2
dirette personali, che egli definiva collette, in due categorie : le personali e le 
patrimoniali
1
. 
Alle prime appartenevano le imposte capitarie in senso stretto cioè quelle che si 
imponevano personae tantum o meglio ancora nulla abita contemplatione 
patrimonio cioè senza prendere in considerazione il patrimonio del contribuente. 
Alle seconde appartenevano invece quelle che si applicavano persone pro 
rebus, cioè in relazione al loro patrimonio che egli definisce imposte per solidum 
et libram. 
Probabilmente l’imposta capitaria e l’imposta per solidum et libram non 
rappresentano due tipi di imposta ma sono espressioni di uno stesso fenomeno, 
seppure in fasi di evoluzioni diverse. 
Il focatico ad esempio, viene riscosso all’inizio dell’età comunale come 
un’imposta fissa ma già alla fine del secolo XII gli statuti di alcuni comuni toscani 
si proponevano, in perfetta consonanza con i nuovi sviluppi economici e politici, 
di coequare pauperem cum divite et divitem cum paupere. 
Nel corso del lavoro viene seguito lo sviluppo di questo principio e vengono 
approfonditi i criteri con cui veniva valutata la capacità contributiva del 
contribuente; dall’accertamento sommario e approssimativo dei bailitores datii a 
quello più concreto dell’estimo comunale e dell’apprezzo del Mezzogiorno fino 
ad arrivare ai metodi di stima più precisi ed elaborati dell’età moderna con i primi 
catasti. 
Nella seconda parte della tesi viene studiata la struttura dell’imposta capitaria 
con l’individuazione dei soggetti attivi e passivi d’imposta e tutte le numerose 
esenzioni che ne limitavano l’applicazione; e infine tutti i metodi di ripartizione e 
riscossione che in verità non erano propri esclusivamente delle imposte capitarie 
ma riguardavano tutte le imposte dirette in generale. 
Le imposte capitarie esistono, seppure con diversa denominazione e struttura, 
ancora oggi : un esempio è costituito dalle tasse di concessione che nel nostro 
ordinamento sono di ammontare fisso. 
                                                          
1
 BERLIRI, A. (1952) L’ordinamento tributario della prima metà del sec. XIV, Milano. 
 3
Qualcosa di simile era stata anche la famosa poll tax introdotta nel 1990 nella 
Gran Bretagna tatcheriana; si trattava di un'imposta pro capite uguale per tutti, e 
che quindi prescindeva dal reddito. 
Il testatico stesso figura tuttora nell’ordinamento italiano seppure ha perduto il 
carattere originario e ha assunto tutt’altra funzione; ridotto entro limiti molti 
ridotti, questa imposta di capitazione funge solo da correttivo alle esenzioni dei 
redditi minimi, chiamando a contribuzione diretta tutta la classe degli esenti dalle 
imposte sul reddito e quindi a un più largo senso di responsabilità delle spese 
pubbliche. 
 4
 CAPITOLO PRIMO 
L’IMPOSIZIONE CAPITARIA 
1. Il carattere autoritativo del prelievo tributario 
La tassazione capitaria nel Medioevo aveva un carattere assolutamente 
autoritativo e assai limitata era la partecipazione del contribuente alla 
determinazione del tributo. 
In generale l’iniziativa fiscale è stata esercitata per secoli dall’autorità, che 
interveniva in una posizione attiva e agiva direttamente in prima persona per 
procurare le risorse necessarie a soddisfare i bisogni generali della comunità; il 
prelievo tributario era sempre riconducibile a decisioni dell’autorità sulle spese 
generali da sostenere e sui modi per finanziarle. 
Il focatico e il testatico ad esempio, venivano pagati in quanto richiesti 
direttamente dall’autorità fiscale; quest’ultima procedeva in prima persona ad 
identificare i soggetti passivi, di solito mediante censimenti e numerazioni, a 
stabilire l’ammontare dell’imposta e a riscuoterne il gettito. 
Questa richiesta del tributo, in forma individuale a ciascun contribuente, dava 
luogo a un vero e proprio potere amministrativo; anzi si deve sottolineare che per 
lunghi secoli, il diritto tributario si confuse tra le varie funzioni dei pubblici 
poteri, e il prelievo si effettuava utilizzando gli schemi ordinari cui si ispirava 
l’azione amministrativa, senza significative peculiarità
1
.  
Quindi il diritto tributario già in età medievale assumeva una connotazione 
amministrativistica ed era materia di rilevanza politico-amministrativa e 
pubblicistica in quanto relativa all’organizzazione generale del gruppo piuttosto 
che agli accordi e alla collaborazione con i contribuenti
2
. 
                                                          
1
Negli ordinamenti antichi invece, le prestazioni tributarie avevano, una struttura privatistica, 
dovuta al fatto che il loro fondamento veniva individuato non in un principio contributivo, ma in 
un rapporto sinallagmatico, dato che le prestazioni finanziarie erano generalmente corrisposte dai 
possessori di terre per effetto del riconoscimento di un dominio eminente sul territorio nazionale, 
spettante, a seconda la particolare organizzazione costituzionale, al monarca o alla collettività dei 
consociati. D’AMATI, N. (1962) Natura e fondamento del tributum, tratto da Università di Bari, 
annali della Facoltà di Giurisprudenza, Bari. 
2
 Il fatto che il diritto tributario sia un branca del diritto amministrativo è un dato acquisito e non è 
mai stato messo in dubbio anche nella manualistica tributaria. Sulla derivazione del diritto 
 5
Comunque ciò non vuol dire che il prelievo fiscale avesse necessariamente una 
connotazione autoritaria, in termini di subordinazione dell’individuo all’autorità, 
di riduzione delle garanzie, di legittimazione di vessazioni e soprusi; 
l’applicazione dei tributi anche quando inserita in regimi democratici e garantisti, 
è sempre in un certo qual modo unilaterale, nel senso che l’autorità prende senza 
dure nulla in cambio. Poi ci potranno essere obblighi di trasparenza, motivazione 
ecc. fino a quello di fornire ai contribuenti documenti che potranno essere 
utilizzati contro l’amministrazione, in base al diritto di accesso. 
A fronte di tale centralità dell’autorità fiscale, era assai limitata la 
partecipazione del soggetto passivo alla determinazione del tributo; nelle 
applicazioni del focatico in età medievale addirittura il singolo privato aveva 
soltanto l’obbligo di restare nella propria casa di abitazione per facilitare il 
compimento delle numerazioni dei fuochi da parte degli ufficiali pubblici.  
Quando le imposte venivano commisurate alla capacità contributiva del 
contribuente era l’autorità fiscale che stimava la ricchezza di quest’ultimo in base 
ad indizi esteriori, calcolava il tributo e ne chiedeva il pagamento senza alcun suo 
intervento. 
Tali stime dell’autorità erano inoltre poco suscettibili di sindacato da parte del 
soggetto passivo, al quale veniva riconosciuta soltanto la possibilità di chiedere un 
riesame ad autorità politiche di grado superiore in caso di vessazioni, 
prevaricazioni e vistosi abusi di potere
3
. 
Una maggiore collaborazione venne richiesta con l’introduzione dell’estimo 
che si basava su l’obbligo del contribuente di dichiarare tutti i beni da egli 
posseduti e in generale tutti gli elementi apprezzabili in termini patrimoniali. 
                                                                                                                                                               
tributario da quello amministrativo RUSSO, P. (1999) Manuale di diritto tributario, Milano; 
FALSITTA, G. (1999) Manuale di diritto tributario, Padova; FANTOZZI, A. (2003) Corso di 
diritto tributario, Torino. Secondo TESAURO, F. (1998) Istituzioni di diritto tributario, Torino, il 
diritto tributario fa parte, secondo le tradizionali partizioni, del diritto finanziario, a sua volta 
rientrante nel diritto amministrativo. Ciò vuol dire che, per molto tempo la scienza giuridica ha 
potuto sopravvivere egregiamente facendo a meno del diritto tributario come disciplina autonoma, 
nello stesso modo in cui oggi sopravvive in mancanza di un diritto sanitario, di un diritto 
all’istruzione pubblica, di un diritto urbanistico, di un diritto dei beni culturali, di un diritto 
penitenziario e così via. 
3
 La questione della determinazione delle imposte era un fatto politico-amministrativo e non era 
previsto alcun controllo giurisdizionale; per molto tempo le questioni di stima restarono 
sindacabili solo presso commissioni tributarie dall’accentuato profilo di organi amministrativi di 
riesame. LUPI, R. (2005) Società, diritto e tributi. 
 6
Tuttavia a tale obbligo astratto di dichiarazione seguiva una determinazione 
dell’imposta demandata in prima istanza, nella prassi, all’autorità fiscale; 
quest’ultima non subentrava, come oggi, solo in sede di eventuale controllo di 
adempimenti affidati al contribuente. Prima di presentare una dichiarazione dei 
redditi il contribuente riceveva una scheda da parte dell’autorità fiscale, che 
quindi procedeva al controllo generalizzato, ed in caso di mancata dichiarazione 
procedeva d’ufficio all’attribuzione di un reddito. 
 7
 
2. Il carattere personale delle imposte capitarie. La 
differenza dal tributum soli 
Le imposte capitarie gravavano direttamente la persona in quanto tale e si 
differenziavano pertanto dalle imposte reali che colpivano esclusivamente il bene 
a prescindere dalla persona del proprietario. 
Un tipico onere di carattere reale era il cosiddetto tributum soli, che in età 
medievale consisteva in una prestazione annuale, commisurata normalmente alla 
produttività del fondo, che il possessore doveva al signore proprietario. Dal punto 
di vista economico questa imposizione assomigliava molto al canone d’affitto o 
meglio al canone di un’enfiteusi perpetua con la differenza che i poteri del 
possessore erano ancora più ampi di quelli dell’enfiteuta
4
. 
Dal punto di vista giuridico tra il tributum soli e l’imposta capitaria esiste una 
grande differenza : il tributo colpisce il fondo, l’imposta capitaria la persona.  
Tale differenza assumeva rilievo in quanto l’imposta capitaria, colpendo 
direttamente la persona, presupponeva un assoggettamento del debitore al 
creditore, mentre il tributum soli, colpendo la cosa, non implicava alcun rapporto 
di subordinazione tra il suo attuale possessore ed il creditore. L’imposta capitaria 
era dovuta perché un soggetto si trovava in uno stato di soggezione rispetto al 
signore o sovrano; il tributum soli invece era dovuto o in forza di un contratto o, 
almeno nei confronti di tutti i successivi proprietari, perché l’originario 
proprietario era in condizioni di inferiorità rispetto al signore. 
Ciò spiega perché gli stranieri e gli ecclesiastici, in quanti non soggetti ad 
alcuna autorità, non potevano essere gravati dalle imposte capitarie, mentre il 
tributum soli, come tutti gli oneri di carattere reale, doveva essere versato da 
chiunque, compresi gli ecclesiastici e gli stranieri. 
                                                          
4
 BERLIRI, A. (1952) L’ordinamento tributario della prima metà del sec. XIV, Milano. 
 8
 
3. Sinallagmaticità e consensualità nell’imposizione 
capitaria 
Le imposte capitarie venivano versate dai contribuenti per il solo fatto di 
esistere ed erano dovute come controprestazione per i servizi resi dall’autorità 
all’intera comunità; in genere il sovrano o il comune si impegnava a garantire la 
difesa dei confini territoriali mediante l’edificazione delle mura cittadine, 
l’armamento dell’esercito e la costruzione di opere pubbliche come ponti o vie 
stradali. 
Tuttavia lo scambio tra imposta e servizi pubblici non riguardava il singolo 
contribuente, ma la collettività nel suo complesso, senza correlazioni specifiche 
tra imposta pagata dal singolo e servizi pubblici ricevuti dallo stesso; in pratica 
nessun bene, servizio o altra specifica utilità veniva ricevuta da chi pagava il 
focatico o il testatico, per il solo fatto di pagarle. 
In alcuni casi tuttavia l’applicazione dell’imposta capitaria aveva carattere 
corrispettivo e sinallagmatico. 
Nel Regno di Napoli a partire dal 1443 ogni fuoco era tenuto a versare 10 
carlini al fisco; come corrispettivo di questa quota, il sovrano si impegnava a 
fornire gratuitamente un tomolo di sale per ogni famiglia. 
In questo caso non si trattava di un’imposizione coattiva prelevata 
esclusivamente in virtù del potere sovrano, ma di un’imposizione che assumeva il 
carattere di tassa, riscontrabile nell’impegno assunto dal sovrano di corrispondere 
un tomolo di sale ad ogni fuoco in cambio dei 10 carlini pattuiti
5
.  
Il focatico in questo caso era concepito come una tassa sul sale; che si 
presentava a prima vista come un’imposta indiretta poi in realtà funzionava come 
un’imposta diretta in quanto le unità focolari erano obbligate ad acquistare una 
determinata quantità di sale
6
. 
                                                          
5
 WAGNER, A. (1891) La scienza delle finanze, Vol. X, Torino. 
6
 Anche a Firenze all’inizio del XV secolo, le famiglie del contado erano obbligate ad acquistare, 
una quantità di sale proporzionata al numero dei loro membri e al loro patrimonio, così che la 
distribuzione del sale funzionava a tutti gli effetti come un’imposta diretta. HERLIHY D. – 
KLAPISCH ZUBER C. (1988) I toscani e le loro famiglie. Uno studio sul catasto fiorentino del 
1427, Bologna. 
 9
Tuttavia questo carattere di tassa, con valore corrispettivo, era destinato a 
cadere subito dopo, quando il parlamento del 1449 deliberando l’onere per ogni 
fuoco di versare altri 5 carlini da finalizzarsi nell’acquisto annuale ed obbligatorio 
di un tomolo di sale, svincolò il pagamento del focatico da qualsiasi aspetto 
compensativo e l’imposizione acquisisce carattere coattivo. 
Nel prelievo tributario delle imposta capitarie inoltre non c’era alcuna 
consensualità poiché l’applicazione dei tributi era sempre unilaterale.  
Il consenso prestato all’imposizione fiscale nel suo complesso era un consenso 
esclusivamente politico, espresso nella scelta degli organi di governo centrale e 
locale. 
L’autorità, poteva far ricorso ad un consenso formale dei contribuenti verso le 
spese da finanziare soltanto al fine di non generare malcontenti a causa di un 
prelievo fiscale troppo esoso.  
E’ questo il caso dei donativi del Mezzogiorno, che erano contribuzioni 
accordate dalle assemblee o dai parlamenti a sovrani e governanti in occasioni di 
spese eccezionali. 
Probabilmente erano tanti e vari i motivi che spingevano i parlamenti ad 
accettare un donativo: alcuni membri volevano rimanere ligi al sovrano, altri 
contavano di averne grazia e privilegi, altri speravano di lucrare forti somme con 
anticipi allo stato sul donativo stesso o con la riscossione di esso. 
Il consenso nel donativo era comunque necessario perché nel Regno di Napoli 
dell’età medievale si applicava il principio secondo il quale non potevano 
accrescersi oppure introdurre nuovi tributi fuori dai casi previsti dagli statuti, dai 
contratti e dalle usanze ordinarie senza il consenso dei soggetti passivi
7
. 
Quando venivano introdotte nuove imposte contro le prescrizioni della legge e 
senza il consenso di coloro che dovevano pagarle, queste venivano definite dal 
popolo, accatti, maletolte ed anche mal denaro. 
                                                          
7
 PERTILE, A. (1896) Storia del diritto italiano, Vol 2.2,  Torino. 
 10
 
4. Le imposte ordinarie e straordinarie. Le collette e i 
prestiti 
Le imposte di carattere personale potevano essere ordinarie o straordinarie. 
Il criterio di distinzione tra le due categorie non è sempre identico giacché a 
volte consiste nella fonte da cui nasce l’onere, altre volte nel contenuto o nelle 
modalità della prestazione
8
. 
In base al primo criterio sono da considerare ordinarie quelle imposte che 
venivano imposte per legge o per senatoconsulto oppure per editto del sovrano 
mentre tutte le altre sono da definire straordinarie. 
In base al secondo criterio invece sono ordinarie quelle imposte che stabilivano 
una certa e determinata prestazione, straordinarie quelle applicate saltuariamente. 
In realtà i due concetti finivano col coincidere perché quando le imposte 
venivano stabilite dalla legge o da un editto, necessariamente si trattava di 
prestazioni certe preordinate, mentre quelle che venivano stabilite saltuariamente 
non potevano consistere in prestazioni certe e preordinate. 
Tuttavia a volte, sebbene stabilite per legge o per editto, non si richiedevano 
prestazioni ordinarie, ma prestazioni straordinarie in relazione ad una necessità 
sopravvenuta. 
Probabilmente il criterio di distinzione più adatto è dato dalla causa per la 
quale l’imposta era applicata; se si trattava di far fronte ad una spesa ordinaria o di 
fornire allo stato un prelievo continuativo, l’imposta era ordinaria; se invece essa 
serviva a fronteggiare una spesa straordinaria, anche l’imposta era straordinaria. 
Tale distinzione è importante soprattutto per quanto riguarda le immunità e le 
esenzioni, poiché l’immunità semplice non comprendeva gli oneri ordinari e 
quindi se nell’atto in cui si concedeva un’esenzione non veniva chiaramente 
precisato che essa si estendeva anche a questi, il suo beneficiario restava soggetto 
alle imposte di carattere straordinario. 
Nell’Italia centrosettentrionale dell’epoca comunale, la notevole 
frammentazione dei territori in una miriade di reami, principati, ducati, comuni, 
                                                          
8
 BERLIRI, A. (1952) L’ordinamento tributario della prima metà del sec. XIV, Milano. 
 11
baronie aveva causato la creazione di altrettante piccole economie di proporzioni 
così ridotte che risulta difficile stabilire il carattere ordinario o straordinario di 
un’imposta. 
Le finanze del singolo signore o del piccolo comune erano talmente limitate 
che non gli permettevano nemmeno di ricoprire piccole spese di manutenzione o 
di riparazione e almeno in buona parte le spese impreviste. La ricostruzione di un 
ponte, la riparazione di un acquedotto, l’ampliamento delle mura cittadine 
costituivano altrettante spese straordinarie per le quali si doveva far ricorso ad 
imposte straordinarie chiamate collette. 
Il termine colletta deriva infatti dal latino collecta, participio del verbo 
collidere, che significa raccogliere ed evoca appunto la raccolta di contributi 
finalizzati a una specifica spesa pubblica. 
Si trattava spesso di imposizioni capitarie poiché almeno in età medievale 
erano quasi sempre distribuite per unità focolari o per teste senza tener conto della 
ricchezza di ciascun fuoco. 
I comuni dell’Italia centrosettentrionale, sebbene già a partire dalla metà del 
XIII secolo avessero raggiunto un ordinato e regolare assetto della finanza a 
carattere ordinario, con entrate stabili come il focatico annuale, fecero ricorso ad 
imposte di carattere straordinario almeno fino al Quattrocento, soprattutto in 
occasione di guerre, di grandi spese pubbliche da effettuare ed in particolare per 
trarre proventi da territori dipendenti come fece Venezia nei domini di Terraferma 
e Genova in Corsica
9
. 
Per le necessità straordinarie comunque il mezzo di gran lunga preferito nei 
comuni era il ricorso al credito, consentito dal consolidarsi del capitale mobiliare. 
Si trattava di prestiti, spesso garantiti da ipoteche su alcune entrate comunali, 
che i contribuenti erano tenuti a corrispondere all’erario in occasioni di grandi ed 
                                                          
9
 Lo storico Gioacchino Volpe ammette l’esistenza già nel XII secolo di un’imposta diretta 
ordinaria. Egli afferma infatti, che le finanze del comune di Pisa, poco dopo il 1150 poggiavano, 
sopra il tributo del contado, e in città, sopra l’imposta diretta sulle arti e sui beni mobili, secondo la 
stima che ne facevano cinque uomini per porta eletti dai consoli. In effetti il breve dei consoli 
pisani del 1162 conteneva numerose disposizioni per la compilazione di un estimo cittadino, la 
cosiddetta libra pisana, che costituisce il più antico fra gli estimi di cui abbiamo documentazione. 
Ma in realtà l’esistenza dell’estimo o libra non è prova sufficiente per affermare che esistesse nello 
stesso tempo un’imposta diretta ordinaria sulle proprietà. Anzi il breve del 1164 prevede 
l’istituzione di una colletta allo scopo di costruire i muri di Cinzica e dunque per coprire una spesa 
straordinaria. VOLPE, G. (1970) Studi sulle istituzioni comunali a Pisa, Firenze. 
 12
impreviste spese, in genere legate alle frequenti guerre. In tempo di pace 
l’amministrazione comunale riservava una larga parte delle proprie entrate al 
rimborso di questi capitali insieme agli interessi eventuali. 
La realizzazione di questo sistema avvenne inizialmente con i prestiti volontari, 
ad interesse vario secondo le condizioni del mercato, il cui pagamento era 
garantito da determinate entrate, di cui talvolta veniva ceduta l’esazione agli stessi 
creditori, oppure rimaneva affidata agli organi statali, vincolandoli però al 
pagamento degli interessi e quando possibile alla restituzione del capitale
10
. 
Questo sistema ebbe a Genova il suo maggiore sviluppo con le cosiddette 
compere ma anche a Firenze e a Venezia il debito pubblico si presenta nei primi 
tempi con forme simili. A partire dal Duecento però prevalse il sistema dei prestiti 
obbligatori:  a Firenze raggiunse una grande diffusione specialmente dopo il 1315 
con le cosiddette prestanze mentre a Venezia sostituì completamente l’imposta 
diretta, e diventò l’unica forma di debito pubblico, anche se si continuò a ricorrere 
ai mutui volontari specialmente per far fronte a esigenze urgenti
11
. 
La prima menzione di un prestito obbligatorio a Venezia risale addirittura al 
1171, quando fu decretato dal doge per allestire una potente flotta contro 
l’imperatore; fu imposto ai cittadini in proporzione dell’un per cento 
sull’ammontare netto delle loro proprietà, e il governo pagava il 4 per cento 
d’interesse in rate semestrali
12
. 
Man mano che i prestiti si accrescevano e si moltiplicavano, diveniva 
necessaria una consolidazione del sistema in modo che il debito pubblico potesse 
assumere forme regolari e permanenti.  
L’ammontare del prestito emesso veniva richiesto in quote di un certo valore 
nominale, che diventarono valori negoziabili sul mercato e soggetti, perciò a 
variazione di quotazioni. E’ appunto per l’esercizio di questi rapporti negoziali, 
che nacque a Genova nel 1407 la famosa banca di S. Giorgio, che resse le sorti 
delle pubbliche finanze genovesi per molto tempo
13
. 
                                                          
10
 LUZZATTO, G. (1958) Breve storia dell’Italia medievale, Torino. 
11
 PEZZOLO, L. (2003) Il fisco dei veneziani. Finanza pubblica ed economia tra XV e XVII 
secolo, Verona. 
12
 PRADELLI, (1888) Note sui prestiti pubblici dei veneziani, in Archivio Veneto, Venezia. 
13
 SIEVEKING, H. (1905) Studio sulle finanze genovesi nel Medioevo e in particolare sulla casa 
di S. Giorgio, Genova. 
 13
Il modello genovese venne ripreso successivamente a Firenze dove nel quinto 
decennio del XIV secolo venne introdotta un’importante riforma che accumulò i 
prestiti esistenti in un unico fondo, chiamato Monte Comune creando anch’esso 
una nuova forma di ricchezza mobile, rappresentata dal valore delle quote del 
Monte.  
I prestiti forzosi per il loro carattere obbligatorio e per il fatto che spesso si 
rivelavano a fondo perduto, si configuravano come vere e proprie imposte 
personali di carattere straordinario.  
Potevano però essere assimilati alle imposte per solidum et libram e non alle 
imposte capitarie vere e proprie poiché corrispondevano approssimativamente alle 
possibilità finanziarie dei cittadini
14
 e ognuno era obbligato in base alle proprie 
disponibilità; coloro che erano nullatenenti non dovevano pagar nulla. 
Negli stati feudali la finanza pubblica aveva avuto in epoca medievale uno 
sviluppo più limitato, e per lungo tempo venne conservato il vecchio metodo delle 
collette, in particolare dei donativi che erano contribuzioni straordinarie accordate 
dai parlamenti a favore del sovrano al verificarsi di eventi eccezionali.  
Il donativo veniva votato o determinandone la somma complessiva o ad un 
tanto a fuoco, ossia designando la quota da imporre ad ogni unità tassabile. In 
quest’ultimo caso veniva stabilito in via preliminare il modo di esigere di ciascun 
contribuente; nel primo caso veniva lasciata ad ogni unità territoriale, provincia e 
università, oltre al carico della riscossione, anche la scelta del modo in cui 
ricavare la quota che gli era stata assegnata. 
Nel Regno di Napoli le collette venivano richieste all’inizio del governo 
normanno dal re per ogni avvenimento che si verificava nella sua famiglia o nello 
Stato che richiedeva una spesa straordinaria: successione o incoronazione di re, 
matrimonio del sovrano, principi o principesse, nascita dell’erede al trono, per 
affrontare una guerra, per fortificare le mura, per costruire ponti o strade, per 
l’acquisto di una  nuova terra o provincia
15
. 
                                                          
14
 “…Ciascuno paga più e meno secondo la sua facoltà e chi è impotente non paga nulla, salvo che 
le gabelle ordinarie del vitto…”spiegava Gregorio Dati nel 1409 in Istoria di Firenze. 
15
 Guglielmo II, nell’intenzione di alleggerire il popolo dai carichi pubblici stabilì che le collette 
potevano essere disposte solo in quattro casi : per la difesa del Regno, per redimere dai nemici la 
persona del re nel caso fosse stato catturato, per la veste militare del re, dei suoi fratelli e figli e per 
 14
Anche lo Stato Pontificio, il cui territorio si divideva in terre mediate subiectae 
e immediate subiectae o feudali
16
, si servì a lungo di imposte di carattere 
straordinario ma per un fine ben determinato : le imposte ordinarie potevano 
colpire soltanto le terre immediate subiectae mentre quelle di carattere 
straordinario, proprio perché stabilite per far fronte a necessità urgenti, colpivano 
tutte le comunità pontificie, anche quelle feudali
17
.  
In virtù di ciò Clemente VII nel 1531 stabilì un’imposta straordinaria di un 
ducato d’oro per ogni focolare, chiamata focolino; successivamente Sisto V nel 
1587 introdusse il sussidio di uno scudo per ogni fuoco. 
 
4.1. Dalla colletta, come richiesta diretta dell’autorità 
politica alla fissazione per legge dell’obbligo tributario 
Dunque almeno inizialmente le necessità finanziarie collettive erano 
soddisfatte mediante richieste sporadiche dell’autorità, in funzione di specifiche 
spese a carattere straordinario. A questo livello, le autorità politiche potevano 
ordinare volta per volta ai membri del gruppo di collaborare al soddisfacimento di 
specifiche necessità pubbliche, in caso di guerre, opere pubbliche o carestie.  
Si trattava di prestazioni non prestabilite in via generale, accettate, più o meno 
a malincuore, dai membri del gruppo, che in definitiva potevano considerare 
questi ordini dell’autorità come una sorta di consuetudine di diritto pubblico.  
Man mano che le spese pubbliche diventavano stabili, e che la funzione di 
prelevare i tributi cominciava a distinguersi dal potere politico generale, si sentì il 
bisogno di regole prestabilite, in base alle quali conoscere in anticipo i propri 
doveri tributari. Qualsiasi organizzazione sociale complessa, anche se autoritaria, 
                                                                                                                                                               
il matrimonio delle sue figlie, nipoti e sorelle. E ne determinò il limite massimo per ciascun caso. 
RICCA SALERNO, G. (1960) Storia delle dottrine finanziarie in Italia, Padova. 
16
 Le terre immediate subiectae erano quelle dipendenti direttamente dalla S. Sede, le terre mediate 
subiectae erano quelle il cui governo era affidato a un signore feudale, laico o ecclesiastico. Tale 
distinzione nasceva in primo luogo dalla stessa impotenza del governo pontificio nei confronti 
delle signorie e dei feudi già esistenti; in secondo luogo da quella necessità di una più efficiente 
amministrazione della giustizia. Il pontefice, quale capo della Chiesa, non potendo esercitarla 
direttamente, decentrava tale funzione ai rettori provinciali per le terre dipendenti dalla Santa Sede 
e ai signori feudali per quelle infeudate. STUMPO, E. (1985) Il capitale finanziario a Roma nel 
Cinquecento e nel Seicento, Milano. 
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 CARAVALE, M. (1974) La finanza pontificia nel Cinquecento : le province del Lazio, 
Camerino.