INFLAZIONE “Cause ed Evoluzione” Prefazione VI
L’interesse che in me ha attratto la discussione, portata
avanti da un lato dai “Keynesiani” e dall’altro dai
“monetaristi” mi ha indotto a procedere dapprima ad un
excursus teorico dell’inflazione e poi ad illustrare la
questione sorta circa la curva di Phillips.
L’ultima parte del mio lavoro è dedicata all’evoluzione
dell’inflazione nel nostro paese. In tale situazione, non
potevo non descrivere come il processo inflazionistico si è
gradualmente ridimensionato sotto l’azione della
realizzazione dell’Unione economica e monetaria. Fuor di
dubbio che sia stato un processo troppo lento; ma la sua
stessa gradualità e persistenza consentono di nutrire
qualche speranza sulla sua solidità per gli anni a venire.
Raggiunto l’obiettivo della stabilità dei prezzi la sfida
delle autorità economiche si è spostata su un altro
terreno: quello della competitività e dell’efficienza
dell’insieme delle forze produttive del paese.
Abbandonato, nell’ambito dell’UEM, lo strumento del
tasso di cambio, e quindi della svalutazione, le imprese, i
lavoratori e lo stato, sono chiamati a adottare condotte
che stimoleranno la crescita della produttività del
sistema economico.
A tal fine è necessario che si consolidi la cultura della
concorrenza e del mercato: è su questo terreno che,
raggiunta la stabilità dei prezzi, si giocheranno le
prospettive di sviluppo dell’economia nei prossimi anni.
Desidero ringraziare il prof. Sabattini che con l’incarico
di relatore della tesi di laurea ha contribuito alla
realizzazione di questo lavoro.
INFLAZIONE “Cause ed Evoluzione” Capitolo 1 1
CAPITOLO 1
LE CAUSE DELL’INFLAZIONE
1.1 Definizione e concetto di inflazione
Un’esatta definizione dell’inflazione è una condizione necessaria
per spiegare quali possono essere le sue cause ed i suoi effetti.
L’inflazione è un processo dinamico di crescita prolungata del
livello dei prezzi; ovvero, in modo equivalente, una diminuzione
prolungata del potere d’acquisto della moneta.
Per comprendere il significato della definizione è utile fare alcune
distinzioni.
La prima distinzione è fra valore nominale della moneta e valore
reale della medesima. Il primo è il valore che la legge attribuisce
alla moneta e che in questa è impresso.
Il valore reale o potere d’acquisto è invece dato dalla quantità di
beni e servizi acquistabile con una determinata cifra.
Mentre il valore nominale non varia nel tempo, il valore reale
varia continuamente. Dieci anni addietro si potevano acquistare
con diecimila lire una quantità di beni e servizi maggiore rispetto
a quella acquistabile oggi con la medesima cifra. Il valore
nominale è rimasto invariato, quello reale è diminuito. Questa
diminuzione del valore reale è l’inflazione. E’ evidente che la
diminuzione del potere d’acquisto non è altro che la conseguenza
del fatto che, essendo aumentati i prezzi dei beni e servizi, la
quantità che se ne può acquistare con una data cifra è diminuita.
La seconda distinzione fondamentale da farsi, a proposito
dell’inflazione, è quella fra prezzi alti e prezzi crescenti. Si tratta
di due fenomeni diversi; un prezzo alto può essere stabile e,
viceversa, un prezzo basso può aumentare rapidamente nel tempo.
Dalla definizione d’inflazione è evidente che essa non riguarda
prezzi alti o bassi ma riguarda invece prezzi, alti o bassi, che sono
crescenti. Peraltro non è possibile parlare di processo
inflazionistico se prezzi trascinati al ribasso durante la fase
recessiva subiscono incrementi durante la fase di ripresa del “ciclo
INFLAZIONE “Cause ed Evoluzione” Capitolo 1 2
degli affari” (business cycle). Solo quando gli incrementi
divengono irreversibili è possibile parlare d’inflazione.
La terza puntualizzazione fondamentale è fornita dall’aggettivo
prolungato. L’inflazione, come suddetto, è una crescita prolungata
del livello dei prezzi; un fenomeno che ha una sua dimensione
temporale. Quindi affinché si abbia inflazione l’aumento dei prezzi
deve rappresentare l’inizio, la continuazione o la conclusione
d’aumenti; in caso contrario un aumento isolato del livello dei
prezzi non rappresenta inflazione.
A conclusione di questa breve presentazione del fenomeno
inflazionistico, va ricordato che l’inflazione può essere strisciante,
moderata, galoppante o iperinflazione. Il criterio sottostante
questa classificazione è il tasso di crescita osservato nel livello
generale dei prezzi. I processi inflattivi in cui l’incremento dei
prezzi non supera il 2-3 per cento ed in cui non vi siano
aspettative d’inflazione visibili possono essere chiamati
d’inflazione strisciante. Tassi più alti di crescita nel livello dei
prezzi sono chiamati moderati; una maggiore accelerazione
dell’incremento dei prezzi è considerata inflazione galoppante.
Tuttavia non è possibile stabilire precisi limiti a ciascuna di
queste categorie. Tassi straordinariamente alti di incremento dei
prezzi possono essere chiamati iperinflazione.
Solitamente si ritiene esistente questa condizione quando il livello
generale dei prezzi cresce più del 50% al mese. Nell’iperinflazione
la moneta perde la sua funzione di “riserva di valore” e almeno in
parte anche quella di “mezzo di scambio”. Casi di iperinflazione si
sono verificati nel periodo successivo alla prima guerra mondiale
in vari paesi europei (quali la Germania, l’Austria e la Russia) e
dopo la seconda guerra mondiale in molti paesi del Sudamerica.
La differenza fra queste diverse fasi dell’inflazione non risiede
però solo nel grado di aumento dei prezzi, ma anche negli effetti
che ne seguono. Infatti, l’onerosità degli effetti, come si avrà modo
di vedere discutendo sulle conseguenze dell’inflazione, dipende
dalla dimensione che assume lo stesso fenomeno inflazionistico.
Se l’inflazione è di modesta entità si avranno effetti di scarsa
rilevanza, mentre se si è in presenza di un forte rialzo dei prezzi
quelle conseguenze che prima erano trascurabili o quasi,
acquisteranno invece un peso rilevante.
INFLAZIONE “Cause ed Evoluzione” Capitolo 1 3
1.2 Livello dei prezzi e indice dei prezzi
Un completo esame del processo inflazionistico richiede non solo
una definizione del fenomeno ma altresì una spiegazione di cosa si
debba intendere per livello dei prezzi, di come i prezzi si muovono
nei diversi settori e di quali strumenti ci si avvale per misurare la
loro variazione.
Il livello dei prezzi è il rapporto cui si scambia l’insieme di beni e
servizi con la moneta, in altre parole, il livello dei prezzi è il
reciproco del potere d’acquisto della moneta.
Pertanto l’inflazione riguarda il potere d’acquisto della moneta,
cioè i “prezzi assoluti” i quali sono differenti dai “prezzi relativi”. I
prezzi relativi rappresentano infatti l’insieme di rapporti cui si
scambiano i vari beni e servizi fra loro.
E’ evidente che quando il livello dei prezzi aumenta, questo
cambia anche l’insieme dei prezzi relativi, perché non tutti i
prezzi aumentano nella stessa proporzione. Se, per esempio, il
tasso di inflazione è del 10%, il livello dei prezzi aumenta del 10%,
alcuni prezzi aumenteranno più che del 10% ed altri meno.
Il prezzo relativo dei beni i cui prezzi sono aumentati più della
media è aumentato, quello dei beni i cui prezzi sono aumentati
meno della media è diminuito. L’inflazione cioè produce una
modifica nella struttura dei prezzi relativi, dei rapporti di scambio
dei beni fra loro. Questo però non ci permette di trattare i due
fenomeni come sinonimi.
Infatti l’inflazione è sempre accompagnata da una modifica dei
prezzi relativi, non è per nulla vero che una variazione dei prezzi
relativi sia sinonimo di inflazione. Per esempio, se per un raccolto
scarso o per altre cause, il prezzo del vino aumenta, questo non
significa per niente che se né possa trarre la conclusione che si è
in presenza di inflazione. L’inflazione riguarda il livello dei prezzi,
tutti i prezzi, e non basta guardare all’aumento di uno per
concludere che il livello sia aumentato.
Proseguendo il discorso sui prezzi si può considerare come i prezzi
si muovono nel sistema economico. Certamente le logiche
sottostanti al loro movimento sono diverse a seconda del settore
preso in considerazione.
INFLAZIONE “Cause ed Evoluzione” Capitolo 1 4
Al fine di individuare queste logiche differenti conviene dividere il
sistema economico in due settori, quello agricolo e quello
industriale.
Nel settore agricolo la forma di mercato prevalente è quella
concorrenziale, nella quale i produttori sono molti e i prodotti
sostanzialmente non differenti.
In agricoltura ci sono tre livelli dei prezzi: al produttore,
all’ingrosso, al minuto.
I “prezzi al produttore” sono solitamente fissati dai commercianti
all’ingrosso, i quali essendo per ogni zona pochi sono dei
contraenti particolarmente forti nei confronti dei produttori. Se i
prezzi al produttore sono così bassi da non riuscire a coprire i costi
può succedere che una parte del raccolto sia lasciata sugli alberi.
I “prezzi all’ingrosso” invece rispondono soprattutto agli impulsi
della domanda e dell’offerta.
I “prezzi al minuto” infine derivano dall’andamento dei prezzi
all’ingrosso.
Fra questi meccanismi di formazione del prezzo il più rilevante è
quello relativo all’ingrosso, che rispondendo alla legge della
domanda e dell’offerta aumenta all’aumentare della domanda e
diminuisce all’aumentare dell’offerta. In agricoltura infatti cresce
il prezzo di quei prodotti i cui raccolto è andato particolarmente
male e viceversa il prezzo cade quando il raccolto è andato
particolarmente bene, quando cioè l’offerta è stata
particolarmente ricca e abbondante.
L’offerta e quindi il prezzo non dipende solo dal raccolto ma
dipende anche da altre variabili quali le scorte dei magazzini, le
importazioni nette e i prezzi internazionali, in particolari quelli
europei. Quest’ultima variabile è particolarmente influente sui
prezzi agricoli interni, giacché i prezzi internazionali variano non
solo per ragioni puramente economiche, ma anche per ragioni di
diritto internazionale come gli accordi del mercato comune
agricolo.
Concludendo nel settore agricolo i prezzi sono influenzati dalla
domanda, dall’offerta e dai prezzi internazionali ed un eventuale
aumento dei costi superiore a quello dei prezzi porterà ad una
INFLAZIONE “Cause ed Evoluzione” Capitolo 1 5
riduzione nell’offerta; solo in un periodo relativamente lungo i
costi influenzeranno i prezzi.
Nel settore industriale, invece, prevalendo la forma di mercato
oligopolistica, agisce un diverso meccanismo di formazione dei
prezzi. Poiché nell’industria la capacità produttiva è normalmente
utilizzata solo in parte, un aumento della domanda comporta un
maggior grado di utilizzazione degli impianti, e un rapido
adeguamento dell’offerta, senza che quest’adeguamento abbia
necessariamente effetto sui prezzi. Nell’industria quindi un
aumento della domanda porta di norma un aumento, non tanto
dei prezzi, quanto della produzione.
Gli elementi decisivi che determinano invece i prezzi consistono
nei costi e particolarmente nei cosiddetti costi diretti (i quali
variano direttamente al variare della produzione). Al crescere di
questi costi, i prezzi subiscono una spinta verso l’alto. I costi
diretti sono prevalentemente due: il costo del lavoro e il costo delle
materie prime.
A proposito del costo delle materie prime una precisazione si
rende necessaria. Se le materie prime sono importate dall’estero il
loro prezzo dipende, oltre che da quello presente nei mercati di
origine, anche dai cambi.
Quindi gli oligopolisti possono influire sul prezzo ogni qualvolta le
variazioni dei prezzi rappresentano variazioni dei costi, ma al di
là di quest’ipotesi essi incontrano dei limiti nell’influenzare la
formazione dei prezzi.
Infatti i produttori, anche se oligopolisti, devono tener presente
che nel mercato nazionale vi sono due generi di concorrenti: i
produttori delle stesse merci che seppur pochi tuttavia esistono, e
i produttori di beni sostituibili. Inoltre gli oligopolisti devono
considerare la presenza dei concorrenti degli altri paesi, i prezzi
esteri fanno da riferimento, in altre parole da soffitto.
Un produttore italiano non potrà aumentare il prezzo del proprio
prodotto al di là della soglia rappresentata dal prezzo estero; in
caso contrario vedrà ridotta la propria quota di mercato.
Riepilogando nel settore industriale i prezzi dipendono dal costo
del lavoro, dal costo delle materie, dai prezzi internazionali e dal
tasso di cambio.
INFLAZIONE “Cause ed Evoluzione” Capitolo 1 6
Per concludere il discorso relativo ai prezzi è indispensabile
precisare in qual modo si possono misurare i prezzi e le loro
variazioni.
Per misurare in modo esatto le variazioni nel livello dei prezzi si
dovrebbero considerare tutti i beni e servizi esistenti, ma dato che
ciò è impossibile si fa allora ricorso ad un campione di beni e
servizi ritenuti particolarmente significativi. Si perviene così alla
costruzione dei cosiddetti indici dei prezzi.
Sulla base dei beni e servizi che sono inclusi nel paniere di
riferimento è possibile distinguere i tre seguenti indici dei prezzi.
- Il deflatore del PIL. Esso è dato dal rapporto fra il PIL nominale
di un dato anno e il corrispondente PIL reale
1
, e misura la
variazione dei prezzi intercorsa dal periodo cui si riferiscono i
prezzi base usati nel calcolo del PIL reale fino al periodo corrente.
Dato che il deflatore del PIL è ottenuto da un calcolo che si
riferisce a tutti i beni prodotti nel sistema economico, è un indice
di prezzo a base larghissima il cui paniere di beni può cambiare da
un anno all’altro, a seconda di cosa è prodotto ogni anno nel
sistema economico.
- L’indice dei prezzi al consumo (IPC). Questo è un indice che
misura il costo d’acquisto di un determinato paniere di beni e
servizi rappresentativo degli acquisti di un consumatore medio.
Attualmente nel nostro paese sono disponibili tre indici dei prezzi
al consumo con frequenza mensile: il primo riferito all’intera
collettività nazionale, il secondo armonizzato, adottato in sede
europea, il terzo relativo alle famiglie di operai e impiegati, il
cosiddetto “costo della vita”.
“L’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e
impiegati” è quello che gli operatori economici hanno più
utilizzato negli ultimi anni per misurare il tasso di inflazione; ciò
in considerazione della maggiore regolarità con cui è stato diffuso
e della maggiore tempestività con cui sono rese disponibili le
informazioni relative a tale indice. Tuttavia, questo è un indice
rappresentativo dei consumi soltanto di alcune categorie di
consumatori e non dell’intera popolazione come gli altri due.
1
Il PIL nominale misura il valore della produzione a prezzi correnti mentre il PIL reale
valuta la produzione a prezzi costanti.
INFLAZIONE “Cause ed Evoluzione” Capitolo 1 7
“L’indice armonizzato” è stato costruito in tutti i paesi dell’ UE in
conformità ad un paniere di spesa comune e di metodologie più
omogenee rispetto agli indici nazionali. Per l’Italia è stato
calcolato dall’indice per l’intera collettività nazionale, da cui si
differenzia soprattutto perché esclude i servizi sanitari e le spese
per l’istruzione pubblica; presenta, invece, una considerevole
diversità rispetto a quello per le famiglie di operai e impiegati.
L’indice armonizzato, appropriato per portare a termine confronti
con gli altri paesi europei, è ancora d’utilità limitata ai fini
dell’analisi congiunturale dei prezzi in Italia, sia per
l’insufficiente livello di disaggregazione, sia per la brevità delle
serie storiche che sono disponibili solo dal 1995.
“L’indice per l’intera collettività nazionale” appare in questo
momento il più appropriato per l’analisi dettagliata dell’inflazione
nel nostro paese, in virtù della sua rappresentatività, dell’elevato
livello di disaggregazione, della lunghezza delle serie temporali
disponibili e della confrontabilità con l’indice armonizzato.
- L’indice dei prezzi alla produzione (IPP). L’indice dei prezzi alla
produzione misura il costo di un particolare paniere di beni nel
quale, a differenza dell’IPC, sono inclusi i beni intermedi e sono
esclusi i servizi. L’IPP, e questo lo differisce ulteriormente
dall’IPC, rileva i prezzi ad uno stadio che precede quello della
commercializzazione al consumo e quindi è in grado di fornire
indicazioni sull’inflazione in fasi precedenti a quella del consumo
dei prodotti. Pertanto le variazioni dell’IPP possono fungere da
indicatore in grado di anticipare le variazioni dell’IPC.
Dalla descrizione dei diversi indici dei prezzi esistenti nel nostro
paese si può concludere che sarebbe insensato affermare che un
indice è corretto mentre un altro è errato; gli indici misurano le
variazioni dei prezzi appartenenti a diversi panieri di beni e
servizi.
INFLAZIONE “Cause ed Evoluzione” Capitolo 1 8
1.3 Introduzione alle cause dell’inflazione
Un tema centrale nella discussione dell’inflazione negli anni
sessanta era la sua classificazione in due categorie: l’inflazione da
domanda (demand-pull) e l’inflazione da spinta dei costi (cost-
push). Per spiegare queste cause dell’inflazione può essere utile
soffermarsi sulla distinzione fra reddito reale e reddito
monetario.
2
Il “reddito reale” va definito come la quantità di tutti i beni e
servizi prodotti e scambiati in un dato paese in un dato periodo.
Il “reddito monetario” invece è dato da tutto quello che la
collettività spende per l’acquisto dei suddetti beni e servizi; questo
secondo aggregato coincide quindi con la domanda globale (o spesa
globale).
Se indichiamo con Y il reddito monetario, con P il livello generale
dei prezzi e con y il reddito reale avremo che:
Y = P y
Cioè il reddito monetario è uguale al prodotto fra il livello dei
prezzi e il reddito reale. Questo vuol dire che:
P = Y / y
Quindi il livello dei prezzi non è altro che il rapporto fra il reddito
monetario ed il reddito reale, in altre parole, è il rapporto fra ciò
che la collettività spende e ciò che la collettività produce.
Da quanto detto si può terminare che si può avere inflazione solo
se Y, la spesa globale, aumenta più di y, il reddito reale, o se il
reddito diminuisce più della spesa. L’inflazione del primo tipo
corrisponde con l’inflazione da domanda, quella del secondo tipo
con l’inflazione da costi.
2
Supponiamo per comodità di analisi di essere in un’economia chiusa.
INFLAZIONE “Cause ed Evoluzione” Capitolo 1 9
I due diagrammi della figura 1.1 illustrano le diverse posizioni
inflazionistiche in un’economia chiusa.
Sugli assi delle ascisse è rappresentato il reddito nazionale reale
mentre sugli assi delle ordinate il livello dei prezzi. Le curve di
domanda globale D sono tracciate con inclinazione verso il basso.
Le curve di offerta globale S sono tracciate o con inclinazione
verso l’alto o, nel caso di pieno impiego, come linee verticali.
La figura 1.1a rappresenta il caso di “inflazione da domanda”. In
corrispondenza del livello di reddito di pieno impiego Y
0
, la
funzione di offerta globale diviene completamente inelastica,
poiché essendo la capacità produttiva del tutto utilizzata la
produzione non può aumentare oltre questo livello. Pertanto
incrementi di domanda oltre D
0
, come fino a D
1
e D
2
, non potendo
essere compensati con incrementi dell’offerta, fanno salire il
livello dei prezzi da P
0
a P
1
e P
2
.
Nella figura 1.1b è illustrata la teoria dell’ “inflazione da spinta
dei costi”. I sostenitori di questa teoria ritengono che, in
INFLAZIONE “Cause ed Evoluzione” Capitolo 1 10
collettività con oligopoli, sindacati e altri gruppi di pressione, la
curva di offerta globale si sposta verso l’alto, come da S
0
a S
1
e S
2
,
indipendentemente da ciò che accade alla domanda globale. Se si
vuole mantenere il pieno impiego (Y
0
) bisogna accettare livelli di
prezzo in aumento (P
0
,
P
1
, P
2
).
Se invece si vogliono tenere i prezzi bassi (vicini a P
0
) si deve
accettare la disoccupazione. Se le autorità pubbliche garantiscono
il pieno impiego, il sentiero dei punti di equilibrio temporaneo
sarà a-b-c-d-e.
In pratica i due tipi di cause sono di frequente interconnessi
cosicché diventa difficile classificare un fenomeno inflazionistico
come appartenente all’uno o all’altro tipo. L’interazione fra le
cause rende inoltre difficile la diagnosi; da ciò discende che molti
economisti pensano che distinzioni come inflazione da domanda e
inflazione da costi abbiano scarso significato mentre altri
ritengono che le distinzioni siano valide ed essenziali per sagge
direttive di politica economica (questo argomento sarà
approfondito al paragrafo 1.6).
Nei paragrafi successivi saranno esaminate le cause di inflazione
supponendo che l’economia sia chiusa.
In seguito sarà rimossa l’ipotesi semplificatrice in modo da poter
introdurre una spiegazione “esterna” delle cause di inflazione.
INFLAZIONE “Cause ed Evoluzione” Capitolo 1 11
1.4 Inflazione da domanda
L’inflazione da domanda consiste nell’aumento dei prezzi
provocato da un vasto eccesso delle domande sulle offerte di merci
e servizi.
Per comprendere le cause di un’inflazione da domanda è
necessario individuare i fattori da cui dipende il livello della
domanda globale e le sue variazioni. A tal riguardo intervengono
due teorie: la teoria quantitativa della moneta e la teoria
keynesiana.
La prima per spiegare quali sono le variabili fondamentali da cui
dipende il reddito monetario, cioè la domanda globale, pone
l’attenzione sulla quantità di moneta mentre la seconda sulla
spesa nazionale.
Nelle pagine che seguono è data una rappresentazione
semplificata delle due teorie ed è illustrato come esse spiegano
l’inflazione da domanda.
La teoria quantitativa della moneta, che ha secoli di tradizione
dietro di sé, può essere espressa dalla seguente equazione:
M V = P y
Dove M rappresenta la quantità di moneta in circolazione, V la
sua velocità di circolazione, P il livello medio dei prezzi e y il
reddito reale.
L’originaria formulazione della teoria quantitativa si basava
sull’ipotesi che la produzione (y) fosse sempre a livelli di piena
occupazione e quindi costante o, al più, gradualmente crescente
nel tempo. Nella versione più semplice anche la velocità di
circolazione della moneta fu assunta come pressoché costante.
Una volta ammessa la y e la V, l’equazione dice chiaramente che i
prezzi devono variare in modo direttamente proporzionale alla
quantità di moneta.
Prima della grande depressione degli anni trenta si attribuiva
grande importanza alla teoria quantitativa della moneta e quindi
si riteneva che reddito monetario e prezzi fossero determinati
INFLAZIONE “Cause ed Evoluzione” Capitolo 1 12
dallo stock di moneta. La grande depressione provocò una
rivoluzione nelle idee. L’incapacità delle autorità monetarie ad
arrestare la depressione fu presa come prova che esse non erano
in grado di farlo. Si diffuse l’opinione che “la moneta non fosse
importante” e si affermò così il pensiero keynesiano.
La teoria keynesiana ha arricchito la scienza economica ed ha
portato a una rivoluzione contro il pensiero economico fino allora
accolto.
La posizione keynesiana circa la determinazione della domanda
globale può essere rappresentata dalla seguente equazione:
Y = k A
Y è la domanda globale; k è il moltiplicatore, supposto costante; A
è l’insieme di tutte le categorie di spesa autonoma, nondipendente
dal reddito.
3
La “spesa autonoma” è la variabile strategica fondamentale per la
determinazione della domanda globale. Le categorie di spesa
autonoma prese in considerazione in teoria keynesiana sono
quattro:
• la parte del consumo che non dipende dal reddito;
• la parte dell’investimento che non dipende dal reddito;
• il disavanzo del settore pubblico;
• il saldo della bilancia commerciale (cioè le esportazioni al netto
delle importazioni).
A proposito della terza categoria di spesa autonoma non si parla
di spesa pubblica ma di disavanzo.
Questo perché non tutta la spesa pubblica gioca un ruolo
autonomo nella determinazione del reddito monetario, ma solo
quella parte che non è finanziata mediante il prelievo tributario.
3
Keynes distingue le spese che dipendono dal reddito da quelle autonome, che non
dipendono dal reddito. Le prime dato che non possono variare se non varia il reddito, non
svolgono un ruolo autonomo nella determinazione della domanda. Le seconde invece
potendo variare in modo autonomo rispetto al reddito possono determinare variazioni della
domanda.