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provvedere al nostro sostentamento hanno anche un valore
medicinale.
Già Ippocrate, uno dei padri della scienza medica, diceva: “Il cibo sia
la tua medicina e la tua medicina sia il tuo cibo”. Le piante sono dei
fitocomplessi con migliaia di differenti costituenti chimici che
possono agire su più sistemi corporei, in esse i principi attivi hanno
una maggiore biodisponibilità perché sono veicolati nel loro
complesso naturale, in cui sono presenti degli elementi che possono
fungere da coadiuvanti. La saggezza popolare insegna che i rimedi
erboristici devono essere trattati con cautela, il confine tra tossico,
velenoso e medicinale è legato al dosaggio, alla combinazione delle
droghe e alle reazioni individuali dei soggetti. È altrettanto vero però
che gli effetti collaterali che possono insorgere con l’uso di alcune
piante medicamentose sono di minore entità rispetto a quelli dei
corrispondenti medicinali, con principi attivi puri. Infatti, non di rado
la terapia farmacologia procura dei danni iatrogeni, ossia provocati
dalla stessa cura, maggiori rispetto a quelli determinati dalla malattia.
Combinando la ricerca scientifica sui principi attivi con l’osservazione
clinica e con la conoscenza tradizionale possiamo avere una idea
completa sulla gamma degli usi medicinali di ogni erba.
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In questo contesto si inserisce il presente lavoro, in cui sono riportati i
risultati di una ricerca a carattere etnobotanico, svolto in alcuni
comuni della provincia di Caserta e mirato a fornire un contributo al
recupero di informazioni sugli usi popolari delle piante e sulle
tradizioni e costumi ad esse connessi. La presente ricerca, per quanto
non esaustiva, è parte integrante di un più ampio tema che riguarda la
conservazione ed il recupero dell’ambiente e della biodiversità, quindi
come tutti i lavori di questo tipo è patrimonio dell’intera umanità.
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INQUADRAMENTO TERRITORIALE
Al fine di rendere più completi e chiari i dati ottenuti dalla ricerca nel
territorio di indagine è stato ritenuto necessario sia inquadrare i
principali fattori ambientali e di alterazione antropica, sia aggiungere
delle considerazioni sociologiche personali sull’evoluzione
dell’equilibrio uomo natura nell’ultimo secolo.
Cenni geografici
Il territorio oggetto della presente indagine etnobotanica si estende
attraverso i seguenti 11 comuni della provincia di Caserta:
Calvi Risorta (5.857 abitanti; superficie 15,88km²; altitudine 56m
sopra il livello del mare), Camigliano (1.739 abit.; sup. 6km²), Capua
comprendente la frazione di Sant’Angelo in Formis (19.030 abit.;
48km²; altit. 25m s.l.m.), Bellona (5.109 abit.; sup. 11km; ² altit. 63m
s.l.m.), Pignataro Maggiore (6.472 abit.; 31km²; altit. 93m s.l.m.),
Pontelatone (1.881 abit.; sup. 30km²), Santa Maria la Fossa (2.604
abit.; sup. 30Km
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; Altit. 16m s.l.m.), Santa Maria Capua Vetere con la
frazione di Sant’Andrea dei lagni (30000 abit.; sup. 15km²; altit. 36m
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s.l.m.), San Tammaro (4000 abit.; sup. 36km²), Teano (13.014 abit.;
sup. 88Km²; altit. 196m s.l.m.), Vitulazio (5.438 abit.; sup. 22km²).
Il territorio appare diviso in due zone ecologiche, una collinare ed una
pianeggiante. Il territorio collinare è ben descritto dai documenti della
Comunità montana Monte Maggiore, che amministra 16 Comuni,
appartenenti alla Provincia di Caserta, in cui è stato possibile
salvaguardare un adeguato equilibrio ecologico. Tra i comuni della
Comunità, Calvi Risorta, Camigliano e Pontelatone rientrano nella
presente indagine, gli altri comuni collinari, ossia Bellona, Vitulazio,
Pignataro e Teano sono ad essi limitrofi e presentano un’evidente
continuità ambientale con i comuni della Comunità. Diversa è la
situazione dei comuni di Capua, Santa Maria C.V., San Tammaro e
Santa Maria la Fossa che sono territori della piana alluvionale del
bacino Volturno.
La giacitura va dalla quota massima di 1121 m s.l.m. in
corrispondenza di Monte Maggiore a quella minima in corrispondenza
del fiume Volturno a Santa Maria la Fossa (16 m s.l.m.).
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L’ambiente geologico
La morfologia dell’area provinciale indagata risulta caratterizzata da
una zona occupata dalla vasta Piana Campana, nel settore centro
occidentale, che è delimitata a nord e ad est dai rilievi carbonatici
subappenninici. I prodotti di aggradazione della piana sono
rappresentati da depositi fluvio-lacustri e dai depositi piroclastici dei
Campi Flegrei rappresentati dalla Serie piroclastica dell’Ignimbrite
Campana.. La zona collinare, posta ad est dei rilievi cartonatici ed
allungata generalmente in direzione NO-SE, è contraddistinta da una
successione carbonatica uniforme, per cui la roccia non è interessata
da intensi sistemi di faglie e fratture. Le pendenze variano dai 30° ai
70-80°, tra le colline sono presenti delle depressioni tettoniche
intramontane anch’esse generalmente con orientazione NO-SE. I
gruppi montuosi rientranti nel territorio d’indagine sono compresi tra
il Monte Maggiore e i Monti Tifatini. Le aree di piana sono
attraversate dal sistema fluviale del Volturno, il più esteso dell’area
regionale, avente un pattern idrografico tipicamente a meandri. In
conseguenza della elevata erodibilità dei terreni e della loro scarsa
permeabilità il reticolo idrografico dei rilievi collinari si presenta fitto
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con organizzazione planimetrica di tipo dendritico ossia con
ramificazioni arborescenti dei segmenti fluviali.
Le principali litologie affioranti nell’area provinciale sono:
- calcari mesozoici, rappresentati da una potente pila di sedimenti
a litologia calcarea, e calcareo-dolomitica; calcari
conglomeratici, calcari detritici e microcristallini spesso
ricoperti verso le aree di piana da falde detritiche ad elementi
calcarei, formano l’ossatura dei rilievi carbonatici. Le porzioni
più prettamente calcaree presentano elevata fratturazione e
carsificazione;
- materiali piroclastici di origine Flegrea (Ignimbrite Campana) e
subordinatamente del Somma-Vesuvio, sono incoerenti nelle
piccole zone depresse montane e lungo i versanti a debole o
media acclività, mentre sono sia incoerenti che litoidi nelle aree
depresse di fondovalle;
- lave e tufiti del complesso vulcanico spento del Roccamonfina,
rappresentate principalmente da Tefriti e Basaniti leucitiche e
da basalti biotitici e olivinici;
- materiale detritico alluvionale ghiaioso e limo-sabbioso dei
depositi fluvio-lacustri recenti e attuali.
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In provincia di Caserta sono state censite 454 cave, pari a circa il 32,%
del totale regionale. Di queste n. 29 risultano attive e circa 280, invece
sono abbandonate, con un notevole impatto sulla stabilità dei rilievi
collinari e soprattutto sull’effetto paesaggistico. Queste ultime
costituiscono ben il 40,5% delle cave abbandonate di tutta la Regione
Campania, rilevando come l’attività estrattiva, per questa provincia,
ha sempre costituito una presenza importante nell’uso del territorio.
La pietra ornamentale caratteristica di questa zona è il calcare
dolomitizzato, denominato Pietra di Bellona, ma conosciuto anche
con la denominazione impropria di “Travertino campano”. Si tratta di
una calcilutite bianco chiara e compatta, che non può essere assimilato
al travertino vero e proprio, di deposito chimico da acque ricche di
carbonato di calcio. Era già noto ai tempi dei romani per i buoni
requisiti decorativi e di resistenza, infatti è stato largamente impiegato
nell’architettura campana rientrando in alcune imponenti costruzioni:
l’anfiteatro di Santa Maria C.V., le Regge di Caserta e di
Capodimonte, la facciata del Duomo di Napoli, la Basilica di Pompei.
Le cave della Pietra di Bellona sono ubicate sulle rive del Volturno
presso Capua, in località S. Iorio, Sant’Angelo in Formis, Triflisco e
Bellona, lungo una dorsale che si propaga in direzione NNE– SSW
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(Costa M. Grande – M. Raggeto). L’escavazione è oggi saltuaria o
addirittura abbandonata.
Per quanto riguarda i rischi naturali la Provincia di Caserta si presenta
ad elevato e medio rischio sismico. Gli unici comuni classificati a
basso rischio sismico (III Categoria sismica) sono quelli costieri,
maggiormente distanti dalle aree sismogenetiche Matesine ed Irpine.
Ad elevato rischio da frana per colate rapide, invece, sono le aree
pedemontane urbanizzate poste alla base dei versanti carbonatici
ricoperti da piroclastiti sciolte. Frane di crollo possono verificarsi
lungo i versanti acclivi carbonatici fratturati.
Clima ed inquadramento fitoclimatico
Il regime climatico tipico della provincia di Caserta rientra in
entrambe le sottozone climatiche del regime climatico “marittimo”
della Regione Campania, ossia quella “della fascia costiera”e della
zona “interna”.
Nella sottozona costiera le temperature medie annue si aggirano
intorno ai 16°C e le precipitazioni variano in relazione alla distanza
dal mare; esse sono generalmente modeste, essendo comprese tra 800
e 1.000 mm annui.
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Nella sottozona montuosa, dall’esame dei dati dalle stazioni
termopluviometriche a disposizione della Comunità Montana di
Monte maggiore è emerso che le temperature medie annue non
superano i 14°C con variazioni stagionali medie che toccano il
minimo con -6°C nel mese di gennaio ed il valore massimo +37°C nel
mese di agosto, mentre le zone più depresse interne schermate dai
contrafforti montuosi dalle correnti umide marine presentano
piovosità sostanzialmente inferiore. Nella zona collinare la piovosità
media annua si aggira intorno ai 1100 mm di pioggia distribuiti
prevalentemente nei mesi autunnali e primaverili con piovosità
minima nei mesi estivi. Pertanto, si può affermare che nell’area
oggetto d’indagine le temperature si attestano su valori medi elevati,
la densità media delle precipitazioni raggiunge il volume minimo a
giugno con 5.5mm\gp ed il più alto a novembre con 29mm\gp.
Nella zona pianeggiante assume una notevole importanza la nebbia,
presente soprattutto nel periodo primaverile, che innalza i valori di
umidità sulla superficie del terreno, ma non ha effetti sull’irradiazione
del calore; essendo prevalentemente notturna. Le precipitazioni
nevose sono di scarso rilievo ed interessano sporadicamente solo le
cime più alte; per la breve durata del periodo nevoso, la vegetazione
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arborea risente poco di questo fattore ecologico, che bensì offre alle
piante una preziosa fonte di risorse idriche.
Il vento è uno dei fattori ecologici più importanti, determina una
diversa zonazione della flora sui versanti delle montagne; i versanti
battuti dal vento dominante sono più secchi a causa della maggiore
evaporazione e del fuoco che, con cadenza quasi annuale nelle calde
giornate estive, brucia in poche ore enormi settori delle colline.
Cenni sull’idrografia
Il Volturno è un alveo rapido, profondo e torbido; ha un bacino
idrografico di 5.550Km²; nasce dalla sorgente Capo Volturno o Capo
d'Acqua posta sul pendio orientale del monte Rocchetta a 568m.s.l.m.,
presso Rocchetta a Volturno (Is). La sua portata media è di 82,70 mc³
al secondo, anche se a partire dagli anni del dopoguerra, è andata
riducendosi a causa di canali sotterranei che utilizzano gran parte delle
acque per la creazione di energia elettrica.
Successivamente, il Volturno scende verso sud, attraversa i territori
delle province di Campobasso, Benevento e Caserta e poco lontano da
Amorosi riceve a sinistra il suo maggiore affluente, il fiume Calore;
volge a sud-ovest fino al Golfo di Napoli, per poi arrivare nella città di
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Capua e dopo 175 Km di percorso sfocia nel mar Tirreno. È un fiume
caratterizzato da magre estive e piene autunnali e primaverili, le coste
della provincia di Caserta poste a sinistra della foce presentano un
elevato rischio di erosione, negli ultimi 30 anni infatti, hanno subito
una regressione di alcune decine di metri. Tale fenomeno è
determinato dalla drastica diminuzione dell’apporto solido a mare
determinato dalla presenza lungo il corso del Volturno di invasi
artificiali e di prelievi di inerti in alveo. Per quanto riguarda le acque
sotterranee, le risorse idriche di maggiore interesse sono quelle di
piana e dei massicci carbonatici. L’unità del Monte Maggiore libera
quasi tutte le acque sotterranee verso le sorgenti di Triflisco
(3.8mc/sec). I Monti Tifatini e il Monte Massico alimentano
preferenzialmente le falde sotterranee delle aree di piana, mentre il
complesso del Roccamonfina, con tipica circolazione idrica
sotterranea radiale caratteristica dei rilievi vulcanici, alimenta ad est
l’acquifero della piana di Riardo, apportando importanti
mineralizzazioni alle acque.
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Tipologia vegetazionale
La superficie boscata del Monte Maggiore ha un coefficiente di
boscosità del 30.5% con prevalenza di boschi cedui. Sulle pendici più
assolate prevalgono le formazioni sempreverdi a macchia
mediterranea, fortemente antropizzate con prevalenza di cerro, leccio
e roverella (Quercus cerris, Q. ilex, Q. pubescens) e presenza di acero
campestre (Acer campestre), orniello (Fraxinus ornus) ed altre specie.
Queste formazioni sempreverdi sfumano poi nel ceduo bosco misto
(polifito) in cui alle specie già citate si aggiungono il castagno
(Castanea sativa), il Frassino (Fraxinus excelsior), il salicone (Salix
caprea), il corniolo (Cornus mas) che rallegra in primavera inoltrata le
pendici con i suoi grappoli penduli di fiori gialli; ad altitudine
maggiore troviamo il faggio (Fagus sylvatica).
La vegetazione sinora descritta è quella potenziale, che si instaura in
assenza di interventi antropici; però questi ultimi da molti secoli
hanno un evidente impatto in tutto il comprensorio della provincia,
principalmente nella zona di piana. Indi, essendo il paesaggio
espressione delle interazioni tra geologia, clima e antropizzazione,
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nell’area indagata si osserva una distribuzione della vegetazione
alquanto alterata.
Alterazione antropica del territorio e considerazioni sociologiche
sull’evoluzione dell’equilibrio uomo natura.
L’area della ricerca risulta alterata antropicamente da poco più di due
millenni, la coscienza del rispetto e dell’equilibrio con la natura è stata
ovattata da interessi che si sono susseguiti durante le varie
dominazioni e guerre. Lo stesso isolamento che aveva portato i singoli
nuclei familiari ad essere esperti in medicina domestica e lavori
artigianali, ha poi determinato, soprattutto nei dopoguerra, uno spirito
di rivalsa sociale che ha portato la gente a imparare a sfruttare
l’ambiente il più possibile a discapito di un vivere armonico con la
natura. Certamente ha influito l’instaurarsi di nuovi modelli sociali
come quello del Lavora, Produci, Consuma, quello estetico o del
nuovo senso pratico, ossia quello dell’usa e getta. Ad esempio, è
coscienza comune che oggi si richiedano più i prodotti alimentari
dall’aspetto attraente che quelli con maggiori qualità nutrizionali.
Questa tendenza è tra i motori di mercato che spingono coltivatori ed
allevatori al massiccio impiego nei campi di prodotti fitosanitari di
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sintesi, pesticidi, ormoni, ed antibiotici che stanno comportando un
inquinamento diffuso del suolo, mentre la mancata tutela delle acque
ha causato la contaminazione dei sedimenti, dei bacini lacustri e delle
falde superficiali. A compromettere ancor più la situazione ambientale
contribuiscono molto anche lo smaltimento abusivo dei rifiuti gestito
dalle ecomafie ed il problema degli incendi dolosi legati alla
speculazione edilizia, ai pastori ed alla generale incuria dell’uomo.
Qui di seguito è stata esposta una considerazione personale:
“Lavora per aumentare la produzione, Lavora per il bene della tua
famiglia e del tuo Stato, Produci ciò che prima non c’era o era solo
un privilegio per ricchi, Produci per dare un senso al tuo lavoro,
Consuma ciò che prima ti veniva sottratto, Consuma un bel prodotto
leggero e durevole magari come quelli in plastica, Lavora per poterlo
acquistare, Lavora per poterlo mantenere, spera che ne aumenti la
Produzione in modo che ne diminuisca il prezzo, Produci per
mantenere il tuo lavoro così puoi Consumare di più e quindi tornare
ancora a Produrre…, per me, solo tanta immondizia!”
L’uso attuale, relativamente ai territori collinari è caratterizzato dalla
presenza di un’economia agro-pastorale di sostentamento che porta
alla suddivisione del territorio in campi coltivati, pascoli e boschi;