2
La trattazione continua, infatti, con l’analisi dei profili processuali: in
primis, si illustreranno le finalità, le modalità e i contenuti degli accertamenti
peritali, e poi, come logica conseguenza, la controversa questione relativa
agli ospedali psichiatrici giudiziari e alle case di cura e di custodia.
Una volta tracciato il suddetto quadro complessivo, si ritiene
fondamentale rendere conto delle evoluzioni del concetto stesso di infermità
mentale, sia a livello di scienza psichiatrica, sia nella giurisprudenza; si
affronteranno, così, la “svolta” interpretativa rappresentata dalla nota
“sentenza Raso”
1
; dopodichè si esporranno le prospettive di riforma in tema
di imputabilità contenute nei vari progetti di riforma del codice penale
presentati negli ultimi anni.
Giunti a questo punto, si considera necessario, al fine di fornire
esemplificazioni pratiche della questione, procedere con lo studio di alcuni
casi in cui è venuta in rilievo, a torto o a ragione, la questione dell’infermità
mentale (vera, presunta o simulata). Si ritiene che questo sia il modo
migliore per dimostrare le implicazioni e le conseguenze reali che
l’infermità mentale ha nei processi penali italiani, in modo da poter poi
dedurre le relative conclusioni.
Il terzo ed ultimo capitolo affronterà, invece, la questione
dell’infermità mentale in ambito internazionale.
In una prima sezione si è scelto di esaminare, su tutte, la disciplina
francese e quella inglese, le concezioni adottate da questi due sistemi nonché
le eventuali evoluzioni di tali concezioni, accompagnate da alcuni rilievi
critici.
La seconda sezione, infine, sarà dedicata allo Statuto della Corte
Penale Internazionale; si analizzeranno le varie cause di esclusione della
responsabilità penale (tra cui il mental disease or defect) nel complesso
sistema dei core crimes. Non mancheranno, anche in questo ambito, alcuni
riferimenti alla casistica e alle pronunce dei Tribunali ad hoc (Tribunale
penale internazionale per i crimini commessi in Rwanda [T.P.I.R.] e
1
Cass., Sez. Un. pen., 25 gennaio 2005, Raso, in Foro it., 2005, vol. II.
3
Tribunale penale internazionale per i crimini commessi nella ex-Jugoslavia
[T.I.P.Y.].
4
CAPITOLO I
IMPUTABILITÀ IN GENERALE
1. Breve excursus storico
Il problema relativo alla nozione di “imputabilità”, al significato
della necessità della sua presenza ai fini dell’attribuzione al fatto commesso
dal soggetto di determinate conseguenze giuridiche penali e alla sua
collocazione sistematica è stato da sempre oggetto dell’attenzione dei
penalisti, ed ha assunto ulteriore rilievo dopo l'approvazione del vigente
codice penale
2
.
Il precedente codice, infatti, non definiva esplicitamente
l’imputabilità né il dolo e la colpa. L’art. 45 del codice del 1889 stabiliva
che “nessuno poteva essere punito per un delitto, se non aveva voluto il
fatto, (...), come conseguenza della sua azione od omissione”, e il successivo
art. 46 si limitava a richiedere, ai fini della punibilità, che il soggetto al
momento del fatto non si trovasse “in tale stato di infermità di mente da
togliergli la coscienza o la libertà dei propri atti”; nelle disposizioni
successive il legislatore del 1889 si occupava poi delle ipotesi dirimenti e
dell’imputabilità e dell’elemento soggettivo del reato
3
.
2
Il legislatore del 1930 utilizza una terminologia nuova rispetto a quella del codice
Zanardelli, e introduce una distinzione concettuale e sistematica tra “imputabilità” e forme
soggettive del reato.
3
G. MARINI, voce Imputabilità, in Dig. disc. pen., VI, 1992, p. 244.
5
Il legislatore del 1930, ufficialmente, non ha aderito né alle
conclusioni della Scuola classica
4
né a quelle della Scuola positiva
5
. Da una
parte, infatti, l’attuale codice penale ammette la natura di reato dei fatti
conformi ad un modello criminoso commessi dal soggetto, dall’altra,
mantenendo ferma la comminazione della pena, prevede
contemporaneamente, per i soggetti che abbiano agito in stato di incapacità
di intendere o di volere, una sanzione ispirata a fini “terapeutici” e di
prevenzione
6
.
Schematizzando, nella sua travagliata esistenza l’imputabilità, come
capacità di libera autodeterminazione ha visto delinearsi tre orientamenti
fondamentali
7
:
1) il maggioritario orientamento riformista dell’imputabilità, che ne
difende la conservazione come categoria, ma ne richiede adeguamenti alle
nuove conoscenze scientifiche; esso è condiviso sia dalla pressoché unanime
4
La Scuola classica fonda l’imputabilità e la pena sul “libero arbitrio” e quindi ritiene che
gli individui immaturi o affetti da gravi anomalie psichiche, non essendo liberi, non
possono essere puniti, mentre la pena deve essere diminuita quando la libertà è
notevolmente ridotta, ma non esclusa del tutto. Così, G. CARMIGNANI, F. CARRARA.
5
La Scuola positiva, respingendo il principio della responsabilità individuale, nega la
categoria dell’imputabilità sostituendola con quella della responsabilità sociale. Così, E.
FERRI, G. FIANDACA – E. MUSCO.
6
Altre note teorie elaborate dalla dottrina sono: la “teoria della normalità”, che concepisce
l’imputabilità come normale facoltà di determinarsi, per cui imputabile è solo l’uomo che
reagisce normalmente ai motivi, e quindi l’uomo sano e maturo; la “teoria dell’identità
personale”, per cui l’imputabilità consiste nell’appartenenza dell’atto all’autore e sussiste
quando il fatto è espressione della personalità dell’agente, mentre manca quando viene
meno nel soggetto il potere di manifestarsi secondo il proprio Io; la “teoria
dell’intimidabilità” per cui l’imputabilità è la capacità di sentire l’efficacia intimidatrice
della pena , per cui non sono imputabili gli immaturi, gli infermi di mente ed assimilati
perchè incapaci di subire la coazione psicologica della pena. Noti sono anche i limiti di tali
teorie: il concetto di “uomo normale” è piuttosto evanescente ed inoltre porterebbe ad
esentare dalla pena molti dei delinquenti più pericolosi che spesso presentano talune
anomalie psichiche; inoltre anche l’azione dell’infermo di mente o del minore rispecchia la
sua personalità e ne costituisce un’espressione; anche i bambini e i pazzi, entro certi limiti
sono passibili di intimidazione. Si è dunque cercato di fondare l’imputabilità sulla
“concezione comune della responsabilità umana”, essendo opinione generale che un uomo,
per poter rispondere dei propri atti davanti alla legge penale, deve aver raggiunto un certo
sviluppo intellettuale e non essere infermo di mente et similia, ripugnando sottoporre a pena
chi non è compos sui. (In tal senso vedi F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Parte
generale, Milano, Giuffrè, 2000, 15° ed. aggiornata ed integrata a cura di L. CONTI, pp. 609
ss.; e F. MANTOVANI, Diritto penale, Parte generale, Padova, Cedam, 2006.)
7
F. MANTOVANI, ID., p. 622 ss.
6
“scienza penale”
8
sia dalla prevalente “scienza psichiatrica”, che appare
concordare sull’improponibilità di una spiegazione monocausale
dell’imputabilità
9
;
2) la minoritaria tesi riduzionista dell’imputabilità, che prospetta le
varie ipotesi di abolizione del vizio parziale di mente, causa delle più
eclatanti incertezze applicative, e di un utilizzo del vizio totale per i casi
estremi; oppure propone l’eliminazione del vizio totale; o ancora
l’eliminazione del principio della non imputabilità considerando il disturbo
mentale come motivo di attenuazione della pena;
3) la marginale tesi abolizionistica dell’imputabilità, che propugna
l’eliminazione della distinzione tra imputabili e non imputabili e la loro
equiparazione ai fini della responsabilità penale. Ciò perchè la psichiatria
non è in grado di definire la capacità di intendere e di volere di cui parla il
diritto penale, e di quantificare tale residua capacità nei malati psichici
10
.
Si può dire che, nel sistema introdotto dal codice Rocco, è
sostanzialmente rimasto fermo il postulato, tipico della Scuola classica,
della piena responsabilità del soggetto che abbia agito liberamente, ossia
senza l’interferenza di fattori che esulino dalla sua volontà. Ciò, però,
non ha impedito al legislatore di estendere l’ambito della rilevanza penale
all’illecito realizzato da soggetti privi di tale libertà, predisponendo appunto
un apposito trattamento di prevenzione speciale, utilizzato nei casi in cui
emergano indizi di un modo di essere “socialmente pericoloso”
(abitualità, professionalità, tendenza a delinquere)
11
.
8
Per la quale l’imputabilità è il presupposto fondamentale della colpevolezza e la
distinzione tra imputabile e non imputabile il presupposto della pena (sia avente funzione
preventiva che retributiva).
9
Sulla base delle indicazioni delle scienze psichiatriche la dottrina e le legislazioni penali
sono orientate per un ampliamento dei disturbi psichici che possono escludere o diminuire
l’imputabilità, e anche della loro elencazione ( soluzione adottata dal codice tedesco, e poi
da quelli austriaco, spagnolo e francese, che includono tra tali disturbi le alterazioni mentali
patologiche, i profondi disturbi della coscienza, le deficienze intellettive, ma anche le gravi
anomalie psichiche).
10
Detto modello fu adottato in tempi remoti da qualche rara legislazione (es. dalla legge
svedese del 1975 e di qualche stato statunitense) nonché in Italia dalla proposta di legge n.
177/ 1983, ripresa dalla proposta n. 151/1996.
11
G. MARINI, voce Imputabilità, op. cit., p. 249.
7
2. Profili problematici
L’art. 85 del c.p. stabilisce che “nessuno può essere punito per un
fatto preveduto dalla legge come reato, se, al momento in cui lo ha
commesso, non era imputabile”. Al secondo comma, lo stesso articolo
precisa che “è imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere”.
Dal primo comma dell’art. 85 risulta che l’imputabilità è una
qualifica soggettiva, richiesta perché al soggetto possa venire attribuito un
illecito sanzionato con pena.
Tuttavia, il contenuto naturalistico dell’imputabilità, costituito
dalla capacità di intendere e di volere, ha indotto la dottrina a sistemazioni
diverse e contrastanti.
Uno degli aspetti maggiormente dibattuti è quello relativo ai rapporti
tra imputabilità e colpevolezza
12
: più precisamente, si discute se
l’imputabilità sia presupposto o requisito della colpevolezza (cd. concezione
normativa) oppure no (cd. concezione psicologica).
2.1 Concezione psicologica dell’imputabilità
Una parte della dottrina propende per questa concezione e quindi per
la piena autonomia del giudizio sulla colpevolezza rispetto a quello sulla
capacità di intendere e di volere
13
. Secondo la cd. concezione psicologica, la
colpevolezza consiste in un nesso psichico fra l’agente e il fatto esteriore.
La suddetta tesi si basa su molteplici considerazioni; innanzitutto
l’inesistenza di qualsiasi norma che, direttamente o indirettamente, possa
precludere nei confronti dei soggetti non imputabili l’applicazione di tutte
quelle disposizioni che attengono alla riferibilità del fatto al suo autore, quali
12
E’ opportuno sottolineare che la nozione di “colpevolezza” è tutt’altro che chiara e
univocamente costruita; è stata nel tempo identificata con il genus avente a species le forme
soggettive di imputazione del reato (dolo e colpa), o con la valutazione operata
dall’ordinamento nei confronti dell’atteggiamento soggettivo, doloso o colposo, nei
confronti del fatto, o con il “torto”, o con il modo di essere della volontà dell’autore nei
confronti dell’ordinamento, o con la “capacità criminale”.
13
In tal senso: F. ANTOLISEI, Manuale, cit., p. 324 ss.; M. GALLO, Il concetto unitario di
colpevolezza, Milano, Giuffrè, 1951; G. MARINI, Lineamenti del sistema penale, Torino,
Giappichelli, 1993, p.321; A. PAGLIARO, Principi di diritto penale, Parte generale, Milano,
Giuffrè, 2003, p. 180.
8
gli artt. 42, 45 e 46 c.p., per cui non potrebbe essere applicata, ad esempio, la
misura del riformatorio giudiziario ad un minore che sia stato costretto a
commettere un furto mediante una violenza fisica irresistibile, come non
potrebbe ordinarsi il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario di un pazzo
che abbia cagionato la morte di una persona per forza maggiore
14
. Sul punto
si ritiene in ogni caso decisiva la disciplina di cui agli artt. 222 e 224 del
codice
15
. Queste norme fissano, per le misure di sicurezza, dei minimi di
durata a seconda della gravità del reato, la quale va desunta, per l’art. 133
c.p., dall’intensità del dolo o dal grado della colpa: da questo argomento i
fautori della concezione psicologica fanno discendere l’impossibilità di
escludere la configurabilità del dolo e della colpa nei confronti dei soggetti
incapaci di intendere e di volere
16
.
In verità, si è replicato che l’incapace può sì agire intenzionalmente,
mai però con dolo, per cui i fatti e i momenti psichici che assumono rilievo
anche in relazione al comportamento del non imputabile sarebbero
“intenzione” ma non “dolo”, mancata rappresentazione delle conseguenze
della propria condotta ma non “colpa”
17
.
Gli scrittori maggiormente aderenti al dato normativo
18
hanno
rilevato come il legislatore non abbia offerto una duplice nozione degli
elementi soggettivi, a seconda che essi siano realizzati da un imputabile o un
non imputabile, ma li abbia piuttosto costruiti con formulazioni di validità
generale, non incompatibili con l’azione dell’incapace di intendere e di
volere, per cui si sarebbe inevitabilmente fuori dal sistema se venissero
considerate concepibili solo in rapporto a persone mature e psichicamente
sane.
14
F. ANTOLISEI, Manuale, cit., p. 326.
15
Vedi A. CRESPI, voce Imputabilità, in Enc. dir.,vol. XX, p. 767.
16
Poiché appunto il giudice non potrebbe applicare quelle disposizioni senza accertare se il
fatto compiuto dall’incapace fosse doloso piuttosto che colposo.
17
In tal senso, B. PETROCELLI, La colpevolezza, Padova, Cedam, 1951, p.100-101.
18
Così M. GALLO, Capacità penale, in Nss. dig. it., II, 1958, p. 880 ss.
9
Per cui, la conclusione di questa parte della dottrina è che, se dolo e
colpa non implicano necessariamente l’imputabilità dell’agente, questa non
può essere considerata come presupposto od elemento della colpevolezza
19
.
Tale posizione è supportata da una datata pronuncia
giurisprudenziale
20
, che, andando oltre il merito della questione decisa
21
,
considerò fuori discussione che l’imputabilità sia collegata alla
colpevolezza, non però per costituirne un presupposto, ma più
semplicemente come “attributo di particolare qualificazione”; e cioè, “nel
sistema in vigore non è sufficiente (pur se necessario) che l’autore abbia
agito con dolo, preterintenzione o colpa, ponendosi così in uno specifico
atteggiamento psicologico nei riguardi dell’evento criminoso, ma occorre
altresì che codesto meccanismo interiore si sia acceso in una persona
imputabile, cioè subiettivamente capace di autodeterminarsi per motivi
coscienti, conformi alle molteplici esigenze dell’ordinamento giuridico”. Di
conseguenza, nei casi in cui “il requisito della colpevolezza richiesto dalle
singole norme incriminatrici, si presenti scompagnato dall’imputabilità,
l’ordinamento giuridico reagisce con misure preventive, prescelte in
rapporto ai diversi aspetti del dato psicologico, propri delle singole
fattispecie in concreto realizzate, e che avrebbero reso possibile la pienezza
dell’illecito a parte subiecti, ove fosse concorso anche il fattore
dell’imputabilità”.
Risulta dunque chiaro come, ordinando così le molteplici componenti
del reato, sia sembrato evidente che la valutazione dell’imputabilità dovesse
necessariamente aver luogo soltanto quando l’indagine sugli altri requisiti,
condotta in una fase anteriore, si fosse conclusa con esito positivo. Per cui,
se il fatto tipico non sussiste o non è stato commesso o risulta giustificato da
una scriminante, il giudice non ha necessità di appurare se esista o meno
19
Tale conclusione (per questa parte della dottrina) risulta confermata dalla sistemazione
dell’istituto nell’àmbito delle norme che si occupano del reo e non di quelle che si
occupano dell’elemento soggettivo del reato.
20
Cass., 9 novembre 1967, in Cass. pen. mass., 1968, p.1085.
21
Inammissibilità della dichiarazione di non imputabilità dell’autore, con conseguente
sottoposizione dello stesso a misure di sicurezza quando il fatto ascrittogli non costituisse
reato per mancanza di un elemento costitutivo.
10
l’imputabilità del soggetto, essendo un dato di comune esperienza che anche
l’infermo di mente o l’ubriaco possono agire, fra l’altro, in condizioni di
legittima difesa o in stato di necessità: per cui non sarebbe corretto,
anticipando l’indagine sull’imputabilità, sottoporre il soggetto a misura di
prevenzione contro la pericolosità
22
.
Stabilito che l’imputabilità non è un requisito della colpevolezza,
questa dottrina compie un passo avanti per definire la funzione effettiva
della capacità di intendere e di volere
23
, individuandola nella condizione
necessaria per l’assoggettabilità del reo alla pena; più precisamente, ciò che
ai fini dell’applicazione della pena ha importanza, non è tanto l’assenza delle
ipotesi, espressamente previste, di non imputabilità
24
, quanto, invece, la
presenza della capacità di intendere e di volere, alla quale il nostro
ordinamento ha riconosciuto una precisa funzione discriminatrice fra le
conseguenze giuridiche del reato. Pertanto, purché sussista suddetta capacità,
ogni altra e diversa facoltà psichica, e le relative anomalie, non hanno
influenza sulla imputabilità. Tutto ciò conferma che la mancanza di solo uno
dei due presupposti dell’imputabilità renderebbe impossibile, in pratica,
l’applicazione della pena all’autore di un fatto previsto dalla legge come
reato.
Per converso, la presenza di quegli stessi presupposti non esclude
che, oltre alla pena, sia applicata la misura di sicurezza, o anche
esclusivamente quest’ultima: l’espressione “non punibile” contenuta negli
22
A. CRESPI, voce Imputabilità, cit., p. 769.
23
F. ANTOLISEI, Manuale, cit., p. 608: “Capacità di intendere non è la semplice attitudine
del soggetto a conoscere ciò che si svolge al di fuori di lui, ma la capacità di rendersi conto
del valore sociale dell’atto che si compie. Non è necessario che l’individuo sia in grado di
giudicare che la sua azione è contraria alla legge: basta che possa genericamente
comprendere che essa contrasta con le esigenze della vita in comune. Capacità di volere
significa attitudine della persona a determinarsi in modo autonomo, resistendo agli impulsi:
più precisamente, facoltà di volere quello che si giudica doversi fare. Esistono, infatti, degli
individui che sanno discernere il bene dal male, ma non sono in grado di determinarsi di
conseguenza, vale a dire in conformità del proprio giudizio. Sono questi i casi in cui esula
la capacità di volere. Affinché sussista l’imputabilità occorre il concorso dell’una e
dell’altra capacità: se una sola manca, il soggetto non è imputabile”.
24
Le quali ipotesi sarebbero, anzi, non tassative; in tal senso M. BOSCARELLI, Analogia e
interpretazione estensiva nel diritto penale, Palermo, Priulla, 1955, p. 137 ss.
11
artt. 85 ss. va dunque intesa nel senso di “non assoggettabile a pena”, e non
nel senso, più ampio e generico, di “non assoggettabile a sanzione penale”
25
.
Un cenno meritano le discussioni esistenti in dottrina circa i rapporti
tra imputabilità e reato, risolte da autorevoli studiosi
26
nel senso che,
considerando “reato” il fatto conforme al modello e lesivo di un interesse
protetto cui consegue una sanzione riportabile all’ordinamento penale, esso
sussiste indipendentemente dalla presenza o assenza dell’imputabilità, la cui
rilevanza assume significato esclusivamente ai fini della specializzazione o
no della sanzione.
Secondo i fautori della “concezione psicologica”, infine, non può
neanche accettarsi quell’orientamento
27
per cui la capacità di intendere e di
volere sarebbe solo il momento potenziale della “coscienza e volontà
dell’azione od omissione”
28
; un’autorevole dottrina ha a suo tempo
dimostrato che l’espressione “coscienza e volontà dell’azione od omissione”
è formula con la quale il legislatore null’altro vuole indicare se non il
momento iniziale delle singole forme di elemento soggettivo del reato, o
degli elementi di responsabilità soggettiva presenti nelle ipotesi in cui
“l’evento è altrimenti addebitabile all’agente”
29
.
25
M. PORTIGLIATTI BARBOS – G. MARINI, La capacità di intendere e di volere nel sistema
penale italiano, Milano, Giuffrè, 1964, p. 42 ss.
26
Per tutti vedi F. ANTOLISEI, Manuale, cit., p. 615.
27
Autorevolissimo in quanto trova riscontro nella Relazione al Re sul nuovo codice penale.
28
Art. 42 primo comma c.p.: “Nessuno può essere punito per un’azione od omissione
preveduta dalla legge come reato, se non l’ha commessa con coscienza e volontà”.
29
Vedi M. GALLO (Appunti di diritto penale, vol. II, parte II, Torino, Giappichelli, 2001, p.
13): “Non è ipotizzabile una realizzazione sorretta da dolo o da colpa che non passi
attraverso la fase di un primo atto o di una prima inerzia cosciente e volontaria. Lo stesso
vale sotto il profilo della preterintenzione, per quanto riguarda la condotta dolosa o colposa,
inizio della fattispecie preterintenzionale, per le ipotesi che possono ricondursi sotto il
paradigma della preterintenzione”. Secondo GALLO (Appunti, cit., p. 7 ss.): “sussiste la
riferibilità dell’azione od omissione a coscienza e volontà, tutte le volte in cui la condotta
non sia causata da forza maggiore; tale riferibilità va accertata utilizzando il criterio medio
di massime di esperienze, modellate sull’id quod plerumque accidit”.
12
2.2 Concezione normativa dell’imputabilità
Agli antipodi della teoria psicologica troviamo quegli studiosi che
considerano l’imputabilità un presupposto necessario della colpevolezza
30
;
più precisamente, l’imputabilità non viene considerata “mera capacità di
pena”, ma piuttosto “capacità di reato”, o meglio, “capacità di
colpevolezza”: non vi sarebbe, quindi, colpevolezza senza imputabilità.
In tale impostazione, il reato è l’illecito commesso da un soggetto
potenzialmente libero, in grado di rappresentarsi il significato e le
conseguenze dei propri comportamenti e per questo considerato
dall’ordinamento responsabile e assoggettabile a pena. Il non imputabile,
invece, non commetterebbe affatto un reato, ma un fatto tipico antigiuridico
non colpevole
31
, poiché al dolo e alla colpa non si può aggiungere la
rimproverabilità del fatto stesso: dunque il soggetto non è responsabile e
proprio per questo l’ordinamento reagisce, in caso di pericolosità sociale,
con la sola misura di sicurezza. Ove l’imputabilità manchi, potrà aversi solo
pericolosità, non colpevolezza
32
.
Secondo questa tesi, che considera superata la sistematica del codice,
il dolo e la colpa sono necessari nel fatto del non imputabile come requisiti
essenziali del fatto che determina l’applicazione della misura di sicurezza:
dunque sarebbe esatto l’assunto per cui dolo e colpa possono ravvisarsi
anche nel fatto del non imputabile, ma errato ritenere che il dolo e la colpa
esauriscano la colpevolezza e siano sufficienti a trasformare il fatto del non
imputabile in un fatto colpevole e perciò in un reato. Si conviene comunque,
che il dolo e la colpa del fatto del non imputabile non coincidono del tutto
con il dolo e la colpa del fatto del soggetto capace di intendere e di volere
33
.
30
G. FIANDACA- E. MUSCO, Diritto penale, Parte generale, Bologna, Zanichelli, 1995, p.
284; B. PETROCELLI, La colpevolezza, Padova, Cedam, 1962, p. 19; M. ROMANO- G.
GRASSO, Commentario sistematico del codice penale, Milano, Giuffrè, 1996; parzialmente
differente (elemento della colpevolezza): G. BETTIOL- L. PETTOELLO MANTOVANI, Diritto
penale, Parte generale, Padova, Cedam, 1986, p. 455.
31
Così F. BRICOLA, Fatto del non imputabile e pericolosità, Milano, Giuffrè, 1961, p.15;
contra G. MARINUCCI, Il reato come azione, Milano, Giuffrè, 1971, p.165.
32
M. ROMANO- G. GRASSO, Commentario, cit.
33
F. MANTOVANI, Diritto penale, cit., p. 287.
13
Di fronte agli art. 222 e 224 c.p.
34
(con la mediazione dell’art. 133
c.p.), questa parte della dottrina sottolinea la duplice circostanza - per la
colpa - che al non imputabile non può rimproverarsi “soggettivamente” la
violazione della regola di diligenza; - per il dolo - che l’errore di fatto o di
diritto extrapenale sul fatto costitutivo del reato, quando sia dovuto
esclusivamente alla stessa incapacità di intendere e di volere del soggetto
non può, in un sistema caratterizzato dal doppio binario, essere
convincentemente valutato a suo favore
35
.
Emergono dunque delle sostanziali differenze tra i due elementi
soggettivi con riferimento al non imputabile: la colpa è da intendersi come
mera violazione della regola oggettiva di diligenza; il dolo può ridursi anche
soltanto a mera intenzionalità della condotta, quando l’errore di fatto o di
diritto extrapenale sul fatto costitutivo del reato
36
sia dovuto esclusivamente
all’incapacità di intendere o di volere del soggetto.
Rispetto ai rapporti tra imputabilità e “coscienza e volontà” questa
dottrina le considera nettamente distinte: la coscienza e volontà esprime il
“coefficiente di umanità” che consente di considerare l’azione od omissione
come propria di un soggetto, a lui attribuibile; l’imputabilità, invece, riferita
al soggetto, è la condizione di questo che consente di connotare l’azione o
l’omissione, già a lui attribuibile, come azione od omissione colpevole
37
.
È opportuno ora procedere ad un’analisi della varie cause di
esclusione e diminuzione dell’imputabilità.
34
Vedi supra nota 16.
35
M. ROMANO – G. GRASSO, Commentario, cit.
36
Art. 47, terzo comma, c.p.
37
Dunque: coscienza e volontà attengono al fatto tipico, l’imputabilità è capacità di
colpevolezza ed è quindi da valutare dopo il fatto; soltanto in presenza di un’azione od
omissione cosciente e volontaria si dovrà verificare se chi l’ha compiuta fosse, al momento
del fatto, imputabile o meno.
14
3. Cause di esclusione e diminuzione dell’imputabilità
La legge stabilisce preventivamente i casi in cui l’imputabilità è
esclusa o diminuita; le varie cause sono disciplinate dagli artt. 88 – 98 del
codice penale.
Si hanno cinque cause di esclusione o diminuzione dell’imputabilità:
la minore età, il sordomutismo, l’ubriachezza, l’azione di stupefacenti e
l’infermità mentale. Per l’esame di quest’ultima categoria si rinvia al
capitolo successivo.
3.1 La minore età
Storicamente le legislazioni penali attribuiscono alla minore età
l’efficacia di escludere o diminuire l’imputabilità; ciò sulla base
dell’esperienza per cui, solitamente, al di sotto di un certo limite di età
manca quella “capacità di intendere e di volere”
38
che rappresenta il fulcro
del concetto stesso di imputabilità.
Il nostro codice tratta della minore età in due norme: l’art. 97 c.p e
l’art. 98 c.p. che corrispondono ad una distinzione dell’età in due periodi.
L’art. 97 dispone: “Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso
il fatto, non aveva compiuto i quattordici anni”. Dunque nel caso in cui il
soggetto agente sia minore di anni quattordici, al momento della
commissione del fatto, vige una presunzione iuris et de iure che perciò non
può essere superata nemmeno tramite la prova contraria. L’art. 98 invece
dispone: “È imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto aveva
compiuto i quattordici anni, ma non ancora i diciotto, se aveva capacità di
intendere e di volere, ma la pena è diminuita”. Se ne ricava che per l’azione
compiuta in tale periodo non opera alcuna presunzione, ma spetta al giudice
accertare caso per caso se il soggetto aveva quella capacità di intendere e di
38
Si ricordi, dunque, che la non imputabilità del minore infraquattordicenne è stabilita in
astratto dal legislatore in base, appunto, all’esperienza sociale; ben può, però, nel soggetto
stesso riscontrarsi una condizione di maturazione tale da farlo ritenere, naturalisticamente
(ma comunque non giuridicamente) in possesso della “capacità di intendere e di volere”.
Vedi G. MARINI, Digesto, cit., p. 260.
15
volere minima richiesta dalla legge per poter essere considerato
imputabile
39
.
Il minore non imputabile, sia perché al momento del fatto non aveva
compiuto gli anni quattordici, sia perché pur avendoli compiuti, è
riconosciuto privo della capacità di intendere e di volere per immaturità
mentale, viene prosciolto. La società, tuttavia, non rimane inerte di fronte ai
pericoli che determinate condotte, provenienti da minori, possono
ingenerare, perché, trattandosi di un delitto, si applicano le misure di
sicurezza del riformatorio giudiziario
40
o della libertà vigilata
41
.
L’autore del reato che, avendo compiuto gli anni quattordici e non
ancora i diciotto, sia riconosciuto imputabile, viene invece sottoposto a pena,
ma questa è diminuita. Qualora il giudice ritenga anche pericoloso il
soggetto, può ordinare altresì il ricovero successivo in un riformatorio
giudiziario o disporre che il soggetto sia posto in libertà vigilata
42
; si verifica
in questo caso il cumulo della pena con la misura di sicurezza
43
.
3.2 Il sordomutismo
Il precedente codice ravvisava nel sordomutismo uno stato
necessariamente psicopatologico; oggi l’art. 96 c.p. reagisce a quella vecchia
opinione stabilendo che “Non è imputabile il sordomuto che, nel momento
in cui ha commesso il fatto, non aveva, per causa della sua infermità, la
capacità di intendere e di volere. Se la capacità di intendere e di volere era
grandemente scemata, ma non esclusa, la pena è diminuita”. Il principio è
dunque quello per cui nel sordomuto tanto la capacità quanto l’incapacità
devono essere accertate caso per caso.
39
Si tratta dunque di un giudizio psicologico in cui il giudice deve valutare la condizione
del soggetto prendendo in considerazione il grado di sviluppo delle capacità cognitive,
affettive e volitive, nonché delle capacità intellettive necessarie per riuscire a comprendere
il significato sociale e morale di determinati comportamenti.
40
Art. 223 c.p.
41
Art. 228 – 234 c.p.
42
Art. 225 c.p.
43
F. ANTOLISEI, Manuale, cit., p. 623.