8
percepita verso l’organizzazione e quanto reputino questa ultima affidabile. E
verificare nel contempo, se vi è coerenza tra quanto enunciato nell’atto aziendale
e quanto dettato in materia dalla legislazione vigente, ed in particolare dalla
Direttiva del 24/03/2004. Con questo lavoro mi propongo quindi di effettuare
una ricerca sul campo, partendo dall’ipotesi che nella struttura oggetto di
indagine ci sia un problema latente di malessere. Questa ipotesi è supportata
dal fatto che è presente un alto tasso di turn over del personale, soprattutto di
quello infermieristico ( professione che più di altre grazie, alle numerose
possibilità di impiego esistenti in azienda e alla sua versatilità, può cambiare più
facilmente ambito lavorativo), inoltre utilizzando il clima come metafora, si sente
spesso usare dagli operatori sanitari il temine “oggi che aria tira?” oppure, “oggi
non è aria..” . Si può affermare quindi che il clima che si respira non è
particolarmente “temperato”, anzi a volte è “gelido”. Se è vero come è vero che
il clima rispecchia il benessere organizzativo si può quindi asserire che c’è un
certo malessere generale non ben definito e che questa è una percezione
comunemente avvertita, nonostante almeno nell’apparenza, i rapporti sia
professionali che umani, tra gli operatori siano buoni. Questi motivi elencati,
insieme ad altri meno percepibili dall’esterno, mi hanno spinto alla disamina di
questo tema, nella speranza di poter conoscere meglio gli assunti teorici del
problema ipotizzato. E da qui partire, per mettere in pratica tali nozioni apprese,
grazie al supporto della letteratura esaminata, facendo un’analisi, in modo da
ottenere una diagnosi attenta di tale problema. La diagnosi, verrà condotta in
modo scientifico, grazie all’uso di strumenti di indagine quantitativi tipici della
ricerca sociale come il questionario. Tramite questo strumento poi, grazie
all’elaborazione dei dati raccolti, mi propongo di individuare una soluzione di tale
problema e nel contempo proporne il suo utilizzo per ottenere una ricaduta
positiva verso gli operatori e gli utenti della struttura complessa indagata. Con
l’auspicio che tale lavoro di ricerca sia apprezzato ed assunto come “progetto”
da estendere alla Azienda nella sua totalità. Quindi il Project Work ha un duplice
scopo: la ricerca e l’intervento
2
. Gli obiettivi che la ricerca si pone sono quelli di
dare nuove conoscenze, in modo da creare dei cambiamenti nella realtà in cui si
è deciso di intervenire. Nella prospettiva della ricerca i destinatari dei
cambiamenti devono essere coinvolti nell’intero percorso. Si tratta cioè di un
indagine sul clima percepito in cui la conoscenza dello “stato di salute”
(diagnosi), è finalizzata alla realizzazione di interventi di miglioramento (terapia).
2
Il termine ricerca-intervento deriva dalla psicologia sociale e fu introdotto da Lewin nel 1939;
9
Gli obiettivi che il progetto si propone di ottenere grazie all’elaborazione dei dati
raccolti e agli interventi proposti sono diversi, tra cui valorizzare le risorse umane
e il loro operato, accrescere il loro senso di appartenenza e di soddisfazione,
diffondere la cultura della partecipazione.
10
CAPITOLO 1
LO STUDIO DEL BENESSERE ORGANIZZATIVO E LA SUA EVOLUZIONE NEL
TEMPO
1.1 Le risorse umane e il loro “peso strategico”
“Partendo dalla Scuola delle Relazioni Umane (Mayo), passando poi per
l’approccio dei motivazionalisti come Maslow, McGregor ed Herzberg la
concezione delle risorse umane è profondamente cambiata”
3
. Difatti le risorse
umane soprattutto dagli anni ’80 in poi sono state considerate pari in termini di
valore e contributo al funzionamento dell’organizzazione alle risorse finanziarie,
strumentali e tecnologiche. “Il peso della risorsa uomo, al pari delle altre,
influisce direttamente sul successo, sull’efficienza e sull’efficacia della realtà
organizzativa”
4
. Le risorse umane rappresentano la nuova frontiera
dell’organizzazione, come scrive Auteri infatti, “le persone e il modo con cui
vengono gestite stanno diventando e diventeranno sempre più importanti, dal
momento che molte altre fonti di vantaggio competitivo saranno meno
determinati di quanto lo fossero in passato”
5
. Le risorse umane rappresentano il
vero e proprio “patrimonio” dell’organizzazione. E’ nelle potenzialità intellettuali e
psicosociali delle persone che bisogna investire, perché è proprio in queste che si
trovano le capacità di crescita e di innovazione dell’organizzazione stessa. Lo
scopo è quello di permettere che al cliente finale venga dato il miglior servizio
possibile e questo può avvenire solo se i lavoratori oltre che dover essere
organizzati, disciplinati e controllati, (come dettato da contratto di lavoro e dalle
norme di legge), siano anche contemporaneamente capiti, motivati ed orientati.
Emerge così una nuova cultura, che si fonda sulla “riscoperta della soggettività, il
recupero dell’emozionalità, la riconsiderazione degli aspetti invisibili
dell’organizzazione”
6
. Questa nuova concezione del capitale umano si diffonde
anche nella Pubblica Amministrazione introducendo nuove logiche di formazione
e apprendimento per il personale
7
. In questo contesto innovativo si dà anche
importanza all’inserimento di nuovi elementi all’interno dei tradizionali sistemi
3
Bonazzi G., “Storia del pensiero organizzativo”, FrancoAngeli, 1995;
4
Greggio G., “il clima organizzativo per il successo dell’organizzazione”, in risorse umane in
azienda, n.91, 2002;
5
Auteri E., “Management delle risorse umane”, Guerino e associati, 2004 pag.267;
6
Negro G., Grandis R.,”L’organizzazione del benessere, logiche, principi e modello applicativo”
Forum P.A. 2003;
7
Direttiva del Ministro della funzione pubblica del 13/12/2001, Direttiva “Frattini” dedicata alla
formazione e valorizzazione del personale delle pubbliche amministrazioni;
11
retributivi
8
, si dà maggior importanza alla sicurezza sul lavoro
9
, e maggior enfasi
al valore della comunicazione interna ed esterna con diversi provvedimenti
pubblici orientati in tal senso
10
. Si comprende insomma che gestire le risorse
umane significa valorizzarle, poichè “ il fattore umano è diventato chiave di
successo”
11
. In questo processo di ristrutturazione della P.A. si comincia ad
affermare così un concetto nuovo: il benessere organizzativo. Difatti questo
concetto di stampo tipicamente aziendale è sicuramente una novità per la P.A.. E
come sostengono gli autori del volume Benessere organizzativo, “il fatto che la
P.A. italiana abbia deciso di estendere le proprie politiche di direzione del
personale al di là di quelle tradizionali riguardanti la dimensione retributiva,
quella dei percorsi di carriera e delle relazioni sindacali, costituisce un elemento
di grande importanza”
12
. Naturalmente queste politiche tradizionali su
menzionate sono fondamentali e irrinunciabili, ma risultano tradizionali se
paragonate alle nuove politiche, come quelle appunto, orientate alla cura della
salute e al benessere del lavoratore.
1.2 L’evoluzione concettuale del benessere organizzativo
L’attenzione alle dimensioni immateriali della vita organizzativa cioè a quelle non
direttamente legate alle procedure e pratiche del lavoro sono recenti e risalgono
ai primi decenni del secolo scorso, per poi evolversi sino ad arrivare al concetto
attuale di benessere organizzativo. In questo periodo (primi del ‘900) però, il
modo di concepire gli individui, le condizioni lavorative e quelle organizzative,
era molto diverso, infatti “l’individuo al lavoro era considerato come un essere
passivo che rispondeva a stimoli economici e al quale era richiesto un mero
adattamento al sistema tecnologico ed organizzativo”
13
. In seguito si è andati
oltre questa visione meccanico-deterministica e si è superata la concezione di
homo oeconomicus
14
, di matrice taylorista, secondo la quale “l’uomo al lavoro è
8
Dl 13 novembre 2008 “Legge Brunetta” art. 4 introduzione di sistemi di valutazione del
personale del pubblico impiego;
9
Decreto Legge 626/1994 riguardante il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori
durante il lavoro e successive integrazioni e modificazioni;
10
legge 150/2000, “Disciplina delle attività di informazione e comunicazione delle P.A.”;D. Lgs. 30
marzo 2001 n. 165 “Testo unico sul pubblico impiego”; Direttiva del Dipartimento della Funzione
Pubblica del 7 febbraio 2002 Sull’”attività di comunicazione delle P. A.”; Direttiva dell’8 maggio
2002 sulla “semplificazione del linguaggio dei testi amministrativi” ; D. Lgs n. 82/2005, “Codice
dell’Amministrazione Digitale”; Direttiva del Ministro della Funzione Pubblica del 24 ottobre 2005
sulla “semplificazione del linguaggio amministrativo”.
11
Auteri E., Management delle risorse umane, Guerino e associati, 2004, pag.50;
12
Avallone F., Bonaretti M., Benessere organizzativo, Rubettino 2003;
13
Avallone F., “La convivenza nelle organizzazioni”, Guerini e associati, 2003, pag. 111;
14
E’ un concetto fondamentale della teoria economica neoclassica: si tratta, in generale di un
uomo le cui principali caratteristiche sono la razionalità ( intesa in un senso precipuo, soprattutto
12
spinto solo da motivazioni di massimizzazione del guadagno economico”
15
. Si è
così gradualmente delineata, invece, l’importanza della dimensione soggettivo-
relazionale nella determinazione della salute organizzativa. L’evoluzione dei
concetti riguardanti la cura della vita organizzativa si possono sintetizzare in
cinque fasi
16
. La prima fase si pone dagli anni ’30 agli anni ’40. Questo periodo è
caratterizzato principalmente dalla tendenza di occuparsi degli infortuni e delle
malattie connesse allo svolgimento della vita lavorativa dove il tipo di danno e di
malattia imputati all’attività lavorativa sono solo di tipo fisico. In questa fase
tuttavia si può individuare un secondo momento di evoluzione che riprende i temi
della Scuola delle Relazioni Umane che ha conosciuto la massima diffusione negli
anni ’40 e ’50. Questa scuola di pensiero ha sottolineato per prima l’importanza
che rivestono le esigenze psicologiche nel rapporto uomo-azienda e la
“dimensione sociale in cui si radica la struttura psico-emotiva della sua
personalità”
17
, si fonda sul presupposto che le persone siano “ soggetti infanti
oscillanti tra sottomissione e turbolenza”
18
, rispetto ai quali l’azienda deve
tentare di ottenere il consenso in funzione dei propri scopi produttivi. A questa
scuola va il merito di aver tentato un prima “umanizzazione” del taylorismo con
l’individuazione dell’importanza dei fattori soggettivi. In questi anni difatti, il
lavoratore non viene più considerato come un soggetto completamente passivo,
e si è capito che la parcellizzazione del lavoro, e lo svolgimento di attività
dequalificanti possono causare stress e malessere. La seconda fase va dagli anni
’50 agli anni ’60. Si assiste qui, allo sviluppo di “una visione più attiva del
soggetto lavoratore: egli è visto interagire col proprio ambiente di lavoro, pur
permanendo un concetto di causalità di tipo lineare”
19
. Conseguentemente il tipo
di danno è stato esteso anche a quello di tipo mentale e psichico. Le strategie di
intervento sono state ampliate, pur continuando a rivolgere attenzione solo
all’aspetto della cura del danno. In questo periodo si sono sviluppati nuovi filoni
di studio e di ricerca che vanno sotto il nome di Hearly ergonomics in cui
confluiscono tutti quegli studi effettuati in merito al job design, alla
formazione/addestramento ed alla selezione dei dipendenti. La fase successiva è
quella che caratterizza gli anni ’70. In questo decennio vi è un cambiamento
come precisione nel calcolo) e l’interesse esclusivo per la cura dei suoi propri interessi individuali,
it.wikipedia.org;
15
Lipari D., “Logica di azione formativa nelle organizzazioni”, Guerini e associati, 2002;
16
Avallone F., Bonaretti M., “Benessere organizzativo”, Rubettino, 2003;
17
Bonazzi G., “Storia del pensiero organizzativo”, FrancoAngeli, 2002;
18
idem
19
Avallone F., Bonaretti M.,” Benessere organizzativo”, Rubettino, 2003, pag. 25;
13
profondo, nel modo di concepire la malattia e nel modo di pianificare le strategie
d’intervento. Si è cominciato a considerare la malattia come prodotta
dall’interazione di tre tipologie di fattori: quelli genetici, quelli psicologici, quelli
sociali. Si è cominciato a ipotizzare una causalità basata sull’interazione tra
lavoro, individuo e contesto. In questa fase detta della Health Protection,
dunque, tutti gli interventi sono rivolti non più solo alla cura del danno, ma
anche alla sua prevenzione. Vi è, dunque, un cambiamento profondo nel modo
di interpretare il ruolo dell’organizzazione lavorativa che, non deve più limitarsi a
dare degli strumenti di cura, ma deve impegnarsi per creare delle condizioni
lavorative dove le probabilità di infortunio e di malattia professionale siano
minime. La quarta fase copre il ventennio degli anni ’70- ’80. In questo periodo il
concetto di Health Protection si è evoluto trasformandosi in uno più complesso ed
articolato, quello di Health Promotion. Secondo questa concezione, non solo si
punta alla pianificazione di strumenti di prevenzione, ma ad essi se ne
aggiungono degli altri finalizzati alla promozione della salute. Quindi, in questa
nuova visione si enfatizza la cura crescente delle persone, al di là del solo
contesto lavorativo. Vengono attivate una serie di iniziative finalizzate ad educare
i lavoratori a comportamenti volti a condurre una vita sana e salutare. L’obiettivo
è quello di indurli a “fare scelte ragionate che migliorino la loro salute fisica e
mentale”
20
. Si è esteso, inoltre, il concetto di salute anche alla dimensione
organizzativa oltre che a quella individuale. Il nuovo modo di rapportarsi al
concetto di salute, diventa così di tipo sistemico. L’ultima fase va dagli anni ’90 in
poi ed è ancora in corso. In questo ultimo periodo i concetti di salute e
benessere evolvono ulteriormente anche grazie ai supporti di tipo legislativo che
negli anni si sono andati delineando
21
. Si sviluppa anche l’approccio sistemico e si
considera il rapporto individuo-organizzazione in una dimensione di causalità
circolare. Si capisce cioè che la condizione di benessere individuale, ha degli
effetti positivi su quella organizzativa e viceversa. Inoltre, se sino agli anni ’80 la
condizione di salute è sempre stata considerata come l’assenza di malattia, a
partire dagli anni ’90 questo concetto si amplia significatamene andando ad
indicare non l’assenza di malessere, ma la presenza di una condizione di
benessere (wellness) psico-fisico sia a livello soggettivo che sistemico. Ma è solo
nel 1986, con Rosen che si inizia a dare importanza alla salute organizzativa e
ad aspetti quali clima e cultura organizzativa. Inoltre solo in tempi recenti si è
20
idem pag. 26;
21
D. Lgs. 626/1994 e successive modificazioni e integrazioni; Direttiva sul benessere
organizzativo;
14
giunti ad una precisa definizione di salute e benessere organizzativo. Essi sono
identificati come “l’insieme dei nuclei culturali, dei processi, e delle pratiche
organizzative che animano la dinamica della convivenza nei contesti di lavoro
promuovendo, mantenendo e migliorando la qualità della vita e il grado di
benessere fisico, psicologico e sociale delle comunità lavorative”
22
. Con il
diffondersi dei concetti di salute e benessere organizzativo si fa strada una
visione del tutto nuova che guarda all’organizzazione non più solo in termini di
efficacia, efficienza ed economicità, ma anche in termini di capacità di “crescere e
svilupparsi promuovendo e mantenendo un adeguato grado di benessere fisico e
psicologico e alimentando in modo costruttivo la convivenza sociale in chi vi
lavora”
23
.
1.3 Principali approcci di studio del benessere organizzativo
Nel tempo sono state diverse le prospettive di approccio di studio del benessere
organizzativo, ma nonostante questa varietà di aspetti e di approcci dovuti alla
multidisciplinarietà del tema trattato, si possono riconoscere quattro prospettive
principali
24
:
ξ Il paradigma dello stress da lavoro e del burnout;
ξ La prospettiva dello sviluppo organizzativo o della riprogettazione
organizzativa più interessata a capire come creare luoghi di lavoro efficaci,
piuttosto che in salute, o che nesso ci sia tra comportamento dell’individuo ed
efficacia organizzativa;
ξ Il paradigma delle politiche aziendali basata sull’innovazione delle procedure
organizzative;
ξ Lo studio psicodinamico dei manager, dai quali dipenderebbe in modo diretto
la buona o cattiva salute organizzativa.
Ora vediamo di esaminare in modo più approfondito le quattro prospettive
precedentemente enunciate.
Per quanto riguarda la prima prospettiva quella riguardante lo stress e il burn
out. La definizione di stress data dalla commissione europea nel 1999 è la
seguente” Lo stress lavorativo è un insieme di reazioni emotive, cognitive,
comportamentali, e fisiologiche ad aspetti avversi e nocivi del contenuto del
lavoro, dell’organizzazione del lavoro e dell’ambiente di lavoro”
25
. Quando si
22
Avallone F., Paplomatas A., “Salute organizzativa”, Cortina Editore, 2005, pag.11;
23
Avallone F., Bonaretti M., “Benessere organizzativo”, Rubettino, 2003, pag.2;
24
idem, pp. 29-36;
25
Avallone f., Paplomatas A., “Salute organizzativa”, Cortina editore, 2005;