4
qualità formale di Jude, ritengo altresì che titoli come Wonderland abbiano avuto meno fortuna di
quanto avrebbero meritato. Per non dire poi di due dei quattro film che non hanno raggiunto le sale
italiane, 24 hour party people e A cock and bull story (gli altri due sono I want you e 9 songs):
entrambi, si dirà, sono figli di un milieu – culturale prima che geografico – molto più specifico e
britannico rispetto al resto delle opere del loro autore. Ma è difficile non considerare come in tutti e
due i casi si tratti di esperimenti metacinematografici che richiedono allo spettatore una
disponibilità non comune (soprattutto nel caso di A cock and bull story) ad addentrarsi nei meandri
di una narratività autoreferenziale e giocata su più livelli. Non per questo, però, presuntuosa e snob:
anzi, piuttosto ironica (ed anche autoironica). Ma si tratta di sottigliezze forse troppo sofisticate per
poter essere tenute in considerazione dalle logiche che presiedono alla distribuzione italiana.
La mia idea, in sostanza, è che ci si trovi di fronte ad un regista spesso sottostimato da critica ed
addetti ai lavori: portare alla luce i motivi d’interesse e di coerenza delle sue opere – sia quelle note
al pubblico nostrano sia quelle, a maggior ragione, non distribuite in edizione italiana – è quindi lo
scopo di questa trattazione. Una trattazione che cercherà di soffermarsi sull’aspetto contenutistico
delle pellicole di Winterbottom, con particolare riferimento agli elementi tematici. Ma, allo stesso
tempo, un lavoro che non vuole semplicemente confermare il catalogo di opposizioni stilato da
Allison: anzi, semmai se ne discosta e lo dimentica (almeno in parte) per cercare nuove rotte.
Parafrasando quello che lo scrittore Javier Marías diceva dei romanzieri, Sergi Sánchez, autore di
quella che mi risulta essere finora l’unica monografia dedicata al cineasta, scrive nell’introduzione
del suo libro che esistono registi con mappa e registi con bussola
3
. Ed include il 46enne inglese
nella seconda categoria. Bene, coerentemente con questa attribuzione di metodo, anche questo mio
breve studio – come peraltro già quello di Sánchez – è proceduto più con una bussola che con una
mappa: c’erano naturalmente dei punti di partenza (banalmente, quei 15 titoli ed una certa mole
bibliografica), ma la destinazione era in partenza ignota e l’approdo incerto.
A conti fatti, però, ritengo che il lavoro fatto sia valso per lo meno a comprendere meglio una
coerenza di visione che, come un fiume carsico, riemerge qua e là nei film, tenendo spesso a
braccetto l’impulso al cambiamento del regista.
Buon Winterbottom!
3
cfr. Sergi Sánchez, Michael Winterbottom. El orden del caos, San Sebastián, Festival internacional de cine de San
Sebastián e Filmoteca vasca, 2002, p. 11.
5
MICHAEL WINTERBOTTOM: CENNI BIOGRAFICI
Michael Winterbottom nasce a Blackburn, nel Lancashire, il 29 marzo 1961; la madre è un’
insegnante, il padre lavora nel locale stabilimento della Philips. Nella casa in cui abita con i genitori
il televisore è sempre acceso, ciò che gli permette di scoprire quelli che negli anni ‘60 sono i
giovani registi inglesi, come Ken Loach e Mike Leigh
4
. L’incontro che però segna davvero il
giovane cinefilo è un altro: “Quando avevo circa 15 o 16 anni c’era un’associazione
cinematografica, a Blackburn, e vinse un premio; così organizzarono una stagione speciale,
proponendo il nuovo cinema tedesco. Erano film di Fassbinder, Herzog, Wenders, tutta quella new
wave tedesca degli anni ’70; film che da un lato sembravano molto semplici – potevi immaginare
che li avresti potuti realizzare tu, erano low budget, erano fatti in economia – ma allo stesso tempo
erano molto esotici, forse per il loro carattere o solo per la cultura da cui provenivano, che era sì
familiare ma diversa”
5
.
Tuttavia, il giovane Michael non pensa ancora a fare del cinema la sua professione, tant’è che
all’università sceglie la letteratura inglese e si iscrive ad Oxford. Ben presto se ne pente, ma
l’ateneo ha almeno il merito di avere al suo interno un cineclub che indirizza Winterbottom sulla
giusta rotta: dopo alcuni piccoli lavori in super-8, si trasferisce a Bristol, dove inizia a studiare
cinema. Il corso si rivela molto pratico, ed il ragazzo allo stesso tempo gira qualche documentario,
inizia a scrivere sceneggiature e, poco dopo, a lavorare come assistente al montaggio per delle serie
televisive. In seguito gli si prospetta l’opportunità di un impiego alle dipendenze di Lindsay
Anderson, che sta girando un documentario sul cinema britannico: Winterbottom dovrebbe
preoccuparsi della documentazione, anche se, stando alle sue parole, “fondamentalmente mi
dedicavo a servire tazze di tè”
6
.
Quindi, e siamo nel 1988, firma due documentari sulla figura di Ingmar Bergman, che hanno per
pretesto la celebrazione del 70esimo compleanno del maestro: “uno, Magic lantern, a partire dai
suoi film amatoriali, inframmezzati da estratti delle sue memorie in voce off; e l’altro [The director,
NdA] a partire da interviste ai suoi collaboratori”
7
. Insieme ai succitati tedeschi, a Godard e a
Truffaut, anche l’autore di Sussurri e grida fa parte del pantheon di Winterbottom; il regista inglese
ricorda che “Bergman aveva un’equipe di lavoro molto ridotta e questo gli permetteva di realizzare
le pellicole più in fretta [di Anderson, NdA]: c’era molta gente disposta a lavorare con lui, ed egli
4
cfr. Michel Ciment e Yann Tobin, “«Des personnages auxquels on refuse l’accès à la société«. Entretien avec Michael
Winterbottom”, in Positif, n. 430, dicembre 1996, p.23.
5
Nev Pierce, “Getting direct with directors… - No. 3: Michael Winterbottom”, BBC – Movies – Calling the shots
(http://www.bbc.co.uk/films/callingtheshots/michael_winterbottom.shtml - trad. mia)
6
Sergi Sánchez, op. cit., p. 23 (trad. mia).
7
Michel Ciment e Yann Tobin, op. cit., p.23 (trad. mia).
6
rimase sempre molto fedele alla sua equipe tecnica ed artistica”
8
. La notazione su Bergman, in sé
apparentemente secondaria, è però rivelatrice di una tendenza – quella della “fedeltà” ai
collaboratori – che poi, almeno in parte, diverrà dello stesso Winterbottom.
Il primo di loro entra in scena proprio poco dopo che il regista ha portato a termine l’esperienza
dei due documentari: Frank Cottrell Boyce, all’epoca autore di opere didattiche pensate per
proiezioni in istituti, propone al regista di collaborare alla stesura di un breve telefilm. Per l’allora
montatore della Thames Television True romance (1989), storia di un bambino che si innamora
della figlia dei vicini di casa, segna il passaggio alla fiction. A The strangers, premio Bafta 1989
per il miglior film educativo, seguono Forget about me (1990), Under the sun (1992), Love lies
bleeding (1993), l’episodio “Death at the bar” per la serie The inspector Alleyn mysteries e quello
intitolato”The mad woman in the attic”, puntata pilota della serie Cracker. Quest’ultimo lavoro lo
vede dirigere per la prima volta Christopher Eccleston e, ciò che è più importante, gli fa conoscere
colui che diverrà il suo montatore abituale: Trevor Waite. La “squadra” di Winterbottom si
completa l’anno successivo, in occasione di Family, film diviso in quattro capitoli di cinquanta
minuti l’uno che, in una versione più ridotta, trova un buon successo in alcuni festival (tra cui
quello di Torino, dove vince il premio Cicae). Il regista inizia con questo titolo un’altra
collaborazione importante e duratura: quella con il produttore Andrew Eaton, con il quale, nel
marzo 1994, fonda la Revolution Films.
I tempi sono maturi per il salto di Winterbottom al grande schermo, un’avventura lungo la quale
Eaton lo seguirà quasi costantemente. Fa eccezione infatti un unico film, il primo concepito dal
regista direttamente per il grande schermo e destinato a vedere la luce nel 1995: Butterfly kiss.
8
Sergi Sánchez, op. cit., p. 23 (trad. mia).
7
I FILM
8
BUTTERFLY KISS – IL BACIO DELLA FARFALLA
Una giovane donna dall’aria trasandata cammina lungo un’autostrada nella provincia inglese.
Entra in una piccola stazione di servizio e si rivolge alla commessa, chiedendo di un disco con una
canzone d’amore di cui non ricorda il titolo e mostrandosi convinta che la donna sia una certa
Judith. Uscita la protagonista dalla stazione di servizio, scopriamo che dietro il bancone il cadavere
della commessa , uccisa con un colpo di pistola. La scena si ripeterebbe in un’altra stazione di
servizio se la commessa, una ragazza timida di nome Miriam, non si dimostrasse gentile con la
protagonista, Eunice. Quest’ultima, scoperto che Miriam non è Judith, si cosparge di benzina e
minaccia di darsi fuoco: è la stessa Miriam che la calma, arrivando ad offrirle un posto dove
dormire; Eunice accetta e la bacia.
Eunice si installa da Miriam, sconvolgendo l’ordine della casa e la nonna della ragazza. Ad un
tratto inizia a farneticare sul sacrificio di Gesù e si spoglia, rivelando così un corpo coperto di
tatuaggi, abrasioni e catene. Più tardi, sul tetto dell’edificio, Eunice spiega a Miriam che vaga alla
ricerca d’amore, l’unico elemento che possa impedirle di uccidere o di uccidersi. Poi le due vivono
la loro prima notte d’intimità.
La mattina dopo, sempre alla ricerca di Judith, Eunice arriva alla stazione di servizio prima di
Miriam: litiga con una sua collega e viene caricata da un passante. Mentre Miriam si mette sulle
sue tracce, Eunice provoca sessualmente il guidatore e, dopo aver consumato un amplesso, lo
uccide. Le due donne si ritrovano in un autogrill e proseguono insieme fino ad un luogo isolato
dove, una volta fermato il furgone, Miriam scopre nel retro il cadavere del proprietario. Dopo lo
sconvolgimento iniziale, si offre di seppellire il cadavere per aiutare Eunice. Ma mentre lo sta
facendo, l’assassina se ne va con il furgone; in un autogrill chiacchiera con una cameriera, poi
torna nel bosco dopo aver sostituito il mezzo con un’auto. Provoca Miriam rimproverandola per la
sepoltura, quindi, di fronte alle scuse di lei, la bacia e le due si addormentano insieme nell’auto.
Al risveglio, Miriam trova Eunice sulla spiaggia, e le due giocano sul bagnasciuga. Nella
successiva conversazione in auto, Miriam ribadisce l’unione tra loro. Nell’ennesimo autogrill e
davanti a Miriam che le dichiara il suo amore e la sua volontà di salvarla, Eunice diventa
aggressiva e le intima di lasciarla per sempre. Tuttavia la coppia prosegue unita e, lungo la strada,
carica un uomo e la figlioletta, diretti ad un delfinario; su istigazione di Eunice finiscono invece ad
un parco-giochi, e lì Miriam scopre nel bagagliaio dell’auto il cadavere della cameriera. La ragazza
fa andare via padre e figlia, quindi svela a Eunice di avere scoperto il corpo: questa per tutta
risposta le fa una scenata, quindi decide di proseguire per il delfinario. Giunte lì, vi ritrovano la
bambina; Miriam va a cercare il padre, ed al ritorno Kathy non c’è più. Eunice svia l’uomo, quindi
riparte con Miriam, lasciandole credere di avere ucciso la piccola. Quando questa salta fuori dal
sedile posteriore, Miriam la lascia sul ciglio dell’autostrada. Su un ponte autostradale, Eunice ha
una crisi di nervi pensando che stava per uccidere la bambina: si lamenta che nessuno, Dio
9
incluso, si preoccupa di lei. A Miriam, che le giura di rimanerle vicina, promette che la farà
diventare cattiva.
Ancora una volta in un autogrill, le due attaccano bottone con Robert, camionista
filosofeggiante, e Eunice spinge Miriam nelle sue braccia. Poco dopo, però, nel camion dove
l’amplesso sta assumendo sempre più la fisionomia dello stupro interviene Eunice che uccide
l’uomo. La mattina dopo, ad una stazione di servizio, Eunice trova finalmente una Judith; dato che
costei non la riconosce, da’ in escandescenze e Miriam arriva ad evitare il peggio. Le due
prendono un passaggio dal signor McDermott, un rappresentante di aspirapolveri conoscente di
Miriam: l’uomo dimostra una dose di perversione eccitandosi alla vista delle catene di Eunice.
Portate le ragazze in un hotel, McDermott inizia un rapporto sadomaso con Eunice, mentre Miriam,
imbarazzata, esce a fare la spesa. Quando rientra, scambia l’amplesso nella doccia per un
tentativo di violenza ed uccide l’uomo.
Allontanandosi dall’hotel, Miriam rivela a Eunice di avere scoperto qual è la canzone che lei si
ostina a cercare nelle stazioni di servizio: non è un brano d’amore ma un inno sportivo. Poi le
dichiara palesemente la sua intenzione di sostituirsi a Judith. Davanti all’ennesima dichiarazione
d’amore di Miriam, Eunice le chiede come prova definitiva di ucciderla, e l’altra accetta. Spoglia
Eunice delle catene e poi, prima di addormentarsi insieme per l’ultima volta, parla con lei del
paradiso: Eunice, che a questo punto si percepisce come una vittima sacrificale, è convinta di
andarci.
L’ultima mattinata della coppia trascorre tra una colazione improvvisata e gli sproloqui religiosi
di Eunice. Quindi, mentre giocano nell’acqua, Eunice dice a Miriam di annegarla e lei esegue.
Proprio dalla scena finale dell’annegamento era partita la sceneggiatura dell’esordio “ufficiale”
sul grande schermo di Michael Winterbottom. Inizialmente il film dovrebbe intitolarsi Delirious, ed
avere al centro un trio di giovani uno dei quali nel finale si “sacrificava” a Morecambe Bay (la
location effettivamente utilizzata per Butterfly kiss). Ma le difficoltà a concretizzare il progetto
portano la coppia a ripensare la storia, con Winterbottom nel frattempo colpito da un fatto di
cronaca: il rifiuto di un uomo, scarcerato dopo aver scontato cinque anni di galera per l’assassinio
del figlio, a ritornare dalla sua compagna, che pure l’avrebbe risposato e riaccolto in casa. “Si
rifiutava di reintegrarsi socialmente: anche se sua moglie e la figlia di 18 anni l’avevano perdonato,
lui si considerava imperdonabile. Non sapeva più cosa fare della sua vita e viveva come un
vagabondo”
9
. È questo, dunque, lo spunto iniziale per quello che una delle protagoniste, Saskia
Reeves (Miriam), definisce come “un Thelma e Louise in acido”
10
. Di fronte a questo road movie
9
Michel Ciment e Yann Tobin, op. cit., p.24 (trad. mia).
10
Massimo Lastrucci, “Butterfly kiss”, in Ciak, n. 10, ottobre 1995, p. 28.
10
omicida e al femminile, in effetti, è difficile non riandare con la memoria al film di Ridley Scott;
ma sarebbe di gran lunga riduttivo fermarsi lì, e non solo per la maggiore cupezza che permea il
debutto sul grande schermo di Michael Winterbottom.
Un road movie oscillante: primi abbozzi dell’universo winterbottomiano.
Innanzitutto bisognerebbe intendersi sull’opportunità di utilizzare la locuzione “road movie” in
questo caso. Il regista mette in scena, con il fondamentale aiuto del direttore della fotografia
Seamus McGarvey, un’Inghilterra periferica, composta come un mosaico di non-luoghi (autostrade,
stazioni di servizio, autogrill, interni di veicoli), e parla della vicenda che vi ambienta come di “un
road movie senza viaggio, che oscilla: è questo sfasamento che ci ha attirato. Ma è piuttosto un road
movie che ci arriva dalla Germania di Wenders”
11
. Se a questa descrizione si aggiunge poi quella di
Paola Malanga, “l’inferno di Querelle e Veronika Voss, trasfigurato in quella zona di frontiera
urbana, ai confini con la realtà, dove il protagonista di Naked da qualche mese deambula avanti e
indietro, sputando aggressività e filosofia da disperato di fine millennio”
12
, ecco che si ottiene un
significativo ampliamento dello spettro dei precedenti cui si rifà Winterbottom. Già alla sua prima
prova, infatti, troviamo “convocati”, Wenders e Fassbinder, autori riconosciuti tra i suoi numi
tutelari. Assunti loro ed il Leigh di Naked, Alessandra Di Luzio – anche lei portata a riscontrare
l’influenza di quest’ultimo – vi aggiunge il Ken Loach di Ladybird ladybird, accomunando l’opera
del più giovane cineasta a quella dei suoi più anziani colleghi nel segno di un “più profondo disagio
dell’animo, che è un disagio universale, al di là del fatto che il racconto prenda le mosse o meno dal
reale, dal verosimile o dal realmente accaduto”
13
.
Siamo allora in presenza dell’abbozzo di quello che diventerà poi l’universo di riferimento di
Winterbottom: un contesto sociale ostile, in cui i protagonisti sono outsiders disperati in conflitto
con la società che li circonda e con la quale difficilmente riusciranno a trovare una forma di
riconciliazione. Una visione che in Butterfly kiss è particolarmente estremizzata, al punto che la si
può definire “il viaggio di una killer nel regno dei morti, la parabola di un angelo del male senza più
ali, la favola di un amore che può essere solo eutanasia”
14
.
11
Michel Ciment e Yann Tobin, op. cit., p.25 (trad. mia).
12
Paola Malanga, “Butterfly kiss”, in Duel, n. 30, ottobre 1995, p. 20
13
Alessandra Di Luzio, “Butterfly kiss”, in Cineforum, n. 347, settembre 1995, p. 59.
14
Paola Malanga, op. cit., p. 21.
11
Sesso e rapporto con il maschile.
Visto attraverso gli occhi delle due protagoniste, il mondo di Butterfly kiss è nettamente
declinato al femminile: per gli uomini non c’è spazio, tanto che, dei quattro che hanno una minima
importanza nell’economia della storia, tre vengono uccisi ed un quarto si salva probabilmente solo
in quanto padre di una bambina (cioè di una persona che per la giovanissima età rappresenta
l’antitesi di quei “morti” che – tornando a Malanga – popolano l’universo diegetico).
Passando ad esaminare le due figure femminili, notiamo che Miriam si presenta come un
personaggio pressochè alieno da una dimensione sessuale: gli amplessi che la vedono protagonista
sono subiti (quello con il camionista) o al massimo tollerati in nome dell’amore (con Eunice). Non è
un caso che in uno dei flash in b/n – che l’intreccio dissemina lungo il film e la fabula ci porta a
collocare in coda all’intera vicenda (quindi dopo la morte di Eunice) – Miriam ricordi solo tre baci
prima di quello con lei, e sempre baci ricevuti da donne. Proprio i flash della “confessione” di
Miriam danno conto dell’evoluzione psicologica del rapporto tra i due personaggi, componendo la
sottotrama secondaria del film, (la trama è data dalla ricerca di Judith e dalla scia di omicidi di
Eunice; la sottotrama primaria dal percorso dinamico della sua partner, ciò che alla fine avrà il
decisivo effetto sul rapporto tra le due). Tornando a Miriam, la sua forma di androfobia è provata
anche dallo schema degli omicidi: giustifica quello dell’automobilista con cui Eunice ha avuto un
rapporto sessuale (“Avrai avuto le tue ragioni”, le dice subito dopo aver scoperto il corpo) ma non
quello, successivo, della cameriera. E dopo che Eunice la salva da quello che stava diventando uno
stupro commettendo un altro omicidio, i ruoli si invertono: è lei a “salvare” Eunice da quello che
presume essere uno stupro completando la sua traiettoria e divenendo a sua volta un’assassina.
Per Eunice, viceversa, il sesso è peccato (come dichiara all’autista del furgone), quindi
costituisce una giustificazione almeno temporanea ai suoi omicidi. E sempre come concretizzazione
del peccato, il sesso è lo strumento che utilizza nel tentativo di rendere “cattiva” Miriam, forzandola
al rapporto sessuale con il camionista subito dopo averle dichiarato l’intenzione di cui sopra. La sua
personale interpretazione del mito di Giuditta ed Oloferne si inserisce in questo schema, e non è
certo un caso che la ragazza cercata da Eunice ha lo stesso nome dell’eroina biblica, che “uccide per
salvare gli altri”. Partendo da questa considerazione, si può peraltro notare come siano più d’uno gli
elementi del film che paiono pensati in funzione del carattere della protagonista. Dalla scelta delle
locations, che adombrano la desolazione morale di Eunice, al montaggio della scena iniziale
15
che,
con il suo carattere spezzettato e “schizofrenico”, introduce efficacemente quello analogo del
15
Una scena che, per aggiornare la lista dei richiami ad altri film, ha portato Marie-Anne Guerin a chiamare in causa
Samuel Fuller ed il senso di spiazzamento dei suoi personaggi, tanto nei western quanto in un film come Un piccione
morto in Beethovenstrasse (cfr. Marie-Anne Guerin, “Vous vous appelez Judith?”, in Cahiers du cinéma, n.498,
gennaio 1996, p. 73).
12
personaggio principale. Fino alla colonna sonora, caratterizzata da brani dei Cranberries e quindi
dalla voce di Dolores O’Riordan, ora rabbiosa ora dolce: il primo caso riporta all’utilizzo di
Ridiculous thoughts per sottolineare la personalità di Eunice; il secondo a quello, sulla scena finale
dell’annegamento, di No need to argue, a significare la pace raggiunta. Nel mezzo, la musica
sottolinea “con un andamento di sacralità”
16
la discesa agli inferi dei personaggi. Una pace cui la
protagonista, per tornare al richiamo al mito che le è caro, arriverà proprio quando Miriam, scoperto
qual è la canzone cercata da Eunice, accetterà di assurgere al ruolo di Judith/Giuditta, la ucciderà e,
così facendo, la salverà.
Religiosità (amore e morte) ed identità.
L’elemento mistico del film, rivela l’ateo Winterbottom, è farina del sacco di Cottrell Boyce,
ispiratosi a due donne di sua conoscenza
17
. Nella sua schizofrenia Eunice è divisa tra il desiderio di
redenzione/amore (incarnata da Judith, poichè, come dice, “bisogna trovarlo per forza qualcuno che
ti ama... [...] perchè quelli che non sono amati da nessuno alla fine ammazzano sempre qualcuno, e
certe volte ammazzano se stessi”) e quello di punizione/morte, ciò che la porta appunto ad uccidere.
Incapace di conciliare le due istanze, scoprirà in Miriam, quando questa ucciderà McDermott, la
possibilità di farlo. Miriam dunque rimarrà agente d’amore, come è stata nei confronti di Eunice
lungo tutto il film, ma al contempo diverrà agente di morte, fornendole insieme punizione e
redenzione. A questo proposito è rilevante come la forma della morte di Eunice sia quella
dell’annegamento, che non può non richiamare il battesimo, rito purificatore per antonomasia.
La parabola percorsa da Miriam lungo il film configura comunque un’evidente inversione nella
dinamica che presiede al rapporto tra le due protagoniste: da succube di Eunice, Miriam ne diventa
il carnefice. E se interpretiamo l’annegamento/battesimo di Eunice come una forma di redenzione,
ecco che si completa un percorso che porta i due personaggi ad invertire appunto le loro posizioni
sull’asse della morale: l’innocenza, inizialmente simboleggiata da Miriam, si è macchiata le mani di
sangue, mentre la colpa è stata lavata via dalla morte. Una dialettica adombrata, fin dall’inizio, dai
nomi delle due protagoniste, contratti in Eu e Mi, a preconizzare la confusione tra il “tu” e l’”io”.
16
Edoardo Bruno, “Butterfly kiss”, in FilmCritica, n. 457, settembre 1995, p. 362.
17
cfr. Michel Ciment e Yann Tobin, op. cit., p.24.
13
GO NOW
Alla fine di una partita su un campetto di provincia, Nick, che milita nella squadra sconfitta,
deve subire i rimproveri e gli sfottò dei compagni per un marchiano errore che ha condizionato la
partita. Dopo la doccia, la squadra si sposta in un pub, dove tra birre e chiacchiere viene messo in
evidenza lo spirito di (triviale) cameratismo che regna nel gruppo. Ritroviamo quindi Nick la sera, in
un locale con l’amico e compagno di squadra Tony: i due conoscono Karen e Paula e, mentre
Tony ci prova con la seconda, Nick fa a botte con un ragazzo che importuna la prima. Esce un po’
malconcio dalla colluttazione ma il giorno dopo i quattro si rivedono. Dopo un’altra partita, la
squadra di Nick finisce nel ristorante dove lavorano Karen e Paula: lui aspetta Karen a fine turno,
ma intuisce che lei ha già una relazione. A distanza di giorni, i due si rincontrano per caso ad un
videonoleggio, e lui le propone di passare la serata insieme guardando un film; lei accetta. A casa
della ragazza, Nick le chiede della sua relazione, poi i due finiscono a letto.
Sul lavoro (fa il carpentiere), a Nick si addormenta una mano ed un martello gli cade da un
ponteggio. Decide di farsi visitare in ospedale e lì lo va a trovare Karen: più tardi i due finiscono di
nuovo a letto insieme. Nick parla alla ragazza della prossima trasferta in Gambia con la squadra e
le propone di andare a convivere al suo ritorno; Karen prima prende tempo, ma in un secondo
tempo accetta e si trasferisce da Nick. I due lavorano per risistemare l’appartamento ed
approfondiscono la loro intimità. L’armonia è però turbata dai sospetti di lui, convinto che la
relazione tra Karen ed il suo capo, Charlie, continui; lei gli fa capire che i suoi timori sono infondati.
Dopo l’incidente con il martello, Nick inizia ad accusare problemi alla vista: va con Karen a farsi
visitare ed il dottore gli dice che si tratta di un problema ad un nervo. La situazione però peggiora
quando ritorna a perdere sensibilità alle mani; Karen decide di fare ricerche per conto proprio,
intuisce che si tratta di sclerosi multipla ed il dottore glielo conferma. Messa sotto pressione da
Nick, che ricomincia a sospettare un tradimento, la ragazza arriva ad un passo dallo svelargli la
verità sulla sua condizione; poi però si trattiene e gli ribadisce il suo amore. Nick è però vittima di
una nuova perdita di sensibilità mentre si trova alla guida: l’incidente non ha in sé conseguenze
gravi, ma l’uomo viene ricoverato in ospedale per terapie ed accertamenti. Lì manifesta a Karen le
sue paure per il test dell’HIV, facendole pensare che in Gambia l’abbia tradita; Paula le consiglia di
lasciarlo, ma Karen rifiuta.
Dopo una visita in ospedale dei compagni di squadra, Nick viene dimesso: tornato a casa con
Karen, deve iniziare a fare i conti con i suoi nuovi problemi, ma soprattutto scopre il libro sulla
sclerosi multipla che Karen ha preso in biblioteca. Accusa la ragazza di avergli nascosto la realtà
della sua condizione, e lei replica cercando di convincerlo (e convincersi) che non si tratta di quella
patologia; poco dopo, però, gli accertamenti medici escludono ogni possibilità tranne, appunto, la
sclerosi multipla.
14
Entra in scena la famiglia di Nick, che va a trovarlo e lo mette in imbarazzo, non riuscendo a
fare i conti con la malattia che l’ha colpito. Lo stesso protagonista, d’altra parte, non riesce a
confrontarsi con la sua condizione, e ciò si riflette sul suo rapporto con Karen: alternativamente
trova il suo atteggiamento troppo compassionevole o pensa che voglia lasciarlo. Karen finisce
effettivamente con il consumare il suo tradimento con Charlie, da cui però si rifiuta di trasferirsi; nel
frattempo, sentendosi trattato con pietà da parte dei compagni di squadra, Nick rivendica anche
con loro il suo diritto alla normalità.
Dopo alcuni temporanei miglioramenti, Nick accusa una ricaduta, ed è costretto a passare dalle
stampelle alla sedia a rotelle. Arrivato al punto di rottura, lui confessa a Karen i ripetuti tradimenti e
la prega di andarsene. Davanti al suo netto rifiuto, la sbatte fuori di casa. La ragazza, però, rimane
fuori dalla casa, sotto la pioggia; dopo un’ulteriore scenata, Nick capisce che lei lo ama davvero,
ritorna fuori e le dichiara a sua volta il proprio amore. Il sipario cala sul matrimonio tra i due.
Dopo che l’esordio cinematografico aveva destato l’interesse della critica nei suoi confronti,
Winterbottom compie una mezza retromarcia, facendo seguire all’originalità di Butterfly kiss
un’opera più tradizionale, sia sul versante contenutistico che per l’aspetto stilistico. Tratto dalla
storia vera di Paul Henry Powell (co-sceneggiatore al fianco del Jimmy McGovern che con
Winterbottom aveva già collaborato per il pilot della serie Cracker), Go now è in effetti una
produzione televisiva – nata dalla volontà di dedicarsi ad un progetto più semplice e rapido da
realizzare rispetto all’opera di debutto – che ha però la fortuna di trovare in alcuni Paesi una
distribuzione cinematografica. È il caso dell’Italia, in cui pure viene distribuito dopo il buon
riscontro ottenuto dal successivo Jude: questi i motivi per i quali il film da un lato viene considerato
in questa sede, dall’altro trattato prima del lavoro tratto da Hardy. Sebbene da un punto di vista
registico Go now non si allontani di molto dai canoni tipici del piccolo schermo, riesce tuttavia a
proporre tratti formali che rimandano all’esperienza di Butterfly kiss e spunti contenutistici che
ritorneranno nella successiva carriera del cineasta.
15
Primi segnali di continuità nella filmografia di Winterbottom.
Partendo dai primi, non si può non notare come anche questa volta la storia venga declinata al
passato: la relazione tra Nick e Karen è un lungo flashback interrotto, in poche occasioni, da
frammenti del presente diegetico, costituiti dagli interventi dei convenuti al matrimonio dei due.
Frammenti che, insieme alle sequenze di still-frame che descrivono l’attività calcistica di Nick,
compongono una sorta di “coro” che riveste una funzione analoga a quella dei flash della
”confessione” di Miriam nel film precedente: rappresentare la sottotrama del film (in questo caso
quella primaria), dando conto in momenti diversi dello sviluppo della rete relazionale che avvolge il
protagonista. Un concetto non troppo distante è quello espresso al riguardo da Massimo Garritano:
“A sottolineare l’intento di ‘fotografare’ la realtà, c’è l’utilizzazione di alcune immagini fisse
prodotte come «istantanee» della vita di Nick, con relative didascalie che fanno uso di uno humour
talvolta un po’ greve ma efficace, l’idea appare indovinata perché arricchisce la dimensione del
racconto, sostanziandolo come una ‘memoria storica’ che rimane oltre il trascorrere del tempo
cinematografico”.
18
Un secondo fattore comune ai due titoli sembra dato da un dettaglio onomastico: se in Butterfly
kiss era significativo il gioco di diminutivi tra le due protagoniste (“Eu/you – Mi/me”), riguardo a
Go now le recensioni apparse su alcune testate statunitensi
19
attribuiscono a Karen il cognome
Walker – idea di cui però non ho trovato riscontro né nell’edizione italiana del film, né nelle
recensioni di testate di altri Paesi. Prendendo però per buona questa informazione, e considerando
che il termine vuol dire “camminatrice”, più che a una clamorosa coincidenza si dovrebbe pensare
ad un divertissement in sede di sceneggiatura, per porre ulteriormente l’accento sulle limitazioni
fisiche che, viceversa, subisce la figura di Nick.
Elemento che, infine, trova riscontro sia in Butterfly kiss che in molti dei film che seguiranno Go
now, è l’attenzione di Winterbottom per la colonna sonora, qui caratterizzata da brani soul e trip-
hop. I primi, tra i quali spicca più volte la voce di Joe Tex, sono utilizzati come commento a scene
positive (i divertenti inserti delle partite di calcio, il periodo iniziale della relazione tra Nick e
Karen) o, se negative, scene che comunque vedono la coppia insieme. I secondi sottolineano invece
i momenti più drammatici del protagonista (come l’incidente stradale) e la sua solitudine. Unica,
rilevante eccezione: il brano soul che accompagna la scena in cui Karen rimane sotto la pioggia
nonostante Nick l’abbia sbattuta fuori di casa. Il centro dell’azione è lei, e la canzone sembra voler
fare da controcanto alla sua intenzione di non rompere il filo che la unisce a Nick.
18
Massimo Garritano, “Go now”, in Cinemasessanta, n. 2, 1996, pp. 62-63.
19
cfr. Derek Elley, “Go now”, in Variety, 28 settembre 1995
(http://www.variety.com/review/VE1117910086.html?categoryid=31&cs=1&p=0) e Janet Maslin, “’Go now’: at last,
things were going well; or so he thought”, in The New York Times on the web, 1 maggio 1998
(http://www.nytimes.com/library/film/050198gonow-film-review.html).