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INTRODUZIONE
Questo lavoro nasce dall’interesse per l’indagine sull’ontologia in gioco
nel passaggio dall’estetica, all’ermeneutica e all’interpretazione nell’opera
di Hans Georg Gadamer e di Luigi Pareyson. Ovvero desideriamo
indagare in che modo e perché l’ermeneutica sfoci nell’ontologia, fin
dove giunga l’interpretare, fin dove possa spingersi nella ricerca del senso
e dell’ulteriorità che emergono sia nell’opera d’arte sia in un testo e
quando, invece, debba arrestarsi di fronte all’essere e alla verità.
Emergerà in tutto il pensiero ermeneutico un rifiuto della metafisica
come pensiero oggettivante e un riconoscimento del valore di esperienza
extra-scientifiche ed extra-metodiche quali la poesia e l’arte.
Luigi Pareyson e Hans Georg Gadamer sono due filosofi che
hanno attraversato il XX secolo, i cui interessi e lavori si sono intrecciati
spesso nel corso degli anni, come altrettanto spesso si sono allontanati,
pur nella condivisione dell’indagine ermeneutica. Di Pareyson
affronteremo tutto il percorso filosofico dalle opere estetiche al
personalismo ontologico ed esistenziale, all’ontologia dell’inesauribile
fino all’ultima fase dell’ontologia della libertà, soffermandoci,
principalmente, sugli aspetti del suo pensiero che più interessano il
nostro lavoro; di Gadamer affronteremo Wahrheit und Methode, ed alcuni
saggi successivi, che chiariscono, correggono, a volte confutano le
conclusioni alle quali giunse in Verità e metodo. Attraverso il filtro e il
lavoro di Pareyson e Gadamer, ci rivolgeremo ad altri filosofi, quali
Kant, soprattutto per quanto riguarda la prima parte della Critica della
facoltà di giudizio, e Ricoeur − in un dialogo il più delle volte affidato alle
note −, utile punto di confronto e di critica sia dell’opera gadameriana,
sia in relazione all’opera pareysoniana (nonostante i due filosofi
5
procedano nelle loro ricerche in maniera indipendente, senza che le due
prospettive entrino mai direttamente in dialogo tra loro); non mancherà,
inoltre, il confronto di Pareyson con Dostoevskij e in controluce,
emergerà in tutto il percorso il confronto con il pensiero di Martin
Heidegger.
Nello specifico, nel primo capitolo affronteremo la questione
dell’estetica e il superamento dell’opposizione moderna tra soggetto ed
oggetto; a tal proposito partiremo da Immanuel Kant che per primo, in
epoca moderna, ha sistematizzato e chiarito il concetto che è alla base
dell’estetica così come ancora oggi è concepita. Vedremo come Pareyson
si immetta, pur con tutte le proprie specificità, nel percorso tracciato da
Kant, per poi giungere alla delineazione di una propria teoria estetica,
ossia dell’estetica come teoria della formatività che assegna un valore ed
un’importanza identiche al soggetto, all’artista che fa l’opera e all’opera
d’arte, che si “lascia formare”; per contro vedremo come Gadamer in
Verità e metodo contesti e confuti le affermazioni kantiane e tutta la sua
concezione dell’estetica, che ai suoi occhi ha perso di vista la verità,
favorendo uno sterile metodologismo, per poi correggere alcune sue
affermazioni e rivalutare negli scritti successivi diverse idee di Kant,
facendolo attraverso un dialogo fecondo e sofferto. In entrambi ci
apparirà chiaro come la circolarità tra soggetto ed oggetto, tra artista ed
opera, tra opera ed interprete si sviluppi in modo positivo e ricco di
spunti fecondi; in entrambi, inoltre, cercheremo di mettere in luce come
già da queste prime battute, cioè a partire dall’opera d’arte si assista
all’emergere di un terzo elemento, della verità che l’opera d’arte porta a
manifestazione. Vedremo, quindi, come ciò sposti l’asse d’indagine
mettendo a fuoco una nuova ottica: la verità in questione non è più
imposta dall’io ma è lasciata libera di emergere e in questa sua possibilità
6
di essere lascia altrettanto liberi di arricchirsi reciprocamente soggetto e
oggetto.
Nel secondo capitolo seguiremo il passaggio dall’estetica
all’interpretazione, non solo dell’opera d’arte, e ci soffermeremo ad
analizzare il rapporto tra infinità delle interpretazioni e unicità di ciò che
viene interpretato, tra ulteriorità della verità e molteplicità dei soggetti
interpretanti. Qui potremo constatare come le due ermeneutiche a
confronto approdino a conclusioni differenti e apparentemente
inconciliabili: Gadamer compie il passaggio dall’opera d’arte in generale
al linguaggio, affrontando in modo puntuale il problema della
comprensione attraverso la rivalutazione della distanza temporale, non
cadendo, anzi superando, il doppio tentativo ingenuo e pericoloso di
porre il proprio io tra parentesi o di isolare l’opera nell’atto del
comprendere. Grazie, invece, alla virtuosità del circolo ermeneutico e
spingendosi fino alla fusione degli orizzonti, potrà affermare che l’orizzonte
di verità del soggetto entra in gioco con tutto il passato che lo precede,
permettendo, così, una feconda tensione tra tradizione e presente e lo
sviluppo di un senso condiviso. Ma Gadamer non chiarirà se questo
senso che ci precede e l’essere che si manifesta a partire dal linguaggio
costituiscano la stella polare dell’interpretazione e della comprensione o
se la creatività del soggetto goda di una libertà illimitata. In Pareyson,
invece, il concetto d’interpretazione si mostra, almeno in apparenza,
meno complesso: fin da subito ci dice che essa è storica e particolare,
perché la nostra condizione è quella della storicità, ma è guidata
dall’inesauribilità della verità, che in tutte esse si manifesta, pur restando
ulteriore e, quindi, libera di manifestarsi.
Il terzo capitolo ruota intorno all’essenza dell’ontologia in
questione e della verità, che Pareyson individuerà nella libertà dell’uomo
7
in quanto possibilità per l’individuazione della libertà nell’assoluto, anzi
dell’assoluto concepito come pura libertà, tema che emergerà attraverso
la critica puntuale e costruttiva al pensiero di Heidegger. Per quanto
riguarda Gadamer, invece, nel quale, il tema della libertà non emergerà
mai in modo così netto, (forse per il suo costante riferimento ad
Heidegger), proveremo a discostarci da Verità e metodo e ci avvicineremo
di nuovo ai suoi scritti successivi per tentare di cogliere consonanze e
dissonanze con il pensiero di Pareyson.
8
CAPITOLO I
Niente per lungo tempo,
e poi, improvvisamente
si hanno gli occhi giusti
2
.
Il superamento del dualismo soggetto/oggetto
La posta in gioco estetica e la Kritik der Urtheilskraft: Luigi
Pareyson e Hans Georg Gadamer.
La nostra facoltà conoscitiva nel suo complesso ha
due domini, quello dei concetti della natura e quello
del concetto della libertà, poiché essa è legislativa a
priori mediante entrambi. Perciò anche la filosofia si
divide, conformemente ad essa, in teoretica e
pratica… La legislazione mediante concetti della
natura avviene mediante l’intelletto, ed è teoretica. La
legislazione mediante il concetto della libertà avviene
mediante la ragione, ed è soltanto pratica… Intelletto
e ragione hanno quindi due legislazioni differenti in
un unico e medesimo territorio dell’esperienza, senza
che l’una pregiudichi l’altra… Ma nella famiglia delle
facoltà conoscitive superiori c’è un membro
2
R. M. Rilke, Briefe über Cézanne, tr. it. Lettere su Cézanne, a cura di G. Buss-De Giudici,
Passigli editori, Firenze, 2001, pag. 59.
9
intermedio tra l’intelletto e la ragione. Ed è la facoltà
di giudizio
3
.
Così scriveva il filosofo di Königsberg nell’ Introduzione all’edizione
del 1790 della Kritik der Urtheilskraft. Da qui partiremo, perché questa
opera rappresenta il punto di svolta per tutta l’ estetica ad essa
successiva: cercheremo di capirne il movimento interno e la sua
straordinaria grandezza, cosa che faremo interrogandola indirettamente
attraverso lo studio e l’interpretazione che ne hanno dato Pareyson e
Gadamer, servendocene, dunque, come di un termine medio di
confronto. Perché, nella cornice del nostro operare, il tentativo sarà
appunto quello di “dialogare” e “far dialogare”, anche attraverso il filtro
del tempo e di altri pensatori, questi due grandi interpreti della filosofia,
per scoprirne somiglianze, metterne in luce differenze, coglierne
analogie.
1. Luigi Pareyson e la Terza Critica kantiana. Messa in questione
1.1 Il bello
Secondo Luigi Pareyson, Kant giunge alla delineazione del giudizio
di gusto e alla fondazione dell’estetica, così come noi ancora oggi la
intendiamo:
Quanto alla distinzione del sentimento come facoltà
autonoma, distinzione ch’egli, dunque, eredita
dall’estetica settecentesca, si aggiunge il
riconoscimento della necessità e della possibilità di
3
I. Kant, Kritik der Urtheilskraft, trad. it. Critica della facoltà giudizio, a cura di E. Garroni
e H. Hohenegger, Einaudi editore, Torino, 1999, pagg. 10-13, §§ 2-3.
10
farne una critica: infatti solo se è possibile trovare una
nuova facoltà indipendente ch’è il sentimento, e solo
se è possibile farne la critica, cioè trovarne il principio
a priori, sarà possibile fondare l’ estetica
4
.
Come leggiamo nella Critica della facoltà di giudizio, ripetendo la
distinzione della filosofia in teoretica e pratica, Kant sostiene che con la
prima è possibile la conoscenza sensibile, grazie all’intelletto, che si
conforma ai concetti della natura; attraverso la seconda è, invece,
possibile la rappresentazione degli oggetti con le idee e ciò avviene grazie
alla ragione, che si conforma al concetto della libertà, innato in noi
5
. Se
nella Critica della Ragion pura abbiamo la presenza di un intelletto
legislatore che conosce (siamo quindi nell’ambito della necessità), nella
Critica della Ragion pratica siamo in presenza di una ragione legislatrice di
sé (l’ambito è, quindi, quello della libertà). Non si tratta di stabilire,
sostiene Kant, un accordo tra due mondi opposti, poiché questo è
possibile solo in quanto i due ambiti sono e restano separati
6
. I mondi
sono due e tali devono restare: alla Terza Critica spetterà il compito di
rappresentare e configurare il passaggio soggettivo, non oggettivo, da un
mondo all’altro
7
. L’uomo, infatti, appartiene ad entrambi: « L’ordine
propriamente umano è quella medietà nella quale noi ci muoviamo
4
L Pareyson, L’estetica di Kant, Mursia, Milano, 1968, pag. 11.
5
«La legislazione mediante concetti della natura avviene mediante l’intelletto, ed è
teoretica. La legislazione mediante il concetto della libertà avviene mediante la ragione
ed è soltanto pratica.» (I. Kant, Critica della facoltà giudizio, cit., pag. 10, § II).
6
Cfr. le quattro antinomie cosmologiche della Ragion pura. Kant stesso ci dice che
«esse non permettono neppure che la ragione la pensi in accordo con le leggi
universali dell’esperienza. Eppure queste idee non sono escogitate arbitrariamente: la
ragione è piuttosto condotta necessariamente ad esse, quando vuol cogliere nella sua
totalità assoluta, ciò che non potrà mai venir determinato, se non
condizionatamente.» (I. Kant, Kritik der Reinen Vernunft, tr. it. Critica della ragion pura, a
cura di G. Colli, Adelphi, Milano, 1995, pag. 521).
7
Cfr. Pareyson, L’estetica di Kant, cit., pag. 13.
11
costantemente… Bisognerebbe riflettere sulla posizione stessa del corpo
nella natura: esso è ad un tempo corpo tra i corpi (cosa tra le cose), e
modo di esistere di un essere capace di riflettere, di riprendersi e di
giustificare il proprio comportamento… L’ uomo è tale proprio perché
appartiene al tempo stesso al regime della causalità e a quello della
motivazione»
8
.
Quindi, i mondi pur essendo e restando due, le Critiche diventano
tre, e nella Terza i due orizzonti si incontrano e si conciliano nel soggetto.
L’ accordo non è, però, oggettivo, in tal caso non vi sarebbe filosofia ma
solo necessità pura e determinante, bensì soggettivo
9
. Si tratta, infatti, di
trovare la concordanza tra un concetto dell’ intelletto (il cui risultato è
conoscere) con un concetto della ragione (il cui esito è porre fini). In
altre parole, il compito è quello di commisurare un concetto
dell’intelletto ad una facoltà della ragione (per questo il giudizio che ne
scaturisce non è sintetico ma riflettente)
10
. Intelletto e Ragione hanno
legislazioni diverse all’interno dell’esperienza; il passaggio dall’uno
all’altra è possibile solo con la Critica della facoltà di Giudizio, grazie alla
quale le due parti, altrimenti separate e disgiunte, si armonizzano.
Nello specifico, il puro giudizio di gusto, in quanto giudizio,
dovrebbe rappresentare la possibilità di pensare il particolare sotto
l’universale ma, dal momento che è dato solo il particolare, si ha un
giudizio riflettente, diverso dal giudizio determinante proprio della Ragion
pura: non siamo di fronte ad un giudizio che presuppone un concetto,
perché l’unità del molteplice è ricondotta alla pura forma e alle facoltà
conoscitive del soggetto; il bello presuppone un giudizio estetico, legge a
8
P. Ricoeur, Dell’ interpretazione ora in Du texte à l’action, tr. it. Dal testo all’azione, a cura
di G. Grampa, Jaca Book, Milano, 1983, pag. 16.
9
I. Kant, Critica del giudizio, cit., pag. 39, § 1.
10
Cfr. L. Pareyson, L’estetica di Kant, cit., pagg. 16 e segg.
12
sé, senza essere oggetto di un giudizio logico. Il giudizio di gusto lega
insieme conoscenza e praticità: si basa sulle facoltà conoscitive (ma non
per conoscere) e sul concetto di finalità, senza invadere il campo morale;
è, quindi, una conoscenza sui generis, perché è contemplazione pura che
produce piacere ed è una finalità senza legge
11
. Ciò vuol dire che,
essendo una conoscenza, è universale e necessario e che, essendo puro, è
privo di desiderio: «La facoltà estetica di giudizio è quindi una speciale
facoltà di giudicare le cose secondo una regola, non secondo i
concetti»
12
.
Partendo dal testo kantiano, Pareyson può dunque affermare che
nel bello il soggetto sente soltanto se stesso
13
, motivo per cui si tratta di
un piacere disinteressato privo di conoscenza e volontà, distinto sia dal
gradevole (un piacere interessato, poiché il soggetto si sente e si rivolge
all’esistenza dell’oggetto), sia dal pregevole (nel quale il soggetto è agente
e volente, quindi, legato alla volontà)
14
. Per distinguere qualcosa di bello
ci riferiamo non all’oggetto mediante l’intelletto, ma al soggetto e al suo
sentimento di piacere o dispiacere mediante l’immaginazione
(ovviamente legata con l’intelletto). Il bello, che non si fonda su un
concetto, è differente anche dal piacevole, perché ciascuno avrebbe il suo
proprio gusto personale (in questo caso, però, non siamo di fronte al
gusto dei sensi ma a quello della riflessione). La conferma della propria
validità non la ottiene, quindi, dai concetti, ma dall’adesione della sfera
dei giudicanti. Il giudizio di gusto non è il sentimento di rispetto che si
fonda sulla causalità della libertà, non ha nessun fine pratico ma è solo ed
esclusivamente contemplativo.
11
Cfr. G. Garelli, Kant e la verità estetica, Olschki, Firenze, 1990.
12
I. Kant, Critica della facoltà di giudizio, cit., pag. 30, § IX.
13
Cfr. L. Pareyson, L’estetica di Kant, cit., pag. 41.
14
Cfr. I. Kant, Critica della facoltà di giudizio, cit., pagg. 41-45, §§ 2-3.