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CAPITOLO 1
L’INVECCHIAMENTO
1.1 Teorie sull’invecchiamento
La domanda a cui si è sempre cercato di rispondere è “perchè invecchiamo?”. Nel
corso degli anni, in base agli studi effettuati, diverse teorie sono state proposte per
esplicare le cause scatenanti dell’invecchiamento. Di seguito elencherò alcune tra le
teorie più note sull’invecchiamento:
-La teoria genetica dell’invecchiamento programmato legato ai geni secondo cui
esistono dei geni regolatori che causerebbero I cambiamenti caratteristici dell’età
senile [Jeyapalan JC et al. 2008]
-La nota teoria dei telomeri (tratti di DNA terminale ripetuto dei cromosomi) che
sostiene che l’invecchiamento è associato al progressivo accorciamento dei telomeri
che si verifica ad ogni ciclo replicativo e tale fenomeno è sotto il controllo di
diversi geni (come quelli codificanti per le subunità della telomerasi).
-La teoria biochimica dei prodotti di rifiuto secondo la quale i prodotti derivanti dal
metabolismo cellulare che la cellula non è in grado di eliminare (come il pigmento
lipofuscina che si accumula nei macrofagi ed è infatti legato all’invecchiamento) si
accumulano, e col tempo provocano la compromissione delle funzionalità vitali.
-La teoria biochimica dei radicali liberi sostenuta dal D. Harman (premio nobel per
la medicina nel 1995) che ipotizzò che la senescenza fosse causata dai radicali
liberi prodotti durante I processi metabolici
-La teoria medica ormonale che sostiene che il nostro “orologio biologico” è
governato dall’asse ipotalamo-ipofisario che regola il nostro apparato endocrino, il
quale è basato su un complesso equilibrio tra i vari ormoni prodotti. Quando
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l’equilibrio esistente tra gli ormoni prodotti viene meno, le funzioni vitali si
alterano e il corpo invecchia. La ridotta produzione di ormoni sessuali nella donna
in menopausa o la ridotta produzione dell’ormone della crescita (GH) negli adulti è
a supporto di quest’ultima teoria.
-La teoria medica immunologica secondo la quale il corpo invecchia a causa della
perdita di funzionalità e prestazioni del sistema immunitario. Non solo col passare
del tempo il sistema immunitario è incapace di evitare l’insorgere di patologie
causate da agenti eziologici provenienti dall’ambiente, ma col tempo può portare a
risposte maldirette verso tessuti e organi “self” causando patologie autoimmuni (si
pensi alle malattie reumatiche). Tale decadimento del sistema immunitario è stato
associato a diversi fattori: l’atrofia del timo dopo la pubertà che porta ad una perdita
dell’efficienza dell’immunità cellulo-mediata legata ai linfociti T, fenomeni
involutivi degli organi emopoietici (midollo osseo, milza e linfonodi), riduzione di
macrofagi, linfociti NK e citotossici e di granulociti neutrofili. Il professore emerito
Claudio Franceschi, che studia le caratteristiche dell’immunosenescenza e le basi
molecolari dell’invecchiamento presso l’università di Bologna, ipotizza che le
potenzialità del nostro sistema immunitario, geneticamente determinate, vengano
progressivamente esaurite nel corso della vita in relazione ad una sproporzionata
aggressione antigenica rispetto alle capacità difensive dell’organismo, derivante dal
ripetuto contatto del nostro organismo con sostanze esogene immunogene. Quindi il
miglioramento delle condizioni igieniche riduce l’eccessiva esposizione a eventuali
agenti eziologici antigenici, preservando più a lungo il sistema immunitario ed
evitandone un rapido esaurimento.
-La teoria dell’invecchiamento casuale la quale enuncia che l’invecchiamento è il
prodotto di una serie di modificazioni peggiorative, che aumentano col passare del
tempo e determinate casualmente [D’Adda di Fagagna et al. 2003], cioè che
l’invecchiamento è legato ad un accumulo progressivo di mutazioni che portano ad
alterazioni delle caratteristiche biologiche cellulari. Queste mutazioni sono causate
dall’esposizione a fattori mutageni (come chemioterapici, luce ultravioletta, fumo di
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sigarette etc…) con cui si può venire a contatto, anche stocasticamente,
dall’ambiente. [Grossman 2005]
-La teoria medica delle cellule staminali nella quale si ipotizza che esse
contribuiscano al nostro invecchiamento , in quanto l’arresto della loro funzione
replicativa comporta il progressivo declino della rigenerazione e dell’omeostasi dei
tessuti. Il meccanismo più accreditato è che i danni al DNA portano all’attivazione
di meccanismi oncosoppressori, come la senescenza cellulare, che limitano la
capacità replicativa delle cellule staminali con l’avanzare dell’età [Sharpless et al.
2007]. La ridotta capacità proliferativa delle cellule staminali determina anche una
loro ridotta capacità di self-renewal (autorinnovamento) che, a sua volta, determina
un calo generale del pool di cellule staminali e la morte è legata al loro esaurimento.
[Jones et al.2011]
Sono tutte teorie valide ma nessuna può essere considerata vincente in quanto tutte
hanno contribuito a definire il concetto “moderno” di invecchiamento. Gli
individui invecchiano perchè le cellule che li compongono invecchiano, e
l’invecchiamento cellulare è il risultato di un progressivo declino nella funzione
e nella vitalità delle cellule ed è geneticamente predeterminato o legato
all’accumulo di danni cellulari e molecolari per gli effetti dell’esposizione a
fattori endogeni (come i ROS che minacciano l’integrità del DNA nucleare e
mitocondriale) e fattori esogeni con cui gli organismi viventi possono entrare in
contatto nel corso della loro esistenza, anche in maniera casuale[V .Kumar et al.
“ROBBINS”2015]. Tutte le suddette teorie hanno contribuito, unitamente a studi
condotti su soggetti anziani e su modelli progeroidi di invecchiamento precoce, ad
identificare diverse caratteristiche che contraddistinguono e descrivono il processo
d’invecchiamento (fisiologico e patologico): Instabilità genomica, Accorciamento
dei telomeri, Alterazioni epigenetiche, Perdita di proteostasi, alterazioni del
meccanismo autofagico, Deregolazione della percezione dei nutrienti (nutrient
sensing), Disfunzioni mitocondriali, Esaurimento delle cellule staminali,
Senescenza cellulare e Alterazione della comunicazione intercellulare.
L’identificazione delle suddette caratteristiche è un risultato fondamentale per
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conoscere i meccanismi che sono alla base del processo di invecchiamento
(fisiologico e patologico) e può agevolare lo sviluppo di strategie, preferibilmente
di natura farmacologica, per attenuare e ritardare gli effetti legati a tale processo.
1.2 Instabilità genomica
I tumori e l’invecchiamento sono da considerare manifestazioni di uno stesso
processo patogenetico, vale a dire l’accumulo progressivo di danni cellulari per
danni genomici che risultano amplificati se un soggetto manifesta difetti congeniti o
acquisiti ai geni che codificano per fattori importanti nei meccanismi di riparazione
del DNA perchè in tal caso si acquisisce instabilità genomica, il c.d. “fenotipo
mutatore”. Tale associazione è convalidata se si pensa che diverse patologie
associate all’invecchiamento, come l’aterosclerosi e l’infiammazione cronica sterile
(cioè senza patogeni o inflammaging) coinvolgono una crescita cellulare
incontrollata [Armanios M. et al. 2009] ed inoltre è il motivo per cui molti tumori si
manifestano più di frequente in soggetti di età avanzata. Infatti numerose sindromi
caratterizzate da manifestazioni patologiche associate all’invecchiamento sono la
conseguenza di accumulo di danni al DNA, come la sindrome di Werner in cui il
prodotto genetico difettivo è una DNA elicasi che è implicata in processi di
riparazione e replicazione del DNA, la sindrome di Bloom che è causata da un
difetto della proteina BLM che regola le DNAelicasi, lo xeroderma pigmentoso
caratterizzato da un difetto del meccanismo di riparazione del DNA per escissione
di nucleotidi che è coinvolto nella riparazione dei danni da raggi UV (motivo per
cui soggetti affetti da xeroderma pigmentoso presentano maggior incidenza di
tumori cutanei per esposizione ai raggi UV) o come nell’Atassia-teleangectasia o
sindrome di Louis-Bar che è una sindrome caratterizzata da incordinazione motoria,
dilatazione dei piccoli vasi e immunodeficienza causata dalla mutazione del gene
ATM che codifica per una elicasi coinvolta nel meccanismo di riparazione del DNA
per ricombinazione omologa. Comunque la rilevanza di sindromi che si possono
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acquisire con l’età o sindromi progeroidi congenite come riferimento per lo studio
dell’invecchiamento fisiologico rimane da stabilire, in quanto queste presentano
solo alcune delle caratteristiche dell’invecchiamento. La stabilità genomica è
continuamente messa a rischio da fattori esogeni chimici (sostanze che creano
mutazioni formando addotti col DNA), fisici (radiazioni) e biologici (si pensi alla
mutagenesi inserzionale causata da virus) ma anche da stress endogeni come errori
di replicazione o ROS (specie reattive dell’ossigeno) che possono portare a danni
genomici che includono mutazioni puntiformi, traslocazioni, perdite (delezioni) o
guadagni (inserzioni) di DNA (geni o anche interi cromosomi con conseguente
aneuploidia). Quando I danni al DNA sono tali da non poter essere riparati la cellula
è indotta all’apoptosi o alla senescenza cellulare (arresto replicativo irreversibile di
cui parlerò in seguito) per evitare che la cellula danneggiata trasmetta le mutazioni a
cellule figlie, quindi anche danni a geni coinvolti nel processo apoptotico e di
senescenza cellulare (P53 ne è l’esempio lampante) contribuiscono al manifestarsi
di instabilità genomica. Inoltre tali danni hanno un impatto maggiore se sono a
carico di cellule staminali, compromettendo il loro ruolo nel rinnovamento tissutale
[Blagosklonny MV 2008]. Oltre al danno diretto al DNA anche un danno alle
componenti importanti al mantenimento dell’architettura nucleare possono causare
instabilità genomica determinando indirettamente un danno al DNA[Cao k et al.
2011]. Ciò avviene nelle patologie conosciute come laminopatie che sono causate
da difetti nei geni che codificano per le lamine, proteine che partecipano al
mantenimento del genoma fornendo un supporto per l’ancoraggio della cromatina e
dei complessi proteici che regolano la stabilità genomica [Cao L. et al. 2003]
[Castello L. et al. 2011].Mutazioni delle lamine sono la causa di sindromi di
invecchiamento accelerato, come la sindrome di Hutchinson-Gilford e la sindrome
di Nestor-Guillermo.
Non solo mutazioni del DNA nucleare ma anche mutazioni del DNA mitocondriale
possono contribuire all’invecchiamento [Brown K. et al.2013]. Il DNAmt è
considerato come uno dei principali bersagli delle mutazioni somatiche età associate
in virtù del microambiente ossidativo presente nel mitocondrio, per la mancanza di
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istoni che hanno una funzione protettiva nei confronti del DNA nucleare e per la
limitata efficacia dei meccanismi di riparazione del DNAmt [Burnett C. et al. 2011].
Il DNAmt è DNA circolare a doppio filamento (ereditato per via materna
dall’ovocita) contenuto nei mitocondri in numero dalle 2 alle 10 copie; i mitocondri
sono centinaia quindi vi sono migliaia di copie di DNAmt per ogni cellula e ciò
permette la coesistenza di genomi mitocondriali mutati e wild type in una
condizione chiamata “eteroplasmia”. In condizione di eteroplasmia c’è un livello-
soglia di DNA mitocondriali mutati al di sopra del quale appaiono i sintomi clinici
della patologia associata a tale mutazione (come avviene, per esempio, nella
neuropatia ottica o amaurosi congenita di Leber e nelle miopatie mitocondriali come
la neuropatia sensoriale atassica del cane che colpisce frequentemente i Golden
Retriever). A evidenza delle suddette affermazioni, sono stati identificati disordini
multiorgano simili per fenotipo a quelli dell’invecchiamento che sono causati da
mutazioni del DNAmt [Calabrese V . et al.2011] e sono stati osservati topi con una
durata di vita più breve e che mostravano un accelerato invecchiamento con un
accumulo di mutazioni puntiformi random e delezioni a carico del DNAmt
[Campisi J. et al. 2007]. Inoltre cellule staminali prelevate da topi progeroidi si sono
mostrate particolarmente sensibili all’accumulo di mutazioni al DNAmt.
1.3 Accorciamento dei telomeri
1.3.1 Il telomero
Il telomero è la regione terminale di un cromosoma composta di DNA altamente
ripetuto che protegge l'estremità del cromosoma stesso dal deterioramento ed
eccessivo accorciamento del DNA telomerico. Tali deterioramento e accorciamento
porterebbero a senescenza replicativa (o limite di Hayflick dal suo scopritore)
tramite l’attivazione di geni inibitori del ciclo cellulare come p16 e p53 (che
contribuiscono a mantenere RB in uno stato ipofosforilato, meccanismo del ciclo
cellulare che tratterò in seguito) o alla fusione con cromosomi confinanti per
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attivazione delle vie di saldatura delle estremità non omologhe (NHEJ) che creano
cromosomi dicentrici (con 2 centromeri) che in fase di mitosi creano interruzioni a
doppio filamento attivando altre NHEJ con l’ulteriore formazione di cromosomi
dicentrici e ciò determina instabilità cromosomica, quest’ultimo fenomeno prende il
nome di “crisi mitotica”[V .Kumar et al. “ROBBINS”2015]. Tale capacità del
telomero di regolare la propria lunghezza è attribuibile, grazie a recenti scoperte,
alla capacità di produrre trascritti detti TERRA (Telomeric Repeat Containing RNA)
che si ipotizza siano implicati nella regolazione della telomerasi (enzima descritto
nel capitolo successivo) e grazie alla sequenza di nucleotidi dei telomeri TTAGGG
che è riconosciuta da proteine del complesso Shelterin. Il complesso Shelterin è un
complesso di 6 proteine (TRF1, TRF2 e POT1 che riconoscono in maniera specifica
la sequenza TTAGGG del telomero interagendo fra loro e grazie alla mediazione
delle altre tre subunità del complesso TIN2, TPP1 e Rap1) che contribuisce a
salvaguardare la struttura e la lunghezza del telomero in quanto le proteine di questo
complesso sono in grado di rimodellare le estremità telomeriche in modo tale che
l’estremità 3' (estremità libera alla quale vengono aggiunti I nucleotidi tramite il
legame tra il gruppo OH sul carbonio in posizione 3 del deossiribosio e il gruppo
fosfato del nucleotide successivo) sporgente del filamento più lungo si ripieghi
all’indietro verso la regione di DNA duplex assumendo una conformazione nota
come T-loop, che impedisce l’accesso alla telomerasi per evitare l’eccessivo
allungamento del telomero[Benjamin Lewin et al. “IL GENE”2ªedizione Zanichelli
2011]. Un accorciamento del telomero determinerebbe l’alterazione delle suddette
funzioni che esso espleta e non sarebbe possibile il legame col complesso
multiproteico Shelterin. Quindi tale accorciamento in modelli sperimentali è
associato al declino della rigenerazione tissutale (per la riduzione della capacità
proliferativa legata alla senescenza cellulare) e all’accelerazione dei processi di
invecchiamento.
Sfortunatamente I telomeri si accorciano progressivamente e ineluttabilmente ad
ogni ciclo replicativo e tale evento si verifica a causa del meccanismo di
replicazione del DNA. La struttura antiparallela dei due filamenti di DNA pone un
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problema alla replicazione che può procedere solo nella direzione di denaturazione
del DNAds della forcella replicativa dall’estremità 5' verso l’estremità 3' su un
filamento stampo in direzione da 3' a 5'. Il filamento sintetizzato nella stessa
direzione della forcella replicativa da 5' a 3' è sintetizzato in modo continuo ed è
denominato filamento leader mentre il filamento sintetizzato in direzione opposta
alla forcella di replicazione è sintetizzato in modo discontinuo in segmenti di
1000/2000 basi definiti frammenti di Okazaki uniti da DNAligasi ed è definito
filamento ritardato (o lagging strand). Il filamento parentale che funge da stampo al
filamento ritardato rimane a singolo filamento finchè non è stata esposta una
sequenza di una lunghezza sufficiente a sintetizzare il frammento di Okazaki
successivo. Ogni frammento di Okazaki è sintetizzato a partire dal residuo
idrossilico legato al carbonio in posizione 3 del ribosio di una sequenza di RNA che
serve da primer (innesco oligonucleotidico). Successivamente I primers si staccano
e interviene una DNApolimerasi che sintetizza una sequenza di DNA sostitutiva a
partire dall’estremità 3' del frammento di Okazaki che precede ogni gap lasciata dai
primers e ciò non è possibile quando si raggiunge l’estremità del DNA
cromosomico (il telomero). Quindi ad ogni ciclo replicativo il filamento ritardato
perde una sequenza oligonucleotidica corrispondente alla lunghezza del primer
usato per la sintesi dell’ultimo frammento di Okazaki, portando ad un
accorciamento progressivo dell’estremità telomerica [Benjamin Lewin et al. “IL
GENE”2ªedizione Zanichelli 2011]. l’accorciamento dei telomeri è stato
osservato durante il normale processo di invecchiamento sia nei topi che
nell’uomo. L’associazione tra accorciamento dei telomeri e invecchiamento è
stata supportata dal fatto che topi con telomeri accorciati o allungati
mostrassero, rispettivamente, una diminuita o aumentata durata di vita[Flores
I et Blasco MA. 2010]. Infatti accorciandosi ad ogni divisione cellulare, I
telomeri si comportano come veri e propri “orologi molecolari”, indicando il
numero di volte che la cellula si è divisa. Inoltre, manifestandosi durante il
processo di replicazione del DNA, si evince che l’accorciamento dei telomeri è
tanto maggiore quanto più le cellule si dividono e ciò avviene quando viene
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stimolata la capacità proliferativa endogena di un tessuto a seguito di un danno
(come il danno da ROS) e per questo uno stile di vita nocivo può essere associato a
un accellerato processo di invecchiamento (anche per questo l’invecchiamento è
legato anche a fattori ambientali e non è solo geneticamente predeterminato).
1.3.2 L’importanza della telomerasi
Il problema legato all’ accorciamento telomerico che è associato al declino della
rigenerazione tissutale (per la riduzione della capacità proliferativa correlata alla
senescenza cellulare) e all’accelerazione dei processi di invecchiamento può essere
mitigato dall’intervento della telomerasi.
La telomerasi ha il compito di creare le condizioni necessarie (allungando il
filamento di DNA parentale che funge da stampo per il filamento ritardato) per
colmare la lacuna di DNA, venutasi a creare (durante la replicazione) all’estremità
cromosomica, in modo da mantenere costante la lunghezza delle estremità
telomeriche. La telomerasi è una ribonucleoproteina composta da due parti
essenziali:
Una molecola di RNA denominata TERC (telomerase RNA component) la cui
sequenza nucleotidica è complementare alle sequenze ripetute dell’estremità
telomerica del DNA a cui si appaia;
Una componente catalitica denominata TERT (telomerase reverse transcriptase) che
assolve il ruolo di trascrittasi inversa, catalizzando la sintesi di porzioni di DNA
complementari ad una porzione della molecola di RNA (TERC) contenuta nel sito
catalitico che funge da stampo e sfruttando l’estremità telomerica 3'-OH del
filamento parentale come innesco nucleotidico.
Grazie alla telomerasi viene, quindi, allungato il filamento parentale che serve da
stampo alla sintesi del filamento ritardato. Successivamente si ha la fase di
traslocazione della telomerasi in cui l’ibrido DNA-RNA si denatura, il DNA
retrocede e la telomerasi si riaggancia all’estremità telomerica neosintetizzata per
procedere con un altra fase di allungamento dell’estremità telomerica.
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Il complesso Shelterin interviene quando l’estremità telomerica è stata
sufficientemente allungata per rimodellarla nella conformazione a T-loop, donde
evitare un eccessivo allungamento del telomero ad opera della telomerasi. Grazie
alla telomerasi si crea una regione a singolo filamento di DNA parentale
sufficientemente lunga per garantire l’attacco di un altro primer per la sintesi di
DNA, che ha lo scopo di colmare il gap (all’estremità del filamento ritardato)
lasciato dal primer usato per la sintesi dell’ultimo frammento di Okazaki. Quindi
una DNA polimerasi catalizza la sintesi di DNA, usando come stampo il filamento
di DNA parentale precedentemente allungato. Infine interviene una ligasi che salda
il DNA neosintetizzato all’estremità del filamento ritardato [Peter J. Russell. Testo
di genetica del 2010].
Nonostante l’attività telomerasica, una cellula normale perde DNA ad ogni ciclo
replicativo giungendo inevitabilmente alla senescenza cellulare (arresto replicativo
irreversibile). Le cellule specializzate dell’organismo umano hanno una bassissima
Illustrazione 1: Fasi dell'attività della telomerasi ( immagine presa dal testo "GENETICA
un approccio molecolare" di Peter. J. Russell 2010)
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attività telomerasica mentre le cellule staminali embrionali o le cellule germinali
(spermatogoni ad esempio) hanno una elevata attività telomerasica. Si deduce che
l’attività telomerasica è maggiore nelle cellule ad elevata capacità proliferativa,
infatti anche le cellule neoplastica hanno un elevata attività telomerasica che è una
delle caratteristiche peculiari per l’acquisizione di potenziale replicativo illimitato
nei tumori. Sembra che l’espressione del gene che codifica per la componente
catalitica TERT della telomerasi sia in qualche modo inibita nelle cellule
fisiologicamente “mortali” ed il gene è riattivato nelle cellule con capacità
proliferativa illimitata (per esempio nelle cellule staminali quiescenti dei tessuti che
vengono attivate a seguito di un danno o nelle cellule neoplastiche). Numerosi
esperimenti hanno evidenziato la correlazione tra attività telomerasica e la capacità
replicativa e la relazione inversamente proporzionale tra capacità proliferativa
cellulare e l’età. Le cellule di topi con telomeri accorciati, sperimentalmente, si
replicavano meno rispetto a quelle coi telomeri più lunghi e tali topi avevano una
diminuita durata di vita [Flores I et Blasco MA. 2010]. La ridotta o carente attività
telomerasica in cellule umane senescenti è associata con lo sviluppo precoce di
alcune patologie quali fibrosi polmonare, discheratosi congenita e anemia
anaplastica, patologie associate alla perdita di capacità rigenerativa dei tessuti
[Edgar D, Shabalina I et al.2009]. Molti laboratori di ricerca stanno cercando un
modo di mitigare il processo di accorciamento dei telomeri con diversi approcci
molecolari: L’utilizzo di un analogo molecolare della telomerasi, il delivery genico
di un gene che esprima la telomerasi o la somministrazione di induttori che
sblocchino l’espressione del gene per la telomerasi nelle cellule “mortali”. Alla luce
di quanto descritto si può asserire che l’invecchiamento è sicuramente influenzato
da fattori ambientali ma è anche un processo di natura genetica e che la conoscenza
approfondita della telomerasi può potenzialmente permettere di elaborare strategie
per controllare l’invecchiamento e il cancro.