I progressi più grandi in questo campo sono stati compiuti negli ultimi 30
anni, grazie alle ricerche scientifiche applicate in vigna e l'innovazione
tecnologica in cantina.
Oggi il vino è una componente naturale della cultura di molti paesi, una
forma di intrattenimento in altri, e una scelta consapevole per coloro che
ne esaltano gli effetti benefici sulla salute.
Nelle generazioni passate, la definizione di qualità era una prerogativa del
produttore e, i consumatori a cui non piaceva un particolare stile di vino,
venivano spesso considerati privi di cognizione; la globalizzazione e il
conseguente facile accesso alle informazioni a livello mondiale, hanno
modificato sensibilmente questa tendenza, generando un consumatore
consapevole, che riesce a creare un sofisticato significato di qualità del
prodotto e una relativa domanda discriminativa.
Il controllo della definizione della qualità è così passato al consumatore.
La produzione del vino è assieme arte e scienza, un misto di creatività
individuale, innovazione tecnologica e rispetto delle tradizioni; ma la
produzione di vino è anche un “business”, con fattori economici e politici
che influenzano i processi manifatturieri.
Per essere competitivi nel mercato moderno, un produttore di vino deve
essere in grado d’integrare l’aspetto artistico con quello economico della
produzione e possedere una capacità di comprensione, tale da riuscire a
focalizzare su quali fattori agire per attirare la domanda.
Tramite questo lavoro si è cercato di spiegare come il mercato della
domanda e dell’offerta siano cambiati in questi anni, come le imprese
vitivinicole italiane e, soprattutto, quelle della Provincia di Treviso si
siano adeguate al cambiamento e quali strategie stanno adottando per
consolidare e/o acquisire nuove quote di mercato.
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Nel primo capitolo si evidenziano i tre aspetti che, a mio parere, più
influenzano le scelte delle imprese: l’offerta di mercato, la domanda di
mercato, il settore distributivo.
Per quanto riguarda l’offerta di mercato si confrontati i dati degli ultimi
15 anni, cercando di comprendere come l’influenza delle autorità locali,
nazionali e sovranazionali (U.E.) abbiano contribuito alla formazione di
una nuova tipologia di offerta.
La domanda, cioè il consumo, è forse il perno cruciale sul quale ruota tutta
l’attività del produttore vitivinicolo. Con le continue evoluzioni incorse
negli ultimi decenni ha obbligato le imprese vitivinicole ad interessarsi di
più all’aspetto economico-strategico del settore.
La distribuzione del prodotto rientra tra le funzioni più importanti che
un’impresa deve assolvere, perché il valore di un prodotto non è
caratterizzato solo dalle sue caratteristiche intrinseche ed estrinseche, ma
anche dai tempi di consegna, dai luoghi e dalle modalità mediante le quali
viene reso disponibile ai consumatori. E’ proprio per questo motivo che si
è ritenuto opportuno, visto la trasformazione del settore distributivo e
l’importanza che ha assunto per le imprese del comparto vitivinicolo,
delinearne le caratteristiche.
Nel secondo capitolo si è cercato di spiegare quali sono le principali
strategie possibili per un’impresa, rifacendosi alla ormai consolidata
teoria di Porter sulla leadership di costo e la differenziazione del prodotto,
e proponendo una visione più attuale e particolareggiata del processo
strategico di queste imprese creata da Pilati. Già dalla prima lettura ho
capito che il suo pensiero si adattava perfettamente al caso che stavo per
analizzare e quindi l’ho proposto come teoria principale da prendere in
considerazione. Nonostante ciò in molti passaggi si riconosce la base
3
teorica del modello di Porter, per cui anche quest’ultimo risulta
fondamentale per la comprensione del primo.
Egli mette in evidenza tre tipi di strategie fra loro differenti a seconda del
contesto in cui l’impresa viene collocata di volta in volta.
Le strategie di mercato vengono utilizzate dopo aver decifrato i più
importanti segnali derivanti dall’analisi della domanda e dell’offerta.
Con le strategie di filiera, invece, si pone l’accento sulle possibili economie
che possono derivare dal posizionamento dell’impresa in uno stadio della
filiera grazie all’applicazione di determinate politiche.
Attraverso le strategie di canale si vuole abbandonare il concetto astratto
di filiera e sostituirlo con il concetto di canale distributivo. Quest’ultimo è
il mezzo attraverso cui il prodotto fruisce al consumatore e in quanto tale
crea delle situazioni sfruttabili dall’impresa attraverso l’utilizzo di tattiche
particolari.
Nell’ultimo capitolo si è preso in considerazione l’intero mercato
vitivinicolo della Regione Veneto, se ne sono delineati gli aspetti principali
con riferimento anche alle zone di produzione della Marca Trevigiana.
Di seguito si sono analizzati i dati raccolti di alcune imprese vitivinicole
della Provincia di Treviso (in particolare di imprese medio-grandi
appartenenti ai distretti di produzione controllati dai tre Consorzi:
Conegliano e Valdobiadene, Montello e Colli Asolani e Piave).
L’indagine rivolta alle principali aziende di trasformazione è stata svolta
attraverso un questionario sottoposto alla visione del titolare/Presidente
dell’impresa o al responsabile della comunicazione/marketing, che ha
provveduto alla compilazione. E’ utile precisare che questo lavoro non è
stato facile e nemmeno immediato.
Ad ogni modo sono venuto in possesso di un numero di questionari tale da
poter essere in grado di catturare le caratteristiche fondamentali della
4
5tipica impresa presente nella Provincia. Inoltre, ho spesso fatto ricorso ad
informazioni tecniche fornitemi da operatori del settore.
1. Il settore vitivinicolo italiano
1.1 L’offerta
1.1.1 Superficie vitata e produzione nazionale
Negli ultimi trent’anni, a livello mondiale, le superfici investite a vite
hanno mostrato andamenti piuttosto altalenanti, pur inseriti in un trend
sostanzialmente in flessione. Si è infatti passati dai 9,1 milioni di ettari
degli anni settanta ai 7,5 milioni degli anni ’90 (media decennale). Questa
tendenza alla diminuzione delle superfici vitate ha coinvolto soprattutto
l’Unione Europea (U.E.), la cui quota rispetto alle superfici vitate mondiali
è passata dal 51% degli anni settanta al 47% degli anni novanta.
A partire dall’anno 1999 il vigneto comunitario tende a stabilizzarsi sui
3.550 mila ettari, anche se in alcuni Paesi le aree adibite a coltivazione di
vite tendono ad aumentare, grazie all’influenza dell’uso dei diritti di
impianto in deroga.
Per comprendere lo stato attuale del parco viticolo della Marca Trevigiana
piuttosto che del Veneto, bisogna soffermarsi su alcune tappe fondamentali
che il nostro paese ha dovuto percorrere di concerto con i paesi facenti
parte dell’U.E.
In Italia, a cominciare dai primi anni ‘90, la superficie totale adibita a
coltivazione di vite per produzione di uva da vino ha subito un drastico
ridimensionamento, nonché una conversione a livello qualitativo.
Con la riforma dell’Organizzazione Comune di Mercato (O.C.M.) dell’87,
la Comunità Europea decide di adeguare la produzione di vino degli stati
membri alla domanda di mercato, che già da un decennio era in forte
ribasso.
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Per ciascun paese comunitario è fissata una quota di produzione prestabilita
(per l’Italia 49.7 milioni di hl), da raggiungere entro la campagna
2000/2001. Per quanto concerne il mercato, si è introdotto un regime di
distillazione obbligatoria per le eccedenze, a prezzi irrisori e non
remunerativi, e vengono offerti premi per la riduzione di produzione, in
modo tale da penalizzare le rese più elevate.
Con l’entrata in vigore dell’OCM dell’87, la possibilità delle imprese di
allargare il vigneto diventa difficile perché affidata all’utilizzo del diritto di
reimpianto, di estirpazioni e/o all’utilizzo della deroga; in questo modo si è
facilitata l’uscita dal settore di imprese e produzioni marginali, non più in
grado di realizzare compensi soddisfacenti per i fattori utilizzati.
E’ importante sottolineare come le politiche dell’UE, volte a ridurre lo
squilibrio tra domanda e offerta, s’inserivano su tendenze già in corso fra
l’imprenditoria veneta, miranti a modificare le produzioni verso
orientamenti qualitativi piuttosto che quantitativi.
Dopo alcuni anni di dibattiti più o meno aspri, si è giunti, con il
regolamento (CE) n. 1493/99 del maggio del 1999, all’ultima riforma OCM
che porta soluzioni meno drastiche della normativa precedente. L’obiettivo,
visti i risultati ottenuti nell’ultimo decennio, è quello di mantenere un
migliore equilibrio tra l’offerta e la domanda nel mercato comunitario,
consentire ai produttori di trarre profitto dalle zone in cui il consumo è in
espansione e rendere il settore più competitivo nel lungo termine.
Le norme più interessanti riguardano il trasferimento alle regioni delle
funzioni di programmazione e gestione del vigneto italiano, caratterizzato
da tanti e diversificati sistemi territoriali vitivinicoli. Il primo grande passo
in avanti avviene attraverso la sospensione dell’obsoleto meccanismo della
distillazione obbligatoria, anche se la Commissione dà il consenso per il
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finanziamento del nuovo meccanismo di “distillazione di crisi” (volontario
e limitato alle aree in difficoltà).
Viene mantenuto il divieto, seppur con meno rigidità che non in
precedenza, a realizzare nuovi impianti fino al 2010 e vengono introdotti
aiuti a chi è intenzionato a ristrutturare i vigneti per orientare la produzione
verso vini di qualità. Per spingere i viticoltori a migliorare la qualità delle
uve e dei vini prodotti, la riforma prevede due tipi di incentivi per la
riconversione dei vigneti: l’integrale finanziamento comunitario per
compensare la perdita di reddito dei produttori che estirpano; un contributo
del 50% per i costi materiali sostenuti da chi riconverte.
Il suddetto regolamento comprende, in particolare, misure tese al controllo
del potenziale viticolo, attraverso la gestione dei diritti di impianto e la
concessione di deroghe ad essi, nonché la legalizzazione di quelli non in
regola; tutto questo subordinato alla creazione di un inventario che riporti
le superfici adibite a coltivazione di viti V.Q.P.R.D.
1
e I.g.t.
2
, le varietà
coltivate, il totale dei diritti di impianto esistenti (già detenuti, od assegnati,
o di riserva), nonché le disposizioni nazionali e regionali emanate sul
potenziale di produzione (M. e C. Fregoni, 2002).
Nell’anno 2000 l’Ue ha emanato quattro regolamenti applicativi del
regolamento 1493/99:
il regolamento Ce n° 1623/2000 della Commissione, del 25 luglio
2000, che riguarda il rispetto dei meccanismi di mercato;
1
Vino di Qualità Proveniente da Regioni Determinate: acronimo che rappresenta il vertice della gerarchia
vinicola nella classificazione Cee e comprende sia i vini D.O.C. sia i D.O.C.G.
2
Indicazione Geografica Tipica: riconoscimento di qualità attribuita ai vini da tavola caratterizzati da aree
di produzione generalmente ampie e con disciplinare produttivo poco restrittivo. L’indicazione può essere
accompagnata da altre menzioni, quali quella del vitigno. I vini Igt sono gli omologhi dei francesi “Vin de
Pays” e dei tedeschi “Landwein”. Si tratta in sostanza di vini ottenuti da uve determinate e provenienti da
territori ben definiti. Tale qualifica, comunque, non obbliga i viticoltori ad apporre altre menzioni
sull’etichetta (come, ad esempio, il vitigno di provenienza), né li costringe a vincoli di produzione troppo
restrittivi. Nella scala dei valori enologici, insomma, gli Igt si collocano immediatamente su un livello
inferiore ai Doc e Docg, ma prima dei vini da tavola generici, anche se rientrano essi stessi nelle categorie
dei vini da tavola.
8
il regolamento Ce n° 1622/2000 della Commissione, del 26 luglio
2000, che fissa i limiti d’applicazione delle pratiche enologiche e introduce
il codice comunitario delle medesime e dei trattamenti enologici;
il regolamento Ce n° 1607/2000 della Commissione, del 24 luglio
2000, relativo alla produzione dei Vqprd (D.o.c.
3
, D.o.c.g.
4
per l’Italia);
il regolamento Ce n° 1608/2000 della Commissione, del 24 luglio
2000, che fissa le disposizioni e le regole transitorie per l’applicazione del
reg. Ce n° 1493/99.
La responsabilità delle regioni in materia è fondamentale e molte di esse
hanno già stilato i Piani Vitivinicoli regionali per la riconversione e la
ristrutturazione dei vigneti, nonché il richiesto e predetto inventario
viticolo, che da l’accesso ai finanziamenti per le ristrutturazioni e le
riconversioni dei vigneti.
Si stima che circa il 50% della superficie possa essere interessata da questi
interventi nei cinque anni previsti.
Intanto nel periodo 1985-2001, l’applicazione delle direttive comunitarie
porta il patrimonio viticolo del paese ad un decremento di quasi 180.000
ha.
In Veneto, attualmente, la superficie investita a vite copre l’8,6% della
superficie agricola utilizzata (SAU) e il 6,1% della superficie totale delle
aziende, ed è diminuita dell’8,6% rispetto al 1990 (Istat, 2001).
3
Denominazione di Origine Controllata: riconoscimento di qualità attribuito a vini prodotti in zone
limitate (di solito di piccole/medie dimensioni), recanti il loro nome geografico. Di norma il nome del
vitigno segue quello della Doc. Tali vini sono ammessi al consumo solo dopo accurate analisi chimiche e
sensoriali. La sigla è in vigore dal 1964 che contiene prescrizioni circa i limiti delle zone coltivate, le
varietà del vitigno ammesse, il metodo di vinificazione e l’epoca dell’emissione del prodotto finito.
Attualmente i vini D.O.C. rappresentano il 19% della produzione italiana.
4
Denominazione di Origine Controllata e Garantita: riconoscimento di particolare pregio qualitativo
attribuito ad alcuni vini DOC di notorietà nazionale ed internazionale. Questi vini vengono sottoposti a
controlli più severi, debbono essere commercializzati in recipienti di capacità inferiore a cinque litri e
portare un contrassegno dello Stato che dia la garanzia dell’origine, della qualità e che consenta la
numerazione delle bottiglie prodotte.
9
Il confronto dei dati ISTAT relativi alle superfici a vigneto fra il 1982 e il
1999, indicano che in Veneto, in quasi un ventennio, vi è stata una
contrazione complessiva della superficie produttiva di ben 22.138 ha, quasi
un quarto dell’intera superficie iniziale (tab. 1.1).
A prescindere dalle tendenze in atto, comuni peraltro a tutta la penisola, la
nostra regione continua a essere quella con la maggior estensione di vigneti
di tutto il settentrione, con una incidenza nel contesto nazionale di poco
meno del 10% (percentuale riferita al dato provvisorio di costituzione
dell’Inventario) ed è la terza regione viticola in assoluto dopo la Sicilia e la
Puglia.
La coltivazione di vitigni Vqprd nella Provincia di Treviso nel 1999 è
ancora limitata (tab. 1.2), sia rispetto alla superficie adibita a coltivazione
di vini da tavola, sia rispetto alla coltivazione delle stesse da parte delle
Province concorrenti (Verona). Le ultime notizie danno la produzione di
qualità in netta espansione: la vite per la produzione di vini DOC e DOCG,
infatti, segna un incremento del 5,9% in termini di aziende coltivatrici e del
16,2 % in termini di superficie investita, mentre arretra del 22,5% la
superficie investita nella produzione di altri vini, con una riduzione del
35,2% delle aziende coltivatrici (Istat, 2001).
Queste cifre rispettano in pieno gli obiettivi stabiliti a livello comunitario e
offrono un esempio di come la conversione dei vigneti sia una valida
alternativa alla dismissione.
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