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al contrario, debba quasi essere inteso come una “tappa obbligata” dello
sviluppo economico di ogni paese industrializzato. I dati non sono certo
rassicuranti e negli ultimi anni si è profilato un trend crescente del
fenomeno ed è per questo che, anche tramite campagne pubblicitarie
televisive, il governo sta cercando di stimolare il pubblico ad una
maggiore partecipazione al progetto di emersione.
Il fulcro della mia tesi è rappresentato dall’elaborazione di un
modello teorico (capitolo 2) che, partendo, come ogni modello, da una
semplificazione della realtà, ha la pretesa di porsi come strumento a
disposizione di un ipotetico policy maker, per combattere il problema
dell’economia sommersa. Ipotizzando, nel dettaglio, diversi regimi di
mercato, ho elaborato un modello che permette la quantificazione di un
livello di sanzione ottimale quale ammenda per l’impresa irregolare
accertata fiscalmente e ne ho studiato le determinanti.
Nel terzo capitolo ho proposto alcune probabili misure d’intervento di
politica economica, sia a livello centrale sia a livello locale. Di base si
auspicherebbe un ammodernamento generale delle strutture che si
pongono da interfaccia con l’utenza, ma il progetto è sicuramente
ambizioso e va realizzato per gradi. L’istituzione di nuove figure
professionali, quali i tutor dei Centri di Servizi, potrebbe migliorare il
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rapporto Stato-utenti ed incentivare gli imprenditori irregolari a
legalizzare la loro impresa.
Sempre nell’ultimo capitolo, ho trattato le principali tendenze attuali
circa l’emersione; una su tutte: le proposte del CNEL nell’assemblea del
25 ottobre 2001. Ho anche indicato sommariamente le disposizioni
legislative che già si occupano di incentivare le imprese all’emersione;
mi riferisco soprattutto alla legge n. 383 del 18 ottobre 2001, e le sue
successive modifiche, che rappresenta il “progetto di emersione” ed è,
proprio in questi giorni, oggetto di uno spot televisivo.
Capitolo 1
L’ECONOMIA SOMMERSA NEL MEZZOGIORNO
1.1 INTRODUZIONE
I sistemi economici, man mano che accrescono e diversificano la loro
capacità produttiva, si strutturano in complessi reticoli di comportamenti
e transazioni. Per poter allargare le potenzialità del mercato e ottenere
positivi effetti sociali, lo sviluppo porta con se regole, normative e
istituzioni cui devono sottostare imprese e lavoratori.
L’economia per innovarsi e crescere ha bisogno di un forte spirito
d’iniziativa da parte di soggetti in grado di utilizzare conoscenze e
risorse secondo appropriate metodologie organizzative. Le reti
produttive che pongono al centro del loro funzionamento il mercato sono
in gran parte condizionate da un certo grado di spontaneità, dovuto alle
doti di intraprendenza e alle motivazioni personali dell’imprenditore.
Non si può, o comunque è molto difficile, obbligare un individuo a
creare un’azienda o a scommettere su un’attività economica da fondare
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ex novo. Senza una spinta sociale ad accettare rischi e cogliere
opportunità, l’economia perde di vitalità, l’innovazione è più lenta, la
crescita del benessere diseguale e contraddittoria (G. Roma, 2001).
Tuttavia, lo sviluppo per linee spontanee non garantisce l’efficienza,
oltre a produrre evidenti impatti negativi sul piano sociale e per la stessa
convivenza civile. Da qui la necessità di individuare regole e riferimenti
comuni cui i diversi attori che partecipano al “gioco” devono conformare
i propri comportamenti, misurare i limiti dei propri diritti, individuare i
modi attraverso cui contribuire al bene comune.
In termini sintetici il sistema di regole attiene essenzialmente:
all’esercizio dell’attività d’impresa (regole della concorrenza,
affidabilità nei confronti del consumatore, rapporti commerciali,
trasparenza);
alla contribuzione fiscale, perché il settore pubblico possa
provvedere a realizzare tutti gli interventi di interesse collettivo;
al rispetto delle clausole sociali e di sicurezza per le risorse
lavorative;
alla compatibilità fra attività produttive e contesto urbano o
ambientale dove sono localizzate.
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Il rispetto dell’insieme di regole che gravano sull’impresa, come
portato dell’avanzamento civile e degli orientamenti politici esistenti nei
diversi paesi, ha effetto sulle capacità competitive delle aziende poiché
costituisce una voce di costo che può anche eccedere i benefici prodotti
dalla regolazione stessa.
In tutte le economie sviluppate, dove il sistema di regole è
particolarmente ampio, in quanto scaturisce da un più pronunciato
diffuso benessere, esistono particolari aree dell’economia e del mercato
del lavoro che tendono a sottrarsi al rispetto delle norme per evitarne gli
oneri, in taluni casi senza perdere i benefici di carattere generale, in altri
rinunciandovi.
Per sfuggire ai controlli e alle sanzioni, imprese e lavoratori sommersi
evitano di lasciare tracce della loro attività o prestazione, riducendo a
forme molto semplificate tutte le transazioni: pagamenti in contanti di
fornitori o lavoranti, vendite senza fatturazione, contabilità rudimentali.
L’economia sommersa ha registrato, soprattutto negli ultimi decenni,
una sua evoluzione. Era, originariamente, formata da lavoranti a
domicilio o microimprese familiari specializzate in singole lavorazioni
(le tomaie per l’industria calzaturiera, le asole per la camiceria e così
via), ed è oggi la sommatoria di molte e diversificate componenti
imprenditoriali e lavorative, talvolta assai sofisticate.
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Particolarmente in Italia, l’economia sommersa ha segnato l’intero
processo di crescita e modernizzazione dell’apparato produttivo, a partire
dalla fine degli anni ’50, e continua a caratterizzare i più evidenti
squilibri esistenti nel paese: sia quello territoriale fra Centro-Nord e
Mezzogiorno, che le distorsioni esistenti nel mercato del lavoro.
L’esistenza di un’economia e di un’area di occupazione non ufficiale
risulta presente praticamente in tutti i sistemi economici ed è segnalata
dalle diverse valutazioni effettuate a livello internazionale: le più recenti
stimano che il 39% del Prodotto interno lordo dei paesi in via di sviluppo
e il 14 % di quelli sviluppati, appartenenti all’OCSE, debba attribuirsi al
sommerso.
Nonostante una tale rilevanza, il fenomeno è largamente trascurato
dalla ricerca scientifica e accademica, non appartiene alle tematiche
ricorrenti nelle attenzioni politiche delle istituzionali transnazionali e
gode di un interesse discontinuo anche a livello nazionale.
Alla base di un mancato approfondimento teorico c’è, almeno per gli
economisti, la difficoltà di poter manipolare serie sufficientemente
attendibili di dati, su cui effettuare modellizzazioni ed inferenze
statistiche.
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Maggiore contributo alla comprensione del fenomeno hanno fin qui
fornito approcci derivanti dall’analisi dei sistemi territoriali d’impresa e,
più in generale, delle reti sociali e dello sviluppo locale.
1.2 ALCUNI DATI INTRODUTTIVI
Il fenomeno dell’economia sommersa non può di certo essere
considerato un fenomeno nuovo, né nel nostro paese né all’estero. Già
agli inizi degli anni ’80, studiosi quali: Contini, Frey, Lizzeri avevano
condotto degli studi sulle segmentazioni del mercato del lavoro e
sull’economia parallela in Italia, ma non erano gli unici studiosi a
segnalare questo fenomeno. Un fenomeno simile nello stesso decennio
viene evidenziato da Tanzi negli USA e, analogamente, avveniva nei
paesi meno sviluppati.
Se, quindi, le analisi sull’esistenza dell’economia sommersa non sono
nuove e riguardano tutti i paesi, da quelli più industrializzati a quelli
meno, ciò che è cambiato è il suo aumento avvenuto negli ultimi
decenni. Infatti, calcolando in alcuni paesi particolarmente
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rappresentativi la quota dell’economia sommersa in percentuale del PIL,
osserveremo i risultati esposti in tabella 1.
tab. 1 – economia irregolare in alcuni paesi industrializzati (% sul PIL ufficiale)
1970 1980 1990 1995 2000
Italia 10,7 16,7 23,4 26,2 28,5
Spagna 10,3 17,2 20,8 22,6 24,0
Germania 2,8 10,7 11,8 13,9 16,0
Francia 3,9 6,9 9,0 14,8 15,5
Regno Unito 2,0 8,4 9,6 12,6 13,3
USA 3,6 5,0 6,7 9,0 9,1
Fonte: Luiss
Commentando tali risultati noteremo che per l’Italia si passa dal
10,7% nel 1970 al 28,5% nel 2000, segue la Spagna che passa negli
stessi anni dal 10,3% al 24,0% e dalla Germania che passa dal 2,8% al
16,0%. Un aumento di tale percentuale in genere si è avuto nella
maggior parte dei paesi OCSE, ad eccezione degli Stati Uniti che hanno
avuto molte variazioni: mentre negli anni 1960 e 1970 la quota oscillava
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tra il 2,1% e il 4,6%, nel 1994 era salita al 9,4% per poi attestarsi, negli
anni 1996 e 1997, all’8,8% e nel 2000 al 9,1%.
Già da una semplice elaborazione grafica dei dati su esposti, si evince
il trend di crescita del fenomeno dell’economia irregolare.
graf. 1- il trend dell’economia irregolare in alcuni paesi industrializzati
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Italia
Spagna
Germania
Francia
Regno
Unito
USA
Tali dati sarebbero, di per se, un motivo sufficiente per occuparsi di
questo argomento, tuttavia sono state avanzate altre importanti ragioni
che suggerirebbero un attento esame di questo fenomeno. In particolare,
si è osservato che la caduta delle entrate fiscali derivante dall’aumento
dell’economia sommersa, può mettere in moto un circolo vizioso del
genere seguente: aumento del deficit pubblico, aumento conseguente del
livello di tassazione, ulteriore crescita dell’economia sommersa, e così
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via. Inoltre, una crescente quota di economia sommersa può spingere la
politica economica in errore poiché risultano falsati indicatori come il
tasso di disoccupazione, il livello del reddito e del consumo, e così via.
Per ultimo bisogna anche considerare alcuni probabili e paradossali
effetti benefici dell’economia irregolare, infatti, se da una parte
l’aumento dell’economia sommersa spinge a tenere lavoratori in nero,
dall’altra una quota consistente dei redditi prodotti nel sommerso sono
rivolti ad acquistare prodotti dell’economia regolare, con grande
vantaggio per quest’ultima. Ma andiamo per ordine dando prima una
definizione quali-quantitativa del fenomeno.
1.3 DEFINIZIONI E METODI DI VALUTAZIONE
Una limitata focalizzazione sia scientifica sia istituzionale ha portato,
anche a livello internazionale, a una certa confusione definitoria
estremamente opportuna per poter comprendere la natura del fenomeno,
le sue componenti e le diverse politiche necessarie a limitarlo
incanalandolo verso una dimensione più ordinata dello sviluppo (G.
Roma, 2001).