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loro effetti, di impiegare in modo ottimo e pieno tutte le risorse e
quindi anche il fattore lavoro.
Il lavoro si articola come segue : nel primo capitolo sono per prima
cosa esaminate le posizioni degli economisti PostKeynesiani riguardo
alle particolari nozioni di incertezza e razionalità adottate da Keynes.
Sono così discusse le nozioni di incertezza radicale, che emerge nel
caso in cui le informazioni a disposizione risultano scarse ed
incomplete, e di incertezza fondamentale, che secondo Keynes
caratterizza la maggior parte delle situazioni che l’agente economico
deve fronteggiare ed emerge nel caso in cui le probabilità oltre ad
essere sconosciute non sono conoscibili neanche in linea teorica.
Queste due nozioni si contrappongono nettamente a quella di “rischio”
utilizzata dalla teoria economica dominante alla quale è associata una
distribuzione di probabilità oggettiva conosciuta o comunque
conoscibile.
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Il tipo di razionalità dell’agente economico associata ad una situazione
di incertezza keynesiana non è più “sostanziale” secondo questa
interpretazione .
In una situazione di incertezza fondamentale gli agenti non sono in
grado di massimizzare la propria soddisfazione non potendo conoscere
tutte le possibili soluzioni.I PostKeynesiani preferiscono parlare di
razionalità “procedurale” che esprime l’idea che le capacità della
mente umana di aquisire e rielaborare informazioni sugli eventi
presenti e futuri sono limitate.
Nella seconda parte del capitolo è illustrato il tentativo di Lavoie di
formulare proprio su queste basi una teoria delle scelte alternativa a
quella marginalista : se l’incertezza preclude l’esistenza di una
soluzione “di ottimo” e le limitate capacità della mente umana ne
precludono anche la sua sola ricerca, ne consegue che il
comportamento dell’agente economico andrà verso soluzioni in grado
di offrire un ragionevole livello di soddisfazione, raggiunto il quale
egli interromperà la ricerca.
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Nella parte finale del capitolo vengono esposti i lineamenti della teoria
dell’impresa elaborati dagli economisti PostKeynesiani ; l’idea
centrale che i prezzi fissati dalle imprese non sono “market clearing”
ha ripercussioni sui fini e quindi sulle strategie delle imprese : il loro
obiettivo ultimo non è il profitto ma il potere da conseguire tramite la
crescita che a sua volta consente un controllo più ampio e diffuso
all’interno dell’industria oltre che l’accesso ad economie di scala
crescenti (con le conseguenze che quest’ultima considerazione ha su
quelle che la teoria dominante considera le dimensioni ottime
dell’impresa).
Le interpretazioni della Teoria Generale che vengono prese in esame
nel secondo e nel terzo capitolo di questo scritto mostrano - nella loro
diversità - quanto ancora controversi siano il giudizio e le
interpretazioni dell’opera di Keynes.
Il secondo capitolo contiene un esame delle interpretazioni della teoria
keynesiana che sono riconducibili da un lato alla cosiddetta “Sintesi
Neoclassica” e, dall’altro alla teoria neoricardiana dei prezzi e della
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distribuzione. Tali interpretazioni, pur partendo da premesse teoriche
radicalmente diverse, finiscono paradossalmente per condividere sia
l’idea che l’equilibrio di sottoccupazione, nei termini in cui è stato
dimostrato da Keynes, non può che essere un fenomeno di breve
periodo, sia l’idea che le aspettative e l’incertezza siano del tutto
irrilevanti ai fini di una corretta ricostruzione del funzionamento del
sistema economico.
Tanto gli economisti della “Sintesi Neoclassica” quanto la teoria di
stampo classico di Garegnani trascurano completamente il ruolo che
l’incertezza può svolgere nella spiegazione dei fenomeni economici.
La rappresentazione che emerge dallo schema IS-LM proposto da
Hicks contiene l’idea che l’equilibrio keynesiano di sottoccupazione
sia legato all’esistenza di rigidità in assenza delle quali il sistema
sarebbe in grado di raggiungere la piena occupazione
indipendentemente dalla presenza o meno di incertezza.
Garegnani considera la Teoria Generale “fisiologicamente” limitata al
breve periodo ( e quindi non in grado di fornire spiegazioni delle
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tendenze di lungo periodo del sistema) a causa dell’adozione di una
nozione tipica della teoria marginale quale l’efficienza marginale del
capitale e di una teoria del saggio d’interesse che si fonda su elementi
di natura psicologica quale quello delle aspettative sul futuro.
Nel terzo capitolo si da infine conto di due approcci, quello di
Batthachareja e di Caravale che - pur nella loro diversità - considerano
la Teoria Generale di Keynes un tentativo di spiegare le tendenze di
lungo periodo dei moderni sistemi economici.
Batthacharjea pur condividendo molte delle argomentazioni di
Garegnani nega che la Teoria Generale sia sprovvista di una
spiegazione della disoccupazione del fattore lavoro nel lungo periodo.
Tale spiegazione è infatti contenuta, secondo Batthachareja, nel
capitolo XVII della Teoria Generale, nel quale Keynes analizza le
proprietà essenziali della moneta e dell’interesse che limitano gli
stimoli che le forze di mercato hanno sugli investimenti anche nel
lungo periodo.
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Nell’interpretazione di Caravale si tenta invece di conciliare il metodo
proprio degli economisti classici, fondato sulla individuazione delle
posizioni di “equilibrio naturale” con l’approccio keynesiano
caratterizzato dalla considerazione dell’incertezza fondamentale.
Le aspettative hanno quindi in questa interpretazione un ruolo
essenziale nella spiegazione del funzionamento del sistema : date le
condizioni iniziali il sistema si muove verso il punto di equilibrio ad
esso corrispondente, riuscendo a raggiungerlo soltanto nel caso in cui
tali condizioni non mutino per tutto il tempo necessario alla
convergenza verso questo “centro di gravità”.
Il contesto di incertezza keynesiana nel quale si svolge questo
processo di convergenza verso la posizione di equilibrio fa sì che il
sistema possa anche non raggiungere tale posizione di riposo.
Quest’ultima continuerebbe comunque a rappresentare un
fondamentale punto di riferimento per l’interpretazione del
funzionamento dei sistemi economici.
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La tesi si conclude con la considerazione che l’indirizzo teorico che si
sta affermando tra gli economisti PostKeynesiani va nella direzione di
una rivalutazione della teoria pura e quindi, in contrasto con la
posizione di Joan Robinson, del metodo dell’equilibrio.
Il recupero di tale metodo deve però accompagnarsi, secondo gli
economisti PostKeynesiani, ad un attento esame delle istituzioni, delle
convenzioni e delle strutture sociali che sottostanno ai comportamenti
individuali.
L’elaborazione di modelli astratti, capaci di individuare i nessi causali
tra le principali variabili economiche, non sembra in altri termini poter
lasciare il passo ad una semplice analisi del processo storico.
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CAPITOLO I
1.1 Incertezza e razionalità nella Teoria PostKeynesiana
La nozione di incertezza adottata dagli economisti Postkeynesiani
discende direttamente dalle posizioni di Keynes e di Knight.
In Risk, Uncertainty and Profit(1921), Knight aveva introdotto la
distinzione tra rischio e incertezza sostenendo che quest’ultima,
essendo le probabilità soggettive sempre calcolabili, dipende dalla
possibilità di misurare quelle oggettive. In altre parole, se la
distribuzione di probabilità oggettiva è sconosciuta, si agisce in
condizioni di incertezza, in caso contrario si agisce in situazione di
rischio.Per quanto riguarda Keynes bisogna sottolineare come nel
Treatise on probability (1921) non dia una definizione di incertezza:
limitandosi a menzionare le situazioni nelle quali non può esserci
conoscenza ottenuta mediante relazioni di probabilità, egli fa
riferimento a quelle situazioni nelle quali è impossibile, anche in
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teoria, arrivare a una conoscenza diretta di una relazione probabilistica
e non esiste quindi probabilità o nelle quali la relazione di probabilità
può essere sconosciuta, sebbene esista e sia conoscibile in linea di
principio.Sulla base di quanto appena detto è comunque possibile
desumere una prima definizione di incertezza come corrispondente
all’assenza di conoscenza basata su relazioni di probabilità. C'è
incertezza quando
“there is no scientific basis on which to form any
calculable probability whatever. We simply do not
know.”(Keynes, CW, xiw, p.113)
E' però nella Teoria Generale (1936) che Keynes definisce in modo
esplicito e preciso il concetto di incertezza. Egli parla di incertezza
radicale se, al momento di prendere una decisione, le informazioni
rilevanti si rivelano scarse e incomplete e di incertezza fondamentale
quando le probabilità, oltre ad essere sconosciute, non sono conoscibili
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neanche in linea teorica.Per solito - secondo Keynes - l'agente
economico fronteggia situazioni caratterizzate da incertezza
fondamentale.Così ad esempio nel trattare le decisioni di investimento
nella Teoria Generale, egli afferma che solitamente non è possibile
conoscere le prospettive di rendimento di un investimento e, sebbene
gli investitori facciano delle previsioni "probabili", l'estensione della
conoscenza in base alla quale vengono prese le decisioni di
investimento ha spesso dimensioni assai ridotte. Stando così le cose gli
investitori preferiscono affidarsi a dati nei quali hanno più fiducia,
anche se questi sono meno importanti ai fini della decisione di
investimento. E' così che il comportamento degli investitori ripiega
sulla consuetudine:
“existing state of affairs will continue indefinitely
ecxept in so far as [they] have specific reason to
expect a change”. (Keynes, CW vii, p.152)
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Sebbene gli investitori siano comunque consapevoli del fatto che
difficilmente gli investimenti pluriennali rispettano le previsioni
iniziali e siano quindi pronti a modificarle in base alle informazioni
più recenti di cui dispongono, essi rimarranno comunque incerti
riguardo la forma e l'estensione che questi cambiamenti
assumeranno.Per Keynes l'incertezza, le aspettative, il continuo e lento
mutare delle convenzioni non sono imperfezioni o attriti che
ostacolano gli investimenti e l’occupazione nel loro cammino di lungo
periodo, quanto fenomeni strutturali.
Nella teoria probabilistica è possibile individuare due filoni, quello
oggettivista e quello soggettivista. Secondo l'approccio oggettivista la
probabilità è parte della realtà e esiste a prescindere da come noi la
percepiamo; i soggettivisti invece, sostengono che la probabilità va
considerata come uno strumento di conoscenza individuale che non
corrisponde ad una realtà oggettiva.Come si è detto sopra, per Knight
le probabilità soggettive sono sempre calcolabili, tanto in situazione di
incertezza che di rischio: la differenza sta nella possibilità di misurare
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le probabilità oggettive.La Teoria Postkeynesiana adotta quindi il
concetto di incertezza fondamentale della Teoria Generale di Keynes
in contrapposizione a quello di rischio adottato dalla Teoria
Neoclassica nella quale si sostiene che l'ambiente economico è
caratterizzato da eventi ricorrenti; ciò significa che la conoscenza della
distribuzione dei risultati scaturiti da fenomeni del passato è un buon
indicatore per il futuro: si arriva così a costruire aspettative
probabilistiche per il futuro basate su distribuzioni riguardanti il
passato.Secondo gli economisti neoclassici ogni situazione viene a
corrispondere ad una data distribuzione di probabilità e nel caso limite
che i possibili risultati futuri siano sconosciuti si attribuisce ad ognuno
di essi uguale probabilità proprio perché ugualmente sconosciuti.Dopo
aver argomentato l’affermazione secondo la quale l'ambiente
economico - come d'altra parte una infinità di altri aspetti della realtà
che ci circonda - si caratterizza per questa incertezza fondamentale,
occorre collocare nel quadro generale dell'Economia Postkeynesiana
un altro concetto chiave: quello della razionalità.Questa richiede un
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comportamento appropriato non solo allo scopo - come nella Teoria
Neoclassica - e all'ambiente, ma anche alle capacità della mente
umana, tenendo presenti l'esperienza, la conoscenza e l'incertezza che
caratterizza la realtà.La nozione di razionalità di cui si servono gli
economisti neoclassici è definita dagli economisti Postkeynesiani
“sostanziale” nel senso che grazie ad essa l'individuo che si trova ad
affrontare una situazione di rischio dati i vincoli, è in grado di
massimizzare l'utilità che gli deriverà dalla sua azione:
“Behavior is substantively rational when it is appropriate to
the achievement of goals whitin the limits imposed by given
conditions and constraints....” (Simon, 1976, p.130)
A differenza di quella neoclassica l'impostazione Postkeynesiana tiene
conto del fatto che non è realistico ridurre l'agire umano al solo
movente economico e che comunque la non completezza
dell’informazione o in altri termini l'estensione dell'incertezza,
impedirebbe di poter qualificare il comportamento dell'agente
economico come massimizzante riguardo all'allocazione delle risorse e
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al soddisfacimento dei suoi bisogni.La razionalità che secondo gli
economisti Postkeynesiani caratterizza il comportamento degli agenti
economici è definibile come procedurale, nel senso che gli agenti
hanno limitate capacità di acquisire e rielaborare informazioni e
certamente non conoscono lo spettro di tutte le soluzioni possibili che
possono derivare da uno specifico comportamento:
“The rationality of the business firm is a rationality that
takes account of the limits on its knowledge, on its
information, on its capacity of computation, and on its
understanding of theory. It is a rationality that makes
extensive use of rule of thumb where a more exact
application of theory is impossible whether because the
theory is not understood, because the data needed for
estimatingts parameters is not available, or because the
decision must be made under conditions of
uncertainty.”(Cyert and Simon, 1983, p.104)