paesi, specialmente del sud del mondo. Rapido, spettacolare, avanzamento delle
reti digitali di informazione e comunicazione.
Questi quattro fenomeni hanno contribuito in modo determinante, secondo Kidd
(2002: 15-18), nel preparare un terreno fertile per lo sviluppo di nuovi media
alternativi - radicalmente differenti. e´ In questo contesto che Indymedia e´ potuta
nascere, crescere, e imporsi all’attenzione generale.
Indymedia e´ una tra le creature piu’ geniali date partorite dal complesso e
frastagliato soggetto sociale che chiamiamo movimenti contro la globalizzazione
neoliberista. L’evoluzione di Indymedia e´ parallela, e interna, a quella dei movi-
menti. Indymedia e´ un media aperto e collettivo, anche dal lato della produzione.
e´ media comunitario, media di una comunita´, molto ampia e variegata, che gli
diede vita, in primis, per raccontare se stessa. Auto-(in)formazione.
Attraverso la pubblicazione aperta, tutti possono utilizzare Indymedia per dif-
fondere il proprio punto di vista, la propria versione dei fatti. Tutti possono
confrontarsi, in modo interattivo, con l’opinione altrui: condividerla, o refutarla.
Tutti possono allegare, a sostegno della propria posizione, documentazione mul-
timediale. Everyone is a journalist. Tu sei il tuo media.
Hendron (2002: 5), attivista con cui lo sviluppo internazionale della rete IMC
e´ in forte debito, ha tracciato un elenco di alcuni tra i modi in cui Indymedia e´
definita da chi vi prende parte
Indymedia e´ molte cose per molte persone; non e´ UNA singola cosa.
Una organizzazione internazionale di notizie; una piattaforma parte-
cipativa per la produzione e la distribuzione di media; una rete so-
ciale e digitale decentralizzata; una CNN dei popoli; una rete di
comunicazione per attivisti; un esperimento di democrazia globale;
un fenomeno sociale; una rete di supporto (advocacy network); una
bacheca elettronica; uno strumento organizzativo; un canale di con-
versazione (chat room); un laboratorio per l’innovazione tecnica e
sociale; un incredibile esperimento di autogoverno; un pioniere nel
panorama della comunicazione.
Indymedia e´ giornalismo senza giornalisti, media senza mediazione. Chiunque
interviene in modo diretto e (ap)porta il suo contributo, che si integra in una
modalita´ immediata, paritaria, priva di censure, al flusso esistente. E lo arric-
chisce. Indymedia e´ il media per tutti. Ideato da persone che vogliono sottrar-
si alle rappresentazioni dei loro percorsi e lotte attuate dai media istituzionali:
rappresentazioni quasi sempre banalizzanti, spesso mistificatorie, e a volte inten-
zionalmente diffamatorie.
In occasione delle proteste del Novembre 1999 di Seattle, cos´ı come a Genova,
nel Luglio 2001, e in numerose altre occasioni di contestazione sociale, il contribu-
2
to di Indymedia, e di alcuni altri media alternativi, organici ai movimenti di con-
testazione, e´ stato centrale ed efficacissimo. Secondo l’analisi di Downing (2001:
2), il ruolo dell’IMC si puo´ scomporre in quattro elementi, cronologicamente
sequenziali:
• la preparazione, con settimane o mesi di anticipo, del terreno per le mani-
festazioni (sensibilizzazione, divulgazione, coordinamento);
• la comunicazione sul campo, in tempo reale, tra e per gli attivisti in strada;
• la copertura indipendente di quanto sta accadendo, per il pubblico a casa,
in grado di bypassare totalmente quella offerta dai media istituzionali;
• la facilitazione, successiva, del dibattito su quanto accaduto, sulla bonta´
delle strategie impiegate, et cetera.
Nei mesi e anni successivi all’evento di Seattle, battesimo mediatico del movi-
mento contro la globalizzazione neo-liberista, sono moltissime le occasioni in cui,
in giro per il pianeta, sfilate e forum contestano e propongono alternative agli
incontri degli organismi della governance internazionale (Fondo Monetario Inter-
nazionale, Banca Mondiale, Wto, Wef, G8, . . . ) Dal 2000, quasi ogni volta che
una citta´ e´ organizzata una protesta di ampio respiro, l´ı si installa, prende vita,un
IMC.
Boston, Philadelphia, Praga, Los Angeles. Davos, Quebec City, Washington,
Bruxelles, Buenos Aires, Londra, . . .
Mentre nuovi IMC fioriscono nelle metropoli del pianeta, la maggior parte di quelli
allestiti in tempi precedenti si trasforma: da progetto centrato su un evento speci-
fico a esperimento mediatico di carattere permanente – organo di informazione
(folle e) quotidiano.
0.2 Indymedia in Italia
Nel giugno 2000 Indymedia sbarca in Italia, a Bologna. Mobilitazione nazionale
contro l’Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Europeo). Un
ragazzo intelligente e ambizioso, un giovane hacker talentuoso: due persone sono
sufficienti per allacciare i contatti con l’altro lato dell’oceano, e ottenere il via
libera per aggiungere un nuovo nodo al network internazionale IMC. Attivano
le rispettive reti di contatti, e lanciano Indymedia Italia. Alcuni centri sociali
e il giro telematico antagonista intuiscono le potenzialita´ dell’esperienza e ne
accompagano la crescita.
Per piu´ di un anno Indymedia Italia si e´ evoluta, come progetto, come parte-
cipazione, in un ambito seriamente undergound, nell’indifferenza (quasi) generale
del grande pubblico, e degli altri media. Poi, e´ arrivata Genova – i giorni caldi
3
del g8. Che Indymedia ha saputo raccontare come nessun altro.
E’ assodato il contributo che le nuove tecnologie della comunicazione – comput-
er, reti telematiche, telecamere portatili, et cetera – hanno offerto al popolo della
contestazione per auto-rappresentarsi. Che ci siano riusciti cos´ı bene, all’IMC,
a costruire questa narrazione, a mille voci, e multimediale, e´ anche conseguen-
za di abilita´ specifiche, in termini di uso delle nuove tecnologie, di capacita´ di
(auto)gestione e organizzazione.
Indymedia e´ cresciuta, prima e dopo Genova, prestando altrettanta attenzione
al proprio modo di evolvere, al proprio modello organizzativo e gestionale, che a
questioni piu´ direttamente collegate con il proprio output editoriale.
Per me indy ha due obiettivi fondamentali, da cui conseguono poi
tutti gli altri nuclei tematici forti di indymedia. Il primo obietti-
vo e´ sperimentare forme di organizzazione orizzontali, partecipative,
aperte. Il secondo e´ cercare di porre gli strumenti di produzione e
distribuzione di informazione/comunicazione nelle mani di chi e´ pro-
tagonista delle situazioni; rompere la funzione di intermediazione del
media per potenziarne la funzione di informazione diretta1.
Indymedia Italia festeggia, a Giugno, il suo quinto compleanno. Cinque anni
vissuti pericolosamente. In bilico tra politica e informazione, tra attudine ludica
e sangue e manganelli veri. Anni vissuti, mi pare, con rabbrividente (in)coscienza
di se´. Anni fatti di acrobazie tecnologiche, sperimentazioni ardite, ma anche di
scelte incisive, taglienti, nella loro semplicita´. Anni fatti di cose, ma soprattutto
di persone. Di informazione, ma ancora di piu’ di relazioni. Di metodi condivisi,
ma soprattutto di crescita, per una comunita´. Comunita´ di metodo, in sperimen-
tazione costante.
0.3 Cosa si propone questa tesi
Le pagine che seguono raccontano cinque anni di Indymedia, in Italia. Non sono
ne´ vogliono essere ’il’ racconto, l’analisi. Rappresentano, semplicemente, nella
loro ingombrante parzialita´, il resoconto di un’esperienza.
Sin dal titolo questa tesi, Indymedia Italia: quando gli hacker fanno politi-
ca, prova a evidenziare, e coniugare, due elementi. Due caratteri a mio avviso
sostanziali del progetto IMC, e tuttavia spesso misconosciuti.
Celebrando il valore informativo del progetto IMC - o denunciandone i limiti -
si trascura che Indymedia, oltre che un mezzo di comunicazione, oltre che un
tentativo radicale di giornalismo dal basso, e´ due ulteriori cose. E’ uno spazio di
sperimentazione tecnica e sociale. Ed e´ uno strumento di azione politica.
1archives.lists.indymedia.org/italy-process/2002-December/000095.html
4
Indymedia Italia non sarebbe mai diventata quello che e´ senza il contributo, in
una quantita´ di occasioni e situazioni diversissime, di alcune decine di hacker -
esperti di informatica (competenza, volonta´, dedizione). Se rinuncia a un fare
politico e percorre una deriva redazionale, Indymedia si spegne (spegnendosi,
muore).
Alcuni tra gli attivisti che piu’ hanno contribuito allo sviluppo di Indymedia
in Italia sono soggetti provenienti dall’area dell’informatica antagonista. Piu’ in
generale, l’attitudine hacker ha contribuito in modo incontestabilmente decisivo
a plasmare le principali modalita´ organizzative e decisionali adottate da Indy-
media in Italia. Indymedia di fatto e´ stata costruita attivamente, negli anni, da
attivisti parte di una piu’ ampia scena comunitaria alternativa, che ha dato vita
a una quantita´ di altri progetti, piu’ o meno famosi, in ambito telematico e non.
Ancora, attraverso Indymedia hanno maturato una coscienza politica numerosi
attivisti che in precedenza si limitavano ad apprezzare il lato tecnico dell’hacking
(sperimentare, ’smanettare’ con i computer).
In una dinamica interminatamente virtuosa, l’attitudine di ricerca, condi-
visione, ed equita´ cara alla scena hacker e´ passata al progetto IMC, il quale ha
restituito una dimostrazione grandiosa delle potenzialita´ di impatto - e mutamen-
to - sociale insite in un determinato utilizzo delle tecnologie dell’informazione e
della comunicazione. In un clima di scambio e arricchimento reciproco, i tecnici
hanno socializzato i loro saperi, gli attivisti ’puri’ hanno messo nel piatto le loro
forme e conoscenze sul piano dell’azione diretta, sociale e politica, i piu’ esperti
in ambito mediatico e giornalistico sono stati contaminati e hanno offerto com-
petenze testuali, esperienze redazionali, trucchi del mestiere. Ne e´ uscito quel
mostro che al g8 del 2001 rubo´ la scena a tutti quanti - Mediaset, La Repubblica
e CNN compresi. Senza investimenti milionari. Senza camion regie mobili con
antenne satellitari. Senza, in verita´, neppure un professionista pagato. (Da non
credersi).
Tra le mille cronache di Genova 2001, brilla quella di Maltese. Pungente,
ironica, e di parte. Cos´ı, sulla costruzione del mediacenter, ad opera di Indymedia:
Nemici del progresso e della modernita´? Nostalgici del ’68? Neo co-
munisti? Sara´. Ma la sede del Genoa Social Forum sembra un campus
di una facolta´ scientifica. Mai visti tanti esperti di informatica tutti
insieme. Il Berlusconi teorico delle tre i (inglese, internet, impresa),
cos´ı poco rappresentate nel governo, ne sarebbe colpito. Non sarebbe
male per esempio se il ministro Moratti, che ha convocato ieri gli
stati generali dell’istruzione, si facesse spiegare da Faust e Blicerio,
due geniali hackers milanesi di vent’anni, com’e´ possibile cablare in-
teramente una scuola in tre giorni e con quattro lire. Gli studi del
ministero assicurano che ci vogliono mesi e appalti miliardari2.
2articolo pubblicato su La Repubblica del 19 Luglio 2001. Consultabile presso:
5
Software libero, lavoro volontario, partecipanti tanto competenti quanto moti-
vati. La capacita´ di stupire degli attivisti IMC si concretizza tanto in esempi piu´
eclatanti come la messa in piedi di un mediacenter quanto nella apparentemente
piu’ banale gestione quotidiana di un sito web - un sito che pero´ riceve in media
centomila visite al giorno.
I ragazzi (e le ragazze) di Indymedia lo sanno bene: il fare informazione non
e´ mai politicamente inoffensivo.
A differenza di molti loro colleghi giornalisti non adottano l’ideologia dell’ogget-
tivita´ come ragione, e schermo, del proprio agire. Produrre e distribuire un certo
tipo di informazione e´ un’azione politica, connotata in un modo preciso. Politica
dal basso, non istituzionale (anti-istituzionale). Politica. Fare informazione e´
agire politicamente.
A questo prima consapevolezza ne va aggiunta una seconda. Il terreno dell’infor-
mazione e´, oggi piu´ di ieri, un ambito di scontro politico.
Di ogni situazione, specialmente se conflittuale, esistono versioni divergenti (spes-
so, opposte). I media di massa legittimano una lettura, tra le molte possibili, dei
fatti. Una messa in prospettiva, una narrazione. E’ il loro ruolo: raccontano, e
per farlo evidenziano, selezionano, censurano, dettagliano, premiano, omettono,
creano, . . .
I media offrono delle prospettive , propongono (o impongono) dei punti di vista.
I movimenti contro la globalizzazione capitalista hanno scoperto che, nella nuova
societa´ di rete, attraverso i loro media (elettronici) possono confrontarsi, egre-
giamente, nell’arena mediatica, con gli attori istituzionali. In palio, il dominio
simbolico pubblico – realta´ sociale condivisa, immaginario collettivo.
Il versante politico dell’esperienza Indymedia Italia emerge in una terza, pre-
occupante, declinazione. L’IMC e´ oggetto di un’offensiva politica e giudiziaria
di alto profilo. Il partito di Alleanza Nazionale da almeno due anni invoca la
chiusura del sito di Indymedia Italia (in precedenza a lamentarsi erano state
Azione Giovani e Forza Nuova), colpevole di violenza verbale, attacchi politici,
commenti diffamatori, reati di opinione vari . . . e anonimato.
Indymedia ha subito il sequestro, temporaneo, dei propri server, a Londra, il 7
Ottobre 2004. FBI in azione, su ordine (pare) della procura di Bologna.
Mesi dopo, due attivisti di Indymedia impegnati come consulenti degli avvocati
del Genoa Legal Forum nei processi su Genova hanno subito il sequestro dei com-
puter portatili (Marzo 2005).
A Maggio del 2005, un giudice romano ha chiesto il sequestro del sito web
italy.indymedia.org per vilipendio della religione - per causa di una vignetta
fotomontaggio che ritrae il papa in abiti nazisti. Avviata una rogatoria inter-
nazionale.
Clima pesante e intrecci non facili da districare. Nuovi scenari della comuni-
cazione. Nuove forme della politica. Nuovi orizzonti della tecnologia. Indymedia,
www.democraticiperlulivo.it/rassegnastampa/articoli 2001/20010719.html
6
in questo scenario, da fastidio? Indymedia, e´ inquietante?
0.4 Metodologia d’analisi
Queste pagine sono un tentativo, forse goffo, di (af)fermare the state of the art
del progetto – Indymedia in Italia. L’approccio scelto e´ analitico. L’intenzione e´
raccontare IMC, vedere dove e´ arrivato - spiegando, in parte, da dove e´ partito e
quali strade ha percorso.
La narrazione ha fatto suo, come orizzonte temporale di riferimento, i cinque
anni che vanno dal Giugno 2000 al Giugno 2005. Tuttavia, la mia partecipazione
all’IMC italiano, come contributo attivo e in qualche modo continuo, si limita al
triennio 2001–2004. Da quel periodo provengono la maggior parte delle citazioni
incluse in questo testo. Quel vissuto rappresenta la base delle mie valutazioni
circa Indymedia – la mia visione attuale.
Etnografia. Attivita´ attraverso la quale gli antropologi raccolgono infor-
mazioni, per analizzare o interpetare una societa´ (Marshall, 2004: 5). Per certi
versi abbiamo tra le mani una etnografia, per quanto informale, di Indymedia
Italia.
La ricerca ha conosciuto quattro momenti, analiticamente distinti, e cronologica-
mente successivi:
• l’osservazione partecipante, di fatto una immersione totale e incondizionata,
nell’ambito di studio;
• la presa di distanza – mentale, e fisica. Lo studente/studioso riacquista uno
sguardo lucido sull’oggetto di analisi. Raccolta di materiali utili;
• la selezione e organizzazione, all’interno della mole enorme di contenuti
accumulati, di quelli valutati come maggiormente pertinenti. Costruzione
di un percorso di esposizione;
• la stesura vera e propria dell’analisi, nella sua intenzione pubblica e defini-
tiva.
Uno sguardo semiotico informa e arricchisce questa esperienza di ricerca, e
il suo racconto. Uno sguardo miope, forse, a volte. Annacquato, e non sempre
ortodosso. Uno sguardo che non ha saputo (o voluto) farsi analisi semiotica.
Certo, avrei potuto scarabocchiare qua e la´ un quadrato greimasiano. Non sono
cose che si improvvisano (decenza deontologica).
Come proposto da Peirce, un secolo fa, possiamo pensare alla realta´ come una
dimensione costituita da cose in se´, che non sono alla portata dei nostri appa-
rati sensori. Umani, imperfettissimi, ci avviciamo ai cosiddetti oggetti dinamici
solo attraverso approssimazioni. Giriamo intorno (alla realta´, alla verita´, alla di-
vinita´). Una danza a volte armoniosa e progressiva (altre volte banale, e/o depri-
mente). La conoscenza si da´ solo attraverso avviciamenti, e messe in prospettiva.
7
Indymedia e´ l’oggetto dinamico di questa analisi, e comprenderla significa avvic-
inarla, attraverso una sequenza di oggetti statici.Illuminare, con luci differenti,
porzioni differenti dell’IMC – per il possibile, complementari.
Prendo dai cultural studies l’idea che la pratica della ricerca debba necessari-
amente configurarsi come pratica critica: allo sviluppo teorico deve corrispondere
un impegno di tipo politico (Grandi, 1994: 89). In una cornice di questo tipo
l’analisi e´ pienamente cosciente della propria determinatezza storica e contestuale,
e assume un carattere descrittivo. Indymedia come esercizio di una cultura. Che
possiede valori, pratiche e significati propri.
Un’ulteriore declinazione di metodo sta nell’abbraccio al paradigma della
PAR, participatory action research. Il centro della PAR e´ la creazione coop-
erativa di conoscenza, attraverso e per il cambiamento sociale (Uzelman, 2002:
110-125).
Questo approccio e´ particolarmente sensibile alle dinamiche attraverso le quali
disparita´ di potere e diseguaglianze sociali si riproducono attraverso il controllo
e l’utilizzo della conoscenza scientifica.
Rifiuta qualsiasi atteggiamento che proponga una visione oggettivizzante del
sapere, e mira a mettere in discussione i luoghi socialmente legittimati alla sua
produzione.
Un fine primario della PAR e´ stimolare la comunita´ a proporsi essa stessa come
soggetto di studio, oltre che come oggetto di analisi. Il ricercatore, evitando at-
titudini paternalistiche o gerarchiche di sorta, puo´ contribuire offrendo cornici
teoriche, e spunti di riflessione.
Da un punto di vista sociologico, l’orizzonte di questa analisi e´ di tipo meso: a
livello micro abbiamo gli IMC locali, radicati nei tessuti cittadini; a livello macro
si situa la rete Indymedia internazionale. Per molti altri versi, questo testo e´ una
via di mezzo.
Le letteratura circa il fenomeno IMC non e´ enorme; in compenso, e´ in rapida
crescita. Ho letto e citato tutti i lavori su Indymedia di cui ho potuto venire
a conoscenza. Esperienza personale in Indymedia Italia, letteratura esistente,
conoscenze a livello teorico sulla comunicazione di massa acquisite in Facolta´,
esperienze (dirette, o vicarie) in altri progetti di ambito mediatico alternativo.
Quattro pilastri per un edificio – di sedici capitoli.
0.5 Articolazione dei contenuti
Costruendo Indymedia Italia, un gruppo di persone, prevalentemente hacker, ha
tradotto in pratica, nel campo dei media e della comunicazione, una filosofia
di vita, e una opzione politica. Il testo che segue racconta, in parte, questa
esperienza. Vengono scissi, in modo artificiale ma vantaggioso:
• i contesti in cui l’azione ha preso corpo – prima parte della tesi;
8
• le modalita´ specifiche che questa azione ha assunto, alcune delle quali sono
indagate con una certa profondita´ e precisione nella seconda parte della
tesi;
• le dinamiche che sono state innescate, conseguentemente all’azione propos-
ta, e i discorsi che essa ha generato – terza parte.
I primi quattro capitoli costituiscono la sezione Intorno a Indymedia. Af-
frontano la questione dei campi di forze entro cui si muove Indymedia Italia.
Dov’e´ Indymedia? Dove si situa la sua azione? In quali contesti si evolve la sua
soggettivita´? Quali sono i terreni di lotta, di conflitto?
Le risposte offrono il tema dei primi tre capitoli. Rispettivamente: dentro l’arena
mediatica, nell’ambito dei media alternativi, nel panorama disegnato dalle nuove
tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
Il quarto capitolo propone una cronologia essenziale degli avvenimenti che, dai
primi anni Novanta ad oggi, hanno fatto da cornice allo sviluppo dell’esperienza
IMC. Non ho la pretesa in questa sezione di elaborare alcuna teoria originale.
Molto semplicemente, cerco di inquadrare, di situare, il mio oggetto di studio.
La parte centrale del testo, che contiene i capitoli dal 5 al 13, porta come titolo
Dentro Indymedia. Vorrebbe rispondere alla domanda ’Che cosa e´, Indymedia?’.
Non avanza alcuna pretesa ontologica, e tenta di abbozzare una fenomenologia.
Il quinto capitolo descrive un sito web IMC, e ne delinea l’evoluzione negli an-
ni. Il sesto capitolo si occupa nel dettaglio della pubblicazione aperta, filosofia
e pratica che fanno di Indymedia uno strumento di comunicazione innovativo e
radicale (possibilita´ di pubblicazione multimediale anonima e immediata nel no-
tiziario del sito). Il settimo capitolo affronta gli strumenti di gestione, telematica,
del progetto, con attenzione particolare all’utilizzo delle mailing list nell’ambito
dell’esperienza di Indymedia Italia. Poi, nel capitolo ottavo, si presenta l’IMC
nelle sue articolazioni off-line, nella vita reale, fuori dalla galassia internet.
Il capitolo 9 allarga la prospettiva, e tratta di Indymedia in termini di rete inter-
nazionale: coordinamento tra attivisti e gruppi locali, ma anche progetti globali
di (comunic)azione. Il decimo capitolo racconta i metodi decisionali adottati dalla
comunita´ IMC, le modalita´ organizzative, e i valori che queste incarnano (rifiuto
delle gerarchie, azione diretta, partecipazione orizzontale, aperta, trasparente).
Il capitolo 11 si occupa degli aspetti economici del progetto Indymedia: molto
lavoro, pochi fondi, basi totalmente volontarie. . .
Il capitolo dodicesimo analizza le vicissitudini legali degli IMC: sequestri, violen-
ze, denunce, intimidazioni. Un piatto ricco. Chiude la parte centrale il capitolo
13, che descrive i rapporti, intimi, tra la rete Indymedia e i percorsi, e le espe-
rienze, del software libero. Infrastuttura tecnologica e sovversione, libertaria, dei
rapporti di produzione (e consumo).
Terza parte: Su Indymedia. Le parole dette, i discorsi fatti; cronache, ap-
profondimenti, analisi, teorizzazioni. Nel capitolo 14 Indymedia e´ presentata
9
attraverso il suo proprio metadiscorso: la parola agli attivisti dell’IMC
Il quindicesimo capitolo mostra Indymedia attraverso i discorsi prodotti dagli al-
tri media. La parola passa ai giornalisti – di cronaca ed editorialisti. Vengono
presentate, qui, anche le valutazioni sul fenomeno Indymedia fatte in ambito ac-
cademico (sapere scientifico sull’IMC).
L’ultimo capitolo, il numero 16, e´ una selezione di temi e riflessioni, tra le
moltissime emerse nel corso dell’analisi. Prova a disegnare, affiancando elementi
tra loro eterogenei , lo spazio simbolico, tra realta´ effettuale e sogno utopico, in
cui Indymedia si muove.
Le note finali sono il luogo per alcune semplici considerazioni conclusive, piu´
su questo lavoro che sull’IMC in generale.
Completa il testo un glossario, che contiene i termini essenziali utilizzati nel gergo
di Indymedia Italia.
Ringrazio il professor Grandi, per il sostegno, e la fiducia concessami – nonos-
tante certi miei atteggiamenti eterodossi, e i tempi molto dilatati di questo lavoro.
Buona lettura.
10
Parte I
Intorno a Indymedia
11
Capitolo 1
Essere media oggi
Da una parte i doppi vivono al
nostro posto, liberi e sovrani;
ci consolano della vita che ci
manca, ci distraggono dalla vita
che ci e´ data; dall’altra ci spin-
gono all’imitazione, ci danno
l’esempio della ricerca della
felicita´1.
Affermarsi, nel sistema dei media, di uno scenario mondiale, ambito compet-
itivo in cui si intrecciano le vicende dei produttori e dei consumatori di comuni-
cazione.
Il ruolo dei media di massa nella definizione della realta´ socialmente condivisa:
teorie, e dati di fatto.
L’obiettivita´, ideologia tradizionalmente egemone nel campo gionalistico, e i nuovi
paradigmi professionali.
Come nasce una notizia: percorsi, negoziazioni, valori, narrativizzazioni,. . .
Il mestiere del giornalista nel nuovo millennio, e nella societa´ in rete.
Indymedia: la proposta di un giornalismo aperto, non mediato, e radicalmente
libero.
Il progetto IMC in termini di audience empowering e rimescolamento dei ruoli di
autore e lettore.
Agenda setting: il ruolo dei diversi media, in ambito mainstream e alternativo.
Strani incontri, e rumorosi scontri, tra Indymedia Italia e gli attori tradizionali
del panorama mediatico.
1Morin, 1962, citato in Wolf, 1985: 105
13
1.1 Verso una arena mediatica globalizzata
Gli anni Novanta hanno rappresentano un periodo di trasformazione tecnologica
radicale. Diffusione delle reti telematiche, processo di convergenza e integrazione
tra supporti mediatici attraverso la digitalizzazione. Le identita´ basate sul sup-
porto utilizzato dai prodotti editoriali si fanno obsolete Si parla di una seconda
rivoluzione della comunicazione (Van Dijk, 1999).
Le industrie editoriali si fanno conglomerati multimediali. Avanzamento tec-
nologico, processi economici, e scelte legislative delineano, in modo congiunto,
l’evolversi di una scena globalizzata delle comunicazioni. Pochi attori, con di-
mensioni, peso e potere enormi, sotto forma di corporation mediatiche, mega
industrie dell’informazione e dello spettacolo, si contendono lo spazio sul palco
principale. Ad esso si affiancano, e intrecciano, innumerevoli palcoscenici minori.
Si affacciano nell’industria mediatica, attratti dalla possibilita´ di profitti, at-
tori provenienti da altri settori economici. Prende corpo un processo di inte-
grazione verticale tra imprese differenti, in cui lo stesso gruppo editoriale gestisce
in modo esclusivo e coordinato la produzione di contenuti,la distribuzione nei
canali piu´ diversi, tutta la filiera di valore del prodotto, fino alla creazione e
vendita di gadgets2 Il risultato di queste dinamiche e´ una concentrazione senza
precedenti dei mezzi di produzione. Sette, otto gruppi dominano l’industria dei
media a livello mondiale. (Tonello, 1999)
Conformismo, spettacolarizzazione, omogeneizzazione dei contenuti, impover-
imento culturale, . . . Le accuse verso il sistema dei media incontrano un bersaglio
enorme, importante, strategico.
La qualita´ dell’informazione globale e´ criticata da molti. C’e´ chi, come Chom-
sky, si scaglia contro la mercificazione delle notizie:
Prendete il New York Times. E’ una grande azienda e vende un
prodotto. Il prodotto e’ il suo pubblico. Non guadagnano soldi quan-
do voi comprate il giornale. Sono contenti di metterlo sul web, gra-
tuitamente. In effetti, perdono soldi quando voi comprate il giornale.
Ma e’ il pubblico che e’ il prodotto. Devi vendere il prodotto su un
mercato e il mercato sono, ovviamente, gli inserzionisti pubblicitari
(ovvero, altre imprese). Che si tratti di televisione, o di giornali, o di
altro, loro vendono un pubblico. Corporations che vendono i propri
utenti ad altre corporations3.
Le analisi sulla nuova relta´ proposta e propagandata nello scenario mediatico
globale, in cui consumismo, ineguaglianza di classe e individualismo tendono a
2
le grandi produzioni cinematografiche guadagnano stabilmente di piu´ con il merchandising
che attraverso gli incassi di cinema e vhs. Si veda Tonello, 1999: 89
3Chomsky, 1999
14
essere considerati naturali e anche benefici (Mc Chesney, citato in Scotti, 2003:
112) sembrano per certi versi riprendere, quelle che gia´ quarant’anni fa la teo-
ria critica produceva rispetto alla cultura di massa, incentrata sul consumo di
prodotti ma anche sull’autoconsumo della propria vita, ossessionata dall’auto-
realizzazione individuale, e causa dell’indebolimento di istituzioni sociali quali
famiglia e classe sociale (Morin, 1962, citato in Wolf, 1985: 105).
E’ fondamentale riportare l’attenzione sul fatto che lo scenario mediatico,
fatto di competizioni, alleanze, e strategie industriali, non e´ in nessun caso un
sottosistema a se stante, ne´ un settore economico qualsiasi.
I media di massa sono l’interfaccia che l’opinione pubblica possiede con se
stessa.
I media di massa plasmano la percezione della realta´ sociale che noi tutti ab-
biamo, nella misura (enorme) in cui questa realta´ travalica, trascende, la nostra
esperienza diretta, sensoriale (Wolf, 1985).
E’ uno scenario complicato e fluido, in cui i giornalisti sembrano perdere
progressivamente il loro ruolo di mediatori, di filtri, di selettori di notizie e di
formatori di opinione.
Molti studi mostrano la sfiducia crescente dell’opinione pubblica rispetto ai
professionisti dell’informazione. Specialmente in occasioni di situazioni di emer-
genza, di rischio, l’appiattimento informativo dei grandi media li allontana in-
esorabilmente dal proprio pubblico.
Nel 2001, il pubblico italiano guarda la Rai e Mediaset, ma centinaia di migli-
aia di persone cercano in internet, ad esempio su italy.indymedia.org, le notizie
sulle manifestazioni contro il g8 di Genova. Dopo l’11 Settembre, e l’attacco alle
Twin Towers, i cittadini di New York si uniscono agli utenti della rete stranieri
nel cercare su ny.indymedia.org dati e visioni alternative alle immagini e alla re-
torica patriottica ad oltranza di Cnn e Fox.
Nuovi attori alternativi sfidano le corporation dell’informazione.
Giornali e tv si arruolano per la guerra al terrorismo internazionale. BBC e Al
Jazeera, Rete4 e i siti Indymedia giocano le loro partite su un tavolo ’in pendenza’,
per niente neutrale rispetto ai drammi (e alle gioie) del reale.
La scena mediatica contemporanea e´ stata descritta come egemonizzata da
un tipo di giornalismo cosiddetto fast food. La CNN rappresenta il Mc Donald’s
della comunicazione di massa: velocita´, standardizzazione, disponibilita´ nell’arco
delle 24 ore (Tonello, 1999: 77). Il giornalismo fast-food ribalta le logiche di
produzione dei contenuti editoriali, perche´ parte da un prodotto finale che deve
avere certe caratteristiche e sceglie di conseguenza le notizie – commestibili. Il
giornale quotidiano, reinventato, si fa Mc Paper.
ll telegiornale evolve in un minestrone di metereologia, celebrita´ e delitti.
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