Introduzione
di esposizione che, partendo da un’introduzione generale al problema, passa via via alla
definizione dei legami ricercati.
Nel primo capitolo si riportano gli aspetti generali del problema legato alla stabilità
dell’equilibrio assieme ad una ricerca bibliografica relativa a questo fenomeno.
Nel secondo si passano in rassegna i metodi di indagine soffermandosi in particolare
sulle differenze tra gli approcci normativi nazionali ed europei.
Nel terzo capitolo si tratta il problema della stabilità in corrispondenza di un carico
localizzato che, vista la ricorrenza in fase progettuale, merita delle particolari attenzioni;
per questa configurazione di carico viene evidenziato il contributo stabilizzante apportato
dalle piattabande mediante uno studio parametrico.
Il quarto capitolo si occupa di quantificare questi contributi in termine di rigidezza:
partendo da una modellazione tridimensionale della struttura (anima - flange -
irrigidimenti) si arriva ad ottenere una lastra vincolata elasticamente al perimetro con la
medesima resistenza all’imbozzamento. Verrà considerata in questa sede una serie di
pannelli caratterizzati da geometrie ricorrenti nella pratica; in funzione delle dimensioni
delle piattabande e delle nervature trasversali verranno proposte delle leggi con le quali si
definisce la rigidezza di vincolo laterale.
Nell’ultimo capitolo verrà infine proposto il confronto tra i risultati sperimentali con
quelli numerici; le misurazioni di laboratorio verranno descritte ed interpretate e
parallelamente comparate con quelle ottenute per via numerica. Oltre che per la
validazione dei modelli FEM, quest’ultima sezione è utili anche come approfondimento
nello studio di queste strutture considerando l’effetto di variabili solitamente trascurate o
interpretate in modo approssimativo.
2
Capitolo 1: Stabilità dell’equilibrio
1.1 Generalità
La crisi di un sistema può avvenire per molteplici cause che, in campo strutturale, si
possono sinteticamente riassumere in: collasso plastico, rottura fragile e perdita di
equilibrio. La prima forma è legata all’esaurimento delle riserve di resistenza del materiale,
mentre la seconda si instaura quando le sollecitazioni eccedono il limite di resistenza di un
elemento o si ripetono un numero di volte tale da indurre fenomeni di fatica.
Esistono peraltro situazioni in cui la crisi della struttura si manifesta nonostante il
regime di sforzo si mantenga ovunque al di sotto delle capacità resistenziali del materiale:
il fenomeno è dovuto non più alle sollecitazioni di per sé, bensì al fatto che piccole
deviazioni della struttura dalla sua configurazione ne alterano ben presto la risposta
comportando inflessioni tali da indurre picchi di sforzo ben più elevati di quanto previsto
dal calcolo; è questo il caso di crisi per instabilità.
Il problema dell’instabilità dell’equilibrio è sempre stato molto sentito perché di
difficile individuazione rispetto al semplice collasso del materiale per raggiungimento di
uno “stato di rottura”. Tale fenomeno, infatti, avviene più o meno istantaneamente e senza
preavviso anche per elementi strutturali realizzati con materiali duttili e spesso con tasso
di lavoro del materiale ben al di sotto del massimo limite sopportabile. Ciò può avvenire se
l’asta, o nel caso che andremo a studiare in questa tesi la lastra, è soggetta ad uno sforzo di
compressione che raggiunge o supera un valore critico; questo comporta la necessità di
cercare una configurazione di equilibrio al di fuori del campo degli spostamenti
infinitesimi.
Nel caso di strutture snelle soggette appunto a forze di compressione, la
determinazione della capacità portante non può essere eseguita risolvendo le equazioni di
equilibrio rispetto alla configurazione iniziale indeformata (Teoria del Iº ordine), ma
occorre fare riferimento alla configurazione deformata (Teoria del IIº ordine). Nella
valutazione della capacità portante con la teoria del secondo ordine ai fini delle verifiche
della sicurezza strutturale non è più lecito trascurare l’effetto delle imperfezioni, come
invece è possibile nelle applicazioni della teoria del primo ordine. Occorre anche tener
3
Capitolo 1
conto che il materiale non è illimitatamente elastico: la sia pur parziale plasticizzazione
delle sezioni ne diminuisce la rigidezza rispetto al caso di comportamento elastico cosicché,
venendo ulteriormente aumenta la deformazione dell’elemento strutturale, viene esaltato
l’effetto instabilizzante dei carichi di compressione e viene ridotto il massimo sforzo che
l’elemento può sopportare prima della crisi per perdita di equilibrio rispetto alla
configurazione originaria.
A rigore l’instabilità dell’equilibrio è legata ad un effetto dinamico: fintantoché una
perturbazione induce nella struttura piccole oscillazioni attorno alla configurazione di
partenza tale che, grazie allo smorzamento, questa ritorna poi nella stessa posizione
originaria, sussiste la stabilità, mentre la stessa struttura diviene instabile se perturbazioni
comunque piccole ne provocano un allontanamento dalla configurazione iniziale, cosicché
la frequenza di oscillazione tende ad azzerarsi. Nei problemi Euleriani il comportamento
dinamico della struttura degenera in quanto la rigidezza si deteriora fino ad annullarsi a
causa dell’influenza su questa del regime di sforzo determinato dai carichi applicati,
cosicché il fenomeno può ritenersi dinamico solo indirettamente, in quanto indotto
unicamente dalla perdita di rigidezza.
In queste condizioni, come anticipato, non risulta più essere valida una delle ipotesi
fondamentali della Scienza delle Costruzioni: non si hanno più spostamenti e deformazioni
trascurabili nell’imposizione delle equazioni di equilibrio e di congruenza alla struttura. In
tali problemi, detti di tipo speciale per distinguerli da quelli di tipo normale, non è
possibile applicare il Principio di sovrapposizione degli effetti, il quale afferma che è
possibile studiare il comportamento reale di una struttura, studiando il problema come
semplice composizione di più sottoproblemi lineari; è necessario pertanto considerare la
struttura nella sua configurazione deformata.
Per risolvere problemi di tipo speciale è necessario ricorrere a metodi più elaborati di
quelli usualmente adottati nei problemi statici classici; tra i più comuni ci sono il Metodo
statico o dell’Equilibrio diretto ed il Metodo energetico. Il primo consiste,
sostanzialmente, in un bilancio tra forze e momenti stabilizzanti (reazioni interne) rispetto
a forze e momenti instabilizzanti (sollecitazioni esterne), con riferimento alla
configurazione perturbata. Da queste relazioni è possibile ricavare l’equazione differenziale
omogenea che risolve il problema, unitamente alle condizioni al contorno. Il carico critico è
il prodotto del minimo autovalore dell’equazione omogenea per il carico statico sollecitante
di base e corrisponde al carico che garantisce eguaglianza tra i due precedenti sistemi di
azioni. Nel secondo metodo, invece, è necessario eseguire uno studio sul lavoro compiuto
4
Stabilità dell’equilibrio
dalle forze in gioco e quindi sull’energia potenziale del sistema, cercando il minimo di tale
funzione.
Tale approccio, rispetto al primo, permette di avere informazioni sul comportamento
post-critico della struttura e quindi sulla qualità della posizione di equilibrio. È possibile,
infatti, distinguere differenti tipologie di equilibrio, a seconda del tipo di criticità del
potenziale nel punto di equilibrio statico: equilibrio stabile (potenziale minimo locale),
equilibrio instabile (potenziale massimo locale), equilibrio indifferente (potenziale
localmente costante). Nel primo caso una piccola variazione delle condizioni causa un
richiamo del sistema verso il punto di equilibrio; nel secondo causa una divergenza, o un
allontanamento verso un nuovo punto di equilibrio stabile; nel terzo, le piccole variazioni
portano a nuove configurazioni di equilibrio. Proprio per la necessità di definire una
funzione potenziale con le sue variazioni prima e seconda, si deve operare per forza di cose
con una teoria del secondo ordine almeno.
Un piccolo richiamo sui concetti matematici chiave alla base del problema
dell’instabilità Euleriana è di seguito fornito. Si andranno a considerare nel proseguo del
lavoro sistemi detti conservativi, in quanto mantengono inalterata l’Energia Meccanica
Totale somma dell’Energia Potenziale Totale (E.P.T. = V) e dell’Energia Cinetica (T):
x
i
: coordinata Lagrangiana
)x,x(W)x,x(L)x,x(V
212121
ΔΔΔ −=
ip. sistema conservativo
)x,x(L
21
Δ : energia di deformazione )x,x(W
21
Δ : lavoro esterno
xMx
2
1
)x(T
T
&&
=
M: masse
x
&
: velocità
tetancos)x(T)x(V.T.M.E
ii
=+=
tetancos)x(T)x(T)x(V)x(V)x,x(T)x,x(V
21122121
=−=−⇔−= ΔΔ
Da quanto affermato sopra circa l’effetto dinamico, la configurazione di partenza x
1
si
può considerare di equilibrio stabile se piccole perturbazioni x’ provocano solamente
piccole oscillazioni attorno alla stessa x
1
, di modo che lo smorzamento strutturale riduca
via via le stesse x’. L’energia cinetica allora non eccede mai il valore iniziale e, dalla
relazione precedente, si deduce che:
[] )x(T)x(T)x(V)x(Vse)x(V)x(V)x(T)x(T
12121212
≤⇒≥⇔−−=
Si è dimostrato allora che x
1
, per essere di equilibrio stabile, deve soddisfare in
termini di E.P.T. la disuguaglianza espressa nei confronti di una generica x
2
e di
conseguenza la stessa funzione V(x) deve presentare in corrispondenza di x
1
un minimo
5
Capitolo 1
anche locale. Tradotto in un’immagine qualitativamente significativa il precedente
concetto è il seguente:
a
b
c
d
e
Figura 1.1: rappresentazione qualitativa del tipo di equilibrio.
Le posizioni b e c rappresentano per la sfera condizioni di equilibrio stabile, mentre
instabili risultano le posizioni a e d in quanto piccoli spostamenti della stessa da queste la
farebbero allontanare irreversibilmente; nella condizione e l’equilibrio è indifferente in
quanto in tutto il suo intorno la sfera rimarrebbe nella nuova posizione in cui la si sposta.
Il tutto è sancito riassuntivamente dai seguenti due teoremi:
- Teorema di Lagrange–Dirichlet:
Se l’energia potenziale V ha un minimo relativo in una configurazione di
equilibrio x
1
, allora questa è una configurazione di equilibrio stabile;
- Teorema di Liapunov:
Se l’energia potenziale V ha un massimo nella configurazione di
equilibrio x
1
, allora questa è una configurazione di equilibrio instabile.
Sviluppando in serie di Taylor attorno alla configurazione di equilibrio stabile la
funzione V(x) che, nella maggior parte dei casi è sufficientemente regolare, si ottiene la
seguente espressione:
....)xx,x(V
2
1
)xx,x(V)xx,x(V
11
2
1111
++++=+ δδδδδΔ ∆V>0 per ogni δx
dove compaiono le variazioni prima e seconda dell’E.P.T., se si decide di operare
secondo la Teoria del Secondo Ordine. Questa prevede di approssimare il reale andamento
della funzione di interesse con un suo sviluppo in serie linearizzato, troncato appunto alle
derivate seconde: in questo modo si decide di considerare gli spostamenti come di piccola
entità dal punto di vista geometrico, pur se tali da influenzare il regime statico. L’equilibrio
viene imposto nella configurazione deformata rimuovendo parzialmente l’ipotesi di piccoli
spostamenti.
Per qualsiasi δx →0 prevale il contributo del termine lineare che, potendo assumere
segni sia positivi che negativi, deve giocoforza annullarsi:
6
Stabilità dell’equilibrio
x0x
x
V
)xx,x(V
n
1i
i
x
i
11
1
δδδδ ∀=
⎟
⎟
⎠
⎞
⎜
⎜
⎝
⎛
∂
∂
=+
∑
=
Il segno di ∆V coincide allora con quello della variazione seconda del potenziale e la
disuguaglianza precedente è verificata se risulta, per ogni δx:
x0xx
xx
V
2
1
)xx,x(V
2
1
n
1i
n
1j
ji
x
ji
2
11
2
1
δδδδδ ∀>
⎟
⎟
⎠
⎞
⎜
⎜
⎝
⎛
∂∂
∂
=+
∑∑
==
Potendo annullarsi anche tale termine, queste condizioni risultano di fatto solamente
sufficienti, ma per problemi ingegneristicamente significativi possono essere ritenute
anche necessarie: in particolare la prima di esse impone la stazionarietà dell’E.P.T., mentre
la seconda ne definisce la “qualità”.
1.1.1 Tipologie di instabilità
Studiando semplici sistemi ad un solo grado di libertà, è possibile ottenere diverse
tipologie di instabilità di equilibrio, che possono essere considerate anche per elementi
strutturali reali ben più complessi.
Si considera ad esempio un asta soggetta ad un carico di punta, incastrata alla base
con un vincolo non infinitamente rigido, che può essere approssimato con una molla
rotazionale di costante elastica k (Figura 1.2).
L
k
Figura 1.2: asta vincolata alla base con un incastro non infinitamente rigido.
Imprimendo un piccolo spostamento all’asta o ammettendo l’esistenza di una piccola
eccentricità del carico, si ha il manifestarsi di una coppia esterna instabilizzante dovuta al
braccio che si viene a creare per il carico P, alla quale si oppone un momento interno
stabilizzante generato dalla deformazione della molla rotazionale:
7
Capitolo 1
ϑsenLPM
i
⋅⋅= (M
i
: momento instabilizzante);
ϑ⋅= kM
s
(M
s
: momento stabilizzante).
Imponendo l’uguaglianza tra i due momenti, si trova il punto di biforcazione
simmetrico stabile ed il ben noto diagramma di Figura 1.3
1
:
0
0,2
0,4
0,6
0,8
1
1,2
1,4
-1,2 -0,9 -0,6 -0,3 0 0,3 0,6 0,9 1,2
θ
(rad)
PL/K
Figura 1.3: Relazione carico - rotazione del sistema.
Dall’osservazione del diagramma si può affermare che si hanno tre differenti
posizioni di equilibrio:
- posizione di equilibrio stabile, se
k
LP ⋅
< 1(M
s
>M
i
);
- punto di biforcazione simmetrico stabile per
k
LP ⋅
= 1 (M
s
=M
i
);
- posizioni di equilibrio simmetriche, se
k
LP ⋅
> 1(M
s
<M
i
).
Questo tipo di instabilità non è molto gravosa in quanto la struttura è in grado, una
volta raggiunto il suo carico critico, di trovare altre posizioni di equilibrio, all’aumentare
delle deformazioni e soprattutto per carichi crescenti: il carico critico è seguito da un
recupero di rigidezza del sistema.
Si considera ora un asta soggetta ad un carico di punta, incernierata alla base e
vincolata superiormente da una molla con costante elastica k disposta orizzontalmente
(Figura 1.4).
1
Nei seguenti grafici l’andamento continuo in blu fa riferimento alla situazione ideale di asta perfetta e
assenza di eccentricità del carico mentre gli andamenti a tratto azzurro si riferiscono a situazioni realistiche
come descritto in seguito.
8
Stabilità dell’equilibrio
Imprimendo un piccolo spostamento all’asta, si ha il manifestarsi di una coppia
esterna instabilizzante dovuta al braccio che si viene a creare per il carico P, alla quale si
oppone un momento interno stabilizzante generato dall’accorciamento o dall’allungamento
della molla, in seguito alla rotazione dell’asta:
ϑsenLPM
i
⋅⋅= (M
i
: momento instabilizzante);
ϑϑ cos.senLkM
2
s
⋅⋅= (M
s
: momento stabilizzante).
L
k
P
Figura 1.4: Asta incernierata alla base e vincolata con una molla in sommità.
Spostando solamente la posizione della molla dall’incastro (molla rotazionale)
all’altra estremità dell’asta, ovvero imponendo un vincolo di appoggio cedevole
elasticamente, si ottiene un risultato del tutto differente. Imponendo l’uguaglianza tra i
momenti instabilizzanti e stabilizzanti, si ottiene l’altro ben noto diagramma di Figura 1.5
dall’andamento sempre simmetrico, ma instabile:
0
0,2
0,4
0,6
0,8
1
1,2
1,4
-1,2 -0,9 -0,6 -0,3 0 0,3 0,6 0,9 1,2
θ
(rad)
P/KL
j
Figura 1.5: Relazione carico – rotazione e punto di biforcazione simmetrico instabile.
9
Capitolo 1
Dall’osservazione del diagramma si può affermare che si hanno due differenti
posizioni di equilibrio:
- posizione di equilibrio stabile, se
Lk
P
⋅
< 1(M
s
>M
i
);
- punto di biforcazione simmetrico stabile per
Lk
P
⋅
= 1 (M
s
=M
i
).
Questo tipo di instabilità è molto gravosa per la sicurezza della struttura in quanto,
una volta raggiunto il suo carico critico, essa non è più in grado di trovare ulteriori
posizioni di equilibrio al crescere dello stesso carico applicato: le deformazioni aumentano
anche per carichi decrescenti seguendo i due percorsi diramati dallo stesso punto di
biforcazione in seguito ad un progressivo deterioramento della rigidezza.
Considerando infine un asta soggetta ad un carico di punta, incernierata alla base e
vincolata superiormente da una molla con costante elastica k disposta diagonalmente
(Figura 1.6), si ha la possibilità di ottenere un terzo tipo di comportamento.
L
k
P
Figura 1.6: Asta incernierata alla base e vincolata con una molla diagonale.
Un piccolo spostamento all’asta dalla configurazione banale genera una coppia
esterna instabilizzante dovuta al braccio che si viene a creare per il carico P, alla quale si
oppone un momento interno stabilizzante generato dall’accorciamento o dall’allungamento
della molla, in seguito alla rotazione dell’asta:
ϑsenLPM
i
⋅⋅= (M
i
: momento instabilizzante)
ϑ
ϑ
ϑ
cos
sen1
)1sen1(
LkM
2
s
⋅
+
−+
⋅⋅= (M
s
: momento stabilizzante).
Spostando ancora una volta la posizione della molla si ottiene un risultato ancora
differente. Imponendo infatti l’uguaglianza tra il momento instabilizzante e quello
10
Stabilità dell’equilibrio
stabilizzante, si ottiene il diagramma di Figura 1.7 dall’andamento questa volta
asimmetrico:
0
0,2
0,4
0,6
0,8
1
1,2
1,4
1,6
1,8
-1,2 -0,9 -0,6 -0,3 0 0,3 0,6 0,9 1,2
θ
(rad)
2P/KL
j
Figura 1.7: Relazione carico – rotazione e punto di biforcazione asimmetrico.
Dall’osservazione del diagramma si può affermare che si hanno due differenti
comportamenti del sistema:
- posizione di equilibrio stabile, se
Lk
P2
⋅
⋅
< 1(M
s
>M
i
);
- punto di biforcazione asimmetrico per
Lk
P2
⋅
⋅
= 1 (M
s
=M
i
);
- recupero di rigidezza per ϑ <0 e perdita di rigidezza per ϑ >0.
L’eccentricità del carico o un’imperfezione generica elimina le biforcazioni dei sistemi
ideali, sospingendo le aste verso uno dei percorsi diramati; nei grafici precedenti sono
diagrammati a tratto azzurro i percorsi seguiti dalla struttura sotto una eccentricità e del
carico pari a 0,02·L; i risultati riportati sono stati ottenuti con un’analisi al passo mediante
un codice ad elementi finiti.
Finora si sono considerati sistemi lineari ad un grado di libertà la cui forma di
instabilità è quella di tipo Euleriana; questi problemi sono caratterizzati dalla presenza di
una configurazione di equilibrio banale (o fondamentale) calcolabile rimanendo in ipotesi
di piccoli spostamenti e da un comportamento pre-critico lineare, secondo cui la struttura
risponde linearmente al carico applicato fino al raggiungimento di un valore critico (Carico
Critico Euleriano). In corrispondenza di questo valore del carico, la struttura perde la
rigidezza nei confronti di un modo deformativo (il primo), che si sovrappone così alla
configurazione di partenza dando luogo alla biforcazione dei percorsi di equilibrio, il quale
diviene ora possibile in situazioni differenti da quella banale. Essendo il fenomeno legato
11
Capitolo 1
alla perdita di rigidezza, il problema è affrontabile con l’approccio statico, rimuovendo
l’ipotesi di piccoli spostamenti.
Problemi che rispondono fin da subito in modo non lineare al carico impresso non
rientrano tra quelli Euleriani; ne è un esempio la cosiddetta Instabilità del punto limite,
nella quale si passa bruscamente da una posizione di equilibrio instabile ad un'altra di
equilibrio stabile, senza passare per la posizione di equilibrio indifferente. Tale
meccanismo è di particolare interesse perché avviene nella maggior parte dei casi per le
aste reali.
Si considera ad esempio un arco a tre cerniere ribassato come in Figura 1.8.
θ
P
a
b
w
Figura 1.8 : Arco a tre cerniere ribassato soggetto ad un carico concentrato P.
Se il carico esterno si mantiene al di sotto del carico critico non si hanno particolari
variazioni, se non nell’ambito dei piccoli spostamenti; al raggiungimento del carico critico
per le due aste compresse, si ha un brusco passaggio, il cosiddetto “snap”, dalla
configurazione “a” di equilibrio instabile, alla configurazione “b” di equilibrio stabile. La
stabilità di quest’ultima posizione è dovuta al fatto che le aste non risultano più compresse,
ma bensì poste in trazione dal carico esterno e quindi non più soggette ad alcun problema
di instabilità dell’equilibrio (Figura 1.9).
b
a
w
P
Figura 1.9: relazione carico - abbassamento per instabilità tipo “snap”.
L’instabilità per punto limite, che come accennato è tipica della maggior parte delle
aste reali, si verifica istantaneamente e senza il minimo preavviso, con gravi conseguenze
12
Stabilità dell’equilibrio
per la sicurezza dell’intera struttura: per questo motivo è sempre meglio prevenirla con
appositi interventi.
1.1.2 Effetti delle imperfezioni
La presenza delle imperfezioni, che determinano delle eccentricità iniziali, non volute
ma inevitabili, impedisce che nei casi reali si realizzi il fenomeno dell’instabilità per
biforcazione, caratteristico dei sistemi perfetti, pertanto l’instabilità sarà raggiunta per
carichi inferiori. Si è visto al paragrafo precedente come questo si verifichi in ogni tipo di
sistema: le curve tratteggiate in azzurro (sistema reale) si discostano da quelle continue blu
(sistema ideale) in funzione dell’entità dell’imperfezione stessa.
Le imperfezioni si possono distinguere in due principali categorie:
- Imperfezioni geometriche: linea d’asse pre-deformata prima
dell’applicazione dei carichi, forma irregolare della sezione, …. ;
- Imperfezioni del materiale: tensioni residue, dispersione dei valori del
limite elastico f
y
nelle sezioni trasversali delle aste, disomogeneità del
materiale, … .
Non dipende invece dalle imperfezioni dell’asta l’eccentricità non voluta dei carichi
assiali. Il risultato pratico è del resto lo stesso indipendentemente dal tipo di imperfezione:
la struttura si allontana via via dalla configurazione banale al crescere del carico senza
passare per il punto di biforcazione.
1.1.3 Carico critico Euleriano
Negli studi sulla linea elastica condotti da Eulero su di un’asta snella a sezione
costante, inestensibile, deformabile soltanto a flessione e non a taglio, appunto chiamata
asta di Eulero, si arrivò nel 1774 alla formulazione della nota formula per la
determinazione del carico critico elastico. Esso, infatti, rappresenta lo stato limite di
servizio all’inizio dei grandi spostamenti:
2
2
cr
l
JE
P
⋅⋅
=
π
Si può affermare che il Carico critico Euleriano è proporzionale alla rigidezza
flessionale E·J nella direzione di sbandamento ed inversamente proporzionale al quadrato
della lunghezza dell’asta l considerata incernierata alle estremità.
13
Capitolo 1
Successivamente Bernoulli generalizzò il risultato ottenuto, valido inizialmente
soltanto per una asta semplicemente appoggiata, introducendo al denominatore la
lunghezza libera di inflessione l
0
, ovvero la distanza tra due successivi punti di flesso della
deformata critica:
2
0
2
cr
l
JE
P
⋅⋅
=
π
Questa sostituzione ha reso possibili l’applicazione di tale formula con tutti i possibili
vincoli cui l’asta può essere soggetta e quindi al variare delle condizioni al contorno
dell’equazione differenziale della linea elastica:
PPPPP P
l0=l l0=0,699ll0=0,5ll0=2ll0=ll0=2l
Figura 1.10: lunghezza libera di inflessione per aste variamente vincolate.
Le formule citate mostrano d’altra parte limiti di validità nel caso di travi non
sufficientemente snelle, per le quali il comportamento anelastico del materiale può andare
ad interagire con il meccanismo di sbandamento.
Se con ρ si indica il raggio di inerzia della sezione nella direzione dell’asse di flessione
(
A
J
=ρ ) e con λ si indica la snellezza (
ρ
λ
0
l
= ), si può riscrivere la formula precedente
come:
2
2
cr
E
λ
π
σ
⋅
=
tensione critica di Eulero - Bernoulli
Diagrammando la tensione critica sul piano σ
cr
- λ
2
, si ottiene la cosiddetta iperbole
Euleriana (Figura 1.11):
14
Stabilità dell’equilibrio
Figura 1.11: Iperbole di Eulero.
Tale iperbole prevede carichi critici tendenti a zero per snellezze tendenti all’infinito,
e, al contrario, carichi critici tendenti all’infinito per snellezze tendenti a zero.
Quest’ultima tendenza è inverosimile poiché per travi tozze la crisi per snervamento
(σ
P
indica il limite di proporzionalità) precede quella per instabilità dell’equilibrio. Se non
vi fosse alcuna interazione fra le due crisi, si passerebbe dall’una all’altra con discontinuità
in corrispondenza di una snellezza limite:
p
lim
E
σ
πλ ⋅=
Nelle strutture reali le due crisi interagiscono e quindi si passa dall’una all’altra con
una transizione graduale al variare della snellezza della trave. La pressione critica viene
quindi fornita dalla curva tratteggiata della figura di cui sopra, che connette le curve di crisi
smussando la cuspide. Tale curva di raccordo è normalmente fornita in forma tabulata: la
CNR 10011/87 [10] pone
ω
σ
σ
y
≤ , nella quale ω, fattore di riduzione maggiore dell’unità, è
funzione del materiale, della snellezza della trave e del tipo di sezione della stessa; l’EC
3_1.1 [7] propone invece un fattore riduttivo χ con il medesimo significato pratico
ricavabile analiticamente oppure graficamente (Figura 1.12) una volta noto il tipo di sezione
e materiale (curve a
0
, a, b, c, d). Le imperfezioni di natura geometrico - meccanica
determinano la diversità delle curve le cui espressioni sono frutto di elaborazioni
statistiche sui risultati dedotti da estese ricerche numerico - sperimentali intraprese dalla
CECM e recepite da tutte le principali normative.
15