2
La trattazione continua, infatti, con l’analisi dei profili processuali: in 
primis, si illustreranno le finalità, le modalità e i contenuti degli accertamenti 
peritali, e poi, come logica conseguenza, la controversa questione relativa 
agli ospedali psichiatrici giudiziari e alle case di cura e di custodia. 
Una volta tracciato il suddetto quadro complessivo, si ritiene 
fondamentale rendere conto delle evoluzioni del concetto stesso di infermità 
mentale, sia a livello di scienza psichiatrica, sia nella giurisprudenza; si 
affronteranno, così, la “svolta” interpretativa rappresentata dalla nota 
“sentenza Raso”
1
; dopodichè si esporranno le prospettive di riforma in tema 
di imputabilità contenute nei vari progetti di riforma del codice penale 
presentati negli ultimi anni. 
Giunti a questo punto, si considera necessario, al fine di fornire 
esemplificazioni pratiche della questione, procedere con lo studio di alcuni 
casi in cui è venuta in rilievo, a torto o a ragione, la questione dell’infermità 
mentale (vera, presunta o simulata). Si ritiene che questo sia il modo 
migliore per dimostrare le implicazioni e le conseguenze reali che  
l’infermità mentale ha nei processi penali italiani, in modo da poter poi 
dedurre le relative conclusioni. 
Il terzo ed ultimo capitolo affronterà, invece, la questione 
dell’infermità mentale in ambito internazionale. 
In una prima sezione si è scelto di esaminare, su tutte, la disciplina 
francese e quella inglese, le concezioni adottate da questi due sistemi nonché 
le eventuali evoluzioni di tali concezioni, accompagnate da alcuni rilievi 
critici. 
La seconda sezione, infine, sarà dedicata allo Statuto della Corte 
Penale Internazionale; si analizzeranno le varie cause di esclusione della 
responsabilità penale (tra cui il mental disease or defect) nel complesso 
sistema dei core crimes. Non mancheranno, anche in questo ambito, alcuni 
riferimenti alla casistica e alle pronunce dei Tribunali ad hoc (Tribunale 
penale internazionale per i crimini commessi in Rwanda [T.P.I.R.] e 
                                                 
1
 Cass., Sez. Un. pen., 25 gennaio 2005, Raso, in Foro it., 2005, vol. II. 
 
 3
Tribunale penale internazionale per i crimini commessi nella ex-Jugoslavia 
[T.I.P.Y.]. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 4
 
 
 
 
 
CAPITOLO I 
IMPUTABILITÀ IN GENERALE 
 
1. Breve excursus storico 
Il problema relativo alla nozione di “imputabilità”, al significato 
della necessità della sua presenza ai fini dell’attribuzione al fatto commesso 
dal soggetto di determinate conseguenze giuridiche penali e alla sua 
collocazione sistematica è stato da sempre oggetto dell’attenzione dei 
penalisti, ed ha assunto ulteriore rilievo dopo l'approvazione del vigente 
codice penale
2
. 
Il precedente codice, infatti, non definiva esplicitamente 
l’imputabilità né il dolo e la colpa. L’art. 45 del codice del 1889 stabiliva  
che “nessuno poteva essere punito per un delitto, se non aveva voluto il 
fatto, (...), come conseguenza della sua azione od omissione”, e il successivo 
art. 46 si limitava a richiedere, ai fini della punibilità, che il soggetto al 
momento del fatto non si trovasse “in tale stato di infermità di mente da 
togliergli la coscienza o la libertà dei propri atti”; nelle disposizioni 
successive il legislatore del 1889 si occupava poi delle ipotesi dirimenti e 
dell’imputabilità e dell’elemento soggettivo del reato
3
. 
                                                 
2
 Il legislatore del 1930 utilizza una terminologia nuova rispetto a quella del codice 
Zanardelli, e introduce una distinzione concettuale e sistematica tra “imputabilità” e forme 
soggettive del reato.  
3
 G. MARINI, voce Imputabilità, in Dig. disc. pen., VI, 1992, p. 244. 
 5
Il legislatore del 1930, ufficialmente, non ha aderito né alle 
conclusioni della Scuola classica
4
 né a quelle della Scuola positiva
5
. Da una 
parte, infatti, l’attuale codice penale ammette la natura di reato dei fatti 
conformi ad un modello criminoso commessi dal soggetto, dall’altra, 
mantenendo ferma la comminazione della pena, prevede 
contemporaneamente, per i soggetti che abbiano agito in stato di incapacità 
di intendere o di volere, una sanzione ispirata a fini “terapeutici” e di 
prevenzione 
6
. 
Schematizzando, nella sua travagliata esistenza l’imputabilità, come 
capacità di libera autodeterminazione ha visto delinearsi tre orientamenti 
fondamentali
7
:  
1) il maggioritario orientamento riformista dell’imputabilità, che ne 
difende la conservazione come categoria, ma ne richiede adeguamenti alle 
nuove conoscenze scientifiche; esso è condiviso sia dalla pressoché unanime 
                                                 
4
 La Scuola classica fonda l’imputabilità e la pena sul “libero arbitrio” e quindi ritiene che 
gli individui immaturi o affetti da gravi anomalie psichiche, non essendo liberi, non 
possono essere puniti, mentre la pena deve essere diminuita quando la libertà è 
notevolmente ridotta, ma non esclusa del tutto. Così, G. CARMIGNANI, F. CARRARA. 
5
 La Scuola positiva, respingendo il principio della responsabilità individuale, nega la 
categoria dell’imputabilità sostituendola con quella della responsabilità sociale. Così, E. 
FERRI, G. FIANDACA – E. MUSCO. 
6
 Altre note teorie elaborate dalla dottrina sono: la “teoria della normalità”, che concepisce 
l’imputabilità come normale facoltà di determinarsi, per cui imputabile è solo l’uomo che 
reagisce normalmente ai motivi, e quindi l’uomo sano e maturo; la “teoria dell’identità 
personale”, per cui l’imputabilità consiste nell’appartenenza dell’atto all’autore e sussiste 
quando il fatto è espressione della personalità dell’agente, mentre manca quando viene 
meno nel soggetto il potere di manifestarsi secondo il proprio Io; la “teoria 
dell’intimidabilità” per cui l’imputabilità è la capacità di sentire l’efficacia intimidatrice 
della pena , per cui non sono imputabili gli immaturi, gli infermi di mente ed assimilati 
perchè incapaci di subire la coazione psicologica della pena. Noti sono anche i limiti di tali 
teorie: il concetto di “uomo normale” è piuttosto evanescente ed inoltre porterebbe ad 
esentare dalla pena molti dei delinquenti più pericolosi che spesso presentano talune 
anomalie psichiche; inoltre anche l’azione dell’infermo di mente o del minore rispecchia la 
sua personalità e ne costituisce un’espressione; anche i bambini e i pazzi, entro certi limiti 
sono passibili di intimidazione. Si è dunque cercato di fondare l’imputabilità sulla 
“concezione comune della responsabilità umana”, essendo opinione generale che un uomo, 
per poter rispondere dei propri atti davanti alla legge penale, deve aver raggiunto un certo 
sviluppo intellettuale e non essere infermo di mente et similia, ripugnando sottoporre a pena 
chi non è compos sui. (In tal senso vedi F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Parte 
generale, Milano, Giuffrè, 2000, 15° ed. aggiornata ed integrata a cura di L. CONTI, pp. 609 
ss.; e F. MANTOVANI, Diritto penale, Parte generale, Padova, Cedam, 2006.) 
7
 F. MANTOVANI, ID., p. 622 ss. 
 6
“scienza penale”
8
 sia dalla prevalente “scienza psichiatrica”, che appare 
concordare sull’improponibilità di una spiegazione monocausale 
dell’imputabilità
9
; 
2) la minoritaria tesi riduzionista dell’imputabilità, che prospetta le 
varie ipotesi di abolizione del vizio parziale di mente, causa delle più 
eclatanti incertezze applicative, e di un utilizzo del vizio totale per i casi 
estremi; oppure propone l’eliminazione del vizio totale; o ancora 
l’eliminazione del principio della non imputabilità considerando il disturbo 
mentale come motivo di attenuazione della pena; 
3) la marginale tesi abolizionistica dell’imputabilità, che propugna 
l’eliminazione della distinzione tra imputabili e non imputabili e la loro 
equiparazione ai fini della responsabilità penale. Ciò perchè la psichiatria 
non è in grado di definire la capacità di intendere e di volere di cui parla il 
diritto penale, e di quantificare tale residua capacità nei malati psichici
10
. 
Si può dire  che,  nel  sistema  introdotto  dal  codice  Rocco, è                                    
sostanzialmente rimasto  fermo il postulato, tipico della Scuola classica, 
della piena responsabilità del soggetto  che  abbia  agito liberamente, ossia 
senza  l’interferenza di  fattori  che esulino  dalla  sua  volontà. Ciò,  però,  
non ha impedito  al  legislatore  di estendere l’ambito della  rilevanza penale 
all’illecito realizzato da soggetti privi di tale libertà, predisponendo  appunto 
un  apposito trattamento di prevenzione speciale, utilizzato nei  casi  in  cui  
emergano  indizi  di un  modo  di essere  “socialmente  pericoloso” 
(abitualità, professionalità, tendenza a delinquere)
11
. 
 
                                                 
8
 Per la quale l’imputabilità è il presupposto fondamentale della colpevolezza e la 
distinzione tra imputabile e non imputabile il presupposto della pena (sia avente funzione 
preventiva che retributiva). 
9
 Sulla base delle indicazioni delle scienze psichiatriche la dottrina e le legislazioni penali 
sono orientate per un ampliamento dei disturbi psichici che possono escludere o diminuire 
l’imputabilità, e anche della loro elencazione ( soluzione adottata dal codice tedesco, e poi 
da quelli austriaco, spagnolo e francese, che includono tra tali disturbi le alterazioni mentali 
patologiche, i profondi disturbi della coscienza, le deficienze intellettive, ma anche le gravi 
anomalie psichiche). 
10
 Detto modello fu adottato in tempi remoti da qualche rara legislazione (es. dalla legge 
svedese del 1975 e di qualche stato statunitense) nonché in Italia dalla proposta di legge n. 
177/ 1983, ripresa dalla proposta n. 151/1996.  
11
 G. MARINI,  voce Imputabilità, op. cit., p. 249. 
 7
     2. Profili problematici                       
      L’art. 85 del c.p. stabilisce che “nessuno può essere punito per un 
fatto preveduto dalla legge come reato, se, al momento in cui lo ha 
commesso, non era imputabile”. Al secondo comma, lo stesso articolo 
precisa che “è imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere”. 
      Dal primo comma dell’art. 85 risulta che l’imputabilità è una 
qualifica soggettiva, richiesta perché al soggetto possa venire attribuito un 
illecito sanzionato con pena.  
      Tuttavia, il contenuto naturalistico dell’imputabilità, costituito 
dalla capacità di intendere e di volere, ha indotto la dottrina a sistemazioni 
diverse e contrastanti. 
Uno degli aspetti maggiormente dibattuti è quello relativo ai rapporti 
tra imputabilità e colpevolezza
12
: più precisamente, si discute se 
l’imputabilità sia  presupposto o requisito della colpevolezza (cd. concezione 
normativa) oppure no   (cd. concezione psicologica). 
 
2.1 Concezione psicologica dell’imputabilità 
Una parte della dottrina propende per questa concezione e quindi per 
la piena autonomia del giudizio sulla colpevolezza rispetto a quello sulla 
capacità di intendere e di volere
13
. Secondo la  cd. concezione psicologica, la 
colpevolezza consiste in un nesso psichico fra l’agente e il fatto esteriore. 
La suddetta tesi si basa su molteplici considerazioni; innanzitutto 
l’inesistenza di qualsiasi norma che, direttamente o indirettamente, possa 
precludere nei confronti dei soggetti non imputabili l’applicazione di tutte 
quelle disposizioni che attengono alla riferibilità del fatto al suo autore, quali 
                                                 
12
 E’ opportuno sottolineare che la nozione di “colpevolezza” è tutt’altro che chiara e 
univocamente costruita; è stata nel tempo identificata con il genus avente a species le forme 
soggettive di imputazione del reato (dolo e colpa), o con la valutazione operata 
dall’ordinamento nei confronti dell’atteggiamento soggettivo, doloso o colposo, nei 
confronti del fatto, o con il “torto”, o con il modo di essere della volontà dell’autore nei 
confronti dell’ordinamento, o con la “capacità criminale”. 
13
 In tal senso: F. ANTOLISEI, Manuale, cit., p. 324 ss.; M. GALLO, Il concetto unitario di 
colpevolezza, Milano,  Giuffrè, 1951; G. MARINI, Lineamenti del sistema penale, Torino, 
Giappichelli, 1993, p.321; A. PAGLIARO, Principi di diritto penale, Parte generale, Milano, 
Giuffrè, 2003, p. 180. 
 8
gli artt. 42, 45 e 46 c.p., per cui non potrebbe essere applicata, ad esempio, la 
misura del riformatorio giudiziario ad un minore che sia stato costretto a 
commettere un furto mediante una violenza fisica irresistibile, come non 
potrebbe ordinarsi il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario di un pazzo 
che abbia cagionato la morte di una persona per forza maggiore
14
. Sul punto 
si ritiene in ogni caso  decisiva la disciplina di cui agli artt. 222 e 224 del 
codice
15
. Queste norme fissano, per le misure di sicurezza, dei minimi di 
durata a seconda della gravità del reato, la quale va desunta, per l’art. 133 
c.p., dall’intensità del dolo o dal grado della colpa: da questo argomento i 
fautori della concezione psicologica fanno discendere l’impossibilità di 
escludere la configurabilità del dolo e della colpa nei confronti dei soggetti 
incapaci di intendere e di volere
16
.  
In verità, si è replicato che l’incapace può sì agire intenzionalmente, 
mai però con dolo, per cui i fatti e i momenti psichici che assumono rilievo 
anche in relazione al comportamento del non imputabile sarebbero 
“intenzione” ma non “dolo”, mancata rappresentazione delle conseguenze 
della propria condotta ma non “colpa”
17
.  
Gli scrittori maggiormente aderenti al dato normativo
18
 hanno 
rilevato come il legislatore non abbia offerto una duplice nozione degli 
elementi soggettivi, a seconda che essi siano realizzati da un imputabile o un 
non imputabile, ma li abbia piuttosto costruiti con formulazioni di validità 
generale, non incompatibili con l’azione dell’incapace di intendere e di 
volere, per cui si sarebbe inevitabilmente fuori dal sistema se venissero 
considerate concepibili solo in rapporto a persone mature e psichicamente 
sane. 
                                                 
14
 F. ANTOLISEI, Manuale, cit., p. 326.  
15
 Vedi A. CRESPI, voce Imputabilità, in Enc. dir.,vol. XX, p. 767. 
16
 Poiché appunto il giudice non potrebbe applicare quelle disposizioni senza accertare se il 
fatto compiuto dall’incapace fosse doloso piuttosto che colposo. 
17
 In tal senso, B. PETROCELLI, La colpevolezza, Padova, Cedam, 1951, p.100-101.   
18
 Così M. GALLO, Capacità penale, in Nss. dig. it., II, 1958, p. 880 ss. 
 9
Per cui, la conclusione di questa parte della dottrina è che, se dolo e 
colpa non implicano necessariamente l’imputabilità dell’agente, questa non 
può essere considerata come presupposto od elemento della colpevolezza
19
. 
Tale posizione è supportata da una datata pronuncia 
giurisprudenziale
20
, che, andando oltre il merito della questione decisa
21
, 
considerò fuori discussione che l’imputabilità sia collegata alla 
colpevolezza, non però per costituirne un presupposto, ma più 
semplicemente come “attributo di particolare qualificazione”; e cioè, “nel 
sistema in vigore non è sufficiente (pur se necessario) che l’autore abbia 
agito con dolo, preterintenzione o colpa, ponendosi così in uno specifico 
atteggiamento psicologico nei riguardi dell’evento criminoso, ma occorre 
altresì che codesto meccanismo interiore si sia acceso in una persona 
imputabile, cioè subiettivamente capace di autodeterminarsi per motivi 
coscienti, conformi alle molteplici esigenze dell’ordinamento giuridico”. Di 
conseguenza, nei casi in cui “il requisito della colpevolezza richiesto dalle 
singole norme incriminatrici, si presenti scompagnato dall’imputabilità, 
l’ordinamento giuridico reagisce con misure preventive, prescelte in 
rapporto ai diversi aspetti del dato psicologico, propri delle singole 
fattispecie in concreto realizzate, e che avrebbero reso possibile la pienezza 
dell’illecito a parte subiecti, ove fosse concorso anche il fattore 
dell’imputabilità”. 
Risulta dunque chiaro come, ordinando così le molteplici componenti 
del reato, sia sembrato evidente che la valutazione dell’imputabilità dovesse 
necessariamente aver luogo soltanto quando l’indagine sugli altri requisiti, 
condotta in una fase anteriore, si fosse conclusa con esito positivo. Per cui, 
se il fatto tipico non sussiste o non è stato commesso o risulta giustificato da 
una scriminante, il giudice non ha necessità di appurare se esista o meno 
                                                 
19
 Tale conclusione (per questa parte della dottrina) risulta confermata dalla sistemazione 
dell’istituto nell’àmbito delle norme che si occupano del reo e non di quelle che si 
occupano dell’elemento soggettivo del reato. 
20
 Cass., 9  novembre 1967, in Cass. pen. mass., 1968, p.1085. 
21
 Inammissibilità della dichiarazione di non imputabilità dell’autore, con conseguente 
sottoposizione dello stesso a misure di sicurezza quando il fatto ascrittogli non costituisse 
reato per mancanza di un elemento costitutivo. 
 10
l’imputabilità del soggetto, essendo un dato  di comune esperienza che anche 
l’infermo di mente o l’ubriaco possono agire, fra l’altro, in condizioni di 
legittima difesa o in stato di necessità: per cui non sarebbe corretto, 
anticipando l’indagine sull’imputabilità, sottoporre il soggetto a misura di 
prevenzione contro la pericolosità
22
 . 
Stabilito che l’imputabilità non è un requisito della colpevolezza, 
questa dottrina compie un passo avanti per definire la funzione effettiva 
della capacità di intendere e di volere
23
, individuandola nella condizione 
necessaria per l’assoggettabilità del reo alla pena; più precisamente, ciò che 
ai fini dell’applicazione della pena ha importanza, non è tanto l’assenza delle 
ipotesi, espressamente previste, di non imputabilità
24
, quanto, invece, la 
presenza della capacità di intendere e di volere, alla quale il nostro 
ordinamento ha riconosciuto una precisa funzione discriminatrice fra le 
conseguenze giuridiche del reato. Pertanto, purché sussista suddetta capacità, 
ogni altra e diversa facoltà psichica, e le relative anomalie, non hanno 
influenza sulla imputabilità. Tutto ciò conferma che la mancanza di solo uno 
dei due presupposti dell’imputabilità renderebbe impossibile, in pratica, 
l’applicazione della pena all’autore di un fatto previsto dalla legge come 
reato. 
Per converso, la presenza di quegli stessi presupposti non esclude 
che, oltre alla pena, sia applicata la misura di sicurezza, o anche 
esclusivamente quest’ultima: l’espressione “non punibile” contenuta negli 
                                                 
22
 A. CRESPI, voce Imputabilità, cit., p. 769. 
23
 F. ANTOLISEI, Manuale, cit., p. 608: “Capacità di intendere non è la semplice attitudine 
del soggetto a conoscere ciò che si svolge al di fuori di lui, ma la capacità di rendersi conto 
del valore sociale dell’atto che si compie. Non è necessario che l’individuo sia in grado di 
giudicare che la sua azione è contraria alla legge: basta che possa genericamente 
comprendere che essa contrasta con le esigenze della vita in comune. Capacità di volere 
significa attitudine della persona a determinarsi in modo autonomo, resistendo agli impulsi: 
più precisamente, facoltà di volere quello che si giudica doversi fare. Esistono, infatti, degli 
individui che sanno discernere il bene dal male, ma non sono in grado di determinarsi di 
conseguenza, vale a dire in conformità del proprio giudizio. Sono questi i casi in cui esula 
la capacità di volere. Affinché sussista l’imputabilità occorre il concorso dell’una e 
dell’altra capacità: se una sola manca, il soggetto non è imputabile”. 
24
 Le quali ipotesi sarebbero, anzi, non tassative; in tal senso M. BOSCARELLI, Analogia e 
interpretazione estensiva nel diritto penale, Palermo, Priulla, 1955, p. 137 ss. 
 11
artt. 85 ss. va dunque intesa nel senso di “non assoggettabile a pena”, e non 
nel senso, più ampio e generico, di “non assoggettabile a sanzione penale”
25
. 
Un cenno meritano le discussioni esistenti in dottrina circa i rapporti 
tra imputabilità e reato, risolte da autorevoli studiosi
26
 nel senso che, 
considerando “reato” il fatto conforme al modello e lesivo di un interesse 
protetto cui consegue una sanzione riportabile all’ordinamento penale, esso 
sussiste indipendentemente dalla presenza o assenza dell’imputabilità, la cui 
rilevanza assume significato esclusivamente ai fini della specializzazione o 
no della sanzione. 
Secondo i fautori della “concezione psicologica”, infine, non può 
neanche accettarsi quell’orientamento
27
 per cui la capacità di intendere e di 
volere sarebbe solo il momento potenziale della “coscienza e volontà 
dell’azione od omissione”
28
; un’autorevole dottrina ha a suo tempo 
dimostrato che l’espressione “coscienza e volontà dell’azione od omissione” 
è formula con la quale il legislatore null’altro vuole indicare se non il 
momento iniziale delle singole forme di elemento soggettivo del reato, o 
degli elementi di responsabilità soggettiva presenti nelle ipotesi in cui 
“l’evento è altrimenti addebitabile all’agente”
29
.  
 
                                                 
25
 M. PORTIGLIATTI BARBOS – G. MARINI, La capacità di intendere e di volere nel sistema 
penale italiano, Milano, Giuffrè, 1964, p. 42 ss. 
26
 Per tutti vedi F. ANTOLISEI, Manuale, cit., p. 615. 
27
 Autorevolissimo in quanto trova riscontro nella Relazione al Re sul nuovo codice penale. 
28
 Art. 42 primo comma c.p.: “Nessuno può essere punito per un’azione od omissione 
preveduta dalla legge come reato, se non l’ha commessa con coscienza e volontà”. 
29
 Vedi M. GALLO (Appunti di diritto penale, vol. II, parte II, Torino, Giappichelli, 2001, p. 
13): “Non è ipotizzabile una realizzazione sorretta da dolo o da colpa che non passi 
attraverso la fase di un primo atto o di una prima inerzia cosciente e volontaria. Lo stesso 
vale sotto il profilo della preterintenzione, per quanto riguarda la condotta dolosa o colposa, 
inizio della fattispecie preterintenzionale, per le ipotesi che possono ricondursi sotto il 
paradigma della preterintenzione”. Secondo GALLO (Appunti, cit., p. 7 ss.): “sussiste la 
riferibilità dell’azione od omissione a coscienza e volontà, tutte le volte in cui la condotta 
non sia causata da forza maggiore; tale riferibilità va accertata utilizzando il criterio medio 
di massime di esperienze, modellate sull’id quod plerumque accidit”. 
 12
                  2.2 Concezione normativa dell’imputabilità 
Agli antipodi della teoria psicologica troviamo quegli studiosi che 
considerano l’imputabilità un presupposto necessario della colpevolezza
30
; 
più precisamente, l’imputabilità non viene considerata “mera capacità di 
pena”, ma piuttosto “capacità di reato”, o meglio, “capacità di 
colpevolezza”: non vi sarebbe, quindi, colpevolezza senza imputabilità. 
In tale impostazione, il reato è l’illecito commesso da un soggetto 
potenzialmente libero, in grado di rappresentarsi il significato e le 
conseguenze dei propri comportamenti e per questo considerato 
dall’ordinamento responsabile e assoggettabile a pena. Il non imputabile, 
invece, non commetterebbe affatto un reato, ma un fatto tipico antigiuridico 
non colpevole
31
, poiché al dolo e alla colpa non si può aggiungere la 
rimproverabilità del fatto stesso: dunque il soggetto non è responsabile e 
proprio per questo l’ordinamento reagisce, in caso di pericolosità sociale, 
con la sola misura di sicurezza. Ove l’imputabilità manchi, potrà aversi solo 
pericolosità, non colpevolezza
32
. 
Secondo questa tesi, che considera superata la sistematica del codice, 
il dolo e la colpa sono necessari nel fatto del non imputabile come requisiti 
essenziali del fatto che determina l’applicazione della misura di sicurezza: 
dunque sarebbe esatto l’assunto per cui dolo e colpa possono ravvisarsi 
anche nel fatto del non imputabile, ma errato ritenere che il dolo e la colpa 
esauriscano la colpevolezza e siano sufficienti a trasformare il fatto del non 
imputabile in un fatto colpevole e perciò in un reato. Si conviene comunque, 
che il dolo e la colpa del fatto del non imputabile non coincidono del tutto 
con il dolo e la colpa del fatto del soggetto capace di intendere  e di volere
33
. 
                                                 
30
 G. FIANDACA- E. MUSCO, Diritto penale, Parte generale, Bologna, Zanichelli, 1995, p. 
284; B. PETROCELLI,  La colpevolezza, Padova, Cedam, 1962, p. 19; M. ROMANO- G. 
GRASSO, Commentario sistematico del codice penale, Milano, Giuffrè, 1996; parzialmente 
differente (elemento della colpevolezza): G. BETTIOL- L. PETTOELLO MANTOVANI, Diritto 
penale, Parte generale, Padova, Cedam, 1986, p. 455.   
31
Così F. BRICOLA, Fatto del non imputabile e pericolosità, Milano, Giuffrè, 1961, p.15; 
contra  G. MARINUCCI, Il reato come azione, Milano, Giuffrè, 1971, p.165. 
32
 M. ROMANO- G. GRASSO, Commentario, cit. 
33
 F. MANTOVANI, Diritto penale, cit., p. 287. 
 13
Di fronte agli art. 222 e 224 c.p.
34
 (con la mediazione dell’art. 133 
c.p.), questa parte della dottrina sottolinea la duplice circostanza - per la 
colpa - che al non imputabile non può rimproverarsi “soggettivamente” la 
violazione della regola di diligenza; - per il dolo - che l’errore di fatto o di 
diritto extrapenale sul fatto costitutivo del reato, quando sia dovuto 
esclusivamente alla stessa incapacità di intendere e di volere del soggetto 
non può, in un sistema caratterizzato dal doppio binario, essere 
convincentemente valutato a suo favore
35
. 
Emergono dunque delle sostanziali differenze tra i due elementi 
soggettivi con riferimento al non imputabile: la colpa è da intendersi come 
mera violazione della regola oggettiva di diligenza; il dolo può ridursi anche 
soltanto a mera intenzionalità della condotta, quando l’errore di fatto o di 
diritto extrapenale sul fatto costitutivo del reato
36
 sia dovuto esclusivamente 
all’incapacità di intendere o di volere del soggetto. 
Rispetto ai rapporti tra imputabilità e “coscienza e volontà” questa 
dottrina le considera nettamente distinte: la coscienza e volontà esprime il 
“coefficiente di umanità” che consente di considerare l’azione od omissione 
come propria di un soggetto, a lui attribuibile; l’imputabilità, invece, riferita 
al soggetto, è la condizione di questo che consente di connotare l’azione o 
l’omissione, già a lui attribuibile, come azione od omissione colpevole
37
. 
      È opportuno ora procedere ad un’analisi della varie cause di 
esclusione e diminuzione dell’imputabilità. 
 
                                                 
34
 Vedi supra nota 16. 
35
 M. ROMANO – G. GRASSO, Commentario, cit. 
36
 Art. 47, terzo comma, c.p. 
37
 Dunque: coscienza e volontà attengono al fatto tipico, l’imputabilità è capacità di 
colpevolezza ed è quindi da valutare dopo il fatto; soltanto in presenza di un’azione od 
omissione cosciente e volontaria si dovrà verificare se chi l’ha compiuta fosse, al momento 
del fatto, imputabile o meno. 
 14
      3. Cause di esclusione e diminuzione dell’imputabilità  
La legge stabilisce preventivamente i casi in  cui l’imputabilità è 
esclusa o diminuita; le varie cause sono disciplinate dagli artt. 88 – 98 del 
codice penale. 
Si hanno cinque cause di esclusione o diminuzione dell’imputabilità: 
la minore età, il sordomutismo, l’ubriachezza, l’azione di stupefacenti e 
l’infermità     mentale. Per l’esame di quest’ultima categoria si rinvia al 
capitolo successivo. 
 
3.1 La minore età 
Storicamente le legislazioni penali attribuiscono alla minore età 
l’efficacia di escludere o diminuire l’imputabilità; ciò sulla base 
dell’esperienza per cui, solitamente, al di sotto di un certo limite di età 
manca quella “capacità di intendere e di volere”
38
 che rappresenta il fulcro 
del concetto stesso di imputabilità. 
Il nostro codice tratta della minore età in due norme: l’art. 97 c.p e 
l’art. 98 c.p. che corrispondono ad una distinzione dell’età in due periodi. 
L’art. 97 dispone: “Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso 
il fatto, non aveva compiuto i quattordici anni”. Dunque nel caso in cui il 
soggetto agente sia minore di anni quattordici, al momento della 
commissione del fatto, vige una presunzione iuris et de iure che perciò non 
può essere superata nemmeno tramite la prova contraria. L’art. 98 invece 
dispone: “È imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto aveva 
compiuto i quattordici anni, ma non ancora i diciotto, se aveva capacità di 
intendere e di volere, ma la pena è diminuita”. Se ne ricava che per l’azione 
compiuta in tale periodo non opera alcuna presunzione, ma spetta al giudice 
accertare caso per caso se il soggetto aveva quella capacità di intendere e di 
                                                 
38
 Si ricordi, dunque, che la non imputabilità del minore infraquattordicenne è stabilita in 
astratto dal legislatore in base, appunto, all’esperienza sociale; ben può, però, nel soggetto 
stesso riscontrarsi una condizione di maturazione tale da farlo ritenere, naturalisticamente 
(ma comunque  non giuridicamente) in possesso della “capacità di intendere e di volere”. 
Vedi G. MARINI, Digesto, cit., p. 260. 
 15
volere minima richiesta dalla legge per poter essere considerato 
imputabile
39
. 
Il minore non imputabile, sia perché al momento del fatto non aveva 
compiuto gli anni quattordici, sia perché pur avendoli compiuti, è 
riconosciuto privo della capacità di intendere e di volere per immaturità 
mentale, viene prosciolto. La società, tuttavia, non rimane inerte di fronte ai 
pericoli che determinate condotte, provenienti da minori, possono 
ingenerare, perché, trattandosi di un delitto, si applicano le misure di 
sicurezza del riformatorio giudiziario
40
 o della libertà vigilata
41
. 
L’autore del reato che, avendo compiuto gli anni quattordici e non 
ancora i diciotto, sia riconosciuto imputabile, viene invece sottoposto a pena, 
ma questa è diminuita. Qualora il giudice ritenga anche pericoloso il 
soggetto, può ordinare altresì il ricovero successivo in un riformatorio 
giudiziario o disporre che il soggetto sia posto in libertà vigilata
42
; si verifica 
in questo caso il cumulo della pena con la misura di sicurezza
43
. 
 
3.2 Il sordomutismo 
Il precedente codice ravvisava nel sordomutismo uno stato 
necessariamente psicopatologico; oggi l’art. 96 c.p. reagisce a quella vecchia 
opinione stabilendo che “Non è imputabile il sordomuto che, nel momento 
in cui ha commesso il fatto, non aveva, per causa della sua infermità, la 
capacità di intendere e di volere. Se la capacità di intendere e di volere era 
grandemente scemata, ma non esclusa, la pena è diminuita”. Il principio è 
dunque quello per cui nel sordomuto tanto la capacità quanto l’incapacità 
devono essere accertate caso per caso. 
                                                 
39
 Si tratta dunque di un giudizio psicologico in cui il giudice deve valutare la condizione 
del soggetto prendendo in considerazione il grado di sviluppo delle capacità cognitive, 
affettive e volitive, nonché delle capacità intellettive necessarie per riuscire a comprendere 
il significato sociale e morale di determinati comportamenti. 
40
 Art. 223 c.p. 
41
 Art. 228 – 234 c.p. 
42
 Art. 225 c.p. 
43
 F. ANTOLISEI, Manuale, cit., p. 623.