Capitolo I Introduzione
I.1.1. La componente proteica
Le proteine del latte di Bufala sono costituite, analogamente a quelle bovine,
dalla frazione “caseinica”, insolubile a pH 4,6, e dalle proteine del siero, solubili
allo stesso pH.
La frazione caseinica è costituita dalle quattro frazioni α, α, β e κ
s1s2
omologhe delle corrispondenti bovine.
Il latte di Bufala sembra avere un maggior contenuto percentuale delle frazioni
κ e α-CN rispetto al latte bovino ed un conseguente minor contenuto di β e
s2
α-CN. Da un punto di vista tecnologico un contenuto maggiore di α-CN,
s1s2
a causa della sua maggiore sensibilità al calcio ionico, può influenzare la
consistenza della cagliata (Addeo et al.,1977).
L'α-CN di Bufala è costituita da 199 amminoacidi; rispetto alla variante C
s1
dell'omologa bovina, differisce per dieci sostituzioni amminoacidi che che ne
determinano la minore carica netta negativa e quindi la minore mobilità
elettroforetica mediante analisi PAGE a pH alcalino (8,6) (Chianese et al.,
1996). L'α-CN di Bufala risulta più eterogenea per la presenza di almeno 3
s1
componenti fosforilati α-CN 6P, 7P, 8P rispetto all'omologa bovina (α-CN
s1s1
8P e 9P).
Mediante focalizzazione isoelettrica (IEF) l’α-CN di Bufala risulta costituita
s1
da 3 bande di cui la più veloce esibisce la stessa mobilità della omologa
vaccina (Ferranti et al.,1998)
6
Capitolo I Introduzione
La β-CN di Bufala è una fosfoproteina la cui struttura primaria è costituita da
209 amminoacidi, come l'omologa bovina. La β-CN di Bufala, mediante
analisi IEF risulta costituita una sola banda, il cui PI è molto simile a quello
della β-CN Abovina (Ferranti et al., 1996)
2
Di questa proteina sono state trovate, a tutt'oggi, due varianti genetiche,
denominate β-CNA e . β-CNB che, mediante analisi PAGE, esibiscono
differente mobilità elettroforetica: A>B per la mutazione Thr (A)→Met (B) in
posizione 41 (Ferranti et al., 1998).
La variante A è stata trovata solo in una popolazione di bufale venezuelane. La
variante B, la più comune nella razza mediterranea allevata in Campania
esibisce caratteristiche elettroforetiche molto simili a quelle della β-CN A
2
bovina come precedente detto.
Il minore valore di pI della variante β-CNA rispetto alla B è dovuto alla
sostituzione amminoacidica Asn (A)→Lys (B).
6868
La β-CN costituisce il substrato specifico della plasmina, un enzima di origine
sanguigna la cui attività aumenta in conseguenza di stati patologici nell’ animale
come la mastite. L'azione di questo enzima sulla proteina nativa determina la
formazione delle γγe γ-CN; esse sono costituite rispettivamente dai
1, 2 3
frammenti f(29-209), f(106-207) e f(108-209) della β-CN (Alais, 1985).
Le γ-CN delle due specie, separate mediante analisi per focalizzazione
isoelettrica (IEF) della frazione caseinica del latte o del formaggio, permettono
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Capitolo I Introduzione
di individuare le aggiunte fraudolente di latte di vaccafino allo 0,5%. I differenti
valori di PI si giustificano sulla base di sostituzioni aminoacidiche interspecie
riportate in tabella 1 (Ferranti et al., 1996)
L’ α-CN è costituita da 207 amminoacidi. L’eterogeneità di composizione
s2
rilevata con focalizzazione isoelettrica è dovuta alla presenza di almeno 4
componenti con diverso grado di fosforilazione (10P-13P); questa composizione
può divenire più complessa per il polimorfismo genetico di questa frazione
caseinica. Sono state trovate, infatti, almeno tre varianti elettroforetiche
denominate A, B, C caratterizzate da un diverso PI mediante analisi 2D
(PAGE-PAGIF)(Chianese et al., 1994).
La κ-CN è formata da una catena di 169 residui amminoacidici come
l’omologa bovina. Questa frazione caseinica, come è noto, viene idrolizzata in
maniera specifica in due frammenti dall’ azione della chimosina, enzima del
caglio dei vitelli lattanti per l’azione specifica sul legame sul legame
(Met)105→(Phe) 106: para-κ-CN (frammento N-terminale (1-105) ) e
caseinomacropeptide (frammento C-terminale (106-169))..
I.1.2. La componente lipidica
Gli studi effettuati fino ad oggi sulla frazione lipidica del latte bufalino sono
pochi, rispetto a quelli condotti sul grasso del latte vaccino e dei suoi derivati.
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Capitolo I Introduzione
È noto che la sostanza grassa del latte dei ruminanti si trova dispersa sotto
forma globulare, tale da da poter essere separata fisico-meccanicamente
(centrifugazione) per la sua quasi totalità (Lercker et al., 1992).
Essa è costituita per la maggior parte (97-98%) da trigliceridi (TG), da piccole
quantità di monogliceridi (MG) e digliceridi (DG) e da circa 0,1% di
fosfolipidi; la restante parte, denominata insaponificabili, è costituita da
sostanze liposolubili, come steroli (principalmente colesterolo 0,3%), alcoli e
le vitamine A, E, D e K (Tab. 2).
La vitamina A è presente in maggiori quantità nel latte di Bufala rispetto al latte
vaccino a differenza del suo precursore, il β-carotene, presente in quantità
minore (Correale, 1987). Questo scarso contenuto di carotenoidi dà al latte di
Bufala ed ai suoi derivati, come il burro e la Mozzarella, un colore bianco opaco
rispetto alla sfumatura giallastra esibita dal latte vaccino.
Il grasso contenuto nel latte di Bufala è di fondamentale importanza per
l'industria casearia in quanto, insieme alle proteine costituisce la principale
componente che determina la resa di caseificazione; la sua peculiare
composizione costituisce il marker di genuinità del burro.
In generale, nella produzione dei formaggi è la componente lipidica a
determinare i caratteri organolettici "tipici'' e ad influenzare, così,
l'accettabilità del prodotto da parte dei consumatori (Vitagliano, 1982).
E' questo ultimo punto che rende fondamentale l'attenzione sulle tecniche di
conservazione del latte prima della trasformazione, atte ad evitare fenomeni di
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Capitolo I Introduzione
irrancidimento del grasso con formazioni di corpi chetonici e di acidi a basso
peso molecolare provenienti dalla lipolisi, con gravi ripercussioni sui prodotti
trasformati (Intrieri et al.,1988) .
I.2 La Mozzarella di Bufala Campana
La Mozzarella di Bufala Campana è uno dei più noti formaggi a “pasta filata
fresca”. Questa denominazione riguarda i formaggi la cui tecnologia di
produzione è caratterizzata dalla filatura conseguente alla fase di maturazione
realizzata con l’acidificazione della cagliata sotto siero (Sciancalepore V, 1999)
In questa categoria merceologica sono oltre la Mozzarella di Bufala, il fior di
latte, la scamorza e la provola. Esse si possono differenziare sulla base:
• dell’origine del latte impiegato (vacca, Bufala e misto);
• della tecnologia di produzione (acidificazione biologica diretta e mista);
• del tipo di utilizzo previsto (consumo diretto, ingredienti alimentari,
formaggio per pizza).
Dal punto di vista tecnologico le paste filate fresche possono essere
classificate in:
1. Mozzarella a fermentazione microbica ottenuta mediante l’aggiunta
di fermenti lattici (Fior di latte, Mozzarella e Mozzarella di
Bufala);
10
Capitolo I Introduzione
2. Mozzarella con acidificazione chimica (ottenuta mediante
l’aggiunta di acido citrico).(mozzarella industriali S.Lucia,
Mozzary, Pizzaiola, ecc. ecc.).
Nel 1996 la Commissione Europea ha conferito al formaggio Mozzarella di
Bufala Campana, con il Regolamento n° 1107 del 12 Giugno, la
DENOMINAZIONE DI ORIGINE CONTROLLATA (D.O.P.).
I parametri di qualità, previsti dal disciplinare di produzione, sono:
• solo latte di bufala;
• percentuale grasso sul secco min. 52%;
• percentuale umidità max. 65%.
La Denominazione di Origine Protetta (DOP) viene assegnata a prodotti
strettamente legati alla regione di produzione. Per poter ricevere il marchio di
tutela devono essere dimostrati i legami con il territorio attraverso la memoria
storica comprovata (bibliografia) e l’osservazione delle tecniche tradizionali di
trasformazione.. In altre parole il formaggio DOP deve essere prodotto con latte
di animali allevati nella zona di produzione affinché le particolari qualità e
caratteristiche del prodotto dipendano, esclusivamente o essenzialmente,
all’ambiente geografico del luogo d’origine. Per "ambiente geografico" la legge
intende non solo i fattori naturali, quindi il clima e la qualità del suolo, ma anche
quelli umani ed in particolare la tecnologia di produzione artigianale. In
conclusione il legame tra il formaggi e la zona di produzione deve essere
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Capitolo I Introduzione
testimoniato dalla qualità organolettica del prodotto non riproducibile in altri
sistemi di filiera (Galizzi G., 1998).
La definizione di “Mozzarella di Bufala Campana” proposta dalla CEE
compendia: “E’ un formaggio fresco a pasta filata prodotto esclusivamente
con latte di Bufala intero proveniente da Bufale allevate nel territorio
delineato dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 10 Maggio
1993”.
L'ottenimento della “DOP” certifica che la Mozzarella così contrassegnata è
stata prodotta osservando il disciplinare di produzione approvato dalla Unione
Europea con apposito regolamento che garantisce la provenienza e le modalità
di trasformazione del latte bufalino. In particolare esso certifica che il
formaggio è stato ottenuto interamente da latte bufalino prodotto da allevamenti
delle zone previste e da animali di razza mediterranea iscritti in un apposito
albo anagrafico. La zona DOP è costituita dalle provincie di Caserta, Salerno,
Latina e Frosinone ed da alcuni comuni della provincia di Napoli, Roma e
Benevento. Il regolamento prevede la trasformazione del latte al massimo dopo
16 ore dalla mungitura. Tutti gli altri prodotti, quindi, siano essi ottenuti
parzialmente o totalmente con latte bufalino, anche se prodotti all’interno
dell’area individuata dalla DOP, ma che non rispettano il disciplinare di
produzione della Mozzarella di Bufala Campana, potranno fregiarsi unicamente
del titolo generico di Mozzarella o Mozzarella di Bufala (Renaud, 1996).
12
Capitolo I Introduzione
I.2.1. Storia
Le prime testimonianze sulla Mozzarella di Bufala risalgono al 1400, quando
veniva chiamata semplicemente “Mozza”, perché la fase finale del processo di
lavorazione terminava con la mozzatura.
Il termine Mozzarella lo si trova per la prima volta nel 1570 in un libro di
cucina di un cuoco della corte papale, certo Scappi (Scappi et al., 1570).
La Mozzarella, a causa della deperibilità, veniva prodotta in scarsa quantità e
consumata localmente da una ristretta cerchia di "raffinati degustatori". Essa si
configurava inizialmente, come una varietà meno nobile della provola ed era
sicuramente la scarsa conservabilità a giustificarne la sua assenza, al contrario
delle Provole, dagli antichi presepi napoletani, ove gli elementi gastronomico-
alimentari testimoneano la tradizione alimentare del popolo napoletano
(Fittipaldi et al., 1988).
Nel '700 la Mozzarella era molto presente sui mercati di Napoli, forse grazie
alla Tenuta Reale di Carditello, una azienda all'avanguardia per quel tempo nel
settore dell'allevamento che contribuì sicuramente alla commercializzazione e al
consumo di questo formaggio (Aliso et al., 1976).
Con l'unificazione dell' Italia, si venne a creare, ad Aversa, un mercato
all'ingrosso chiamato "Taverna" che stabiliva quotidianamente le quotazioni
delle Mozzarelle in foglie di giunco e di mortella disposte in cassette di vimini e
di castagno; oggi tale tradizione si e' persa: ne resta tuttavia il ricordo nel
13
Capitolo I Introduzione
richiedere le Mozzarelle usando l'espressione "mazzo di Mozzarelle", come se
fossero ancora chiuse in fasci di giunco.
Negli annuali contratti per l’appalto del prodotto da parte della “Reale industria
della pagliera delle bufale” a Carditello si stabiliva che la mozzarella doveva
restare nella salsa 24 ore, mentre la provola 48 (Archivio della Reggia di
Caserta, 1750).
Nella zona del Casertano e del Salernitano, oltre alla classica forma del peso di
250-500 g, vengono prodotte Mozzarelle di più piccole dimensioni (diametro 3-
6 cm e peso 60-65g) denominate "Bocconcini" oppure "Uova di Bufala" e delle
treccie (lunghezza 15-25 cm, diametro 5-10 cm e peso 0,25 Kg). Nella zona di
Aversa (Caserta) tradizionalmente la Mozzarella veniva prodotta in pezzature
maggiori di quelle del Salernitano. Ancora oggi le forme di pezzatura superiore
ai 500g vengono spesso denominate “Mozzarellone” o “Aversane”.
I.2.2. La tecnologia di trasformazione
Pochi caseifici campani effettuano ancora le diverse operazioni di
trasformazione del latte di bufala in Mozzarella con procedure manuali,
seguendo il ciclo di lavorazione tradizionale. Infatti negli ultimi anni alcune
delle operazioni che compongono il ciclo di lavorazione sono state
meccanizzate. Tuttavia, ancora oggi permane una diffusa, ed in parte
giustificata, diffidenza negli operatori verso nuove soluzioni tecnologiche. Le
ragioni di questa diffidenza dipendono dalla risposta che l'industria meccanica
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Capitolo I Introduzione
ha finora dato alle richieste del mondo della trasformazione del latte di bufala.
Nell'introdurre la meccanizzazione nel ciclo di lavorazione dei formaggi a pasta
filata ottenuti da latte di bufala si è, infatti, ritenuto di poter adottare le stesse
soluzioni tecniche sviluppate per gli omologhi formaggi di vacca. La
Mozzarella bovina differisce sensibilmente per composizione chimica e per
proprietà funzionali da quella di Bufala. Di conseguenza le soluzioni tecniche e
le procedure ottimizzate per il latte bovino hanno fornito risultati non del tutto
soddisfacenti per la trasformazione del latte bufalino. Questo tipo di approccio
non è stato determinato da una scarsa sensibilità verso i problemi del comparto
produttivo bufalino, quanto da una reale carenza di informazioni di natura
tecnica, scientifica e tecnologica per ciò che concerne l'attitudine del latte di
bufala alla trasformazione.
I.2.2.1. Ciclo di lavorazione
Lo schema tradizionale di lavorazione della Mozzarella di Bufala si può
articolare in due fasi. Nella prima si realizza la preparazione della cagliata e la
successiva maturazione sotto siero fino a raggiungere una sufficiente acidità per
essere sottoposta a filatura. Nella seconda, la cagliata acidificata viene filata
perché assuma la caratteristica struttura filamentare del formaggio a pasta filata.
Formatura, salatura e confezionamento del formaggio completano il ciclo di
lavorazione(fig. 1).
a) Standardizzazione della materia prima
15
Capitolo I Introduzione
Per ottenere un prodotto con una qualità organolettica costante è essenziale
standardizzare il rapporto grasso/proteine (G/P) nel latte di lavorazione. Nei
diversi periodi della lattazione, si osservano nel latte di Bufala ampie
oscillazioni nel contenuto di grasso mentre il contenuto di proteine resta
relativamente costante. Ne risulta una grossa variazione nel tempo del rapporto
G/P.
Se il livello del grasso nel latte di Bufala è elevato e non è bilanciato da
proporzionali quantità di proteina caseificabile, si hanno, in fase di lavorazione,
sensibili perdite di grasso sia nel siero, in fase di rottura della cagliata, che, ,
nell'acqua di filatura. Poiché il livello medio di proteine nel latte di Bufala è 4,3-
4,7%, ne consegue che il contenuto di grasso nel latte che assicura una buona
riuscita del prodotto è pari al 7% circa. Invece, sia che i parti siano concentrati
in un solo periodo dell'anno (ciclo tradizionale) sia che essi siano scaglionati
lungo tutto l'anno (ciclo modificato), il contenuto di grasso nel latte di Bufala è
generalmente superiore al 7% (Altiero V. et al., 1989).
Per avere, quindi, un latte di Bufala in cui il rapporto G/P sia quello ottimale per
la trasformazione in Mozzarella, bisogna sottoporre il latte a parziale
scrematura. Questa infatti è l'unica via percorribile dal momento che non è
consentito dalle vigenti leggi ritoccare il titolo proteico. A proposito delle
disposizioni legislative in materia, si noti che una percentuale di grasso nel latte
pari al 7% consente di ottenere un formaggio con titolo di grasso largamente
superiore a quello minimo richiesto dal D.P.R. 28 settembre 1979
16
Capitolo I Introduzione
(Riconoscimento della denominazione tipica del formaggio "Mozzarella di
Bufala") fissato nel 52% di grasso sulla sostanza secca.
b) Coagulazione del latte e rottura della cagliata
La coagulazione del latte viene preceduta dall'addizione di siero-innesto
naturale (detto anche "cizza") ottenuto lasciando acidificare spontaneamente a
temperatura ambiente il siero della lavorazione del giorno precedente. L'acidità
del siero-innesto utilizzato è solitamente compresa tra 40 e 60° SH/100 ml. La
coagulazione viene effettuata mediante aggiunta al latte di caglio liquido di
vitello (generalmente di titolo 1:10.000). Il latte viene trasformato in caldaie di
acciaio inossidabile mediamente della capienza di 10 quintali e la quantità di
siero-innesto aggiunta è variabile e comunque mai superiore al 2,5%. Il
riscaldamento del latte avviene per immissione diretta di vapore (nell'antica
pratica, mediante aggiunta di una quota di latte bollente alla massa complessiva)
che viene quindi addizionato del caglio (18-20ml/q.le di latte). La temperatura
ottimale è compresa tra 34°C e 38°C e la durata media della coagulazione non
supera in alcun caso 30 minuti.
La coagulazione può talvolta essere accorciata in maniera sensibile in
dipendenza delle caratteristiche del latte (più o meno acido) e delle modalità di
riscaldamento del latte in caldaia. La soluzione tecnica ottimale è quelle di
immettere il latte in caldaia direttamente alla temperatura di coagulazione e di
mantenere questa temperatura costante mediante un opportuno sistema di
“termostatazione”. Questi accorgimenti vengono di rado realizzati in fase di
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Capitolo I Introduzione
progettazione dell'impianto. Di solito il latte viene caricato in caldaia a
temperatura ambiente o allo stato refrigerato e si procede successivamente al
riscaldamento per immissione diretta di vapore .
Le caldaie prive di dispositivo di termostatazione presentano una elevata
superficie di scambio per cui già in fase di coagulazione il latte comincia a
raffreddarsi. Questi problemi vengono avvertiti prevalentemente nel periodo
invernale durante il quale la durata della lavorazione con il sistema artigianale
tradizionale si allunga sensibilmente. Gli effetti a livello di processo possono
essere di diversa natura. Da un lato, è stata messa in evidenza una estrema
variabilità dei tempi di coagulazione cosa che non consente di ottimizzare i
tempi di lavorazione né di utilizzare al meglio gli impianti. Dall'altro lato,
variazioni anomale dei tempi di coagulazione possono indurre anticipi o ritardi
nell'epoca ottimale di rottura della cagliata, con il risultato che si possono
ottenere prodotti con caratteristiche di consistenza estremamente variabili. E'
noto, infatti, che da cagliate non sufficientemente mature si ottiene un prodotto
molto compatto e duro mentre da cagliate “sovrammature” si ottengono prodotti
privi di nerbo che si conservano per breve tempo (Altiero et al.,1984).
Proprio per eliminare i rischi dovuti ad una coagulazione condotta in condizioni
variabili sono state realizzate vasche di coagulazione di nuova concezione.
Queste vasche, a differenza delle tradizionali polivalenti, sono completamente
chiuse e dotate di dispositivo di termostatazione. Oltre a ridurre il tempo di
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Capitolo I Introduzione
coagulazione, queste vasche dotate di un sistema di chiusura ermetica eliminano
anche la possibilità di inquinamento da corpi estranei o da insetti.
La rottura della cagliata viene effettuata di solito manualmente con un “ruotolo”
di legno (bastone alla cui estremità è fissato un disco di legno con la faccia
esterna convessa) o con uno spino metallico e viene spinta fino ad ottenere
grumi caseosi delle dimensioni di 3-6 cm. Molta cura viene posta nelle modalità
di rottura della cagliata. Quasi sempre la rottura comporta perdita di grasso nel
siero (fino all'1%). Queste perdite possono essere limitate ricorrendo ad una
agitazione lenta con lame e/o fili metallici sottili. La rottura viene effettuata a
mano con la “lira” collegata a motori elettrici a velocità regolabile o, più
comunemente, in caldaie polivalenti con attrezzi a velocità programmabile.
Sono pochi i caseifici che dispongono di caldaie polivalenti che, in molti casi,
non si sono rivelate efficaci nella sostituzione della lavorazione manuale
artigianale.
c) Maturazione della cagliata
Dopo la rottura, la cagliata viene lasciata ad acidificare prima sotto siero. Dalla
caldaia di coagulazione viene estratto circa il 60% del siero e una parte di
questo (circa il 5% del siero totale) viene riscaldato ed aggiunto in caldaia dopo
circa 5-10 minuti in modo da mantenere la temperatura della massa intorno ai
46°C.
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