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PREMESSA
Per anni è stata invalsa la convinzione che il nostro Pianeta fosse talmente grande da
poter diluire tutti gli inquinanti riversati nell’ambiente, a livelli tali che questi alla fine, si
sarebbero ridotti a disperdersi, livellandosi in tracce insignificanti tali da non costituire più
alcun problema sanitario ed ecologico. Invece si è dovuto constatare che molecole
micidiali come i POP (acronimo inglese di Persistent Organic Pollutants) sono sostanze
chimiche molto resistenti alla decomposizione (alcune rimangono presenti nel terreno fino
a vent'anni prima di dimezzarsi) e che possiedono alcune proprietà tossiche; queste
molecole possono essere concentrate notevolmente negli organismi animali, vegetali e nei
funghi e nei passaggi tra i livelli delle catene e delle reti alimentari con effetti devastanti. A
questi si aggiungono le immissioni clandestine di scarichi idrici che provocano
perturbazioni temporanee in giornate e orari (festività e ore notturne); concimi di sintesi ed
i pesticidi sparsi in agricoltura o quelli che provengono dalle acque di dilavamento delle
superfici stradali, scolamento dei piazzali, siti contaminati nascosti e le ricadute di
inquinanti atmosferici; acque reflue non depurate e prodotti di scarto di oleifici e cantine
vitivinicole.
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INTRODUZIONE
Lo scopo di questa tesi è stato quello di monitorare i processi d’inquinamento cui sono
soggette le acque superficiali del fiume Jenga: fiume che solca la Valle Vitulanese nel
settore sud-occidentale della provincia di Benevento.
Il lavoro è stato svolto in capitoli. Nel primo capitolo è analizzata l’area dal punto di vista
geologico regionale, parlando brevemente dell’Appennino Meridionale. Nel secondo
capitolo sono tracciati i caratteri geologici locali dell’area fluviale, quindi le litologie e le
diverse formazioni. Nel terzo capitolo oltre a tracciare i complessi idrogeologici presenti
nell’area di studio, si pone particolare attenzione alla descrizione della carta piezometrica.
Per la realizzazione di tale carta, sono stati censiti sessantanove pozzi e dalla misura del
livello dell’acqua e da altri parametri, si è proceduto col metodo della triangolazione a
ricostruire le isopieze; a queste si sono aggiunte le linee di flusso, gli spartiacque
sotterranei, gli assi di drenaggio preferenziali. Attraverso la determinazione del gradiente
idraulico sono stati desunti dati qualitativi sulla permeabilità. Nel quarto capitolo si pone
particolare attenzione a quello che è stato, a tutti gli effetti, il mio oggetto di tesi:
un’indagine sugli impatti antropici presenti nell’alveo fluviale. Ho analizzato le diverse
forme d’inquinamento idrico: l’inquinamento domestico con i depuratori comunali non
funzionanti; l’inquinamento industriale con liquami, oli e grassi in quantità significative
nel corpo idrico; l’inquinamento agricolo con i prodotti fitosanitari che creano potenziali
fattori di rischio per flora e fauna; l’inquinamento zootecnico con scarichi nell’acquifero di
reflui di animali da allevamento e l’inquinamento solido urbano che causa abbandoni
incontrollati di rifiuti e quindi la conseguente nascita di discariche abusive. Il quinto
capitolo tratta delle analisi di alcuni parametri fisici e chimici definiti attraverso l’uso di
una sonda multiparametrica. Le analisi sono state condotte lungo tutto il fiume, in
particolare sono state eseguite analisi prima e dopo gli scarichi per far notare la netta
differenza di qualità dell’acqua. I valori finali sono stati elaborati in delle tabelle e descritti
nel paragrafo riguardante le considerazioni conclusive.
Infine sono stati proposti i possibili interventi per ridurre o eliminare la concentrazione
d’inquinanti nell’alveo fluviale allo scopo di preservare e salvaguardare le specie animali e
vegetali, oltre che la salute dell’uomo. Infine vengono illustrate le conclusioni di tale
lavoro.
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CAPITOLO II
Caratteri geologici dell’area fluviale
2.1 Introduzione
Il presente lavoro si concentra sull’area fluviale che solca la Valle Vitulanese (figura
4), settore sud-occidentale della provincia di Benevento. La valle vitulanese ha una
superficie di circa 145 km² ed è suddivisa amministrativamente in sette comuni, con una
popolazione di circa 16.000 unità. Comprende i comuni di Foglianise, Vitulano, Cacciano,
Campoli del Monte Taburno, Castelpoto, Torrecuso e Tocco Caudio. È contornata dal
massiccio del Taburno Camposauro: a nord vi sono le cime dal Monte Caruso, Monte
Pentime, Camposauro fino al Taburno stesso, a sud la costa di Castelpoto e Monte Mauro.
L’area in esame è rappresentata nella Carta Topografica d’Italia in scala 1:100000, foglio
173 realizzata dall’I.G.M. e si compone delle seguenti tavolette in scala 1:25000:
Benevento (II quadrante NW);
Apollosa (III quadrante NE);
Vitulano (IV quadrante SE).
Dal punto di vista altimetrico la zona presenta diverse quote, e va dai 293 m s.l.m. a
Castelpoto, ai 350 m s.l.m. a Foglianise, ai 385 m s.l.m. a Cautano, ai 420 m s.l.m. a
Torrecuso, ai 430 m s.l.m. a Vitulano, ai 439 m s.l.m. a Campoli del Monte Taburno, per
finire con i 500 m s.l.m. a Tocco Caudio.
Il fiume Jenga, tributario del fiume Calore, sorge nei pressi del Fosso di Prata nel territorio
comunale di Tocco Caudio, all’altezza di Tuoro Maleconsiglio, dorsale orientale del
Taburno. Lo Jenga lambisce l’abitato di Tocco, si incontra con un altro torrente, il Tasso,
presso il bivio di Tocco nel territorio comunale di Cautano, passa nei pressi dell'abitato
di Cacciano e presso le contrade di Loreto, Menzogna, Sala; qui incontra il torrente Jerino,
e prosegue il suo percorso nei comuni di Vitulano e Foglianise. Dopo circa 3 km si
immette nel Calore in contrada Scafa. Lo Jenga, drena le acque superficiali del Massiccio
montuoso del Taburno-Camposauro nel suo versante orientale. E’ un torrente di tipo
braided, ricco in sedimenti ghiaiosi e ciottolosi di natura calcarea provenienti dal
Camposauro.
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2.2 Inquadramento geologico
Per descrivere le diverse litologie presenti nell’area di studio, è stato fatto riferimento alla
pubblicazione Memorie Geomineralogiche sull’Italia centro meridionale n°1, con titolo
“GEOLOGIA DEL GRUPPO DEL TABURNO CAMPOSAURO” di Bruno D’Argenio;
questo per avere una base completa dell’area di studio (figura 5). Di contro le carte
geologiche n°431 Caserta Est e n°432 Benevento al 50:000 del progetto CARG, mostrano
nette differenze nel passaggio da una carta all’altra. Ad esempio nella zona di Vitulano, nei
pressi del convento di S. Antonio, si passa nel giro di pochi metri da depositi miocenici,
lato occidentale della carta geologica n°432 a depositi colluviali lato orientale della carta
n°431. Sono state comunque prese in considerazione per definire le varie unità.
I litotipi distinti stratigraficamente dalla base verso l’alto sono:
Qa2 - Alluvioni attuali e recenti localmente terrazzate: ghiaie,
sabbie e limi fluviali.
Figura 4 – Bacino idrografico dell’area di studio
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Pac – Pliocene inferiore. Alternanze di sabbie e arenarie giallastre,
argille e marne sabbiose talora con ricche faune ad ostreidi
(Castelpoto, T.te Lossauro) e banche di puddinghe poligeniche.
Ma5 – Tortoniano – Elveziano. Arenarie a grana media e grossa con
interstrati argillo – siltosi con microfaune mioceniche, intercalazioni
di calcareniti e brecciole e livelletti di puddinghe poligeniche,
poggianti, con contatti di regola tettonizzati, sui terreni sottostanti, con i quali il passaggio
stratigrafico è probabile ma non riconosciuto (Arenarie di Caiazzo, Formazione di
S.Giorgio auct.).
Av – Oligocene. Argille e marne varicolori, sovente laminate, quasi
sempre in frana, con pacchi di strati diasprigni, calcarei e arenacei
sempre tettonizzati e scompaginati spesso in lembi residuati al
dilavamento delle argille (Av) con esotici di varia natura ed età, brecce calcaree
paleogeniche (P), brecce e argille creataciche (C), brecce e calcari miocenici (M), gessi
(g),tettonicamente sovrapposte ai terreni miocenici e mesozoici
Ld1 – Infralias (Lias inf.-Trias.sup.) Calcari dolomitici e dolomite
bianchi, a luoghi conglomeratici, a luoghi stromatolitici, spesso
cataclastici, quasi privi di resti organici, Thaumatoporella
parvovesiculifera e rarissimi megalodontidi.
Figura 5 – Stralcio della carta geologica al 50000 di Bruno D’Argenio
(ridisegnata con l’inserimento dei pozzi oggetto di studio)
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QUATERNARIO
I sedimenti quaternari del gruppo del Taburno Camposauro sono tutti continentali ed
essenzialmente clastici. Essi sono costituiti da brecce stratoidi, contemporanee delle ultime
faglie di distensione, perché fagliate esse stesse, e derivate in parte da antiche conoidi e
detriti di falda di varia età, in parte prodotti dallo smantellamento delle brecce con vario
grado di cementazione fino ad essere sciolte. Questo gruppo di rocce è da mettersi in
relazione a varie cause, principalmente climatiche e tettoniche. Un secondo gruppo di
sedimenti è formato da tufi vulcanici, che l’attività eruttiva del distretto campano
disseminò in coltri ben spesse e continue. Infine si riscontra un terzo gruppo, come nel
nostro caso, rappresentato da sedimenti lacustri e fluvio-lacustri, da alluvioni antiche e
recenti, quest’ultime terrazzate fra 10 e 20 metri sull’alveo attuale. Queste alluvioni recenti
sono riscontrabili nel tratto terminale del fiume Jenga
PLIOCENE INFERIORE - UNITA’ DI TUFO ALTAVILLA
I sedimenti del Pliocene inferiore, che hanno uno spessore valutabile in oltre 250 metri,
poggiano sia sulle argille varicolori sia sul flysch arenaceo e, presumibilmente,
trasgredivano estesamente anche sui bordi dei massicci calcarei mesozoici prima del loro
più intenso sollevamento finale. Difatti, sul lato orientale del Taburno è ancora possibile
rinvenire un grosso numero di ciottoli arrotondati provenienti dai conglomerati di base del
Pliocene inferiore. Questi ciottoli, forati da litodomi, sono costituiti da calcareniti fini e da
calcilutiti silicifere che si ritrovano anche fra i materiali delle argille varicolori.
Conglomerati con ciottoli forati di litodomi sono presenti a più altezze nella parte bassa dei
banconi sabbiosi-conglomeratici raddrizzati su cui sorge l’abitato di Castelpoto.
Nella parte alta il Pliocene inferiore arenaceo-conglomeratico possiede passaggi eteropici
ad argille.
Tre gruppi di litotipi si possono distinguere nei sedimenti del Pliocene inferiore:
conglomerati, arenarie e argille siltose.
Conglomerati
Si tratta di puddinghe poligeniche a matrice sabbiosa e/o sabbiosa a cemento calcitico. Gli
elementi sono tutti ben arrotondati e si possono distinguere ciottoli derivanti dai materiali
litoidi delle argille varicolori, dal flysch arenaceo e dai massicci calcarei. I materiali
provenienti dalle A.V. sono i più abbondanti (oltre il 70-75 %) mentre i meno abbondanti
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sono quelli derivanti dal flysch arenaceo (5-10%). Grandi banchi di ostreidi sono diffusi
nelle facies conglomeratiche con spessori di oltre 1 metro.
Arenarie e argille siltose
Sono arenarie molassiche con debole cementazione fino a passare a veri sabbioni tra cui
sono intercalati a luoghi argille siltose in strati sottili. Queste argille possono prevalere
verso l’alto e lateralmente fino a far passaggio alla parte medio-superiore della successione
pliocenica.
Figura 6 – Depositi pliocenici della formazione di Altavilla Irpino affioranti lungo la sponda
in sinistra orografica del fiume Jenga nel territorio comunale di Foglianise