Capitolo 1
Il gioco, un fenomeno tremendamente serio?
Nessun concetto comportamentale si è rivelato peg-
gio definito, più elusivo, più controverso e persino
più antiquato del gioco.
E.O. Wilson, Sociobiology, 1975
1.1 Verso una definizione di gioco
Indagando su come sia stato considerato, studiato e teorizzato il fenomeno del
gioco, ci si accorge che la questione è ben più seria di quanto immaginiamo. Già
Aristotele si occupò del gioco nella sua Etica a Nicomaco, all'interno del dibattito
su felicità e virtù, ma è soprattutto nel '700 che il ruolo del gioco viene formaliz-
zato. Così nell'Émile, Jean-Jacques Rousseau (1762) esalta il gioco infantile come
importantissimo per il processo di formazione dell'uomo, mentre nella Critica del
giudizio, Immanuel Kant (1790) pone le basi per comprendere il gioco (Spiel) come
arte, in opposizione al lavoro (Arbeit), ovvero come un'occupazione für sich selbst
angenehm ist, che è gradevole per se stessa.
Siamo nello scenario illuminista, ma si delinea già in queste definizioni il signi-
ficato che in epoca romantica assumerà il gioco: un significato tutto nuovo, più
impegnativo, che troviamo espresso nelle Lettere sull'educazione estetica del poeta
e scrittore tedesco Friedrich Schiller (1795). Il comportamento ludico è visto co-
me pulsione creativa e mediazione fra uomo e natura, fra istinto razionale e istinto
1.1. VERSO UNA DEFINIZIONE DI GIOCO
sensibile: l'uomo gioca solo quando è uomo nel pieno significato della parola, ed è
completamente uomo solo quando gioca. Schiller delinea la spinta al gioco come fon-
damentale per l'attività creativa, in quel rapporto strettissimo fra mettersi in gioco,
immaginazione, spontaneità e trasfigurazione del reale, tipico di qualsiasi fenome-
no artistico. Il critico e filosofo Dagradi, commentando la dimensione del gioco in
Schiller, ne sottolinea la valenza educativa e `libertaria' che lo avvicina a Marcuse:
Nel pensare il gioco come un movimento libero che è al contempo scopo e
mezzo a se stesso e che inoltre rappresenta il manifestarsi dell'essere nella
sua pienezza e potenza, Schiller può allora tematizzarlo come percorso
privilegiato di formazione dell'uomo, in quanto strada maestra alla
sua totale e compiuta realizzazione. Educare esteticamente l'uomo, detto
altrimenti, significa assumere questa dimensione del gioco come dimen-
sione nella quale attuare un superamento di quella scissione dell'uomo
che la società attuale ha operato.
L'uomo scisso è l'uomo che - con una terminologia forse più puntuale -
Marx definirà come uomo alienato dalle forme capitalistiche di produzio-
ne e nel quale comunque Schiller ha colto la perdita di una precedente
armonia, quella che nella Lettera quindicesima individuerà come unio-
ne di materia e spirito. Una ripresa diretta della valenza libertaria
ascritta da Schiller alla dimensione del gioco è rinvenibile in una del-
le opere maggiormente note di Herbert Marcuse, Eros and Civilisation
(1955). In questa prospettiva Marcuse focalizza la disamina della sud-
detta forma sociale di produzione mediante il ricorso al tema freudiano
della repressione dell'istintualità, affiancandola alla lettura dei manoscrit-
ti economico-filosofici di Marx, e alla loro potente riflessione attorno ai
temi dell'alienazione e dell'abolizione del lavoro.
Dagradi, 2003
Friedrich Fröbel si spinge ancora oltre, quando considera il gioco non solo come
momento creativo, ma anche come mezzo educativo necessario per aprirsi ad un
rapporto con gli altri e con Dio (Genovesi, 1976). Definito il `pedagogista del Ro-
manticismo', Fröbel è noto per aver ideato e messo in pratica il concetto di Kinder
Garten, l'odierna scuola dell'infanzia, seguendo il principio di considerare i bambini
come piante e i maestri come giardinieri che ne devono avere cura. In questo giardi-
no ideale l'attività predominante è il gioco, considerato come una spontanea attività
creatrice e pratica fondamentale per lo sviluppo e non come sterile divertimento; il
gioco diventa per Fröbel (1826) il più alto grado dello sviluppo infantile. Secondo
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1.1. VERSO UNA DEFINIZIONE DI GIOCO
il pensiero romantico, l'atteggiamento ludico si manifesterebbe in forme praticamen-
te infinite, dal rito nelle società primitive e tradizionali, al teatro, alla danza, alla
letteratura, alle arti figurative. È evidente quanto questa definizione del concetto
di gioco sia inscindibile da un'attenta valutazione di tutti gli aspetti della realtà
psichica umana e del contesto entro cui prende forma.
Questa prospettiva è in accordo con la visione dello storico e filosofo olandese
Joan Huizinga, il quale definisce l'uomo non più come Homo sapiens o Homo faber
(l'uomo `produttore'), bensì come Homo ludens (Huizinga, 1938). La sua opera,
un punto di riferimento essenziale per la comprensione esaustiva del fenomeno, già
dal titolo offre un'appropriata definizione della dimensione olistica, totalizzante, del
gioco. In Homo ludens Huizinga sostiene che le grandi attività originali della società
umana sono tutte già intessute di gioco: dal linguaggio (dietro ad ogni espressione
dell'astratto c'è una metafora, e in ogni metafora c'è un gioco di parole), al mito
(in ciascuna delle figurazioni capricciose di cui il mito riveste l'esistenza, vi è uno
spirito ingegnoso che gioca sui limiti tra scherzo e realtà), al culto (la collettività
compie le sue azioni sacre che le servono di garanzia per la salute del mondo e le sue
consacrazioni, i suoi sacrifizi, i suoi misteri con giochi autentici nel senso più stretto
della parola).
Il gioco è un fenomeno complesso, trasversale, multidisciplinare; psicologia, pe-
dagogia, filosofia, etnologia e sociologia, nella diversità dei metodi e delle premesse
teoriche, hanno messo in luce i tanti aspetti del gioco, aspetti che possono essere
messi a fuoco solo nell'integrazione fra discipline diverse. In questa introduzione al
mio lavoro sperimentale sul gioco in un modello animale, ho cercato di delineare il
quadro - molto controverso - delle sue caratteristiche e funzioni.
Cosa si intenda per gioco non è solo un problema di semplice e sterile catego-
rizzazione. D'altra parte senza una definizione, sia pure aperta, non è possibile (se
non affidandosi al senso comune) stabilire quali comportamenti facciano parte di una
sequenza ludica o meno, requisito fondamentale per rintracciare le origini, l'evolu-
zione e la funzione del gioco stesso. Dalle definizioni che si trovano in letteratura,
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1.1. VERSO UNA DEFINIZIONE DI GIOCO
emerge l'eterogeneità delle interpretazioni che ne sono state date, e non possiamo
che concordare con il già citato Wilson, il biologo evoluzionista che ha fondato la
sociobiologia: Nessun concetto comportamentale si è rilevato peggio definito, più
elusivo, più controverso e persino più antiquato del gioco.
Di seguito ho allineato alcune definizioni rappresentative, perchè ricorrenti nel
dibattito, cominciando proprio da Wilson (1975). Data la natura sfuggente del feno-
meno, Edward O. Wilson propone una definizione essenziale: il gioco è un insieme
di attività piacevoli, di natura spesso ma non sempre sociale, che imitano serie
di attività della vita senza raggiungere seri scopi. La definizione del Diziona-
rio di Etologia curato da Mainardi (1992), ricalca l'impostazione di Wilson, il gioco,
insomma, come palestra di vita. Alessandra Mori, un'etologa che si occupa della
società degli insetti e del comportamento sociale, alla voce gioco scrive:
il gioco, o comportamento ludico, può essere definito, nelle sue linee
fondamentali, come un comportamento privo di un fine serio, durante il
quale vengono eseguiti, appunto senza serietà, moduli comportamentali
[...] espressi invece con assoluta serietà in altri contesti.
Mori, 1992
Il primatologo de Hann (1952) è lapidario: il gioco è una forma di divertimento.
Rosenberg (1990), etologo ed endocrinologo, richiama l'osservazione dei fatti: si-
curamente un gattino che cerca di afferrare un filo di lana sta giocando, mentre
per Mitchell (1990), studioso del comportamento sociale, il gioco è il folletto del
comportamento animale, perchè appare in contesti molto diversi. Il disagio episte-
mologico si traduce insomma in definizioni minimaliste, o nella rinuncia a descriverlo
con esattezza.
Come sostiene Huizinga (1938), si potrebbe assai bene accettare tutte le spie-
gazioni una accanto all'altra, senza con ciò incorrere in un' imbarazzante confusione
di idee. Ne consegue che tutte sono spiegazioni soltanto parziali. Tutte sembrano
però concordare quando definiscono il gioco un tipo di attività improduttiva, disin-
teressata e apparentemente fine a se stessa, caratterizzata da estraneità agli schemi
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1.2. UN PARADOSSO NELLO SCENARIO EVOLUZIONISTA
della vita sociale, libertà e casualità. Certo non si può ignorare il palese divertimento
soggiacente il giocare, la `faccia da gioco' dei cuccioli, il `gusto' del gioco, ma per Hui-
zinga il gioco ha prima di tutto `un senso' e l'approccio strutturalista di descriverne
le modalità non è sufficiente.
Già nelle sue forme più semplici, e nella vita animale, il gioco è qual-
che cosa di più che un fenomeno puramente fisiologico o una reazione
psichica fisiologicamente determinata. Il gioco come tale oltrepassa i li-
miti dell'attività puramente biologica: è una funzione che contiene
un senso. Al gioco partecipa qualcosa che oltrepassa l'immediato istinto
a mantenere la vita, e che mette un senso nell'azione del giocare. Ogni
gioco significa qualche cosa. [...] Perché strilla di gioia il bambino?
Perché il giocatore si perde nella sua passione, perchè una gara eccita sino
al delirio una folla di spettatori?
Huizinga, 1938
L'indagine sulla funzione del gioco finisce così per coinvolgere sia filosofi che
etologi, e la questione sull'evoluzione del gioco negli animali e nell'uomo è ancora
aperta.
1.2 Un paradosso nello scenario evoluzionista
Dal punto di vista biologico-evoluzionista, molte ricerche sottolineano che il gioco
non fornisce benefici in termini di fitness1, come ad esempio facilitare la sopravvi-
venza, l'accesso al cibo, l'adattamento all'ambiente, e quindi le chances riproduttive.
Anzi, giocare aumenta il rischio di essere predati, nonché il consumo di energie vitali
che potrebbero esser spese in attività `più utili' (Jewell e Loizos, 1966; Bekoff, 1976;
Fagen, 1981). Il gioco sarebbe anzitutto un costo. Secondo Martin (1982), la spesa
energetica netta giornaliera per il gioco ammonterebbe al 2.5-15% rispetto al budget
energetico totale per molte specie di mammiferi studiati in laboratorio. Il gioco sa-
rebbe inoltre associato ad una maggiore esposizione ai predatori (Thor e Holloway,
1984), perchè giocando il cucciolo si sottrae alla sorveglianza degli adulti (Fagen,
1Fitness, nella prospettiva darwiniana, significa il contributo genetico di un individuo alla
generazione successiva.
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1.2. UN PARADOSSO NELLO SCENARIO EVOLUZIONISTA
1981), e perchè può incorrere in incidenti a causa di un ridotto livello di attenzione
(Caro, 1988).
Costi energetici e rischi molto alti, assenza di benefici immediati, suggeriscono che
il gioco non abbia un effettivo valore adattativo, ma rappresenti addirittura un vero
e proprio paradosso biologico ed evoluzionistico: un comportamento `maladattivo',
effetto collaterale dello sviluppo o, nel caso degli adulti, delle interazioni sociali, che
includono spesso sequenze di gioco. Le ipotesi possibili si riducono a due: o il gioco
esula da una logica adattiva oppure, nonostante sembri solo un inutile spreco, in
realtà assicura un qualche non palese vantaggio che aumenta la fitness futura più di
quando la riduca nell'immediato, proprio come quei comportamenti altruistici che
hanno sollevato le stesse domande, o altri `paradossi darwiniani' come la coda del
pavone o certi costosi corteggiamenti maschili (Alcock, 2005).
La ricerca di un significato biologico del gioco è iniziata più di un secolo fa.
Riporto in breve le ipotesi più discusse.
1. Ipotesi del Surplus (Spencer, 1878): il gioco sarebbe una liberazione del-
l'eccesso di energia nei soggetti più giovani, energia non necessaria alle normali
attività di sopravvivenza; questa teoria è ricavata dai già citati scritti filosofico-
estetici di Schiller, nei quali il pensatore tedesco ipotizza che ogni arte nasca
proprio da queste energie in eccesso.
2. Ipotesi dello sviluppo neuro-motorio (Groos, 1896): il gioco servirebbe
ad esercitare percezioni sensoriali e schemi motori appropriati in preparazione
alla vita adulta.
3. Ipotesi della conoscenza ambientale (Jewell e Loizos, 1966): il gioco forni-
rebbe agli animali informazioni sull'ambiente fisico e anche sociale, assumendo
quindi un valore esplorativo.
4. Ipotesi delle interazioni sociali (Bekoff, 1976): il gioco servirebbe allo
sviluppo e mantenimento delle relazioni sociali.
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