all’ultimo stadio risultano visibili quando la clearance della
creatinina raggiunge i 15 ml/min. Il valore minimo di clearance
della creatinina compatibile con la vita è di 8 ml/min.
1.3 Breve storia della dialisi
Fino alla metà del XX secolo non era possibile far
sopravvivere chi si ammalava ai reni sia in forma acuta che
cronica. Il concetto di rimozione delle sostanze tossiche dal sangue
assieme ai liquidi in eccesso, mediante processi di scambio
attraverso una membrana, fu suggerito da Abel, Rowntree e Turner
alla Jhon Hopkins Medical School nel 1913. Essi dimostrarono
come fosse possibile per il sangue bilanciare le concentrazioni di
soluto presenti nel plasma con quelle imposte da una soluzione
appropriatamente preparata. Le loro osservazioni non furono però
seguite da applicazioni cliniche in quanto vi era una notevole
difficoltà a fabbricare membrane di scambio adeguate e gli
anticoagulanti, allora disponibili, non erano ancora affidabili non
essendo stata ancora scoperta l’eparina.
Kolff fu il primo, nel 1944, a sviluppare un rene artificiale
con una certa capacità a trattare il deficit renale acuto. Il filtro,
detto a tubo avvolto, consisteva in un segmento di cellofan avvolto
attorno ad un supporto che ruotava in un bagno di soluzione
8
ipertonica a temperatura stabile, detta dializzato. Il sangue fluiva
dalla vena al tubo avvolto, gli scambi di acqua e soluti avvenivano
attraverso la membrana e il dializzato che doveva essere sostituito
dopo poche ore per pericolo batteriologico. Il sangue ritornava al
circolo del paziente mediante una pompa. Il problema di dover
effettuare ripetuti accessi al sistema circolatorio del paziente
permetteva di impiegare tale tecnica solo in caso di deficit renale
acuto ossia per un periodo limitato di tempo.
La possibilità di effettuare dei trattamenti ripetuti, richiesti in
caso di deficit cronico, fu possibile solo a partire dal 1959, quando
Scribner e Quinton introdussero delle tecniche per l’accesso
ripetuto al circolo del paziente. In quel periodo Kiil fu il primo a
presentare la realizzazione di un filtro piatto in cui il sangue fluiva
tra due strati di cellofan posti tra dei supporti aventi delle
scanalature che permettevano la circolazione del dializzato. Questo
tipo di dispositivo aveva bisogno di un minore afflusso di sangue
rispetto al tubo avvolto e richiedeva anche una pressione minore
per far circolare il sangue e il dializzato. Non vi era dunque
bisogno di una differenza di pressione molto elevata attraverso la
membrana, il filtro piatto poteva allora trasferire le sostanze per
semplice diffusione attraverso la membrana.
Nel 1965, Bluemle e i suoi collaboratori studiarono come
avere la massima superficie di membrana nel minor volume, dando
vita ai filtri a fibra capillare costituiti da migliaia di tubi di
piccolissimo diametro.
Nel 1967, Henderson propose una soluzione alternativa al
problema del limitato trasferimento di massa possibile con la sola
diffusione con l’apparecchiatura per l’emodialisi. Propose un
trasporto puramente convettivo (ultrafiltrazione) attraverso
membrane più permeabili all’acqua rispetto alla cellulosa, il che
avrebbe aumentato la clearance dei prodotti del metabolismo più
grandi dell’urea.
9
Il volume extra-cellulare perso veniva rimpiazzato
infondendo una grande quantità di soluzione salina nel sangue.
Tale processo veniva chiamato diafiltrazione.
11
Capitolo 2. IL RENE ARTIFICIALE
2.1 Introduzione
Il rene artificiale ha lo scopo di sostituire l’attività del rene
quando questo perde la sua naturale funzionalità.
Il paziente viene periodicamente sottoposto al trattamento di
emodialisi che consiste sostanzialmente nel deviare una certa
portata di flusso ematico dal paziente al circuito extracorporeo. Il
sangue, attraverso la linea arteriosa, viene fatto passare attraverso
un filtro e poi rimandato al paziente attraverso la linea venosa del
circuito.
2.2 Il filtro
Il filtro [3] può essere visto come una scatola (nel caso di
filtro piatto) o un tubo con quattro porte verso l’esterno. Due porte
comunicano con il compartimento del sangue e le altre due con il
compartimento del dializzato. La membrana semipermeabile separa
i due compartimenti. La superficie che separa i due compartimenti
viene massimizzata usando una membrana formata da numerose
concavità (filtro capillare) o da superfici piane parallele (filtro
piatto).
Nel filtro capillare il sangue fluisce in una camera posta
all’estremità del filtro da dove entra poi in una fitta rete di capillari.
Il filtro è costruito in modo tale che il sangue fluisca attraverso le
fibre mentre il liquido di dialisi fluisce all’esterno. Una volta che il
sangue è passato attraverso la rete capillare, viene raccolto in una
camera all’altra estremità del filtro e rimandato al paziente.
12
Il filtro piatto non viene generalmente più usato.
Fig. 2.1 Filtro capillare
Le membrane attualmente in uso sono di quattro tipi:
cellulosa, cellulosa sostituita, cellulosa sintetica e sintetica.
- La membrana di cellulosa è ottenuta mediante trattamento del
cotone.
- Cellulosa sostituita. Il polimero della cellulosa ha un gran numero
di gruppi idrossili liberi sulla sua superficie. Nelle membrane di
cellulosa acetata, cellulosa diacetata e cellulosa triacetata, un
numero sostanziale di questi gruppi formano un legame chimico
con l’acetato.
- Cellulosa sintetica. Durante la formazione della membrana viene
impiegato un materiale sintetico che agisce sulla cellulosa. Come
risultato si ha una alterazione della superficie della membrana che
in questa modo presenta una maggiore biocompatibilità. Il nome
commerciale di questo tipo di membrana è Cellosyn o Hemophan.
- Sintetica. Questi tipi di membrane non sono a base di cellulosa, i
materiali usati sono solo sintetici.
13
Lo scopo della membrana è quello di separare il sangue dal
fluido di dialisi e permettere il trasporto selettivo dei soluti in base
al diverso peso molecolare. L’efficienza di un filtro è dettata dalla
sua capacità a rimuovere l’urea in relazione alla superficie utile
della membrana. I valori della clearance per l’urea nei filtri
attualmente in uso vanno dai 200, 300 ai 400 ml/min.
Un altro parametro relativo all’efficienza del filtro riportato
dalle case produttrici è la clearance della creatinina. Il suo valore è
generalmente 80% della clearance dell’urea.
La clearance della vitamina B12 (peso molecolare 1,355) è un
indicatore della capacità della membrana di permettere il passaggio
di soluti di un certo peso molecolare.
Recentemente, si sta considerando piuttosto la clearance
della microglobulina β2 (peso molecolare 11,800) come indicatore
del flusso di un filtro. L’importanza clinica della rimozione di
soluti con elevato peso molecolare mediante la dialisi è però
controverso.
Generalmente la superficie della membrana è di 0.8-2.1 m^2.
Il volume del sangue all’interno del filtro è abitualmente di 60-120
ml. Considerando che nel circuito extracorporeo il volume di
riempimento delle linee del sangue è di circa 100-150 ml, il volume
sanguigno presente in tutto il circuito extracorporeo sarà all’incirca
160-270 ml.
2.3 Trattamento dell’acqua
Durante un trattamento di dialisi il paziente viene a contatto
con circa 120 l di acqua. Risulta dunque importante controllarne la
purezza. Infatti sostanze normalmente presenti nell’acqua possono
essere estremamente dannose per il paziente. Ad esempio la
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presenza di cloro, come anche di rame, può causare anemia per
emolisi.
I metodi generalmente usati per purificare l’acqua per
l’emodialisi sono molteplici. Prima di tutto si riduce la durezza
dell’acqua eliminando la maggior parte del calcio e del magnesio.
Successivamente viene impiegato un filtro di carbone per eliminare
impurità organiche e sostanze come il cloro.
La concentrazione dei soluti viene poi abbondantemente
ridotta facendo passare l’acqua attraverso una membrana
semipermeabile con pori abbastanza piccoli da non permettere il
passaggio di soluti dal basso peso molecolare come urea, sodio e
cloruro. In questo modo si rimuove più del 90% delle impurità.
L’acqua per la dialisi non deve essere necessariamente sterile
in quanto la membrana del filtro è normalmente una barriera
sufficiente per batteri ed endotossine. Le colonie batteriche presenti
nell’acqua, devono essere inferiori a 100 per ml (meno di 500 per
ml nella soluzione per la dialisi), tali limiti sono ottenibili
disinfettando il sistema di trattamento dell’acqua con disinfettanti
appropriati e usando talvolta dei filtri batteriologici.
2.4 La soluzione per la dialisi
La soluzione per la dialisi è disponibile direttamente in
forma liquida ma anche in forma secca per evitare il problema
della crescita batterica all’interno della soluzione e ridurre i costi di
spedizione come anche gli spazi di magazzino. La soluzione viene
ricostituita al momento dell’utilizzo.
In tabella è riportata la composizione tipica per la soluzione
dialitica in bicarbonato, considerando che la composizione può
ovviamente variare a seconda delle circostanze cliniche.
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Componente
Contenuto nella soluzione
(mEq/l)
Sodio 135-145
Potassio 0-4.0
Calcio 2.5-3.5
Magnesio 0.5-0.75
Cloruro 98-128
Acetato 2-4
Bicarbonato 30-40
Destrosio 11
PCO2 (mmHg) 40-110
pH 7.1-7.3
Riguardo l’acetato va osservato che è presente in forma di
acido acetico. Reagendo con il bicarbonato, l’idrogeno presente
nell’acido acetico forma CO2.
Elevate concentrazioni di calcio, magnesio e bicarbonato
provocano una precipitazione del bicarbonato di calcio e di
magnesio. Per questo motivo il sistema che prepara il dializzato in
bicarbonato, utilizza un componente sia “acido” sia “bicarbonato”.
Il componente acido contiene una piccola quantità di acido lattico,
acetico o citrico più sodio, cloruro, potassio (se necessario),
destrosio (opzionale) e tutto il calcio e il magnesio. In certe
macchine per la dialisi i due componenti vengono miscelati
contemporaneamente con acqua purificata per ottenere la soluzione
dialitica. Durante tale processo una piccola quantità (generalmente
4 mM) di acido organico presente nel componente “acido” reagisce
con una pari quantità di bicarbonato generando diossido di
carbonio. Il diossido di carbonio forma acido carbonico abbassando
il pH della soluzione a 7.0-7.4, in tali condizioni il calcio e il
magnesio rimangono in soluzione.