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nostro con sincera passione e con il desiderio affettuoso di comprendere un
popolo straniero.
Sono convinta che la preparazione della tesi di laurea offra un’occasione
unica per approfondire un argomento al quale si è particolarmente interessati;
la mia scelta è caduta sulle culture tradizionali tribali degli indiani d’America
e per questo motivo ho deciso di proporre al Prof. Giorgio Mariani di essere il
relatore del mio lavoro conclusivo.
L’argomento da lui suggerito riguarda le opere autobiografiche prodotte da
tre donne native americane — Sarah Winnemucca, Pretty-shield e Janet
Campbell Hale — appartenenti a diverse società tribali e vissute in differenti
periodi storici; in tal senso il percorso delineato è sia letterario sia storico,
offrendo l’opportunità di mostrare se e in che modo, eventualmente, sono
mutate nel corso della storia letteraria tali produzioni artistiche.
Muovendosi tra le pagine della mia tesi si noterà una particolare scelta
tipografica che ho adottato in numerose parti del testo; le parole scritte in
corsivo sono espressioni in lingua inglese che ho preferito non tradurre in
quanto credo che, in tal modo, rendano meglio il senso di ciò che viene
espresso. Ho enfatizzato, infine, alcune espressioni in grassetto — sia mie sia
delle autrici dei testi — poichè ritengo che simili parole o intere frasi
racchiudano la parte essenziale di concetti fondamentali, fungendo come una
sorta di “key words” per il lettore.
Lo studio delle autobiografie scritte dalle indiane d’America mi ha
profondamente entusiasmato, ha accresciuto il mio interesse — nonché la
conoscenza — nei confronti delle civiltà native, sorprendendomi
notevolmente; devo ammettere che, personalmente, non credevo che le donne
indianoamericane ricoprissero ruoli importanti presso le proprie tribù e fossero,
3
oltre che le trasmettitrici della cultura tradizionale tribale, così prolifiche nella
creazione di testi letterari. Spero di essere riuscita a trasmettere la passione e
l’ammirazione che provo nei confronti di queste meravigliose donne.
La preparazione della mia tesi di laurea è stata possibile grazie alla persona
che ha fornito un prezioso contributo alla mia ricerca bibliografica e che è stata
continuamente disponibile e puntuale nel seguire il mio lavoro: il Prof. Giorgio
Mariani, il mio relatore, al quale vanno la mia profonda stima e i miei più
sinceri ringraziamenti. Desidero ringraziare, inoltre, la Dott.ssa Elena Paruolo
la quale, attraverso l’istituzione universitaria italiana, mi ha consentito di
confrontarmi con il sistema universitario anglosassone e ha accettato
immediatamente di essere il correlatore della mia tesi.
Ringrazio, infine, mia cugina Antonella e suo marito Joe per aver
puntualmente acquistato per me, presso The Yale Bookstore di New Haven
(U.S.A.), tutti i libri dei quali ho avuto bisogno per studiare, portandoli
tempestivamente e personalmente (grazie anche a delle miracolose
coincidenze) in Italia.
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Capitolo I
5
“American Indian women have been a part of the storytelling tradition — both oral
and written — from its inception, passing on stories to their children and their
children’s children and using the word to advance those concepts crucial to cultural
survival.”
— Dexter Fisher (ed.), The Third Woman
“Autobiographies provide perhaps the most intimate portrayal of Indian femaleness
available to nontribal people and develop a realism that demands the reader abandon
simpleminded steroetypes.”
— Bataille & Sands, AMERICAN INDIAN WOMEN
“Il fatto che le donne [indiane d’America] abbiano sempre avuto ruoli importanti in
svariate comunità tribali smentisce gli stereotipi patriarcali dell’Occidente, secondo i
quali le donne sono inferiori agli uomini in una società incentrata sulla figura del
guerriero.”
— Laura Coltelli, Parole fatte d’alba
6
I. L’autobiografia e le indiane d’America
I.a Cos'è l'autobiografia?
Cos'è l'autobiografia? Generalmente la risposta più comune e più
immediata viene ricercata − e trovata − nell'interpretazione letterale della
traduzione delle tre parole greche che la compongono.
Autos = stesso/sé; bios = vita; graphos = scrivere, vale a dire, se mi è
consentita una definizione in inglese, the story of one's life written by
himself.
In realtà, l'autobiografia è sicuramente la descrizione di esperienze
vissute appartenenti al processo di formazione e di definizione di sé stessi;
ma essa è in molti — ed importanti — altri casi qualcosa di diverso.
Esistono, pertanto, problemi di definizione di questo genere letterario e
molti critici sono concordi nel considerare tutte le definizioni provvisorie,
azzardate, contestuali, nonché elusive.
L’autobiografia ha assistito, nel corso dei secoli, alla formazione dei
propri principi canonici, alla creazione di modelli e prototipi — ma anche
alla destabilizzazione di tutto questo in tempi recentissimi — diventando,
indiscutibilmente, un prodotto storico-culturale realizzabile
universalmente.
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Ciò è dimostrato dal fatto che le autobiografie assumono la forma di
narrazioni sia orali che scritte. Le autobiografie orali, registrate o trascritte,
hanno costituito un importante momento nel tentativo di privilegiare e
rivalutare popolazioni e culture — come gli afro-americani o i nativi
americani — che si erano viste negare una storia personale attraverso leggi
proibitive o, semplicemente, rendendole invisibili creando la loro assenza
dalla storia.
Forme di narrazione autobiografica sono presenti già nel mondo
classico sotto forma di testi con fine precettistico, apologetico o storico,
unitamente a pagine di indagine psicologica.
Il racconto della propria vita, influenzato dalla religione cristiana,
assume definitivamente caratteri di interiorità e di introspezione ascetica.
L'esempio più conosciuto sono Le Confessioni di S. Agostino, divenute
un classico della scrittura autobiografica, un modello stabilito da colui che
è considerato un prototipo dell'autobiografo maschio insieme a Rousseau.
S.Agostino è un uomo che trova la sua dimensione spirituale attraverso
lo scavo interiore, la meditazione, l'interrogazione del proprio self. E'
l'anima dell'individuo — in lotta con la carne — ad essere posta in primo
piano.
Nel corso dei secoli la scrittura autobiografica muta il proprio aspetto,
al punto che durante il periodo rinascimentale scrivere di sé stessi
significa esaltazione di individualità e di esperienze eccezionali;
capolavoro del genere è la Vita di Benvenuto Cellini. Il senso
dell'importanza dell'individuo all'interno della vita terrena si accresce,
consentendo al processo di scrittura del self di acquisire una dimensione
diversa.
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Molti teorici sono concordi nell'affermare che la fine del XVIII sec.
abbia testimoniato l'inizio della tradizione autobiografica; i testi sono
basati sull’individualismo e prendono forma attraverso la descrizione
dello sviluppo interiore di un determinato individuo .
Con l'avvento del romanticismo il racconto autobiografico riceve nuovi
impulsi dalla soggettività e dalla ricerca delle proprie origini. La vita è
raccontata in ogni suo aspetto in nome della verità e della sincerità.
L'autobiografia viene, dunque, sempre più a configurarsi come la
narrazione di un'impresa originale – la vita − e degli eventi significativi
di un'esistenza che diventano modello da imitare per gli altri.
L’autobiografia è celebrazione di sé stessi.
John Sturrock afferma: “Autobiography is the certificate of a unique
human passage through time.”
1
Questo genere letterario si diffonde inizialmente, in maniera
particolare, all'interno delle culture occidentali; secondo George Gusdorf
esso è addirittura uno dei più alti conseguimenti della missione
civilizzatrice occidentale.
2
L'autobiografia è considerata come un genere che ha lo scopo di
commemorare chi è grande e saggio, come dimostra la narrazione della sua
vita. Il soggetto celebrato all'interno dell'autobiografia è
inevitabilmente bianco, maschio ed altamente letterato; la scrittura
produce un individuo universale e trascendente, un esempio.
Tradizionalmente, infatti, la bios di un dato individuo è divenuta il
sinonimo dell'autobiografia, segnalando l'aspettativa del racconto di eventi
1
J. Sturrock, The Language of Autobiography, Cambridge University Press, 1993; pag. 3;
2
J. Watson, “Toward an Anti-Metaphisics of Autobiography”, in The Culture of
Autobiography, Stanford University Press, 1993; pag. 59;
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significativi, unici, in una parola rappresentativi. Si delinea, in tal modo,
un percorso che teorizza l'autobiografia come l'insieme degli eventi vissuti
da un individuo, la cui esistenza si ritiene unica ed irripetibile per la sua
esemplarità o rappresentatività.
Il racconto autobiografico è, pertanto, una riflessione retrospettiva sui
motivi e le condizioni che hanno consentito ad un individuo di diventare
“a Great Man”, di raggiungere una grandezza che lo eleva al di sopra
della massa. L’autobiografo, mediante la propria meditazione, analizza le
azioni e le idee che, caratterizzando la propria identità, rendono la sua
esistenza esemplare. In questo senso si dispiega il racconto di una vita, la
Vita, degna di essere narrata, oltre che letta ed imitata, poiché è entrata
nella storia. L'autobiografia è, quindi, il genere della cultura dominante,
scritto da individui le cui vicende sono culturalmente approvate, vale a
dire "worth writing".
In questo particolare contesto di teorizzazione del genere
autobiografico, si inseriscono perfettamente le autobiografie che vedono la
luce nel continente americano durante il XVIII sec. In America
l'autobiografia è connessa con l'idealismo tipico di una repubblica
indipendente che predica principi democratici e di dignità del singolo
individuo.
L'idea di sperimentare una nuova società è basata sulle capacità e le
potenzialità dei singoli individui; i maggiori leaders di tale impresa
attraversano processi meditativi, di ricerca interiore e riflessione in perfetta
linea con il genere dell'autonarrazione.
Una delle bandiere dell'individualismo americano è decisamente
l'autobiografia di Benjamin Franklin. La sua vita diventa modello di
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comportamento, l'esempio del self-made man, l'americano che basandosi
sulle proprie capacità e la fiducia in sé stesso conquista la propria
indipendenza ed offre la sua esperienza agli altri.
Successivamente, i teorici del genere autobiografico mutano il loro
percorso, considerando l'autobiografia come qualcosa di diverso dal mero
insieme delle vicende biografiche di un individuo.
Un particolare gruppo di studiosi, definiti 'New Model Theorists', tra i
quali Philippe Lejeune, Louis Renza, John Sturrock, hanno collocato
l'autobiografia nel punto in cui si intersecano storia e fiction, spostando
l'attenzione sull'elemento narrativo e non biografico. Ma, ancora una volta,
restava implicito ed indiscutibile che questo genere letterario apparteneva
alla cultura dominante.
L'autobiografia ha continuato ad essere la testimonianza di vite
esemplari, dei 'great men'. I testi canonici degli autobiografi prevedono
l'inserimento del loro autore "[...] into an empowered discourse of cultural
validation".
3
Va evidenziato, a tal proposito, che nel corso dei secoli l'autobiografia,
occupa una posizione liminale nel contesto degli studi letterari, ha
raggiunto una collocazione più vicina al centro privilegiato, quello
tradizionalmente occupato da poesia, narrativa e dramma.
E', inoltre, importante porre in rilievo che la critica nei confronti del
genere è cambiata soprattutto negli ultimi tre decenni, destabilizzando quel
tipo di tradizione che da sempre ha letto l'autobiografia come l’insieme
3
ibidem; pag. 61;
11
degli eventi significativi dell’esistenza di un individuo e, soprattutto, "as
the locus of monumental Western selfhood".
4
Julia Watson sostiene che è possibile analizzare alcune opere
autobiografiche che utilizzano la tradizione occidentale della
“representation of subjectivity, both to write against it and to rewrite it”.
5
Autonarrazioni complesse come quelle di Montaigne, De Quincey e
Rilke sono considerate dalla studiosa opere ugualmente canoniche, che
risultano eccessivamente problematiche, però, per essere inserite agilmente
all’interno del genere come modelli.
Simili racconti “anti-autobiographical” godono dello status di “great
books” per alcuni aspetti, ma si oppongono alle norme ed alle forme della
produzione letteraria autobiografica per altri, contribuendo, quindi, a
distruggere l’idea che la self-definition sia basata essenzialmente
sull’insieme delle vicende significative di un’esistenza e che la personalità
di un individuo sia qualcosa di stabile.
La frantumazione di una simile autodefinizione del self offre
l’opportunità di analizzare quelle narrazioni autobiografiche che — in
precedenza “invisibili” — sono considerate gli “alter ego” della tradizione
autobiografica e sono state oggetto, nell'ultimo ventennio, di un processo
di recupero e di lettura, nonché collocate in canoni alternativi: le
autobiografie al femminile. La trattazione di tali peculiari forme di
scrittura che offrono nozioni alternative e reinterpretazioni del self, verrà
effettuata più avanti, con maggiore attenzione ed in uno spazio ad esse
consono e appropriato.
4
ibidem;
5
ibidem; pag. 58;
12
I.a.1 Il processo autobiografico
Nella sua introduzione ad una raccolta di saggi critici riguardanti
l'autobiografia, lo studioso Robert Folkenflick sostiene che il processo di
scrittura di un testo autobiografico, abbia delle norme piuttosto che delle
regole.
6
Di solito l'autobiografia è scritta da un "I", in prima persona e
decisamente l'aspettativa di chi legge è di trovare un io; tuttavia non è
esclusivamente una prima persona singolare il soggetto delle narrazioni.
Alcune delle maggiori storie di individui, come quella di Henry Adams,
sono scritte anche in terza persona. Se da un lato assistiamo alla
produzione di autobiografie scritte da chi possiede lo stesso nome del
protagonista della propria narrazione, esistono, dall'altro lato, quelle scritte
in collaborazione con altri o completamente ghostwritten.
I racconti riguardano generalmente il passato di una persona; non
mancano però esempi in cui presente e passato sono alternati in un
continuo interscambio. L'autobiografia è usualmente scritta in età
avanzata, oppure nel mezzo della propria esistenza, ma può essere
comunque scritto da persone giovani. Non c'è posto, quindi, nel genere
autobiografico per le regole assolute.
In ogni caso, al di là delle scelte normative operate dall'autobiografo,
scrivere o raccontare la storia della propria vita è un processo unico
costituito, almeno in parte, da un insieme di requisiti fondamentali che lo
rendono tale, definendo al tempo stesso il genere autobiografico.
6
R. Folkenflik, “Introduction: The Institution of Autobiography”, in ibidem; pag. 13;
13
L'autobiografia è un testo che cerca di condurci nel suo interno senza
riserve, in quanto essa è la testimonianza di un'esistenza unica. Il contatto
che l'autore stabilisce con il lettore è basato sull'immediatezza; il testo ci
sembra quasi abitato da una presenza metafisica poiché la sua natura
formale risulta contraffatta dall'intimità, la sincerità, l'esattezza con cui
pare rivolgersi a noi.
La narrazione autobiografica è sostanzialmente basata sulla
consciousness, in quanto è la presentazione di una life in process. Non si
può, infatti, affermare che l'autobiografia sia o possa essere un modo per
riferirsi semplicemente ad una vita vissuta; "[...] there is no such thing as a
'life as lived' to be referred to".
7
Attraverso l'atto autobiografico — l'intima unione di vita e processo di
scrittura — una vita viene, al contrario, creata o costruita e, di
conseguenza, interpretata.
Nella narrazione che una persona compie della propria esistenza, il
fulcro dell'attenzione è la sua vita individuale e la storia della sua
personalità. Raccontare di sé significa autoanalizzarsi; una riflessione
profonda è innegabilmente il presupposto fondamentale per avviare il
processo di autopresentazione.
L'autobiografo deve fare ricorso alla memoria, deve rintracciare
informazioni dalle esperienze da lui vissute. Egli si riappropria del suo
passato grazie al ricordo; è la memoria volontaria che analizza e
seleziona gli eventi da porre in evidenza. L'azione del ricordare
volontariamente è un meccanismo fondamentale che implica, chiaramente,
una rivisitazione e un'interpretazione dei momenti vissuti dall'individuo.
7
J. Bruner, “The Autobiographical Process”, in ibidem; pag. 38;
14
L'autobiografia non è una semplice ripetizione del passato, bensì la
rievocazione, inevitabilmente selettiva, di un mondo personale che rende il
senso di sé stessi.
Nonostante il racconto dispiegato sia autentico, il programma di
recupero dei fatti, implica l'intervento di una componente fictional che non
rende l’autobiografia “a true representation of the self in any absolute
sense”
;
tale elemento fictional non è immaginazione, falsità, bensì indica
un modo di raccontare che, attraverso il ricordo volontario, distorce il
passato, effettuando delle scelte.
Il testo autobiografico prende forma, dunque, attraverso un "narrative
plot" che non soltanto seleziona gli avvenimenti, ma li organizza. L'autore,
raccontando la propria storia, impone un pattern, un disegno alla propria
vita, allo scopo di dare unità alle vicende.
L'autobiografo ha lo scopo di imporre una totalità che razionalizzi la
propria vita, la propria identità, mettendo in stampa “a whole”. Tale
processo convenzionale crea l'impressione di aver vissuto una sola vita; la
razionalizzazione degli eventi attraverso la retrospezione consente il
racconto di una delle tante vite vissute da un individuo.
Il narratore sceglie di proiettare dinanzi ai nostri occhi un percorso che
è creazione, imposizione fittizia, poiché il racconto autobiografico è
fornito di una coerenza imposta e, di conseguenza, manca di una logica
interna che ha diretto tale vita. Mediante l’atto autobiografico viene creata
e costruita una vita.
L'autobiografia vuole l'unità del suo soggetto, la cui linearità è solo
apparente; esistono dei gaps inevitabili poiché l'operazione compiuta è
parziale.
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La configurazione autobiografica di una bios non è tanto una questione
di scoprire nuovi particolari riguardanti le proprie esperienze passate,
oppure di rivelare i contenuti di ricordi remoti, bensì di riscrivere una
prosa narrativa attraverso una precisa linea interpretativa.
Fornire il racconto di una coerenza è un requisito inevitabile dal
momento che l'autore dell'autobiografia ha una conoscenza privilegiata
della coscienza del protagonista del suo racconto. Egli è, inoltre, l'unico
artefice che conosce lucidamente il punto di partenza del percorso da lui
disegnato ed il modo in cui esso, dispiegandosi, approda al finale.
L'autobiografia ha l'aspirazione di porre in primo piano gli aspetti della
storia e del carattere personale dell'io narrante/ato, che siano claims
distintivi. Il suo testo, in tal modo, può essere finalizzato a sostituire la sua
persona come la prova tangibile della sua identità.
E' la costruzione di una vita attraverso la costruzione di un testo.
Alla luce di tali elementi è possibile affermare che il discorso
autobiografico è "mimesi"
ed al tempo stesso "diegesis".
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Esso si compone, infatti, di racconti di avvenimenti testimoniando
l'immediatezza esistenziale da parte dell'autore, cioè la mimesi; inoltre c'è
la componente dell'interpretazione, vale a dire l'organizzazione dei dettagli
della testimonianza che sono trasformati in una vita.
Chi decide di presentare il processo attraverso il quale si è formata la
propria identità ha il compito di riuscire a comunicare una 'reality',
presentando in maniera convincente come naturali le convenzioni che ha
adottato per raccontare la sua storia e per dare un'interpretazione della
propria vicenda.