convenzionali di fabbricazione “top-down” basate su metodi di fotolitografia,
deposizione ed etching. Allo stesso tempo le crescenti difficoltà nella miniaturizzazione
dei FET, legate ai costi e alla tecnologia necessaria per sviluppare le sorgenti laser con
lunghezza d’onda sempre piccola (Deep Ultra Violet ed Extreme Ultra Violet), stanno
spingendo molti tra i top-players mondiali nel campo dei semiconduttori a sviluppare
approcci “bottom-up” che includono i nanotubi di carbonio o nanowires a
semiconduttore quali nuovi materiali accanto ai tradizionali Si e SiO
2
.
A fronte delle interessantissime proprietà chimico-fisiche di questi materiali,
esiste tuttavia un grosso gap tra le applicazioni potenziali e l’impiego dei nanotubi nei
dispositivi reali. Le principali complicazioni riguardano lo sviluppo di nuovi processi di
crescita con bassi costi di produzione, la rimozione delle impurezze (carbonio amorfo,
particelle di catalizzatore, etc.), la manipolazione delle singole nanostrutture. La
difficoltà più frustrante, tuttavia, consiste nell’impossibilità di crescere campioni
uniformi, in cui tutti i nanotubi abbiano le stesse proprietà fisiche. I metodi di crescita
attuali danno luogo a famiglie di nanotubi a parete singola in cui statisticamente i 2/3
hanno carattere semiconduttore ed 1/3 carattere metallico. Nel caso dei semiconduttori,
l’ampia distribuzione in diametro generata in fase di crescita da luogo ad una
distribuzione nei valori di bandgap che va da 0.6 eV fino a 1.55 eV. Infine, i nanotubi
tendono a formare fasci (bundles) costituiti da 10 a 10
3
nanotubi, le cui proprietà
elettroniche ed ottiche non sono ben definite né tantomeno controllabili. Nel caso dei
nanotubi semiconduttori, in particolare, tutti i fenomeni di fotoluminescenza che si
verificano dei nanotubi individuali, e che li renderebbero ottimi candidati per la
realizzazione di laser nella regione del vicino infrarosso, vengono soppressi da processi
di decadimento non radiativo dovuti a fenomeni di trasferimento energetico verso
nanotubi metallici adiacenti.
Gli ultimi anni hanno visto lo sviluppo di nuove tecniche votate, da un lato, alla
riduzione della distribuzione in diametro già in fase di crescita e, dall’altro,
all’individualizzazione e selezione dei nanotubi in diametro in fase liquida, dopo una
fase preliminare di dispersione in surfattanti organici e non.
L’obiettivo di questa tesi di laurea, svolta presso il Laboratorio di
Nanotecnologie Ottiche dell’Istituto per i Processi Chimico-Fisici (u.o. Messina) del
2
Consiglio Nazionale delle Ricerche, è stato la messa a punto di tecniche per la
dispersione in soluzione acquosa e l’individualizzazione di nanotubi a parete singola di
tipo CoMoCAT. I nanotubi CoMoCAT sono attualmente i più interessanti nel panorama
commerciale e della ricerca in quanto contengono prevalentemente (> 50% in peso)
nanotubi di una singola chiralità ed hanno carattere prevalentemente semiconduttore
(90%). E’ stata comparata l’azione di diversi surfattanti al variare delle procedure di
dispersione impiegate, valutandone l’efficacia con misure di assorbimento, scattering
Raman, fotoluminescenza ed eccitazione di fotoluminescenza, misure queste ultime
effettuate in collaborazione con il Nanomaterials and Spectroscopy Group del
Dipartimento di Ingegneria dell’Università di Cambridge, UK (Dr A. C. Ferrari).
La tesi è organizzata in tre capitoli. Nel primo si descrivono le proprietà fisiche dei
nanotubi di carbonio in relazione al quelle morfologiche, vengono quindi illustrate le
tecniche di crescita, dando infine una panoramica delle possibili applicazioni nei diversi
campi della fisica, della chimica e dell’elettronica; nel secondo capitolo vengono
illustrate le tecniche sperimentali impiegate per la dispersione ed individualizzazione
dei nanotubi, nonché quelle per la loro caratterizzazione ottica; infine nel terzo capitolo
vengono presentati e discussi i risultati sperimentali.
3
1
1.
I NANOTUBI DI CARBONIO
Sin dalla loro scoperta nel 1991, i nanotubi di carbonio sono stati oggetto di
grande interesse nel campo scientifico. Numerosi studi di ricerca teorici e sperimentali
sono stati affrontati su questi materiali, attratti sia dalle peculiari proprietà fisiche
fondamentali, che dalle potenziali applicazioni nel campo della sensoristica, della
nanoelettronica, e della fotonica. Infatti, i nanotubi di carbonio, grazie al loro carattere
quasi unidimensionale, rappresentano delle nanostrutture che esibiscono delle proprietà
ottiche/elettroniche uniche. In questo capitolo verrà descritta la struttura dei nanotubi di
carbonio e verranno definite le notazioni che consentono di distinguere le varie famiglie
di nanotubi. In seguito verranno analizzate le proprietà elettroniche e meccaniche,
insieme con una rapida rassegna riguardante i vari processi di produzione e
purificazione.
4
CAPITOLO 1 – I NANOTUBI DI CARBONIO
1.1. NOTE STORICHE
Il carbonio può esistere in natura sotto varie forme allotropiche, fino al 1985 ne
erano note solo due: il diamante e la grafite (Figura 1.1). Il diamante è un cristallo nel
quale ciascun atomo di carbonio è ibridizzato sp
3
, quindi è fortemente legato ai quattro
atomi vicini, disposti ai vertici di un tetraedro regolare. La grafite invece è costituita da
piani cristallini debolmente interagenti fra loro, ciascuno dei quali ha una struttura
periodica esagonale, in cui ogni atomo di carbonio ha ibridizzazione sp
2
, ed è legato
fortemente solo ai tre atomi vicini nel piano.
Figura 1.1. Diamante e grafite con le rispettive strutture.
Nel novembre del 1985 un gruppo di scienziati guidati da H. Kroto e R. Smalley,
pubblicarono un articolo riguardante una terza forma allotropica del carbonio i fullereni
[1]. Un fullerene è una struttura chiusa di carbonio, di cui quella più stabile è il C
60
chiamato Buckminster-fullerene o bucky-ball, che per la sua forma particolare
assomiglia molto ad un pallone da calcio. Il fullerene è costituito da 60 atomi di
carbonio disposti in 20 esagoni e 12 pentagoni come mostrato in Figura 1.2.
5
CAPITOLO 1 – I NANOTUBI DI CARBONIO
Figura 1.2. Immagine grafica della struttura del fullerene C
60
.
Nel 1991, Sumio Iijima, al NEC Fundamental Research Laboratory di Tsukuba [2],
Giappone, usò un TEM ad alta risoluzione per studiare il particolato creato in una
scarica elettrica tra due elettrodi di carbonio. Egli scoprì che tale particolato conteneva
strutture consistenti di parecchi tubi concentrici di carbonio, inseriti l’uno nell’altro
(Figura 1.3).
Figura 1.3. La prima immagine TEM di MWCNT fatta da S. Iijima nel 1991 [1]
Un anno più tardi Thomas Ebbesen e Pulickel Ajayan [3], anch’essi presso la NEC a
Tsukuba, svilupparono un metodo efficiente per fabbricare grandi quantità di nanotubi a
parete multipla, ( MultiWalled NanoTubes, MWNT) .Nel 1993, il gruppo di Iijima alla
6
CAPITOLO 1 – I NANOTUBI DI CARBONIO
NEC [4] e quello di Donald Bethune, all’IBM Almaden Research Center in California
[5], indipendentemente, scoprirono i nanotubi a parete singola, (SingleWalled
NanoTubes, SWNT). Il corpo del nanotubo è formato da soli esagoni, mentre le
strutture di chiusura (le due semisfere) sono formate da esagoni e pentagoni e
corrispondono a due emisfere di fullerene. I nanotubi a parete multipla sono costituiti da
molti SWNT inseriti l’uno nell’altro (Figura 1.4, sinistra) ed hanno un diametro che può
essere anche di decine di nanometri. Il diametro tipico di un nanotubo a parete singola,
invece, può variare da 0.5 a 2.5 nm (Figura 1.4, destra). L’elevatissimo rapporto tra
lunghezza e diametro (dell’ordine di 10
4
) consente di considerarli come delle
nanostrutture virtualmente unidimensionali, conferendogli delle proprietà peculiari.
Figura 1.4. Nanotubi a parete multipla (sinistra) e singola (destra).
La geometria ben definita unitamente alle straordinarie proprietà meccaniche ed
elettroniche hanno reso i nanotubi di carbonio oggetto di innumerevoli ricerche, volte ad
applicazioni in moltissimi campi della scienza dei materiali.
7
CAPITOLO 1 – I NANOTUBI DI CARBONIO
8
1.2. STRUTTURA GEOMETRICA E NOTAZIONI
La base di partenza per la comprensione della struttura dei nanotubi di carbonio
è ovviamente la struttura della grafite. Questa ultima come detto in precedenza è
formata da vari piani bidimensionali, detti fogli di grafene, posti ad una distanza
d = 0.335 nm e impacchettati con la sequenza ABAB come mostrato in Figura 1.5.
Figura 1.5. Struttura tridimensionale della grafite. La freccia nera indica la
distanza d = 0.67 nm tra due piani A-A.
All’interno del singolo foglio di grafite, chiamato grafene, gli atomi di carbonio
sono posizionati ai vertici di esagoni con una distanza atomo-atomo a
C-C
= 0.142 nm.
Idealmente un nanotubo a parete singola può essere descritto come un tubo formato da
un foglio di grafene, arrotolato su se stesso a formare un cilindro, chiuso alle due
estremità da due calotte emisferiche. Nel caso in cui invece del singolo foglio di
grafene, si arrotolino più strati di grafite si ottengono i nanotubi a parete multipla.
Figura 1.6. Schematizzazione grafica della realizzazione di un nanotubo a parete
singola a partire da un foglio di grafene.
CAPITOLO 1 – I NANOTUBI DI CARBONIO
La cella elementare del reticolo planare del grafene è definita mediante i vettori
cristallografici a
1
e a
2
(Figura 1.8). Nei nanotubi a parete singola, la struttura della cella
base bidimensionale può essere identificata dal vettore chirale e dal vettore di
traslazione T, ortogonali tra loro [6]. L’“arrotolamento” è descritto dal vettore chirale,
perpendicolare all’asse del nanotubo, il cui modulo corrisponde alla circonferenza del
nanotubo. Il vettore chirale può essere espresso come combinazione lineare dei vettori
e del reticolo diretto:
h
C
1
a
2
a
21
aaC mn
h
(1.1)
con coppia di interi dove (Figura 1.7). ),( mn 0 τ τmn
O = A
B = B ’
Figura 1.7. (a) Foglio di grafene su cui si sono indicati i vettori primitivi a
1
e a
2
, il
vettore chirale C
h
, l’ angolo chirale θ e il vettore di traslazione T [6]. Il rettangolo
OABB’ definisce la cella unitaria. Quando si fa coincidere il punto O con il punto
A ed il punto B con il punto B’ si ottiene un nanotubo a parete singola. La figura si
riferisce ad un nanotubo (4,2). (b) Struttura del nanotubo in cui viene indicato il
vettore di traslazione T.
Il vettore di traslazione T è definito come la minima distanza con cui la cella si
ripete ed è dato da:
),(
212211
tttt { aaT (1.2)
dove sono legati ad dalle seguenti relazioni: ),(
21
tt ),( mn
9