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1.INTRODUZIONE
1.1 EPIDEMIOLOGIA
Il CDCC (Center for Disease Control in China) segnalava che durante l’ultima settimana di
Dicembre 2019, si è avuto a Wuhan, capoluogo cinese e città più popolosa della provincia di
Hubei, si era verificato il primo caso di una polmonite atipica. Qualche giorno dopo il primo
caso riportato, le Autorità Sanitarie cinesi decidevano di chiudere il mercato di Wuhan dopo
che alcune ricerche sembravano suggerire tale luogo come probabile fonte iniziale del
contagio. Durante la prima settimana di Gennaio 2020, i ricercatori cinesi annunciavano che
la nuova forma di polmonite atipica era causata da un nuovo Coronavirus (novel Coronavirus
2019) successivamente denominato SARS-CoV-2 (
Rothan and Byrareddy, 2020
). L’11 Gennaio veniva
registrato il primo decesso da SARS-CoV-2 e un giorno dopo, un gruppo di ricercatori cinesi
pubblicava la sequenza del genoma di questo virus. Dal primo caso riportato in Cina, il
SARS-CoV-2 si era già diffuso in tutto il mondo. L’11 Marzo l’OMS ha dichiarato questa
malattia una pandemia. Le dinamiche epidemiologiche di COVID-19 sono cambiate
drammaticamente nel corso dei mesi. All’inizio dell’epidemia il continente più colpito è stato
l’Asia, con la Cina protagonista, attualmente le Americhe, guidate principalmente dagli USA
e dal Brasile, sono divenute le regioni più colpite del pianeta (
Simbana-Rivera et al., 2020
). E’
importante enfatizzare che il case fatality rate riportato nelle stime ufficiali presenta
un’importante variabilità tra i vari paesi: per esempio la Corea del Sud ha una mortalità molto
bassa, fatto che suggerisce una strategia di testing efficiente e una pronta risposta
all’emergenza, mentre altri paesi con una più ridotta capacità di testing, un più debole sistema
sanitario e complessivamente una più bassa risposta al virus, riportano un più elevato numero
di persone con infezione da SARS-CoV-2 e decessi correlati all’infezione (
Ortiz-Prado et al., 2020
).
1.2 SARS-COV-2
I Coronavirus sono virus a RNA responsabili nell’uomo di infezioni generalmente benigne e
autolimitanti come il comune raffreddore o di patologie respiratorie gravi e spesso letali come
la SARS e la MERS (17, 279, 25). La SARS, detta anche sindrome acuta respiratoria grave, è
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una malattia delle vie respiratorie di natura virale, che può degenerare in polmonite grave,
talvolta fatale; La MERS invece è la Sindrome Respiratoria medio-orientale (Mers-CoV -
Middle East respiratory syndrome coronavirus infection), cioè una malattia infettiva acuta
causata da un virus zoonotico che può quindi essere trasmesso dagli animali (in questo caso i
dromedari) alle persone. L’ICTV (International Committee on Taxonomy of Viruses) ha
proposto di denominare questo nuovo virus SARS-CoV-2 (Severe Acute Respiratory
Syndrome Coronavirus 2); questo virus fa parte dell’ordine Nidovirales, famiglia
Coronaviridae, sottofamiglia Orthocoronavirinae, che è a sua volta suddivisa in quattro
generi Alphacoronavirus, Betacoronavirus, Gammacoronavirus, e Deltacoronavirus (3, 27). I
generi Alphacoronavirus e Betacoronavirus originano dai pipistrelli, mentre
Gammacoronavirus e Deltacoronavirus si sono evoluti dagli uccelli e dai suini (24, 28, 29,
275). Questi Coronavirus sono caratterizzati da un genoma ad RNA a singolo filamento non
segmentato di circa 30 kb (30), il genoma è costituito da 29,891 bp (paia di basi) ed è rivestito
da un envelope contenente il nucleocapside virale. L’osservazione al microscopio elettronico
di SARS-CoV-2 ha rivelato un contorno sferico con alcuni gradi di pleomorfismo, diametro
del virione che varia tra 60 e 140 nm, e differenti spikes che vanno dai 9 ai 12 nm, dando nel
complesso al virus le sembianze di una corona solare. In base alle caratteristiche molecolari
SARS-CoV-2 è considerato un nuovo Betacoronavirus appartenente ai Sarbecovirus. Alcuni
altri importanti virus zoonotici (MERS-related CoV and SARS-related CoV) vi appartengono.
Comunque SARS-CoV-2 è stato definito come un virus distinto in base alla somiglianza con
gli altri Betacoronavirus; una complessiva identità nucleotidica dell’80% è stata osservata tra
SARS-CoV-2 e SARS-CoV, un’identità dell’89% con ZC45 e ZXC21 SARS-related CoVs
dei pipistrelli (2, 31, 36). Inoltre un’identità dell’82% è stata rilevata tra SARS-CoV-2 e i
virus SARS-CoV Tor2 e SARS-CoV BJ01 2003 (31). Un’identità di sequenza di solo il
51.8% è stata osservata tra MERS-related CoV e SARS-CoV-2 (37). L’analisi filogenetica dei
geni strutturali ha anche rivelato che SARS-CoV-2 è più vicino al SARS-related CoV dei
pipistrelli. Perciò SARS-CoV-2 deve essere originato da questi animali mentre altri ospiti
intermedi devono aver giocato un ruolo nella trasmissione della malattia all’uomo. Per
precisare gli altri due CoVs conosciuti (responsabili di MERS e SARS) hanno avuto la stessa
origine. Inoltre per SARS e MERS zibetti e cammelli, rispettivamente, hanno agito come
ospiti amplificatori (40, 41).
I Coronavirus codificano per quattro proteine strutturali denominate spike (S), proteine di
membrana (M), proteine dell’envelope (E), e del nucleocapside (N):
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• Glicoproteina S
La proteina S è una proteina transmembrana multifunzionale di classe 1. La sua dimensione
varia tra 1,160 e 1,400 amminoacidi (43). E’ localizzata sotto forma di trimero sulla superficie
virale, dando quindi ad esso l’apparenza di una corona; dal punto di vista funzionale questa
proteina è necessaria per l’ingresso del virione infettante nella cellula tramite l’interazione
con vari recettori della cellula ospite (44). Inoltre tale proteina agisce come fattore critico per
il tropismo cellulare. In particolare la proteina S è una delle proteine virali capace di indurre
nell’ospite una risposta immunitaria (45). I domini in tutte le proteine CoVs hanno
un’organizzazione simile, divise cioè in due subunità, S1 e S2 (43). La prima interviene nel
legame col recettore della cellula ospite mentre la seconda è utile alla fusione. Inoltre S1 è
ulteriormente divisa in due sottodomini, chiamati N-terminal domain (NTD) e C-terminal
domain (CTD). Entrambi questi sottodomini agiscono per legare il rispettivo recettore. Il CTD
contiene il motivo di legame recettoriale (RBM), che si lega direttamente al recettore ACE2
(angiotensin-converting enzyme-2). Al momento comunque, la maggior enfasi è conoscere
quante differenze sarebbero richieste per cambiare il tropismo della cellula ospite. A questo
proposito sono state identificate 17 nonsynonymous changes tra le prime sequenze di SARS-
CoV-2 note e le ultime isolate. Queste mutazioni sono presenti in diverse porzioni del genoma
virale, con nove sostituzioni in ORF1ab, quattro in ORF8, tre nel gene spike, e solo una in
ORF7a (4). In particolare gli stessi cambiamenti sono stati evidenziati in un cluster familiare,
indicando che l’evoluzione del virus si è verificata durante la trasmissione interumana (4, 47).
Questi eventi evolutivi di tipo adattativo sono frequenti e costituiscono un continuo processo
una volta che il coronavirus si trasmette a nuovi ospiti (47). In ogni caso non si verificano
cambiamenti funzionali del virus in associazione con questa sua evoluzione.
• Proteina M
Questa proteina è la più abbondante del virione in quanto una responsabile della forma
dell’envelope (48). Questa si lega al nucleocapside e agisce come organizzatore centrale di
assemblamento del virus (49). Queste proteine sono molto diverse nel loro contenuto
amminoacidico ma mantengono complessivamente similitudini strutturali tra i vari generi
(50). Complessivamente l’impalcatura virale è mantenuta da interazioni M-M
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• Proteina E
La proteina E è la più enigmatica e piccola delle proteine strutturali maggiori (51). Questa
svolge un ruolo multifunzionale nella patogenesi, nell’assemblaggio, e nel rilascio del virus
(52). Si tratta di un piccolo polipeptide integrale di membrana che agisce come canale ionico
(53). L’inattivazione o l’assenza di questa proteina è correlata all’alterata virulenza del
coronavirus dovuta ai suoi cambiamenti in morfologia e tropismo (54). La proteina E consiste
di tre domini ossia uno corto idrofilico amminoterminale, uno grande idrofobico
transmembrana, e un efficiente C-terminale (51).
• Proteina N
Questa proteina è multivalente infatti tra le varie funzioni questa facilita l’interazione della
proteina M richiesta durante l’assemblaggio virale, e aumenta l’efficienza di trascrizione del
virus. Inoltre contiene tre domini distinti e altamente conservati ossia un NTD, un dominio
legante-RNA o una regione linker (LKR), e un CTD (57); a questo proposito ad esempio LKR
è ricco in serina e arginina e per questo è anche conosciuto come il dominio SR (serine and
arginine). Quest’ultimo è responsabile del signaling cellulare, e modula anche la risposta
antivirale dell’ospite come avendo una funzione di antagonista di IFN (interferone) (62).
Comparandola a quella di SARS-CoV, la N di SARS-CoV-2 possiede cinque mutazioni
amminoacidiche dove due sono nelle IDR (intrinsically dispersed region; positions 25 and
26), una in NTD (position 103), una in LKR (position 217), e un’ultima in CTD (position
334) (16).
• nsps e le proteine accessorie
A fianco delle importanti proteine strutturali il genoma di SARS-CoV-2 contiene 15 nsps
(non-structural proteins) e otto proteine accessorie (3a, 3b, p6, 7a, 7b, 8b, 9b, and ORF14).
Tutte queste proteine svolgono un ruolo specifico nella replicazione virale (27). Diversamente
dalle proteine accessorie di SARS-CoV, SARS-CoV-2 non contiene la 8a e ha una 8b più
lunga e una 3b più corta (16).
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Raffigurazione della struttura di SARS-CoV-2
Clin Microbiol Rev. 2020 Oct; 33(4): e00028-20.
Published online 2020 Jun 24. doi: 10.1128/CMR.00028-20
1.3 LE VARIANTI DEL VIRUS
Dall’inizio della pandemia ci sono state preoccupazioni in merito al fatto che il coronavirus
sarebbe potuto mutare. A partire dal mese di novembre 2020 il sistema sanitario Inglese ha
subito una progressiva pressione riguardo la necessità di ricovero di pazienti con COVID-19
legato all’emergenza di una nuova variante (B.1.1.7) dotata di maggiore capacità diffusiva
[REF]. Un’ulteriore variante è stata identificata in Sud Africa ma non è ancora chiaro quanto
più velocemente questa variante, chiamata B.1.351, si diffonda. I primi studi sulla variante
inglese, chiamata B.1.1.7, stimano che questa sia tra il 40 e il 74% circa più trasmissibile
rispetto al virus iniziale [REF]. C’è la preoccupazione inoltre che i vaccini al momento
disponibili possano anche essere meno efficaci contro B.1.351 [REF NEJM]. Le nuove
varianti sono state scoperte sequenziando l’intero genoma virale. I ricercatori di tutto il
mondo sequenziano regolarmente campioni per tracciare la diffusione del coronavirus e
valutare la sua evoluzione. Queste prove hanno trovato che ci sono già migliaia di virus
mutanti ma che differiscono tra loro anche solo per una mutazione; ma tutto questo non ci
dovrebbe sorprendere in quanto i virus mutano costantemente come effetto del caso a seguito
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di molteplici cicli replicativi ed una capacità di proof reading subottimale durante il processo
replicativo specialmente nei virus ad RNA [REF]. Se prendessimo due SARS-CoV-2 da
qualunque parte del mondo vedremmo che questi differiscono per meno di 30 mutazioni ed
essi sarebbero comunque considerati come tutti appartenenti alla stessa specie. C’è tuttora la
preoccupazione che i vaccini possano essere meno efficaci contro le varianti del virus. In
particolare la B.1.1.7 ha 23 mutazioni rispetto al SARS-CoV-2 “originale” di cui 17 sono
quelle che portano al mutamento delle proteine virali; in particolare otto di queste modificano
la forma delle proteine spike presenti all’esterno del virus. Una in particolare invece chiamata
N501Y, riguarda quella parte di spike che lega proprio i recettori delle cellule ospiti umane al
fine di infettarle. La mutazione N501Y potrebbe essere responsabile della maggiore
trasmissibilità del virus rendendolo in grado di legarsi in modo più saldo ai rispettivi recettori.
Tuttavia la mutazione suddetta fu individuata per la prima volta in Brasile ad Aprile 2020 e da
allora è stata anche identificata in molti altri paesi del mondo senza comunque associarsi,
almeno apparentemente, a differenti effetti sulla sua trasmissione. Potrebbe essere infatti che
la maggior diffusività della variante B.1.1.7 sia legata ad una combinazione di mutazioni.
Normalmente l’unico modo per accertarsi che una determinata variante sta diffondendo più
velocemente di un’altra è sequenziare l’intero virus. Il test standard sul coronavirus comporta
la ricerca di almeno una delle tre piccole porzioni del genoma virale. A questo proposito, una
prima analisi di Neil Ferguson e dei suoi colleghi dell’Imperial College London ha condotto
alla conclusione che B.1.1.7 possiede “un sostanziale vantaggio di trasmissione”, diffondendo
dal 40 al 70 % più velocemente rispetto alle altre varianti. Un altro studio di Nick Davies
invece (della London School of Hygiene & Tropical Medicine) ha posto l’incremento di
trasmissibilità di B.1.1.7 attorno al 50-74% [REF]. Studi successivi hanno poi dimostrato,
anche se confermare tale dato necessita di conferma, che la variante B.1.1.7 sia più infettiva in
quanto le persone colpite diffondono in media più virus. Ulteriori dati ci suggeriscono poi che
B.1.1.7 possa diffondere in modo più significativo nei bambini. La buona notizia è che lo
studio della Public Health England ha suggerito che gli infetti da B.1.1.7 non sono tuttavia a
maggior rischio di ospedalizzazione o di morte rispetto a coloro che vengono colpiti da altre
varianti.
Anche la B.1.351 (variante del Sud Africa) sembra causare un più alto tasso di trasmissione.
Ad ottobre i casi di malattia hanno cominciato a salire in modo però inusualmente rapido
nella Nelson Mandela Bay Municipality. Subito dopo seguirono anche le zone circostanti.
Questo ha indotto a sequenziare migliaia di genomi virali per cercare di individuare
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l’eventuale presenza nel territorio di nuove varianti. E proprio il 15 Ottobre fu sequenziata e
rivelata per la prima volta la B.1.351 la quale presentava diverse mutazioni, incluse sei a
livello spike. Solo una delle mutazioni, la N501Y, è la stessa osservata nella variante B.1.1.7.
Ciò che sta allarmando alcuni ricercatori è che B.1.351 presenta tre mutazioni, incluse la
N501Y, a livello del dominio recettoriale di legame della proteina spike. Questa rappresenta
un’importante regione per l’immunità in quanto gli anticorpi neutralizzanti agiscono
legandosi appunto a questa regione. Questo può significare che i vaccini conferiscono una
minore protezione nei confronti della variante B.1.351 rispetto a quella indotta verso varianti
differenti. La variante B.1.351 si è diffusa in almeno altri otto paesi oltre al Sud Africa,
inclusi Regno Unito e Australia, anche se non è stata riportata una diffusione locale. La
B.1.1.7 invece ha, ad oggi, presentato una diffusione in almeno 39 paesi, inclusi USA, Cina,
Australia e Nuova Zelanda, e in alcuni di questi sta certamente diffondendo localmente.
Finora la Danimarca ha riportato il maggior numero di casi insieme alla Gran Bretagna, ma
questo dato potrebbe essere legato alla pratica di maggior sequenziamento rispetto a quanto
avviene in altri paesi.
Due sono invece le varianti Brasiliane ed entrambe hanno origine nel clade B.1.1.28; questo è
stato un lineage circolante significativo in Brasile e probabilmente originato nel Febbraio
2020.
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La prima variante si caratterizza per contenere la mutazione E484K della proteina S ed
è stata inizialmente individuata a Rio de Janeiro nell’Ottobre 2020 ma in base all’analisi
filogenetica la sua emergenza probabilmente risale in realtà a Luglio 2020.
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La variante
484 K.V2 si è poi diffusa in molti altri paesi come: Inghilterra, Singapore, USA, Norvegia,
Argentina, Danimarca, Irlanda e Canada. Comunque la mutazione E484K è di maggior
interesse perché si è evidenziato che questa potrebbe facilitare la resistenza alla risposta
immunitaria.
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La seconda variante degna di nota si è ampiamente diffusa secondo il
Japanese National Institute of Infectious Diseases, il quale l’ha rilevata nei viaggiatori
Brasiliani approdati in Giappone
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; e questa, designata come B.1.1.248, insieme alla
mutazione E484K, possiede le seguenti a livello della proteina S: L18F, T20N, P26S, D138Y,
R190S, K417T, N501Y, D614G, H655Y, T1027I e la V1176F (NIID,
https://www.niid.go.jp/niid/en/2019-ncov-e/10108-covid19–33-en.html). Questa variante
probabilmente emerge dalla regione Amazzonica del Brasile. Per questo motivo Naveca et al.
l’hanno denominata 28-AM-II. In più, un’ulteriore variante, che condivide le mutazioni
K417T, E484K, N501Y, emerge anche (in modo indipendente) da B.1.1.28 ed è chiamata 28-
AM-I. Entrambe le varianti sono anche state definite varianti P.1, come parte di B.1.1.28.
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