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e di rimodellare così ciò che sembra immutabile, cioè la personalità. La
tesi s’interroga se sia sempre consigliabile un intervento di psicoterapia
breve, che possa adattarsi alle esigenze della persona, riprendendo il
concetto della “scarpa su misura” , e scegliendo un focus tra quattro aree:
il lutto, i deficit e i conflitti interpersonali e le transizioni di ruolo. A
questo scopo la tesi ritiene di valutare la capacità di insight del paziente,
il livello di alleanza terapeutica possibile, la possibilità di allargare il
numero di partecipanti alla terapia e il tipo di relazione. La tesi valuta
come la psicoterapia breve potrebbe aiutare la persona in difficoltà a
sentirsi simile agli altri, e non più sola in preda all’angoscia, scartata e
giudicata, discutendo la possibilità di una relazione calda, empatica e che
valorizzi il bisogno prioritario di percepire e riappropriarsi delle proprie
differenze e qualità, della originalità che ogni persona contiene nella sua
storia. La tesi dimostra in che modo l’intervento breve potrebbe risultare
efficace se si propone come modello multiteorico che utilizza più
approcci tecnici: da quello più propriamente psicodinamico a quello
interpersonale, da quello cognitivista a quello comportamentale, a quello
dei farmaci. Viene poi affrontato il problema di come integrare i vari
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orientamenti in un modello di psicoterapia breve capace di colpire
diversi target che vanno dalla sintomatologia conclamata fino a
manifestazioni maladattative del comportamento, senza il rischio di
cadere nei riduzionismi.
Nel primo capitolo ho tracciato un quadro storico di questa forma
psicoterapeutica, partendo da Freud e dai suoi discepoli fino ad arrivare
alle tendenze attuali che considerano la psicoterapia breve una valida
tecnica terapeutica, dotata di metodo e di strumenti propri, controllabili
oggettivamente e attendibili scientificamente. Sono state descritte le
modificazioni della psicoanalisi classica ad opera di autori come
Ferenczi, Adler, Alexander, Balint, Malan, Gilliéron, i quali hanno
accorciato la durata dei trattamenti, sottolineando un ruolo più attivo da
parte del terapeuta e la focalizzazione dell’intervento. All’interno del
primo capitolo si può comprendere come anche il contesto storico, ad
esempio gli eventi della prima e della seconda guerra mondiale, abbia
influito sulla necessità di affrontare in breve tempo situazioni
estremamente critiche. Verso la fine del primo capitolo si è accennato
alle tendenze attuali che fanno della psicoterapia breve un intervento
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completo che supera la classica dicotomia supportivo/espressivo.
Nel secondo capitolo sono state presentate le principali scuole di
pensiero relativamente alle indicazioni. Ho discusso i criteri di selezione
dei pazienti per la psicoterapia breve, prendendo in considerazione
quadri psicopatologici definiti e le variabili psicodinamiche secondo il
punto di vista delle varie scuole di pensiero. Gli autori citati sono stati
Malan, Mann, Davanloo, Sifneos, Wolberg, Strupp, Luborsky, Gilliéron,
Klerman, Frankl fino a comprendere il gruppo padovano del prof. Pavan.
Alla fine del secondo capitolo ho parlato delle indicazioni alla
psicoterapia breve di gruppo. Ne è derivato così un quadro completo e
complesso, ricco di contributi diversi tra loro, ai quali oggi siamo
debitori nella nostra pratica terapeutica.
Il terzo capitolo invece rappresenta, a mio avviso, ciò che rende originale
la tesi, perché approfondisce un autore in genere “ingiustamente
trascurato” (Ellenberger), Alfred Adler, l’allievo prediletto da Freud e
“primo ribelle”, e inquadra la psicoterapia breve nel modello della
“Psicologia Individuale Comparata”. In questo capitolo Adler è stato
presentato come uno dei più precoci propugnatori della necessità di
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rapportarsi flessibilmente e al di là di ogni riduzionismo in psicoterapia
alla persona intesa nella sua irripetibilità trascendente. Il capitolo
descrive la tecnica psicoterapeutica adleriana, ne valorizza la brevità
sempre adeguata all’evoluzione del quadro clinico , l’eclettismo, il suo
muoversi tra storico e fantasmatico del paziente, e l’importanza di
considerare l’uomo da una prospettiva globale: biologica, psicologica e
socioeconomica, tre componenti racchiuse nel concetto sempre più
attuale di “Stile di vita”. Inoltre è stata messa in evidenza l’originalità
anticipatrice del pensiero adleriano, che ha dato un valore preminente al
ruolo condizionante sull’uomo dei rapporti interpersonali prima familiari
e poi più largamente ambientali. Infatti la Teoria delle relazioni
oggettuali, la Psicologia dell’Io, la Psicologia del Sé, la terapia di
gruppo, possono essere considerate a buon diritto un risultato del
pensiero e dell’opera di Alfred Adler (1). Il capitolo si è soffermato
infine sulle indicazioni al trattamento breve adleriano sia di tipo
individuale che di gruppo, mostrando le differenze tra le due forme.
Nel quarto capitolo ho illustrato la possibilità di associare i farmaci alla
psicoterapia breve in diversi disturbi quali il disturbo depressivo
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maggiore, il disturbo distimico, il disturbo di attacchi di panico, il
disturbo bipolare, la bulimia nervosa e il disturbo borderline di
personalità. Per ognuna di queste indicazioni sono stati discussi i risultati
dei vari studi, dai quali si è evinta l’efficacia del trattamento integrato,
poiché da una parte i farmaci antidepressivi, ansiolitici e stabilizzanti
dell’umore hanno avuto un’azione a breve termine nel ridurre i sintomi,
dall’altra la psicoterapia breve ha ottenuto un effetto benefico a lungo
termine, lavorando sulle cause intrapsichiche e relazionali del disturbo e
diminuendo così la probabilità di recidive. Quindi il capitolo valorizza la
necessità di combinare i due trattamenti per garantire ai pazienti
un’assistenza clinica ottimale.
Dal quinto capitolo ha inizio la parte sperimentale della tesi, che
raccoglie le mie esperienze di psicoterapia breve all’interno del Day
Hospital psichiatrico. Prima di descrivere in dettaglio le esperienze sia di
gruppo sia individuali, il capitolo sottolinea la scelta di un modello
psicoterapeutico multiteorico, che contempla molteplici influenze e si
caratterizza per la brevità (dalle 10 alle 30 sedute), per la possibilità di
enucleare, come detto sopra, un focus da quattro aree fondamentali
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(lutto, deficit e conflitti interpersonali, transizioni di ruolo)e per la
flessibilità e l’ampiezza dei criteri di selezione. Il capitolo in seguito
descrive l’esperienza breve di gruppo e quella breve individuale,
precisando che all’inizio e alla fine dei due trattamenti è stata effettuata
la valutazione della personalità dei pazienti con la scala MMPI-2. Dodici
sedute di psicoterapia di gruppo hanno coinvolto un gruppo omogeneo di
dieci pazienti, di diverse età e diagnosi, ma accomunati tutti
dall’esperienza di aver subito eventi stressanti oggettivamente violenti,
oppure eventi vissuti come tali, ad esempio la separazione dei genitori.
Dopo aver esposto in dettaglio l’evoluzione e i risultati di quattro casi
clinici estrapolati dal gruppo dei dieci pazienti trattati, è stato discusso se
la psicoterapia breve di gruppo fosse sempre indicata in questi pazienti e
se fosse riuscita a potenziare in loro la capacità di adattamento. Il
capitolo ha preso poi in esame le esperienze di psicoterapia individuale
che hanno coinvolto, ugualmente in dodici sedute, un gruppo di dieci
pazienti. In questa occasione le indicazioni hanno compreso pazienti
eterogenei per diagnosi, ma omogenei per età. Tutti e dieci i pazienti
appartenevano all’età dell’adolescenza e stavano vivendo una crisi
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d’identità tipica di quella età “disarmonica”(2). Dopo aver esposto in
dettaglio l’evoluzione e i risultati di quattro casi clinici estrapolati dal
gruppo dei dieci pazienti trattati con dodici sedute di psicoterapia breve
individuale, si è discusso se questo tipo di trattamento fosse riuscito a
migliorare l’autostima e a ridefinire nei pazienti adolescenti le scelte
fondamentali in aree importanti della vita, quali le relazioni
interpersonali, in particolare con i genitori, e le scelte nell’area dello
studio e del lavoro.
Nel sesto e ultimo capitolo discuterò il caso interessante di una paziente,
di trentacinque anni, con diagnosi di disturbo narcisistico di personalità e
con un’organizzazione di tipo borderline secondo Kernberg, che è stata
sottoposta a un ciclo di ventiquattro sedute di psicoterapia breve
individuale. Nel capitolo sono stati esplorati il quadro descrittivo, il
nucleo psicodinamico, l’anamnesi personale e familiare, il contesto
sociale della paziente, e i risultati della valutazione della personalità con
scala MMPI-2 prima e dopo la psicoterapia breve. Nella parte centrale
del capitolo è stato posto il problema di quale sia il migliore approccio
psicoterapeutico per curare i pazienti narcisisti, facendo riferimento
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all’antico dibattito sul narcisismo tra i due massimi studiosi
dell’argomento come Heinz Kohut e Otto Kernberg. Ho sottolineato
inoltre la scelta del tipo di psicoterapia breve intrapresa e gli elementi sia
supportivi che espressivi che lo caratterizzano. Il capitolo si conclude
con l’analisi dell’evoluzione del quadro e dei risultati alla fine della
psicoterapia breve. Si dimostra, anche dopo follow-up a 12 mesi, che la
paziente ha riportato miglioramenti nell’autostima prima insufficiente e
nelle relazioni interpersonali, in particolare con i genitori e con un nuovo
partner, ed è tornata a lavorare.
Brevi conclusioni chiudono il lavoro e cercano di fornire risposte alle
domande e ai problemi posti dalla tesi.
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CAPITOLO I
GENERALITA’ SULLE PSICOTERAPIE BREVI: STORIA E
ATTUALITA’
Le psicoterapie brevi sono dei trattamenti a durata limitata che in
questi ultimi anni hanno conosciuto uno sviluppo considerevole a causa
dell’aumento della domanda di psicoterapia, dell’allungarsi dei
trattamenti psicoterapeutici tradizionali, dell’elevato costo delle terapie a
lungo termine e dell’ampliamento delle indicazioni a categorie
diagnostiche più vaste (3).
L’attenzione nei confronti delle psicoterapie brevi si può far risalire agli
anni ‘20 quando il trattamento psicoanalitico tendeva ad allungarsi
sempre di più, paventando il rischio di un’analisi interminabile (4),
soprattutto per l‘importanza assunta dall’analisi del transfert e dalla presa
in carico di pazienti con problematiche pre-edipiche. Già lo stesso Freud,
all’inizio della sua professione, sia con l’ipnosi, che con i primi
trattamenti analitici, fece delle terapie brevi, come dimostra l’analisi di
casi che poi diventarono famosi nella letteratura. Curò Bruno Walter,
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direttore d’orchestra affetto da paralisi isterica al braccio destro, in sole
sei sedute, come nel caso “Katherina” (5), riportato da Freud negli “Studi
sull’isteria” . Lo stesso, il trattamento di Dora (6), nel 1889, durò tre
mesi, quello del piccolo Hans (7), nel 1909, due mesi. In seguito, Freud
cominciò ad attribuire minore importanza ai sintomi interessandosi, al
contrario, sempre più all’organizzazione psichica della personalità: egli
tentò, nella sua attività interpretativa, di rivelare al paziente le sue
resistenze, rendendo più conflittuale e più dinamica la relazione. E’ in
tale contesto che Freud scoprì il transfert e due tipi di resistenza al
cambiamento: la coazione a ripetere, ossia la “messa in atto del ricordo”
che impedisce di ricordare realmente, e la reazione terapeutica negativa,
ossia l’aggravamento paradossale dei sintomi dopo un’interpretazione
adeguata (8). Nell’“Uomo dei lupi”(9), Freud fissò un termine all’analisi
e vide che sotto la pressione di questa scadenza la resistenza e la
fissazione alla malattia cedettero, e in un tempo straordinariamente breve
l’analisi fornì tutto il materiale necessario per la soluzione delle
inibizioni del malato e l’eliminazione dei suoi sintomi.
Da quel momento in poi, il dibattito psicoanalitico si concentrò sul
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problema dell’intensità di alcune resistenze al cambiamento e
dell’eccessiva durata dei trattamenti analitici. Inoltre le ragioni
dell’interesse per forme abbreviate di terapia erano da attribuire anche al
cospicuo aumento delle richieste di aiuto psicologico che si erano
indirizzate per lo più all’Istituzione pubblica, da parte di strati sempre
più ampi della popolazione. Gli eventi della prima guerra mondiale
ponevano in grande evidenza la necessità di affrontare in breve tempo
situazioni estremamente critiche. Per molti combattenti era necessario un
trattamento, ma il tempo a disposizione era anche molto breve, dopo di
che essi venivano rinviati al fronte. Furono, quindi, quattro i motivi che
incrementarono la ricerca sulle psicoterapie brevi: le difficoltà di molti
clienti a far fronte economicamente a terapie lunghe, di altri, meno
favoriti socioculturalmente a verbalizzare come era richiesto
classicamente; l’allungamento crescente delle liste di attesa; e le
situazioni critiche che si presentavano a causa del secondo conflitto
mondiale (10).
A proporre per primi, nel periodo successivo alla seconda guerra
mondiale, soluzioni per abbreviare l’analisi furono tre allievi di Freud:
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Rank, Adler e Ferenczi. Quest’ultimo, in particolare, pensava che il
fattore responsabile del protrarsi dell’analisi fosse da individuarsi
nell’atteggiamento passivo e neutrale dell’analista, per cui sollecitava il
terapeuta a un atteggiamento più attivo, quale la possibilità di dare
consigli al paziente, ordinare o proibire comportamenti, gratificarlo o
frustrarlo per fargli superare le resistenze e portare quindi rapidamente a
termine la cura (11). Ferenczi proponeva una “terapia attiva” condotta
attraverso una finalizzata manipolazione del transfert. Per Ferenczi lo
scopo della terapia era mobilitare la libido fissata a fantasmi inconsci
mediante un’ingiunzione proveniente dal terapeuta, quindi dall’esterno,
mirante ad evidenziare un conflitto intrapsichico e a provocare nel
paziente una presa di coscienza (12). Quindi si può affermare che
l’origine delle psicoterapie brevi risale alle prime esperienze di Ferenczi
nel 1918. Successivamente Rank, partendo dalla sua teoria del “trauma
della nascita”, secondo la quale la causa principale delle nevrosi si
localizzava nel trauma derivante dalla nascita, teorizzava che il fine del
lavoro analitico fosse proprio il distacco dall’analista, per cui la presenza
di un limite di tempo prefissato poneva proprio l’attenzione
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sull’importanza dell’elaborazione dell’angoscia di separazione (13).
Rank e Ferenczi possono essere considerati dei veri precursori non solo
perché hanno avviato il movimento che porterà alle psicoterapie brevi
moderne, ma anche perché le loro ricerche prefigurano i lavori attuali
sulla funzione del setting analitico. Infatti questi due autori si sono
interessati alla problematica attuale dei pazienti, senza negare la loro
storia, occupandosi dei rapporti tra relazioni affettive precoci, relazioni
attuali e relazione terapeutica, e tentando così d’integrare la dimensione
intrapsichica con quella relazionale (14).
È sicuramente pertinente all’abbreviamento della terapia l’accento posto
da Adler sui complessi d’inferiorità e di superiorità e quindi pure sugli
aspetti di potere inerenti alla relazione analista-analizzando, nonché le
modificazioni della tecnica e del setting. Infatti Adler fu il primo analista
a rinunciare all’uso del lettino, scegliendo di sedersi di fronte ai pazienti,
sottolineando che “lo sviluppo di una persona possa avvenire
normalmente solo se viene raggiunto un livello adeguato di attitudine
alla collaborazione”(15).