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Premessa
L’eccezionale sviluppo che ha interessato le industrie culturali nel corso del XX secolo è
stato fondato, fino ai primi anni 80, sulla concentrazione, in capo a pochi grandi gruppi
imprenditoriali e ad altrettanto poche star, di un vero e proprio oligopolio economico e
culturale sulla produzione, la distribuzione e la commercializzazione di prodotti culturali
destinati al grande pubblico. Tale dominio è stato attuato limitando artificialmente
l’accesso ai beni culturali - aventi, diversamente dai comuni beni industriali, carattere di
beni semi-pubblici - attraverso numerosi strumenti e, in particolare, attraverso l’utilizzo di
forme particolarmente stringenti di protezione del copyright e degli altri diritti d’autore.
Negli ultimi trent’anni, tuttavia, la crescente digitalizzazione dei prodotti culturali, sfociata,
sul finire del millennio, nell’avvento e nell’affermazione a livello globale di Internet, ha
iniziato a intaccare profondamente le regole del gioco. Oggi le aziende, in particolare
quelle culturali, devono affrontare, da un lato, sistematiche violazioni ai diritti d’autore
perpetrate ai danni dei prodotti culturali digitali, dall’altro la crescente possibilità - offerta
agli utenti da Internet e, in particolare, dalle sue più recenti evoluzioni, conosciute con il
nome di Web 2.0 - di partecipare attivamente alla creazione del prodotto culturale,
attraverso gli user generated content. Scopo di questa tesi è dimostrare, attraverso la letteratura
in materia e numerosi riferimenti a best practice di stretta attualità, che, grazie al Web 2.0 e
alla produzione collaborativa (peer production), è possibile coinvolgere, con profitto
reciproco, l’utente nella formazione del valore del prodotto culturale. S’intende
dimostrare, in particolare, che il ruolo attivo concesso all’utente dalle nuove piattaforme
Web 2.0, se da un lato può rappresentare, per le grandi imprese culturali, un elemento
erosivo delle fonti di profitto, dall’altro può essere, se inserito in adeguati modelli di
business, un fattore di reciproco vantaggio competitivo, sia in termini monetari, che non
monetari, nel presidio strategico dei mercati culturali, compresi quelli di nicchia. Tuttavia,
al fine di rendere veramente efficace la collaborazione tra aziende culturali e prosumer, è
necessario aggiornare i meccanismi di tutela del copyright e degli altri diritti d’autore,
utilizzando sistemi di gestione più flessibili e adatti alle particolarità dei prodotti digitali,
come le licenze di tipo copyleft. Ugualmente, s’intende dimostrare che l’aumento del
consumo gratuito di prodotti culturali digitali rappresenta un trend oramai inarrestabile e
difficilmente fronteggiabile con mezzi repressivi, quali l’applicazione di norme
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sanzionatorie più severe e l’applicazione di sistemi tecnici per il Digital Right Management.
Per questo, lungi da essere sempre un fenomeno negativo, la distribuzione gratuita di
determinati prodotti culturali, inserita in modelli di business innovativi, che prevedano il
coinvolgimento dell’utente/consumatore attraverso il Web 2.0, può rappresentare, per gli
artisti e per le industrie culturali, una leva strategica fondamentale, non solo per
fronteggiare la pirateria digitale e gli altri fenomeni di free riding culturale, ma anche per
perfezionare e realizzare nuove e remunerative forme di profitto.
Nonostante il tema del Web 2.0 e dei suoi strumenti sia di stretta attualità presso i media e
l’opinione pubblica, vi è molta confusione sul reale significato di questo fenomeno,
trattato, per lo più, come curioso fenomeno sociologico, non sempre dai connotati
positivi. Parallelamente, a causa della relativa novità del fenomeno, molti studi di
economia e management delle industrie e della produzione culturale, anche autorevoli,
sembrano scettici, quando non apertamente ostili, rispetto all’idea di riconoscere alle
nuove forme di produzione e co-produzione culturale rese possibili dalle piattaforme
partecipative in rete un effettivo valore economico. Tra queste posizioni estreme, al
contrario, si inseriscono i contributi di alcuni giuristi ed economisti quali Anderson,
Benkler, Lessig, Tapscott e Williams, per citarne solo alcuni, che hanno tentato e stanno
tuttora tentando di comprendere e di tradurre in nuove, reali opportunità di business, le
altrettanto nuove dinamiche di produzione, circolazione, distribuzione e condivisione dei
prodotti culturali in rete. Sulla scia degli studi di questi autori, artisti e case di produzione
indipendenti, startup e semplici appassionati, stanno sperimentando nuovi modelli di
business basati, in vario modo, sul Web 2.0, sulla peer production, sui mercati a coda lunga,
sulle licenze copyleft, sulla distribuzione gratuita di contenuti. L’idea di questa tesi nasce,
pertanto, dalla volontà di riunire e descrivere all’interno di un unico lavoro queste teorie e
questi esperimenti innovativi, nella convinzione che essi possano effettivamente costituire
lo strumento per unire business e cultura, all’interno dei mercati dei prodotti culturali
digitali in rete.
Considerati gli argomenti coinvolti, la tesi ha assunto un carattere spiccatamente
interdisciplinare. Essa, pur privilegiando i temi legati all’ economia e, in particolare, al
management strategico, affronta necessariamente, seppur brevemente, soprattutto
all’interno del primo capitolo, argomenti di taglio prettamente umanistico, legati, in
particolare, all’estetica e alla sociologia.
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All’interno del secondo e, in parte, del terzo capitolo, pur non perdendo di vista
l’obiettivo finale, allo scopo di illustrare il concetto di Web 2.0, vengono affrontati
argomenti inerenti l’informatica e in particolare gli strumenti, le tecniche e le forme della
pubblicazione di contenuti on-line. Gran parte di un capitolo, il quinto, infine, è
caratterizzata dalla discussione di argomenti di carattere giuridico, nell’ambito dell’analisi
della tutela dei diritti d’autore.
L’attualità dell’argomento, inoltre, si è tradotta nella necessità di affiancare alle principali
fonti bibliografiche in materia, numerosi articoli e altri contributi, tratti sia da riviste
specializzate che dal Web. Notevole è, inoltre, il ricorso a informazioni tratte da
Wikipedia, uno dei principali esempi di efficacia degli strumenti Web 2.0 nella diffusione
di cultura. Grande importanza, inoltre, soprattutto all’interno dei capitoli secondo, terzo e
quinto, ha l’esame diretto di strutture e servizi Web 2.0, nonché di importanti casi di
studio.
Il percorso di analisi, prende avvio, nell’ambito del primo capitolo, da alcuni brevi cenni
sul concetto di cultura, di bene/prodotto culturale e di industrie culturali. Viene, quindi,
brevemente tratteggiata l’evoluzione storica di tali industrie, la quale, passando attraverso
la mercificazione del prodotto culturale, si conclude con la digitalizzazione dello stesso e
la tendenza dei flussi di produzione culturale a convergere nei media digitali in rete. Al
fine di confrontare le caratteristiche dei processi produttivi tradizionali delle industrie
culturali con le innovazioni apportate dal Web 2.0, è stato, quindi, affrontato il tema
dell’evoluzione delle forme di produzione culturale, secondo la classificazione proposta da
Williams. Queste sono state messe a confronto con una particolare modalità di produrre
cultura, la peer production, che pur non essendo tipica del Web 2.0, grazie a
quest'architettura, unitamente agli user generated content (UGC), ha acquisito particolare
rielvanza. Una sezione particolarmente importante del primo capitolo riguarda l’analisi e la
definizione, sotto un profilo economico-manageriale, del concetto di prodotto culturale e
il suo ruolo nel processo di creazione del valore, analizzato seguendo l’impostazione
proposta, tra gli altri, da Tamma e Moretti. L’analisi si conclude con l’evidenziazione di
una nuova tipologia di relazione tra prodotto culturale e il suo fruitore, il prosuming,
concetto introdotto da Toffler, che evidenzia come nel campo della produzione culturale,
più che in qualsiasi altro settore, l’utente/consumatore sia parte attiva fondamentale del
processo di creazione dl valore. Il capitolo si conclude con l’analisi delle peculiarità del
12
problema strategico delle industrie culturali, dovute, in ultima analisi, alla specificità del
prodotto culturale, rispetto ad altri prodotti industriali e alla sua caratteristica di bene
semi-pubblico.
Il secondo capitolo è interamente dedicato al concetto di Web 2.0. Viene innanzitutto
chiarito come Internet, già nella sua accezione più estesa, presenti numerosi vantaggi
competitivi rispetto ad altri media e canali di distribuzione di prodotti culturali, anche se,
nella prima fase del Web, le reali potenzialità della Rete non sono state del tutto comprese
dalle industrie culturali. Anticipato dall’esperienza di The Cluetrain Manifesto, viene quindi
introdotto e analizzato il concetto di Web 2.0, secondo le diverse definizioni proposte, nel
tempo, da O’Reilly - il maggior divulgatore del termine - e l’analisi effettuata in merito da
Di Bari.
Nel terzo capitolo, vengono analizzate le principali piattaforme e i maggiori servizi Web
2.0 - con particolare riferimento a quelli di maggior impatto, rispetto alla produzione e ai
mercati delle industrie culturali - con numerosi esempi, a testimonianza, sia del tentativo
delle imprese culturali di dialogare in forme nuove con il proprio pubblico, sia delle
occasioni in cui gli utenti hanno dimostrato di potersi inserire con un ruolo di primo
piano, singolarmente o in forma aggregata, nella competizione tra i produttori culturali
professionali. In quest’ambito, uno spazio particolare è dedicato all’analisi delle funzioni
di marketing permesse da social network tematici come MySpace, ma anche da servizi di
video-sharing, con gli esempi significativi, di Mika e Lily Allen. Particolare spazio viene
concesso all’esame del caso YouTube, considerato emblema del nuovo rapporto tra
industrie culturali e utenti. Viene quindi esaminato il fenomeno fansubbing, e la sua
ipotizzata possibilità, intuita anche da Grasso, di influenzare tempi e modi di distribuzione
delle serie televisive statunitensi all’estero. Il capitolo si conclude con la constatazione che
già oggi, grazie al Web 2.0, possono essere riconosciute forme di prosuming, peer production e
crowdsourcing culturale, destinati a costituire dei veri e propri social o user-generated media,
nell’ambito - utilizzando un termine proposto da Tapscott e Williams - di una wikinomics
culturale, di cui, nei capitoli successivi, vengono approfondite alcune delle principali
dinamiche.
Nel capitolo quarto, in particolare, si affronta l’analisi del primo cardine della wikinomics, il
concetto di peer production, utilizzando, in particolare, gli studi effettuati, in materia, da
Benkler ed evidenziando il fatto che, mentre molti modelli di business delle industrie
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culturali sono stati determinati, soprattutto in passato, dalla necessità di notevoli
investimenti in capitale fisico e finanziario, oggi, grazie alla Rete e al Web 2.0, in
particolare, ciascun utente può produrre e far circolare, in maniera economica ed efficace,
i propri testi culturali, in una nuova economia di rete, in cui le innovative forme di
produzione culturale si stanno spostando sempre più, dalla realizzazione di beni, alla
fornitura di valori e servizi. L’efficienza e l’efficacia della peer production, viene quindi
confrontata con quella di altre modalità di produzione, cioè l’autoproduzione interna
all’azienda e il ricorso al mercato, servendosi della teoria dei costi di transizione e del
concetto di “beni comuni”.
Nella seconda parte dello stesso capitolo 4, viene quindi analizzato il concetto di mercati a
Coda Lunga all’interno delle industrie culturali, basandosi, prevalentemente sugli studi
proposti in materia da Anderson, il quale prospetta, grazie alla facilità e all’economicità di
stoccaggio e distribuzione dei prodotti culturali digitali in rete, la possibilità che
l’economia della produzione culturale sia dominata, in futuro, da prodotti di nicchia, un
tempo esclusi dai mercati dei beni culturali su supporto fisico, non per scarso interesse e
qualità intrinseci, ma per l’impossibilità fisica di mettere a disposizione, con costi tali da
non erodere i relativi ricavi, un vasto numero di prodotti diversi. In particolare, viene
esaminata la crescente importanza, anche economica, dei mercati di prodotti culturali di
nicchia e la tendenza da parte di questi ultimi a superare le previsioni del principio di
Pareto, il quale, applicato ai mercati e, in particolare, a quelli culturali, afferma che,
generalmente, il 20% dei prodotti disponibili per la vendita genera, da solo l’80% dei
ricavi.
Nel corso del capitolo quinto, quindi, si passa ad affrontare le motivazioni per cui appare
necessario che le aziende e i produttori culturali adottino strumenti più flessibili di
gestione dei diritti d’autore, al fine di sfruttare vantaggiosamente gli effetti positivi del
Web 2.0 e superare il c.d. “digital dilemma” imposto dalla natura dei prodotti culturali
digitali. In tale contesto dopo una premessa relativa alla distinzione tra i concetti di
proprietà intellettuale, marchio, brevetto, copyright e diritti d’autore, con particolare
attenzione alla differenza tra questi due ultimi concetti, viene proposta una breve
introduzione alla disciplina del diritto d’autore secondo l’ordinamento giuridico italiano,
con l’individuazione, ai sensi della Legge sul Diritto d’Autore (L. 633/41 e successive
modificazioni), dell’oggetto di protezione, dei diritti morali, dei diritti di sfruttamento
14
economico - con focus sul diritto di riproduzione – e dei diritti connessi. Vengono quindi
chiariti i concetti di pubblico dominio e di utilizzazione libera e il rispettivo significato
nell’ambito della circolazione delle opere creative.
Sono, quindi, analizzati i principali strumenti con cui i produttori culturali stanno
cercando di difendersi dalla crescente difficoltà incontrata nel controllo dei canali
distributivi digitali e dal crescente fenomeno della diffusione non autorizzata dei propri
contenuti, ovvero l’inasprimento delle norme sanzionatorie nei confronti delle violazioni
in materia di diritto d’autore - inasprite in Italia dal c.d. “Decreto Urbani” - e gli strumenti
fisici e logici per il Digital Rights Management (DRM). Facendo riferimento all’analisi
effettuata in merito da Doglio, si passa quindi a esaminare le basi giuridico-economiche
dei diritti d’autore, ovvero il valore economico della proprietà intellettuale e la duplice
funzione di tutela e incentivo della produzione culturale, a vantaggio sia del produttore
che della collettività. Tali basi, rifacendosi, in particolare, all’analisi effettuata in merito da
Neri e Lessig, vengono successivamente messe a confronto con le ragioni economiche e
giuridiche degli avversari della concezione tradizionale del copyright. Secondo questi ultimi,
la tutela dei diritti di riproduzione, così come attualmente formulata, lungi dal costituire
un diritto naturale, sembrerebbe, piuttosto un’eccezione alla concezione globale di bene
culturale, concepita all’interno della struttura economica del mondo occidentale e priva di
effettiva efficacia economica all’interno dei mercati culturali di beni digitali. Per questo,
secondo Lessig, promotore del progetto Creative Commons, a tali obsolete forme di
tutela dei diritti d’autore sembra più opportuno sostituire mezzi di disciplina e controllo
più flessibili, unitamente a modelli di business alternativi che sfruttino altre modalità e
occasioni di generare valore attraverso la produzione culturale. Al termine del capitolo,
viene analizzato, ricorrendo in particolare all’esame delle licenze Creative Commons, uno
dei modelli alternativi più promettenti, il modello copyleft, in cui, attraverso appositi
“contratti” tra il titolare dei diritti e l’insieme indistinto dei possibili utilizzatori - le licenze
- i primi, piuttosto che vietare qualsiasi azione sulle opere protette - in assenza di una
specifica autorizzazione – ne permettono a priori tutte o alcune, rendendo più fluida la
circolazione e fruizione delle opere stesse.
La tesi si conclude, nel capitolo sesto, con la constatazione, anche attraverso l’analisi di
significativi casi di studio, dell’opportunità e, in molti casi, della necessità, da parte dei
produttori culturali, di ideare e utilizzare nuovi modelli di business, al fine di continuare a
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produrre cultura e trarne, contemporaneamente, un legittimo profitto. Dopo aver fornito
alcuni strumenti teorici per la comprensione del concetto di business model e per la sua
analisi (il Business Model Canvas proposto da Osterwalder), viene analizzata una strategia di
distribuzione sempre più importante all’interno dei nuovi modelli di business, ovvero
quella legata alla concessione gratuita di alcuni prodotti/servizi/contenuti per stimolare il
consumo di prodotti complementari o a valore aggiunto e suscitare fenomeni di
identificazione e appartenenza a una community, piuttosto che la sensazione di consumo di
un prodotto. L’esame di queste dinamiche è effettuato con il contributo fondamentale
delle ricerche, in merito, di Anderson. Quindi, a conclusione della tesi, servendosi degli
strumenti appena acquisiti, vengono analizzati alcuni modelli di business innovativi,
adottati da altrettanti player culturali, attraverso il Web 2.0. Dopo aver esaminato i casi dei
servizi on-line di self-publishing e della strategia promozionale del compositore statunitense
Eric Whitacre, attraverso l’iniziativa di The Virtual Choir, in particolare, vengono descritti
– servendosi delle esperienze di Radiohead e Nine Inch Nails – alcuni modelli alternativi
di distribuzione di contenuti musicali. In questi ultimi, l’ottenimento di un profitto è
realizzato attraverso forme più o meno complete di rilascio gratuito di contenuti digitali,
finalizzato all’ acquisizione di un numero sempre maggiore di fan, al consolidamento della
loro fidelizzazione e, ottenuto tale scopo, alla stimolazione della propensione all’acquisto
e della willingness to pay di contenuti complementari o a valore aggiunto, quali concerti,
merchandise ed edizioni Deluxe, all’interno dei segmenti di clientela acquisiti.
17
Nota metodologica
In questa tesi, si farà uso di dati statistici relativi alla fruizione di servizi Web. Saranno,
secondo i casi, utilizzati dati desunti da diverse fonti disponibili sia offline che on-line. È
necessario precisare che, non di rado, i metodi di rilevazione possono differire, a seconda
delle fonti, in maniera anche sensibile. Inoltre sarà possibile confrontarsi sia con dati
statistici rilevati analiticamente, sia con dati stimati, ovvero desunti in base alla rilevazione
di ulteriori parametri e indicatori. In alcuni casi, infine, a seconda delle fonti, potranno
verificarsi alcune differenze terminologiche nelle indicazioni di determinate grandezze.
Vale la pena, pertanto precisare preliminarmente alcune note metodologiche in relazione
ai dati di traffico presentati in questo lavoro.
Principali servizi statistici
Qualora non fossero disponibili dati desunti dalle diverse pubblicazioni indicate in
bibliografia, saranno utilizzati i seguenti servizi di rilevazione statistica/analisi della Rete:
Google Ad Planner (http://www.google.com/adplanner): servizio gratuito,
finalizzato alla valutazione delle opportunità offerte dai diversi siti a fini pubblicitari e
di marketing. Ad eccezione del caso in cui siano disponibili dati analitici, forniti dal
servizio Google Analytics, si tratta di dati stimati. Il servizio non copre tutti i siti
Internet;
Google Analytics (http://www.google.it/analytics): servizio gratuito riservato ai
gestori dei siti, destinato alla rilevazione analitica dei dati di navigazione. Su
autorizzazione degli owner i dati possono essere resi pubblici e disponibili attraverso il
servizio Google Ad Planner;
AudiWeb (http://www.audiWeb.it): servizio di rilevazione di dati dell’audience on-line
fornito dall’omonima società. Attualmente raccoglie esclusivamente i dati di un
numero limitato di siti aderenti. Sono disponibili in forma gratuita esclusivamente dati
di sintesi.
Technorati (http://www.technorati.com): servizio di ricerca e classificazione
(aggregatore) dedicato al fenomeno blog. Propone anche il ranking dei 100 blog più
visitati e un report annuale denominato “State of Blogosphere” .
18
Alexa (http://www.alexa.com): servizio di rilevazione statistica delle audience Web,
basato su dati rilevati da appositi software integrati al browser di navigazione. Il
servizio, pertanto non rileva i dati globali di navigazione, bensì quelli provenienti da
un campione limitato di utenti. Poiché circostanza suscita diverse perplessità sulla
validità del campione di riferimento, questa fonte sarà utilizzata solo qualora non
fossero disponibili altre fonti.
Quantcast (http://www.quantcast.com) e Compete (http://www.compete.com),
servizi di rilevazione stimata (su base statistica). Soffrono, in parte, dei limiti
evidenziata per Alexa.
Terminologia
Salvo diverse indicazioni saranno prese in considerazione le seguenti grandezze
1
:
Visitatori unici (utenti): valore rappresentativo dell’effettivo numero di visitatori
(singole persone fisiche) di un sito in un determinato periodo di tempo;
Visitatori unici (cookie): numero di visitatori di un sito in un determinato lasso di
tempo calcolato, basato sul numero di cookie del sito installati
2
. Poiché più persone
possono accedere a un sito dallo stesso profilo e, viceversa, la medesima persona può
accedere al sito da profili e macchine diverse, il dato può differire, anche in misura
significativa, dal valore di visitatori unici (utenti). Tuttavia, confrontato con
quest’ultimo è un interessante indicatore degli stili di navigazione del sito di
riferimento. Valori simili dei due parametri indicheranno che gli utenti tendono a
raggiungere il sito da un unico account. Al contrario valori sensibilmente diversi,
indicheranno il probabile accesso dello stesso utente da più macchine/account.
Reach: esprime, in valore percentuale, il rapporto tra visitatori unici di un sito e
visitatori unici del Web, ovvero persone che hanno visitato un sito Web almeno una
volta nel medesimo periodo.
Visite: indica il numero di singole sessioni di attività di un utente su un sito in un
determinato periodo di tempo. Ogni sessione ha la durata di 30 minuti. Ogni attività
1
Per maggiori dettagli sui dati rilevati nell’ambito delle ricerche sull’audience
online,cfr.http://www.google.com/support/analytics/bin/answer.py?answer=57164&hl=it&topic=11032.
2
I cookie (letteralmente “biscotti) sono frammenti di testo inviati da un server ad un Web client (di solito
un browser) e da questi reinviati al server ogni volta che il client accede allo stesso server. I cookie sono usati per
eseguire autenticazioni e tracking di sessioni e memorizzare informazioni specifiche riguardanti gli utenti che
accedono al server. Da Wikipedia, edizione in lingua italiana (http://it.wikipedia.org/wiki/Cookie).
19
effettuata da un utente nell’arco di 30 minuti sarà conteggiata come una sola visita.
Scaduti i trenta minuti, un ulteriore accesso/attività darà inizio a un’ulteriore visita.
Visualizzazioni di pagina/pagine viste: indica il numero di singole pagine di un sito
visitate in un determinato periodo di tempo. Se un visitatore preme il pulsante di
ricarica dopo aver raggiunto la pagina, questa operazione viene calcolata come una
visualizzazione di pagina aggiuntiva. Se un utente raggiunge una pagina diversa e
successivamente torna alla pagina originale, viene registrata anche una seconda
visualizzazione di pagina.
Visualizzazioni uniche di pagina: questa grandezza aggrega le visualizzazioni di pagina
generate dallo stesso utente durante la stessa sessione. Una visualizzazione di pagina
unica rappresenta il numero di sessioni durante le quali tale pagina è stata visualizzata
una o più volte in un determinato intervallo temporale.
21
Capitolo 1
1. Le industrie culturali
1.1. Un fenomeno complesso
Qualsiasi indagine su un fenomeno ha come necessaria premessa l’individuazione di
alcuni capisaldi, sui quali ancorare le ipotesi di partenza e da cui sviluppare le relative tesi.
Tali capisaldi minimi sono rappresentanti, di norma, dalla scelta di un’adeguata
definizione del fenomeno, da un’analisi, più o meno approfondita, dell’evoluzione storica
dello stesso e, infine dall’individuazione degli ambiti in cui esso esercita la propria
influenza e in cui è oggetto di studio.
Nel caso delle “industrie culturali”, termine che sarà preferito al singolare “industria culturale”
per motivi che saranno chiariti nel corso del presente lavoro, questa attività preliminare
risulta complicata da numerosi fattori concorrenti.
Il primo è insito nello stesso termine “industria culturale”. Se il sostantivo “industria”
suggerisce un ambito di ricerca economico, legato al profitto e alla produzione su larga
scala, mediante tecniche non artigianali, l’aggettivo “culturale”, come si vedrà nel
successivo paragrafo, si collega a concetti immateriali, tradizionalmente legati ad ambiti
marginali rispetto all’economia, legati alla diffusione della conoscenza, della creatività,
della creazione artistica e della memoria collettiva.
Un’ulteriore complicazione è rappresentata dal fatto che il termine “industria culturale”
3
,
nasce successivamente sia alle origini del fenomeno cui si riferisce, sia a una prima fase di
maturità del fenomeno stesso. Inoltre, nonostante esso sia ormai ampiamente diffuso
nell’uso comune, non è ancora universalmente accettato dagli studiosi delle diverse aree
interessate al suo studio. Come ogni fenomeno attuale, infine, il concetto di industria
culturale è un fenomeno vivo, non cristallizzato, che continua a evolversi e a coinvolgere
aspetti sempre nuovi.
Per tali motivi, in questo lavoro, appare opportuno evitare una rigida separazione tra
l’analisi dell’evoluzione storica dell’industria culturale e quella delle diverse definizioni
proposte per illustrarlo. Al contrario, salva la necessità di introdurre preventivamente i
3
Si farà momentaneamente riferimento al singolare del termine.
22
concetti di cultura e di prodotto culturale, si seguirà un approccio cronologico, in cui le
diverse definizioni saranno rapportate al contesto di riferimento.
1.1.1. Il concetto di cultura e i prodotti culturali
Nel paragrafo precedente, si è evidenziato come l’aggettivo “culturale” si riferisca a una
sfera di fenomeni riconducibili a concetti quali l’espressione creativa, la produzione
artistica, la diffusione e la conservazione della conoscenza, della memoria e delle tradizioni
di una comunità. Nel tempo e nei diversi ambiti di ricerca, tuttavia, il concetto di cultura è
stato, di volta in volta, declinato secondo le più diverse definizioni. Affrontare un esame
approfondito delle diverse definizioni di cultura proposte nel tempo e nei diversi ambiti di
studio esulerebbe dalle finalità di questa tesi. Senza la pretesa di essere esaustivi, tuttavia,
per circoscrivere e chiarire il perimetro delle industrie culturali, appare utile adottare, tra le
molte proposte dalla letteratura, alcune definizioni del concetto di cultura e di prodotto
culturale, che delle relative industrie costituiscono il presupposto.
Per quanto riguarda il concetto di cultura, in prima battuta, è possibile, partire dalla
definizione, assai generale, proposta da Rispoli
4
, il quale, nel definire l’aggettivo “culturale”,
identifica la cultura come il
“complesso delle cognizioni, delle tradizioni (linguistiche, filosofiche, scientifiche, letterarie, artistiche), dei
procedimenti tecnici, dei comportamenti, trasmessi e usati sistematicamente e caratteristici di un particolare
gruppo sociale di individui (nazione, popolo)”.
Tale definizione, tuttavia, risulta troppo ampia ai fini di questo lavoro, poiché essa,
potenzialmente, ricomprende nel concetto di cultura ogni campo dell’attività umana e, in
quello di prodotto culturale, qualsiasi prodotto di quest’ultima. Infatti, seguendo questa
impostazione, ogni attività e ogni suo prodotto, poiché si manifestano all’interno di una
comunità caratterizzata da un determinato sistema di valori, possono avere un contenuto
culturale e, pertanto, essere definiti come attività e prodotti culturali. È necessario,
pertanto, scegliere una definizione più stringente, che riesca ad individuare alcune
caratteristiche peculiari delle attività poste in essere dall’industria culturale e dei suoi
4
Rispoli [2005a, 4].
23
prodotti. Interessante a tal fine sembra essere la proposta di Williams, il quale definisce la
cultura come
“sistema significante attraverso il quale (sebbene in concomitanza con altri mezzi) un sistema sociale viene
trasmesso, riprodotto, sperimentato e esplorato”
5
.
Tale definizione, è solo in apparenza, simile a quella proposta da Rispoli. Williams, in
realtà, pur utilizzando termini analoghi e considerando i medesimi fenomeni, cambia
radicalmente prospettiva, limitando, contemporaneamente, il concetto di cultura. Egli,
infatti, non individua estensivamente la cultura nel complesso di concetti e valori condivisi
da una comunità, bensì nel solo sistema attraverso il quale, anche se in maniera non
esclusiva, tale complesso viene comunicato, condiviso e fruito. In base alla definizione di
Williams, è possibile pertanto limitare il concetto di attività culturali alle azioni che
abbiano quale scopo principale la trasmissione in forma simbolica di significati condivisi.
Partendo da tal assunto e facendo proprie le conclusioni di Hesmodhalgh, è quindi
possibile definire i prodotti culturali, che l’autore ricomprende nel concetto collettivo di
testi
6
, come prodotti portatori di significati socialmente condivisi, creati attraverso un’attività di
comunicazione con un'audience
7
. Nell’ambito del paragrafo 1.4, si avrà modo di analizzare altre
definizioni di prodotto culturale e di studiarne le caratteristiche in relazione, soprattutto,
all’attività delle relative industrie. Per il momento, interessa evidenziare che, oltre alle
forme di produzione culturale organizzata industrialmente, che saranno oggetto del
presente capitolo, sulla scorta della definizione appena individuata, è possibile
comprendere nella categoria di oggetti culturali, fenomeni caratterizzati da una forte
valenza estetica e simbolica, riconducibili alla produzione delle diverse discipline artistiche
e delle attività di comunicazione orale e scritta. Le opere delle arti plastiche, come la
pittura e la scultura, ma anche quelle delle performing art come il teatro di prosa, la musica
lirica e quella sinfonica, senza dimenticare i manoscritti e le altre forme di comunicazione
testuale, costituiscono le prime forme di prodotti culturali. È da tali prodotti che,
attraverso l’invenzione e lo sviluppo delle tecniche di riproduzione, nascono e si
5
Williams [1983, 21], inciso dell'autore.
6
L’opportunità di utilizzare il termine “testo” per identificare i diversi prodotti culturali sarà giustificata al paragrafo
1.1.5..
7
Hesmondhalg [2007, 13-14].