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1. Introduzione
Secondo l’International Standard Organization (ISO, 1996), con il termine “suolo” si definisce
lo strato superiore della crosta terrestre, formato da particelle minerali, materia organica, acqua,
aria e organismi viventi. Se si escludono questi ultimi, il suolo costituisce, pertanto, l’interfaccia
tra la geosfera, di cui fa parte, l’atmosfera e l’idrosfera. Esso, inoltre, condiziona in maniera
significativa la biosfera, in particolar modo gli animali e i vegetali che in essa vivono e da essa
traggono sostentamento (Biagini et al., 2006).
Nel 1998, la FAO ha fornito una ulteriore definizione di suolo come corpo naturale continuo, le
cui tre maggiori caratteristiche sono:
1. L’organizzazione in strutture, specifiche per il mezzo pedologico. Queste strutture formano
l’aspetto morfologico del suolo, derivano dalla sua storia e determinano le sue proprietà e la sua
dinamica.
2. La composizione, formata da costituenti minerali e organici, che comprende fasi solide,
liquide e gassose.
3. La costante evoluzione, caratteristica che assegna al suolo la sua quarta dimensione: il tempo.
È un’entità vivente molto complessa, in grado di respirare, di assimilare elementi utili quali il
carbonio e l’azoto, di degradare e mineralizzare i composti organici, di accumulare sostanze di
riserva sotto forma di humus. Tutto questo è dovuto all’innumerevole quantità di organismi
micro e macroscopici che popolano il terreno e che intervengono attivamente con il loro
metabolismo sulla composizione dello stesso, trasformandolo e rigenerandolo (Nappi, 2000).
Il suolo, infatti, nasconde un numero straordinario di forme di vita in un’intricata rete di
interazioni che coinvolge un enorme quantità di biomassa vivente, oltre 3000 kg*ha
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in un suolo
agricolo (Bloem et al., 2003); basti pensare che nel suolo è rappresentato oltre il 95% della
biodiversità dell’intero pianeta. L’equilibrio che si instaura nell’ecosistema del suolo, dovuto alla
stabilizzazione delle interrelazioni funzionali tra i vari microrganismi, si riflette positivamente
sulle piante e, conseguentemente, sulla comunità animale sovrastante (Benedetti, 2010).
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Qualsiasi contaminazione del suolo, che inibisca o elimini i microrganismi in esso presenti o che
modifichi la quantità e la qualità della materia organica, può portare un danneggiamento a breve
o a lungo termine dell’intero ecosistema vegetazione-suolo (Pitea et al., 1998).
Il suolo è una risorsa non rinnovabile, in quanto la velocità di degradazione è potenzialmente
rapida, mentre i processi di formazione e rigenerazione sono estremamente lenti; esso soddisfa
molte funzioni vitali di importanza socio-economica e ambientale. Ha un ruolo come habitat e
pool genetico; funge da basamento per le attività antropiche, il paesaggio e il patrimonio storico
e fornisce molte materie prime. Pertanto, il suolo è sottoposto a molte pressioni essendo alla base
di una gamma di beni e servizi essenziali che garantiscono e regolano la vita sul pianeta
(Millennium Ecosystem Assessment, 2007).
La crescente consapevolezza dei problemi legati all’inquinamento dei suoli ha contribuito a
definire lo studio della pedofauna come una priorità nell’ambito dello sviluppo delle ricerche
relative alla valutazione della qualità del territorio (Biagini et al., 2006). Negli ultimi anni, è
andata sempre più aumentando l’esigenza di affiancare ai comuni metodi di indagine strumentale
(misurazione di parametri chimico-fisici) altre metodiche di tipo biologico, che misurano le
variazioni dei popolamenti viventi, considerando sempre che la diversità biotica, intesa come
prodotto delle interazioni fra evoluzione biologica e variazione dei parametri ambientali, non
dipende solo dagli inquinanti, come vedremo in seguito. Tale metodica va sotto il nome di
“Biomonitoraggio”, uno strumento in grado di valutare lo “stato di salute” di un ecosistema
tramite lo studio nel tempo di determinati organismi viventi “sensibili”, detti bioindicatori. Non
tutti gli organismi sono adatti a essere usati come bioindicatori. È necessario che possiedano
alcuni requisiti, il più importante dei quali è la capacità di reagire ai disturbi che agiscono
sull’ecosistema, come ad esempio l’inquinamento, con modificazioni misurabili di alcune
caratteristiche. Queste variazioni possono essere diverse: cambiamenti nella struttura delle
comunità, modificazioni della morfologia o della fisiologia degli individui, danni genetici.
Per bioindicatore si intende un organismo o una specifica comunità vivente “sensibile” che, in
presenza di una fonte di stress, quale un inquinante o una miscela di inquinanti, subisce
variazioni rilevabili dello stato naturale. Tali variazioni possono portare al cambiamento della
struttura della comunità o alla morte dell’organismo. Un organismo può quindi essere
considerato un buon bioindicatore qualora manifesti reazioni identificabili a differenti
concentrazioni di dati inquinanti (Jacomini et al., 2000).
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1.1 Obiettivo
Il presente lavoro è parte di uno studio più ampio che, attraverso un approccio multidimensionale
basato su un set di indicatori biotici (vegetazione e fauna del suolo) e indicatori abiotici
(parametri fisico-chimici del suolo), ha come obiettivo la valutazione delle interazioni tra le
comunità biotiche e di come queste comunità rispondono all’alterazione antropica, considerando
nello specifico otto siti di campionamento rappresentativi dei principali habitat della Tenuta
Presidenziale di Castelporziano. È stata quindi condotta una ricerca incentrata sullo studio delle
relazioni tra la vegetazione e un insieme di variabili ambientali in qualità di “bioindicatori” per
valutare la qualità ambientale. Differenti indicatori possono contribuire con importanza relativa
diversa alla definizione di un unico obiettivo di qualità; occorre in questo caso ponderare in
modo opportuno il peso dei singoli indicatori (Sequi et al., 2006).
La valutazione dello stato del suolo, attraverso la componente vitale, ha appunto lo scopo di
valutare se il tipo di uso passato o recente oppure le condizioni dell’intera area abbiano avuto, o
abbiano tuttora, influenze tali da compromettere la vita degli organismi. A questo scopo si è
arrivati alla ricerca dei bioindicatori (Biagini et al., 2006). Conservare la qualità del suolo è un
fattore cruciale per la tutela della biodiversità e la gestione sostenibile delle risorse rinnovabili.
Esiste quindi il bisogno di stabilire quali indicatori e indici siano in grado di valutare le proprietà
e di monitorare i cambiamenti della vita nel suolo. Scopo fondamentale delle attività di ricerca è
quello di selezionare dei bioindicatori in situ per un ampio intervallo di variazione dei fattori
ambientali e in grado di rispondere al deterioramento o al miglioramento della qualità degli
habitat dovuta a cambiamenti del clima e/o dell'uso del suolo (Hodkinson & Jackson, 2005).
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2. Importanza degli invertebrati del suolo
2.1 Il suolo
Il suolo è un ecosistema che si situa nell’interfaccia tra atmosfera, litosfera e biosfera dal quale la
vita terrestre attinge larga parte dei suoi fabbisogni e al quale, infine, restituisce i prodotti delle
sue biocenosi; nel suolo è rappresentato oltre il 97% della biodiversità terrestre (Benedetti,
2010). È una risorsa dinamica composta da particelle minerali, sostanza organica e numerose
specie di organismi che lo rendono un ecosistema estremamente complesso e tra i più ricchi della
biosfera. Vi si possono riconoscere fasi solide, che possono essere suddivise in minerali e
organiche, fasi liquide, formate dall’acqua che circola attraverso gli interstizi, e fasi gassose, che
derivano in parte dalle stesse che costituiscono l’atmosfera sovrastante e in parte sono il risultato
dei processi respiratori (aerobi e anaerobi) delle componenti biologiche edafiche.
È in questo habitat complesso che avvengono i processi pedogenetici e la componente abiotica e
quella abiotica, interagendo tra loro, regolano la degradazione e il riciclo della sostanza organica
e dei nutrienti. Tali processi sono funzione della natura e dell'intensità dei fattori che
condizionano la pedogenesi, come indicato nella formulazione:
S = f ( g, m, c, b ) t
I fattori sono la roccia madre o substrato (g), la morfologia (m), il clima (c), la componente
biotica (b) incluso l’uomo, e il tempo (t). Si tratta di fattori interni ed esterni al suolo, che
agiscono insieme nel tempo e nello spazio, ma con modalità e intensità assai variabili, dando
origine a suoli talora molto diversi tra loro, anche in zone relativamente limitate o
apparentemente omogenee dal punto di vista ambientale.
Per quanto riguarda le caratteristiche fisiche, si possono distinguere due importanti parametri:
tessitura e struttura (Angelini et al., 2002).
La tessitura è rappresentata dalla distribuzione percentuale delle particelle minerali a diversa
granulometria: sassi (< 2 cm), ghiaia (da 2 cm - 2 mm), sabbia grossolana (2 - 0,2 mm), sabbia
fine (0,2 - 0,05 mm), fanghi grossolani (0,05 - 0,02 mm), fanghi fini (0,02 - 0,002 mm), argilla
(< 0,002 mm). Essa è responsabile di molte proprietà fisiche, idrologiche (permeabilità, capacità
di ritenzione idrica) e chimiche (capacità di scambio cationico) dei suoli.
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La struttura risulta fortemente influenzata dalla tessitura e consiste nello sviluppo di
micro/macro aggregati a seguito delle interazioni fisiche e chimiche tra le componenti minerali e
la sostanza organica stabile costituita dall’humus. La struttura influenza importanti proprietà
fisiche dei suoli quali l’aerazione, la permeabilità e di conseguenza la ritenzione idrica totale di
un suolo, ovvero il volume complessivo di acqua che un suolo può trattenere in modo
temporaneo.
La struttura generalmente varia da orizzonte a orizzonte nello stesso profilo di suolo, a volte,
però, il suolo non presenta alcuna struttura. Si può trattare di suoli sciolti o incoerenti, cioè
costituiti da sabbie molto grosse, tenute insieme soltanto dalla tensione superficiale dell’acqua,
oppure si tratta di suoli troppo compatti, definiti a struttura massiva, caratterizzati da cementi
colloidali poco efficaci.
Le caratteristiche biologiche del suolo possono essere determinate da diversi fattori abiotici:
Temperatura: generalmente, a temperature più elevate le attività chimiche sono favorite,
esse invece vengono ridotte dal freddo e cessano quando l’acqua presente nel suolo è
gelata. Allo stesso modo, le attività biologiche sono incrementate dall’aumento della
temperatura e rallentate dalla sua diminuzione (Accordi et al., 1993). Le variazioni di
temperatura sono importanti nello studio della fauna del suolo, in quanto ne inducono una
migrazione verticale alla ricerca di una temperatura idonea alla loro sopravvivenza: a
causa della tendenza alla stabilità, man mano che si scende negli strati inferiori, queste
migrazioni non sono mai superiori ai 10-15 cm di suolo (Angelini et al., 2002).
Acqua nel suolo: L’acqua che si trova nel suolo occupa una parte dei suoi interstizi.
Quest’acqua non circola liberamente, ma viene trattenuta negli interstizi dalle forze
fisiche che sono tanto maggiori quanto gli spazi sono più piccoli. Distinguiamo quindi:
l’acqua di gravità, l’acqua capillare e l’acqua igroscopica.
Porosità: un suolo poroso risulta ben aerato e possiede microcanali attraverso i quali
possono circolare le sostanze, tale situazione lo rende un ambiente più favorevole allo
svolgimento dei processi biologici (Coineau, 1974).
Luce: la presenza di luce rappresenta un fattore inibitorio nei confronti degli organismi
edafici, e molti di loro tendono a fuggire dagli strati superficiali alla ricerca di spazi più
bui.