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1. INTRODUZIONE
1.1 I polimeri
1.1.1 Generalità
Il termine polimero (dal greco poly, molte, e méros, parte) indica una sostanza, naturale o
sintetica, formata da molte unità (monomeri) che si ripetono un gran numero di volte nella
struttura della molecola. Le molecole così formate sono molto grandi e prendono il nome
di macromolecole. Una molecola, per poter essere considerata un monomero, deve
possedere almeno due gruppi funzionali che possono reagire e formare legami con altri
monomeri. I composti vinilici (CH
2
= CHX, dove X può essere un qualunque gruppo
chimico) sono monomeri bifunzionali, nei quali dall’apertura del doppio legame si origina
un’unità strutturale che può formare due legami
- CH
2
- CHX -
Le macromolecole corrispondenti sono lineari; i monomeri si vanno sommando alla catena
in accrescimento sempre nella stessa direzione. Si possono formare macromolecole
ramificate o reticolate se si parte da monomeri che hanno funzionalità superiore a due.
Tabella 1.1. Monomeri e unità strutturali corrispondenti di omopolimeri.
Se le unità che si ripetono sono tutte uguali fra di loro, il prodotto si definisce
omopolimero; se invece le macromolecole sono formate da due o più unità strutturali, la
sostanza è chiamata copolimero. Nella Tabella 1.1 sono riportati alcuni esempi di
omopolimeri e nella Tabella 1.2 alcuni esempi di copolimeri insieme con le unità
monomeriche da cui derivano. La stessa unità ripetente può combinarsi in strutture lineari,
Monomero Unità strutturale Polimero
CH
2
= CH
2
-CH
2
- CH
2
- Polietilene
CH
2
=
CH(CH
3
) - CH
2
- CH(CH
3
) - Polipropilene
CH
2
= CH(C
6
H
5
) - CH
2
- CH(C
6
H
5
) - Polistirene
CH
2
= CH(Cl) - - CH
2
- CH(Cl) - Polivinilcloruro
2
come quelle mostrate o come quella del polietilene ad alta densità (HDPE), oppure in
strutture ramificate, come quella del polietilene a bassa densità (LDPE).
Tabella 1.2. Monomeri e unità strutturali corrispondenti di copolimeri.
I polimeri vengono suddivisi in due grandi categorie: termoplastici e termoindurenti. I
polimeri termoplastici sono formati da singole macromolecole le quali allo stato solido
sono congelate in posizione fissa l’una rispetto alle altre; se il materiale è riscaldato esso
rammollisce e le macromolecole possono muoversi come in un comune liquido. I
termoindurenti, viceversa, sono costituiti da un unico reticolo molecolare che si forma per
reazione chimica durante la lavorazione; un aumento di temperatura ne provoca la
degradazione (decomposizione) invece della fusione, rendendo quindi impossibile la
lavorazione di tali materiali per più di una volta.
1.1.2 Struttura molecolare
Le macromolecole sono costituite da tante unità chimiche, i monomeri, concatenate a
formare catene di grandi dimensioni rispetto all’unità costituente. Si definisce grado di
polimerizzazione il numero di unità ripetenti di ciascuna macromolecola; si chiama peso
molecolare (PM) o massa molecolare media (Mr) il rapporto tra il peso della
macromolecola e il peso di un atomo di idrogeno (H). Ciò è vero per ogni singola
macromolecola, ma un polimero è una miscela di più catene macromolecolari che hanno
lunghezza diversa e sono caratterizzate da un grado di polimerizzazione che va da poche
unità fino a valori maggiori di 50.000. Non esiste quindi un singolo peso molecolare, ma
una distribuzione di pesi molecolari. Il peso molecolare del polimero sarà rappresentato da
un’opportuna media della curva di distribuzione dei pesi molecolari. Possono essere
definite medie diverse, le più usate sono: peso molecolare medio numerico, medio
ponderale e viscosimetrico.
Monomeri Unità strutturale Copolimero
Dimetiltereftalato
- CO - - COO(CH
2
)
2
O -
Polietilentereftalato
Glicole etilenico
Acido adipico
Esametilendiammina
- NH(CH
2
)
6
NHCO(CH
2
)
6
CO -
Nylon 66
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1.1.3 Stato solido
I polimeri solidificano a temperature diverse dipendentemente dalla natura delle
macromolecole che li costituiscono. Per natura della macromolecole si intende, oltre che la
struttura chimica dell’unità ripetente, anche la struttura della catena polimerica. Ad
esempio, il polietilene ad alta densità (HDPE), che ha catene lineari, solidifica a
temperature vicino a 130
o
C; tuttavia il polietilene a bassa densità (LDPE), che ha catene
con lunghe ramificazioni, solidifica a circa 100
o
C.
1.1.3.1 Cristallinità
Durante la solidificazione, una frazione di polimero, detta amorfa, conserva
essenzialmente la stessa struttura disordinata del polimero fuso (groviglio di
macromolecole con eventuali orientazioni indotte dalla lavorazione), mentre la restante
parte, detta cristallina, acquista una configurazione molto più ordinata all’interno della
quale le macromolecole (o parti di esse) si dispongono l’una parallela all’altra. La
temperatura a cui avviene questo processo è la temperatura di cristallizzazione, T
c
. Le due
frazioni sono intimamente connesse e spesso le molecole che costituiscono le zone
cristalline finiscono nelle zone amorfe circostanti per poi, a volte, entrare in altre zone
cristalline. Nelle zone cristalline le catene sono spesso ripiegate su se stesse in maniera
ordinata. Al diminuire della temperatura al di sotto di quella di cristallizzazione le
macromolecole (o loro parti) che sono nelle zone amorfe perdono mobilità finché vengono
congelate allo stato vetroso. In questo stato, quindi, le macromolecole non hanno quasi
mobilità e assumono una struttura disordinata, al contrario di quanto avviene nella fase
cristallina. A temperature intermedie tra la temperatura T
c
di cristallizzazione e quella di
congelamento delle zone amorfe T
g
(detta temperatura di transizione vetrosa), il materiale
ha già una consistenza di tipo solido: le zone cristalline agiscono come punti di saldatura
tra le macromolecole che non possono più scorrere l’una rispetto all’altra come accade in
un fuso. La frazione volumetrica di materiale cristallino, detta anche grado di cristallinità,
X
c
, varia notevolmente da polimero a polimero; alcuni polimeri detti amorfi hanno un
grado di cristallinità praticamente pari a zero, mentre altri sono detti semi-cristallini a
ricordare che sono composti da zone amorfe e zone cristalline. Mentre esistono polimeri
completamente amorfi (ad esempio, il polistirene), non esistono polimeri completamente
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cristallini. La T
g
può considerarsi per i polimeri completamente amorfi come la
temperatura di fusione per i polimeri cristallini. Questi ultimi, infatti, si lavorano allo stato
fuso al di sopra della temperatura di fusione, mentre i polimeri amorfi possono essere
lavorati al di sopra della temperatura di transizione vetrosa. Nella Tabella 1.3 sono
elencati alcuni polimeri semi-cristallini e altri amorfi. Il polietilene è il polimero che
cristallizza più facilmente, infatti, il suo grado di cristallinità X
c
può arrivare fino a 0,95. Il
grado di cristallinità varia, oltre che con la natura chimica dell’unità ripetente, anche con la
struttura della catena. Catene lineari si impacchettano più facilmente in zone cristalline di
catene ramificate. Così HDPE ha grado di cristallinità notevolmente più elevato (0,85 < X
c
< 0,95) di LDPE, il cui grado di cristallinità può scendere anche a valori prossimi a 0,5.
Tabella 1.3. Esempi di polimeri semi-cristallini e amorfi.
1.1.4 Proprietà meccaniche
Le proprietà meccaniche più importanti per un materiale polimerico sono:
Modulo di elasticità, definito come il rapporto tra lo sforzo σ e la deformazione ε nella
parte iniziale della curva sforzo-deformazione;
Tensione a rottura o resistenza meccanica, che indica il massimo sforzo che un
generico materiale sotto forma di provino è in grado di sopportare prima che
sopraggiunga la sua rottura, e allungamento a rottura, che indica quanto è possibile
allungare il suddetto provino prima che si rompa;
Resilienza, che indica la capacità di un materiale di resistere a forze impulsive, ovvero
a urti improvvisi, senza spezzarsi.
Le prime due grandezze vengono misurate attraverso prove di trazione, mentre la resilienza
viene misurata attraverso prove di caduta di dardo o di caduta di mazza. Nella Figura 1.1
sono riportate le due curve sforzo-deformazione tipiche dei materiali polimerici. La curva
Polimeri semi-cristallini Polimeri amorfi
Polietileni (PE) Polivinilcloruro (PVC)
Poliammide (PA) Polistirene (PS)
Polietilentereftalato (PET) Policarbonato (PC)
Polibutilene (PBT) Polisulfone (PPSU)
Polipropilene (PP) Polimetilmetacrilato (PMMA)
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2 si riferisce a un polimero duttile, a un materiale, cioè, in cui l’allungamento a rottura è
molto elevato. La curva 1 è invece relativa a un polimero fragile, un materiale che, al
contrario, non può subire grandi deformazioni. Il modulo di elasticità (o di Young) è
definito come il rapporto fra sforzo e deformazione nella parte iniziale della curva. Esso
denota la rigidità del materiale, la capacità, cioè di resistere a uno sforzo senza deformarsi
troppo. La tensione e l’allungamento a rottura sono i parametri che indicano la resistenza e
l’allungamento del materiale all’atto della rottura.
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Figura 1.1. Curve sforzo-deformazione di polimeri fragili (1) e duttili (2).
La resilienza è la misura dell’energia assorbita da un materiale in seguito ad un urto ad
elevata velocità. Essa non va confusa con la tensione a rottura, in quanto non soltanto non
si tratta di una forza, ma soprattutto perché fornisce la resistenza del materiale ad una
sollecitazione impartita ad elevata velocità. Tutte le grandezze sopra descritte dipendono
da natura chimica, struttura e morfologia (cristallinità ed orientazione) del manufatto
polimerico. Questi ultimi parametri dipendono anche dalle condizioni di trasformazione
del polimero.
1.1.4.1 Modulo di elasticità
La Figura 1.2 mostra curve del modulo in funzione della temperatura di campioni dello
stesso polimero amorfo con diversi pesi molecolari. In generale, il modulo viene poco
influenzato dal peso molecolare fino alla temperatura di transizione vetrosa. Al di sopra di
suddetta temperatura, e quindi allo stato fuso, le curve si differenziano notevolmente.
Sforzo
(N/mm
2
)
Deformazione