Capitolo 1 L’ infezione da Papillomavirus
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1 L’infezione da Papillomavirus
Negli ultimi quindici anni una vasta serie di analisi epidemiologiche e molecolari ha
fornito l’evidenza che Human Papillomavirus (HPV) sia associato a carcinomi delle
regioni anogenitali, incluso il carcinoma cervicale, anale e relative lesioni precancerose.
Il carcinoma invasivo della cervice uterina (Invasive Cervical Cancer, ICC) rappresenta
il quinto tumore più comune a livello mondiale, secondo nelle donne solo al tumore
della mammella, con oltre 470.000 nuovi casi l’anno e 250.000 morti. Numerose
osservazioni stabiliscono che il rischio di sviluppare il cancro alla cervice sia
sessualmente trasmesso.
Una recente indagine condotta su campioni cervicali provenienti da 22 Paesi diversi ha
confermato che il virus del papilloma umano è il principale agente eziologico
responsabile dell’infezione a maggior prevalenza in tutto il mondo [1,2].
È quindi impossibile, oggi, sottostimare l’importanza dell’infezione genitale da HPV e
delle relative conseguenze cliniche.
1.1 Cenni storici
HPV affligge il genere umano da migliaia di anni. Già in tempi antichi, medici Greci e
Romani riferivano lesioni genitali, riconducibili all’odierna descrizione dei condilomi
acuminati, associate all’attività sessuale [3].
Nell’antico Egitto, si poneva fine al fastidio procurato dalle medesime lesioni utilizzano
un ferro incandescente…
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Negli ultimi decenni tra i ricercatori si è fatto più vivo l’interesse verso i
papillomavirus, piccolo gruppo di virus a DNA, molto diffuso in natura. Esso infetta
diversi tipi di vertebrati a livelli superiori della scala evolutiva uomo incluso.
La natura virale delle verruche umane fu la prima volta indicata quasi 100 anni fa da
Ciuffo il quale dimostrò la trasmissione di verruche comuni usando filtrati cell-free [4].
Il primo Papillomavirus (PV) fu scoperto nel 1933 quando Richard Shope riconobbe il
papilloma della coda di coniglio (CRPV) come agente virale eziologico della
papillomatosi nel coniglio [5]. CRPV induceva papillomi che di solito progredivano a
carcinomi nel coniglio domestico.
Questo gruppo di virus si è mostrato refrattario ai classici studi virologici a causa
dell’impossibilità di propagare PV in colture cellulari. Lo sviluppo di tecniche di
clonaggio molecolare tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 permise il
sequenziamento di cloni virali, e grazie all’analisi genetica sistematica i ricercatori
riuscirono a delucidare le funzioni di specifici geni virali. Degli oltre 100 tipi di HPV,
circa 35 infettano le regioni cutaneo-mucose, ed è accertata la loro trasmissione per via
venerea visto che l’infezione si evidenzia nei primi anni successivi al coitarca [6-8].
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1.2 Classificazione e filogenesi
In passato si usava classificare i Papillomavirus nella famiglia delle Papovaviridae sulla
base della struttura del loro capside e della composizione biochimica . La suddetta
famiglia era riconosciuta esser costituita oltre che dal genere A dei Papillomavirus, da
un secondo genere comprendente sia i Poliomavirus sia gli SV40, Simian Vacuolating
Viruses (il termine Papova è l’acronimo di Papilloma, Polioma, Vacuolizzante).
Attualmente si ritiene più corretto includere i Papillomavirus in un’unica famiglia
famiglia (Papillomaviridae).
Studi filogenetici attribuiscono ai papillomavirus un’origine molto antica, parallela a
quella delle prime specie di vertebrati, e un’elevata stabilità genetica [9].
Si è potuto documentare come i papillomavirus umani abbiano seguito l’ospite Homo
Sapiens nelle sue primordiali migrazioni attraverso i continenti, mantenendo intatto il
proprio genoma. I geni maggiormente conservati sono E1 ed L1.
Dall’esame dell’albero filogenetico (Figura 1) a carico della sequenza del gene L1 di
tutti i papillomavirus completamente caratterizzati, è possibile osservare una
suddivisione in 5 supergruppi: A, B, C, D, E.
I supergruppi A e B comprendono tutti i tipi di HPV associati rispettivamente ad
infezioni genitali e a epidermodisplasia verruciforme (EV); i supergruppi C e D si
riferiscono ai papillomavirus animali; il supergruppo E comprende alcuni HPV cutanei
e papillomavirus animali.
Fino ad oggi, sono stati descritti circa 100 tipi distinti di Papillomavirus umani sulla
base di test di cross-ibridizzazione [10]. La classificazione dei tipi viene condotta
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mediante confronto della sequenza nucleotidica di specifiche regioni del genoma virale
(ORFs E6, E7, L1); in particolare, secondo i criteri di classificazione della
Papillomavirus Nomenclature Commitee, un nuovo tipo di papillomavirus deve
presentare una divergenza maggiore del 10% rispetto alle sequenze nucleotidiche delle
ORFs E6, E7 ed L1 dei tipi virali noti [11].
Vengono considerati come varianti i campioni dello stesso tipo che differiscono nella
loro sequenza nucleotidica fino a 5% rispetto al prototipo, mentre se differiscono dal 5
al 10% vengono considerati come sottotipi [12].
Sulla base del tropismo cellulare gli HPV sono suddivisibili in due gruppi: HPV cutanei
ed HPV mucosali. Gli HPV associati ad infezioni genitali sono poi distinti in HPV a
“basso rischio” (LR-HPV: tipi 6, 11, 34, 40, 42, 43, 44, 53, 54, 61, 70, 72, 81), HPV ad
“alto rischio” (HR-HPV: tipi 16, 18, 26, 31, 33, 35, 39, 45, 51, 52, 58, 59, 66, 68, 73,
82) in base alla capacità di provocare lesioni intraepiteliali squamose di basso (L-SIL:
Low-Squamous Intraepithelial Lesions) o alto (H-SIL: High-Squamous Intraepithelial
Lesions) grado, ed una trasformazione maligna delle stesse [13-15].
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Figura 1: Albero filogenetico a carico della sequenza del gene L1
(Da HPV compendium, 1997)
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1.3 Descrizione morfologica e strutturale del virus
Il virione è una piccola particella del diametro di 52-55 nm a simmetria icosaedrica che
si replica nel nucleo di cellule epiteliali squamose.
Contiene solamente DNA e proteine, e mostra una densità in CsCl di 1,34 g/ml ed un
coefficiente di sedimentazione di 300S.
E’ privo di envelope e ciò giustifica la resistenza di HPV (e di PV in genere) al calore e
ai solventi organici.
Il capside proteico è composto da 72 capsomeri (60 esameri e 12 pentameri) disposti in
una struttura asimmetrica destrorsa (HPV) o sinistrorsa (papilloma della coda del
coniglio). I capsomeri sono connessi alla base da ponti fibrosi. Il capside è formato da
due proteine strutturali codificate dalla regione “tardiva” del genoma: la proteina
maggiore, L1, con un peso molecolare di 55 KD e la proteina minore, L2, con un peso
molecolare di circa 70 KD. Le proteine L1 e L2 sono presenti nel capside
rispettivamente con un rapporto di 30:1 (Figura 2) [16, 17].
Il genoma è costituito da una singola molecola di DNA a doppia elica circolare chiusa
di circa 7,9 Kpb (variabile a seconda del tipo virale). Il DNA virale risulta associato a
proteine istoniche cellulari a formare un complesso “cheratina-simile” [18].
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Figura 2: Struttura di Papillomavirus
1.4 Organizzazione genomica
Tutti i papillomavirus presentano una organizzazione genomica simile (Figura 3). Il
genoma virale contiene approssimativamente dieci Open Reading Frames (ORFs)
localizzate su uno dei filamenti del DNA e sono denominate precoci (early = E) e
tardive (late = L) in base alla posizione che occupano nel genoma. Più in dettaglio, il
genoma di HPV contiene sei ORFs di tipo E (E6, E7, E1, E2, E4, E5) e due di tipo L
(L1, L2). La posizione, la lunghezza e la funzione di molte di queste ORFs sono ben
conservate tra i vari papillomavirus; i geni risultano parzialmente sovrapposti.
Le ORFs precoci sono espresse nelle fasi non produttive dell’infezione e codificano per
le proteine necessarie alla replicazione e alla trasformazione cellulare; le ORFs tardive
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sono espresse solamente nelle fasi produttive dell’infezione negli strati più superficiali
degli epiteli e codificano per le proteine strutturali. E’ inoltre presente una regione non
codificante di circa 1 Kb denominata Long Control Region (LCR) che contiene gli
elementi in cis necessari per la replicazione e trascrizione virale [19].
Figura 3: Organizzazione genomica di HPV-16
I promotori sono localizzati nella regione precoce e in quella non codificante. In HPV di
tipo 16 e HPV di tipo 18 è stata messa in evidenza la presenza di un promotore nella
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porzione a monte della regione precoce che è coinvolto nella regolazione
dell’espressione dei geni tardivi, insieme al sito di poliadenilazione dei trascritti precoci
[20].
La LCR dei papillomavirus contiene gli elementi enhancer che rispondono ad una
varietà di fattori cellulari come anche a fattori regolatori virali.
Nell’enhancer di HPV sono stati individuati siti di legame per diversi fattori
trascrizionali ubiquitari come per esempio Activator Protein 1 e 2 (AP1e AP2), e siti di
legame per recettori di ormoni glucocorticoidi e progestinici [21,22]. Il progesterone
promuove l’attivazione di fattori trascrizionali per E6 ed E7, necessari per la
trasformazione cellulare. Dal momento che l’ormone femminile nel corso della vita
raggiunge diversi livelli durante l’ovulazione, la gravidanza, o, in seguito a
somministrazione di contraccettivi orali, si potrebbe pensare che esso sia uno dei fattori
favorenti la progressione in senso tumorale in soggetti HPV-positivi.
Inoltre è stato identificato un fattore trascrizionale specifico dell’epidermide, Epidermal
octamer-binding factor 1 (Epoc-1), che è presente in concentrazioni più elevate negli
strati differenziati ed è capace di attivare il promotore per le proteine E6 e E7.
1.5 Ciclo replicativo
I Papillomavirus presentano uno specifico tropismo per le cellule epiteliali squamose.
L'infezione produttiva di questi virus si esplica in una fase precoce e in una fase tardiva
che interessano strati differenti dell'epitelio.
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Durante lo stadio precoce, a livello delle cellule epiteliali squamose basali, avvengono i
processi di internalizzazione del virus, di trascrizione dei fattori necessari per la
replicazione virale e di replicazione plasmidica del genoma virale.
Durante lo stadio tardivo, a livello delle cellule epiteliali differenziate, si svolgono i
processi di replicazione vegetativa del genoma virale, la sintesi delle proteine del
capside e l'assemblaggio del virione.
La stretta dipendenza del ciclo replicativo dalla differenziazione cellulare ha reso
difficile l'allestimento di un sistema di coltura in vitro, per cui risultano scarse le
informazioni riguardanti l'attacco, l'internalizzazione e il disassemblaggio del virus: è
noto comunque che il legame del virus alla superficie cellulare dipende dalla proteina
maggiore del capside L1, mentre non è richiesta la L2 [23,24].
La natura del recettore presente sulla superficie cellulare non è stata ancora chiarita,
anche se verosimilmente i Papillomavirus legano un recettore ampiamente espresso e
conservato. I PV infatti possono legare un'ampia varietà di tipi cellulari oltre le cellule
epiteliali squamose. Quindi, lo specifico tropismo di questi virus per i cheratinociti
sembra non dipendere da un recettore cellulare tipo-specifico ma piuttosto dalla
permissività delle cellule infettate alla trascrizione e replicazione virale.
1.5.1 Fasi precoci del ciclo replicativo
I virus possono entrare nella cellula seguendo diverse pathways di internalizzazione, e
questa varietà può dipendere dalle interazioni con recettori primari di attacco. Gli studi
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volti a fare luce sui meccanismi alla base dell’entrata di HPV nelle cellule si avvalgono
dell’uso di VLPs (Virus-Like-Particles), derivate dall’assemblamento delle proteine
strutturali L1 ed L2 (la proteina L1 da sola è sufficiente per la formazione delle
particelle).
Esse mostrano caratteristiche del tutto simili a quelle della particella virionica e
vengono generalmente espresse in vettori ricombinanti. [25]
Da tempo si sta facendo strada un crescente corpo d’evidenza a favore dell’eparan
solfato nel ruolo di principale recettore per HPV in grado di mediare il legame del
virione [26]. Gli HSPGs (Heparan Sulfate Proteoglycans), proteoglicani di eparan
solfato, interagiscono con l’estremità terminale carbossilica di HPV L1. Nonostante la
loro ampia distribuzione sulla superficie di molti tipi cellulari, essi non sono sufficienti
ad assicurare un’internalizzazione efficiente del virus. Evander et al. [27] hanno
dimostrato che l’alpha-6-integrina viene usata da HPV-6 come recettore per l’ingresso
nella cellula.
Glipicani e sindecani sono le maggiori famiglie degli HSPG di superficie. I primi
contengono un’àncora GPI (glicosil-fosfatidil-inositolo) mentre i sindecani,
proteoglicani transmembrana, sono connessi a componenti del citoscheletro e giocano
un ruolo importante nella trasduzione del segnale; agiscono come fattori di crescita,
regolano vie proteo/lipolitiche e mediano l’internalizzazione di lipoproteine ed altri
ligandi attraverso una via indipendente da coated pits (vescicole rivestite) o da caveole
che vede la partecipazione di vescicole non rivestite [28].
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Risultati di diversi esperimenti suggeriscono che dopo il primo attacco a sindecani,
HPV-33 VLPs siano internalizzati in un compartimento endosomico/lisosomiale. Il
trasporto di HPV verso il nucleo all’interno di endosomi è mediato da microtubuli;
ciò è suggerito dal fatto che mediante utilizzo di nocodazolo, agente
depolarizzante i microtubuli, viene inibito (nelle 6-12 h successive all’infezione) il
trasporto verso il nucleo di HPV-33 VLPs all’interno di endosomi.
Allo scopo di esplorare le vie di entrata di HPV-16, -31, -58 in cellule COS7 infettate
sono stati studiati gli effetti di composti chimici quali cloropromazina, inibitore della
via clatrina-dipendente, e nistatina, che distrugge microdomini di membrane caveolari
ricche in colesterolo [29]. Le osservazioni hanno stabilito che gli pseudovirioni HPV-31
intraprendano una via dipendente da caveole. Vescicole costituite da caveoline, proteine
di 22 KD, sono state descritte facenti parte dell’entry-pathway di un numero sempre
maggiore di virus privi o dotati di envelope, come SV40, virus sinciziale respiratorio e
filovirus [30]. Differentemente ad HPV-31 e -33, HPV-16 e -58 sono internalizzati
mediante una via che coinvolge vescicole rivestite da clatrina, come accade per molti
virus sprovvisti di involucro.
Dopo che il capside virale viene disassemblato in capsomeri (evento necessario per
l’importazione nucleare) [31] nel citoplasma, il genoma virale giunge a livello del
nucleo dove avviene la trascrizione della regione precoce (E1, E2, E5, E6, E7) grazie
all'intervento di specifici fattori trascrizionali cellulari che agiscono su precisi siti
presenti a livello della LCR.
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Gli mRNA vengono trasportati nel citoplasma e qui vengono tradotti dall'apparato
traduzionale cellulare. Le proteine precoci sono successivamente riportate nel nucleo ad
eccezione della proteina E5 che rimane a livello nucleare dove svolge la sua funzione.
L’interazione delle due proteine precoci (E1 ed E2) è un momento cruciale per l’inizio
della fase replicativa del virus [32, 33].
I papillomavirus presentano due modalità diverse di replicazione:
Plasmidica, che si svolge nelle cellule epiteliali basali e che assicura la persistenza
dell'infezione mantenendo il DNA virale nella forma episomica.
Vegetativa, che si svolge nelle cellule differenziate dell'epitelio e che dà origine al
genoma che verrà incapsidato nella progenie virionica.
La replicazione plasmidica di DNA può essere divisa in due fasi:
a) fase di amplificazione, durante la quale si passa da un basso numero di copie
del genoma ad un numero più elevato (da 50 a 400 copie per cellula);
b) fase di mantenimento, durante la quale questo numero di copie rimane
relativamente costante.
Le proteine E1 ed E2 sono gli unici prodotti genici codificati dal virus necessari per
dare inizio alla replicazione a partire dall’origine virale di replicazione (ori).
L'origine di replicazione, utilizzata sia nella replicazione plasmidica sia in quella
vegetativa, è localizzata a livello della LCR e risulta costituita da una regione ricca di
A/T e da molti siti di legame per la proteina E2 (E2BS), caratterizzati da elevata
omologia di sequenza che fiancheggiano un meno conservato sito di legame per E1
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(E1BS). La cellula ospite fornisce il macchinario e tutti gli altri substrati necessari per
la replicazione [34].
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1.5.2 Proteine della regione Early
Proteina E1
E1 è l’Open Reading Frame più estesa del genoma di tutti i Papillomavirus, risulta ben
conservata. Il gene E1 codifica per due polipeptidi ottenuti per splicing alternativo: una
fosfoproteina nucleare di 68 KD funzionalmente attiva che corrisponde all'intera
sequenza del gene; una proteina di 27 KD, codificato dalla porzione 5' del gene, inattiva
e a funzione ignota. La proteina E1 ha un’attività elicasica ATP-dipendente, che
permette lo svolgimento del genoma virale per la replicazione genomica, ed un’attività
ATPasica DNA-dipendente, che permette di legare il DNA in modo sito-specifico. La
proteina E1 è un fattore critico per la replicazione dei papillomavirus: infatti, si lega in
modo specifico all'origine di replicazione [35] con una affinità che viene aumentata dal
legame di E2. Inoltre, E1 interagisce con la DNA polimerasi -primasi permettendo
l'associazione di tutti gli altri fattori che andranno a costituire insieme all'elicasi virale il
complesso di inizio della replicazione [36-37]. Domini amino- e carbossiterminali sono
implicati nel legame ad E2 ma numerosi studi hanno indicato che il dominio C-
terminale di E1 è sufficiente per l’interazione con TAD (Trans Activation Domain) di
E2, ma non così efficiente come l’intera proteina [38].
L’RNA messaggero da cui HPV-18 è espresso non è noto. È stato dimostrato che in
cellule eucariotiche, E1 è espressa da trascritti policistronici contenenti le ORFs di E6,
E7 ed E1. La traduzione di E7 ed E1 non è associata: è attuata da popolazioni di
ribosomi separate. Uno stampo policistronico è complicato per l’operato dell’apparato
ribosomiale. La traduzione di E1 avviene mediante un meccanismo di scansione in cui