II
E’ opinione condivisa che la famiglia contribuisca in maniera
determinante a formare l’identità personale e sociale di ogni
individuo. Essa rappresenta le fondamenta sulle quali costruire il
carattere e la personalità e, contemporaneamente, la spinta ad
uniformarsi alle regole che essa impone.
L’influenza e le pressioni esercitate nell’ambito del contesto
familiare sono state studiate approfonditamente dalla psicologia
sociale, in funzione del riconosciuto ruolo che la famiglia ha nella
formazione dell’individuo.
In realtà, l’influenza sociale interessa ogni tipo di relazione e
viene esercitata sia a livello individuale che collettivo. Ne è un
esempio il gruppo di pari che, nel periodo dell’adolescenza,
rappresenta l’alternativa alla famiglia e il luogo in cui spesso nasce
l’opposizione alla stessa. E’ il primo contesto informale nel quale
l’individuo ha l’opportunità di sperimentare se stesso e continuare il
percorso che lo condurrà all’età adulta. Di contro, il gruppo amicale
può esercitare sul singolo pressioni all’uniformità e alla de-
individualizzazione.
Fin dalle prime esperienze le persone sono condizionate da ciò
che sta loro attorno e soprattutto dai modelli su cui investono le
proprie aspettative. Questo non significa che l’attore sociale sia
relegato ad un ruolo passivo: a questo proposito, la psicologia sociale
ha insistito con forza sull’importanza del contributo che ognuno dà
alla costruzione dell’ambiente sociale attraverso le interazioni
quotidiane.
Nonostante esistano fonti di influenza consensualmente riconosciute -
la famiglia, appunto, e il gruppo di pari - non si deve dimenticare che
ne esistono altre, spesso sottovalutate perché non riconosciute come
tali. E’ in questo momento che l’influenza sociale può diventare un
problema perchè usata strumentalmente per ottenere determinati
atteggiamenti e soprattutto, come vedremo, determinati
comportamenti.
III
A livello collettivo ne sono un esempio i regimi totalitari nei
quali una o poche persone tracciano le linee di condotta di un intero
popolo; non sono pochi i casi nella storia nei quali masse di persone
hanno seguito in maniera quasi automatica le indicazioni di un
tiranno.
A livello individuale si può pensare alle relazioni sentimentali,
nelle quali talvolta accade che uno dei due componenti la coppia
eserciti qualche forma di influenza sull’altro.
Anche se si tratta di situazioni sociali ben diverse, ritengo che
alla base dei comportamenti di influenza sussistano i medesimi
processi psicosociali; e, trattandosi di problemi rilevanti, diventa
fondamentale individuare e comprendere ciò che sta alla base delle
dinamiche che interessano questi fenomeni.
Lo scopo principale di questo studio è quello di contribuire alla
comprensione dei fenomeni di influenza e, in particolare, delle
tecniche di induzione comportamentale utilizzate da alcuni esperti
“manipolatori” per condurre persone normali ad attuare
comportamenti in linea con i propri personali obiettivi.
Per fare questo ho preso in considerazione un ambiente
lavorativo molto particolare ultimamente salito alle cronache: il
cosiddetto “multilivello”. Si tratta di un sistema adottato da alcune
aziende commerciali per la vendita dei propri prodotti e la gestione dei
propri incaricati alla vendita.
Partendo dalle diverse testimonianze televisive circa la presenza
di forme di pressione psicologica e di coercizione fisica in alcuni di
questi ambienti lavorativi, ho ritenuto opportuno indagare alcune di
queste realtà al fine di verificare il tipo di pressioni psicologiche
messe in atto dai responsabili per condurre chi vi lavora ad adottare
comportamenti fortemente identificati con i valori e la cultura
dell’azienda.
IV
Ho intervistato alcune persone che hanno lavorato in due di
queste organizzazioni: una, di tipo commerciale, che si occupa tuttora
della vendita di piani assicurativi; un’altra, di tipo commerciale-
produttivo, che si occupava della produzione e della vendita di
dispositivi anti-inquinamento.
All’interno della ricerca è stata fatta, per chiarezza, una
necessaria distinzione tra sistema di vendita multilivello, legale e
sempre più diffuso anche in Italia, e sistema di vendita piramidale;
talvolta i due sistemi si sovrappongono apparendo più simili di quanto
in realtà siano, ma la differenza fondamentale riguarda la dubbia
legalità del secondo per il quale esistono, in diversi paesi europei, ma
non ancora in Italia, delle norme che ne vietano l’esercizio.
Al di là della distanza che il “vero multilivello” legittimamente
prende da altre forme truffaldine di vendita porta-a-porta, ritengo che
il problema principale riguardi l’esistenza, in entrambe, di pressioni
finalizzate ad uniformare chi vi lavora non solo in un unico modo di
affrontare la vendita ma, anche, in un unico modo di “vedere la vita”.
Penso che sia di fondamentale importanza affrontare, anche da un
punto di vista psicosociale, un problema di cui si è discusso e si
continua a discutere soprattutto sul piano legale e dei diritti di chi vi
ha lavorato per cercare di individuare i processi psicologici che
portano le persone ad accettare una sorta di de-individualizzazione in
favore dell’azienda e, soprattutto, per analizzare le tecniche utilizzate
dall’azienda stessa per far sì che questo avvenga.
Spesso, e soprattutto quando si viene a conoscenza di truffe
messe in atto da alcune di queste aziende, si tendono ad attribuire alle
persone che ne sono state vittime caratteristiche di scarsa intelligenza,
etichettandole con termini talvolta dispregiativi e poco rispettosi.
Questa ricerca vuole dimostrare che, in realtà, tutti potremmo essere
vittime di fenomeni di questo tipo.
Le tecniche di induzione comportamentale sono basate proprio
sulla tendenza, intrinsecamente umana, di essere coerenti con le
proprie azioni precedenti; esse sono nascoste dietro molti dei
V
comportamenti di venditori, pubblicitari, ma anche dietro quelli di
presunti volontari di associazioni di beneficienza che si incontrano in
molte delle nostre città.
Queste tecniche traggono in inganno persone attratte dai
guadagni facili e veloci che diverse aziende multilivello promettono:
una volta entrati nel sistema con l’illusione di averlo fatto in totale
libertà, si entra contemporaneamente in un insieme di norme che,
razionalmente, si sceglie di rispettare e seguire. A quel punto, spesso,
si accettano anche le dinamiche proprie del sistema che, in virtù delle
relazioni di potere stabilitasi, possono portare a subire pressioni
psicologiche molto forti e, talvolta, vere e proprie violenze fisiche.
Nella rassegna della letteratura, accanto ad un approfondimento
dei processi di cambiamento degli atteggiamenti e, soprattutto delle
tecniche di induzione comportamentale e dei principi psicologici che
vi sottostanno, ho ritenuto opportuno dedicare attenzione anche al
tema dell’influenza sociale, intesa come meccanismo che pervade
tutta la realtà sociale. Trattandosi di un fenomeno molto ampio, e
collegato in parte al tema centrale di questo studio, ho cercato di
affrontarlo in termini generali per fornire un’idea delle dinamiche
responsabili di molti comportamenti che usualmente adottiamo, più o
meno intenzionalmente, nelle interazioni che quotidianamente si
verificano.
La parte dedicata alle tecniche di induzione comportamentale
rappresenta il cuore teorico della ricerca; se si osservano con sguardo
attento le molteplici situazioni che quotidianamente si incontrano, è
facile cogliere molte di queste tecniche studiate, in psicologia sociale,
proprio a partire da venditori di automobili. E, di conseguenza,
guardando con altri occhi i comportamenti di chi decide di entrare in
aziende che utilizzano il multilivello e accetta, quindi, di credere alla
possibilità di arricchirsi in poco tempo, si possono attribuire gli stessi
comportamenti non a superficialità e stupidità, ma a semplici regole
che gestiscono le dinamiche interpersonali e che vengono usate
strumentalmente da alcuni per ottenere qualcosa da altri.
VI
La parte dedicata alla ricerca, il cui nucleo principale è
rappresentato dall’analisi del contenuto di interviste a testimoni
privilegiati, cerca di dare un contributo alla comprensione di questo
fenomeno in crescente ascesa responsabile, da un lato, di essere
promotore di una nuova modalità di vendita caratterizzata da
flessibilità e innovazione, dall’altro, di nascondere al suo interno
insidie soprattutto per chi entra a farne parte a livello organizzativo.
1
PARTE PRIMA: MODELLI TEORICI
Capitolo I
La relazione tra atteggiamento e comportamento
1.1 IL MODELLO DELL’AZIONE RAGIONATA
Fishbein e Ajzen [1974, 1975] si sono occupati dello studio
dell’intreccio di fattori che, insieme all’atteggiamento, contribuiscono
alla previsione del comportamento.
Secondo il modello, il miglior predittore del comportamento è
l’intenzione comportamentale, che a sua volta è funzione
dell’atteggiamento che una persona ha verso un certo comportamento
e verso le norme sociali che ritiene importante rispettare. Viene
interposto tra l’atteggiamento, evento della mente, e il
comportamento, azione manifesta, un altro evento psicologico,
appunto l’intenzione di agire in un certo modo.
La teoria sviluppata si caratterizza per due elementi: a) riguarda
solo la classe di comportamenti volontari, quelli dipendenti
dall’intenzione che la persona ha di metterli in atto e considera
quest’intenzione come l’antecedente psicologico più immediato
dell’azione; b) la teoria prende in considerazione l’atteggiamento
verso il comportamento e non verso l’oggetto.
I tre elementi in rapporto causale sono il comportamento,
determinato dall’intenzione di metterlo in atto, le intenzioni che
conseguono dalle valutazioni generali o atteggiamenti, e questi ultimi,
che sono una funzione delle credenze salienti per la persona. Sia
l’atteggiamento sia le norme soggettive sono composti di credenze
valutative che contengono un elemento di aspettativa e un elemento di
valore.
2
L’atteggiamento dovrebbe comprendere gli elementi utili per
stimare la probabilità (aspettativa) che si verifichino certe
conseguenze a seguito di un dato comportamento di cui siano precisati
l’obiettivo, il tempo, il luogo e la qualità positiva o negativa di tali
conseguenze (valore).
Ugualmente, le norme sono la combinazione di credenze che
specificano l’aspettativa verso il comportamento (quanto mi
approveranno le persone a cui tengo?) e il valore, ossia la motivazione
del soggetto a essere compiacente (quanto è importante per me essere
approvato per questo atto?).
Il modello è stato utilizzato con risultati soddisfacenti per
verificare la prevedibilità di comportamenti quali il fumare [Fishbein,
1982], il bere alcoolici [Budd e Spencer, 1984, 1985], l’uso di
contraccettivi [Pagel e Davidson, 1984] e il comportamento dei
consumatori [Fishbein e Ajzen, 1980].
I limiti concettuali riducono, però, la sua applicabilità e la sua
capacità predittiva.
Secondo la definizione degli autori, se il comportamento è
soggetto al controllo della volontà e le misurazioni sono condotte tutte
agli stessi livelli di specificità, allora intenzioni comportamentali e
comportamenti saranno perfettamente correlati. Restano escluse da
questo assunto tutte quelle situazioni in cui le persone non si
comportano in modo razionale, soppesando tutti i pro e i contro prima
di agire, e tutti i casi in cui il comportamento viene influenzato
direttamente da qualche variabile che non risulta mediata dalle
intenzioni comportamentali.
3
1.2 L’ ACCESSIBILITA’ DELL’ATTEGGIAMENTO E LA
SUA INFLUENZA SUL COMPORTAMENTO
Secondo Fazio e collaboratori [Fazio 1986; Fazio e Zanna 1981]
una condizione minima necessaria perché l’atteggiamento di una
persona possa avere un’azione direttrice sul suo comportamento è che
ci sia qualche dato immagazzinato nella memoria, che questo sia
accessibile e sia recuperato al momento di agire. Viene attribuita
all’atteggiamento una funzione conoscitiva tale per cui «l’influenza
dell’atteggiamento sul comportamento si verifica come un risultato
dell’impatto che l’atteggiamento ha sulla percezione immediata
dell’oggetto dell’atteggiamento nella situazione in cui si presenta e
sulla definizione dell’evento. Il modello implica che senza tale
percezione selettiva gli atteggiamenti non influenzino il
comportamento» [Fazio, 1986]. L’atteggiamento, qui inteso come
un’associazione appresa tra un dato oggetto e una data valutazione,
partecipa ai processi di elaborazione dell’informazione, anche se è
previsto che le norme sociali possano influire sulla definizione che la
persona darà dell’evento.
Poniamo che una persona con una posizione liberale e un
atteggiamento favorevole all’integrazione razziale che si trovi nel sud
degli Stati Uniti, in un ambiente segregazionista, debba decidere se
firmare una petizione a favore dell’integrazione. Il suo atteggiamento
favorevole la indurrebbe a firmare, ma la sua «definizione dell’evento
in quella situazione» potrebbe cambiare venendo a sapere che i nomi
dei firmatari saranno pubblicati sul giornale locale, cosa che in
quell’ambiente comporta l’esporsi alla pubblica riprovazione. Anche
se la sua percezione dell’oggetto d’atteggiamento – la petizione – resta
favorevole, è possibile che il peso delle norme sociali lo induca a
definire la situazione in modo negativo e quindi a non firmare.
Secondo Fazio [1986], quando c’è contrasto tra le norme correnti e
l’atteggiamento dell’individuo può succedere che sia il significato
4
dell’evento sia il comportamento si organizzino in una forma che è
incongruente con l’atteggiamento stesso.
Il punto focale del modello è l’atteggiamento, il cui grado di
coerenza con il comportamento può rivelarsi piuttosto labile o poco
prevedibile anche nei casi in cui non ci sono norme sociali che
possano interferire. Il modello non postula nessuna relazione
necessaria tra atteggiamento e comportamento né tra componenti
affettive, componenti cognitive e intenzioni comportamentali, e invece
assume che: a) fino a quando non c’è l’attivazione dell’atteggiamento
e quindi il suo recupero dalla memoria, esso non può guidare la
percezione e quindi la valutazione dell’oggetto e, di conseguenza,
neppure orientare i comportamento; b) poiché l’atteggiamento è
un’associazione tra un oggetto e una valutazione, la forza di questa
associazione, elemento determinante per il suo recupero dalla
memoria, può variare. Più forte è l’associazione, più accessibile è
l’atteggiamento: in presenza dell’oggetto la valutazione si presenterà
quindi spontaneamente attraverso l'attivazione automatica, facile e
veloce come una risposta condizionata. Se, invece, l’associazione
oggetto-valutazione è debole, il recupero dalla memoria della
valutazione sarà più difficile e il comportamento che segue potrà
essere indipendente dall’atteggiamento.
Nei diversi esperimenti condotti per verificare queste e altre
caratteristiche del processo ipotizzato Fazio operazionalizza la
variabile accessibilità come il tempo di reazione alle richieste di
valutazione dell’oggetto di atteggiamento. La condizione sperimentale
tipica è quella in cui viene mostrato al soggetto, ad esempio con un
computer, un nome seguito da una valutazione («Mafia: buona?»), con
la richiesta di premere il pulsante del si o del no. Secondo l’ipotesi di
Fazio, la rapidità con cui le persone rispondono a una domanda diretta
sul loro atteggiamento covaria con la probabilità di un’attivazione
spontanea in condizioni di semplice esposizione, per cui più forte è
l’associazione oggetto-valutazione, più veloce sarà la risposta [Fazio,
1986].
5
La forza dell’associazione tra oggetto e valutazione è stata
studiata da Fazio, Chen, McDonel e Sherman [1982] con un
esperimento in cui i soggetti dovevano osservare al videotape una
persona che lavorava su un puzzle e successivamente valutare per
iscritto il loro interesse per quel tipo di puzzle. In più, a metà dei
soggetti veniva chiesto, con una stratagemma, di ricopiare altre due
volte la loro valutazione. Vi erano cinque tipi di puzzle presentati ogni
volta in ordine diverso in modo che i soggetti dovevano fare una
sforzo per ricordare le precedenti associazioni oggetto-valutazione. La
ripetizione è una manipolazione diretta della variabile indipendente
«forza dell’associazione» che secondo l’ipotesi dovrebbe rafforzarsi
ogni volta che l’atteggiamento viene espresso. Nella seconda fase
dell’esperimento i soggetti dovevano valutare alcune diapositive con il
nome dei vari puzzle. Risulta che la latenza delle risposte è minore
nella condizione delle tre valutazioni che in quella con una sola
espressione della valutazione, e ciò viene interpretato come un segno
che la forza dell’associazione oggetto-valutazione influisce
sull’accessibilità dell’atteggiamento.
Un altro punto indagato dalla teoria riguarda la possibilità che
un atteggiamento formatosi attraverso l’esperienza diretta produca
associazioni più forti e, di conseguenza, una maggiore coerenza tra
atteggiamento e comportamento. I dati confermano che gli
atteggiamenti derivati dai propri comportamenti sono più forti di
quelli basati su esperienze indirette. In un esperimento che vagliava
l’atteggiamento di studenti di college verso il partecipare a
esperimenti di psicologia e la loro volontà di presentarsi in futuro
come volontari, risultò che maggiore era il numero di esperienze
dirette fatte dagli studenti partecipando ad esperimenti, più probabile
era la corrispondenza tra atteggiamento e disponibilità a partecipare
[Fazio e Zanna, 1978].
Gli studi di Fazio e collaboratori rappresentano un approccio
nuovo al tema della coerenza tra atteggiamento e comportamento; in
sintesi, essi tendono a dimostrare che gli atteggiamenti che si sono
6
formati attraverso l’esperienza diretta e/o sono stati ripetutamente
espressi sono ben consolidati, sono cioè il risultato di una forte
associazione tra l’oggetto e la sua valutazione. Inoltre, essi dimostrano
che un atteggiamento forte è molto accessibile e si attiva
automaticamente di fronte all’oggetto, e che questo automatismo
aumenta la probabilità che l’atteggiamento sia seguito da un
comportamento coerente.
7
1.3 IL CAMBIAMENTO DEGLI ATTEGGIAMENTI
Ciò che induce le persone a cambiare o a conservare inalterati i
propri atteggiamenti e uno dei temi che ha ricevuto più attenzione da
parte degli psicologi sociali. La propaganda politica, la pubblicità
commerciale e la pubblicità progresso sono solo alcuni esempi degli
interventi rivolti a convincere la gente a cambiare i propri
atteggiamenti al fine di cambiare i propri comportamenti politici, di
consumo e sociali.
Il processo di cambiamento non è solo il risultato di pressioni
esterne provenienti da singole persone o dai mass media, ma può
essere generato anche da esigenze di tipo cognitivo e motivazionale
interne all’individuo.
Le occasioni di cambiamento possono essere diverse, ma
possono essere così schematizzate: a) contatti diretti con l’oggetto di
atteggiamento; b)modificazioni dei benefici e dei costi associati ai
comportamenti; c) spinta a ripristinare uno stato di equilibrio e/o di
consonanza nel sistema cognitivo-valutativo della persona; d) impiego
di comunicazioni persuasive.
Nonostante il cambiamento degli atteggiamenti sia un fenomeno
comune, le persone hanno la tendenza a mantenere inalterati i loro
atteggiamenti. Questo perché ciò che è noto e familiare suscita
automaticamente reazioni positive; perché i vecchi atteggiamenti
forniscono motivazioni affettive e cognitive che giustificano la
conservazione delle proprie posizioni; infine, perché le valutazioni
preesistenti influenzano l’interpretazione e la valutazione di nuovi
eventi.
Inoltre, la complessità della struttura, la coerenza tra le
componenti, l’interconnessioni tra atteggiamenti diversi ma inseriti in
un sistema ideologico e l’estremismo della valutazione rappresentano
forti resistenze a cambiare atteggiamento insieme alla rilevanza, sul
piano personale, dei bisogni che un certo atteggiamento soddisfa e con
8
le implicazioni che l’eventuale cambiamento comporta per il sistema
di valori della persona.
Gli atteggiamenti possono cambiare in modo congruente o
incongruente, diventando nel primo caso più intensamente positivi o
negativi e, nel secondo, da positivi a negativi e viceversa.
1.3.1 Processi motivazionali
Le teorie della coerenza cognitiva hanno avuto molto successo
tra gli anni Cinquanta e Settanta. Esse hanno in comune l’idea che la
parti che compongono un atteggiamento, così come i vari
atteggiamenti, valori, comportamenti che costituiscono il sistema
cognitivo di un individuo siano collegati fra loro e che il sistema abbia
la tendenza a mantenere tra le sue componenti uno stato di equilibrio o
consonanza. Il principio regolatore è dinamico perché tutte le volte
che la struttura è disarmonica si crea tensione e ciò equivale a una
motivazione che spinge la persona a riorganizzare il proprio sistema
cognitivo per ripristinare una condizione di equilibrio.
La teoria dell’equilibrio cognitivo di Heider [1946] tratta del
modo in cui una persona percepisce i suoi rapporti con un’altra
persona e con un oggetto di comune interesse. Secondo l’autore, le
persone si rappresentano le situazioni sociali per mezzo di semplici
configurazioni triadiche dove gli elementi sono collegati da rapporti di
sentimento e di unità. I rapporti di sentimento hanno carattere
valutativo, possono essere positivi o negativi e corrispondono in
sostanza all’atteggiamento. I rapporti di unità indicano l’esistenza di
legami – fra persone e fra persone e altre entità – che possono essere
di tipo causale, di prossimità, di possesso, di somiglianza, ecc. La
struttura triadica è equilibrata se tutti i rapporti sono positivi o quando
due sono positivi e uno è negativo. La struttura è disequilibrata
quando ci sono due rapporti negativi e uno positivo. Le situazioni
equilibrate sono stabili, ben accette psicologicamente e resistenti al
cambiamento; quelle disequilibrate mettono a disagio, sono instabili e
tendenti al cambiamento.
9
L’autore sostiene che le persone preferiscano gli stati equilibrati
a quelli disequilibrati a causa delle tensioni spiacevoli che
caratterizzano questi ultimi e, tra i possibili modi per riequilibrare il
sistema, suggerisce il cambio di atteggiamento. Si tratta di modificare
il sistema nel punto in cui l’operazione è più facile e meno
dispendiosa.