INTRODUZIONE
Dal punto di vista giuridico il Tribunale penale internazionale per la
ex-Iugoslavia (ICTY) rappresenta un avanzamento nel nuovo ordinamen-
to internazionale basato sul principio del rule of law, cioè sulla legalità e
sulla giustizia. Ripercorrere la storia del Tribunale dell’Aja porta, però, a
valutare questa esperienza in termini talvolta contraddittori.
All’inizio, la costituzione dell’ICTY è sembrata un sostituto ad un’azio-
ne più decisa ed efficace da parte della comunità internazionale. La scelta
di organizzare un Tribunale ad hoc sembrava collocarsi più su posizioni
di principio che sull’analisi concreta degli avvenimenti con cui l’ONU ha
affrontato il conflitto bosniaco.
Nel 1993 il Tribunale dell’Aja “era nato da una reazione di panico dei
cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza”
1
; ciò nonostante,
l’istituzione in sé si è emancipata, fino ad arrivare ad essere pienamente
operativa nel ’95-’96.
ICTY è diventato un attore politico presente sul campo e percepito
come tale soprattutto quando Karadzic e Mladic, con la loro incrimina-
zione all’Aja, sono stati resi interlocutori inaccettabili ai colloqui di pace,
mentre le truppe SFOR portavano a termine i primi arresti di accusati in
Bosnia.
Ma è soprattutto con la crisi del Kosovo che le azioni dell’ICTY sono
state proiettate sulla scena internazionale, intervenendo attivamente nel
corso degli eventi conflittuali. Non c’è più stato in seguito un momento
di ribalta politica e mediatica di tale rilevanza come quando nel maggio
’99, nel mezzo dei bombardamenti NATO, Milosevic fu accusato di crimini
contro l’umanità. Adesso che anche sul suo caso si sono spenti i riflettori,
il Tribunale continua più “silenziosamente” il suo lavoro.
Molte delle discussioni attorno al sistema internazionale di giustizia
si chiedono, però, se tali istituzioni raggiungano un grado apprezzabile di
giustizia effettiva. Le loro attività si svolgono lungo la linea di spartiacque
che divide sovranità nazionale e responsabilità internazionale, nella zona
grigia tra l’ambito giudiziario e quello politico
2
.
1 Lawrence Wesclher, “Il diritto internazionale umanitario. Una panoramica”, in Roy Gut-
man, e David Rieff, (a cura di), Crimini di guerra. Quello che tutti dovrebbero sapere, Contrasto- In-
ternazionale, 1999.
2 Carla Del Ponte, “La caccia – Io e i criminali di guerra”, Feltrinelli Editore Milano, aprile
2008, pag. 17
10 - Introduzione
Il compito di valutare nel complesso tali Tribunali e il loro specifico
impatto, è piuttosto difficile. Spesso i dibattiti pubblici sulla loro realizza-
zione sono stati guidati per assunti non testati e i cui contorni non sono
nettamente delineabili.
Considerandone “l’autorevolezza”, per merito del sistema delle Nazioni
Unite, la responsabilità di sviluppare una giustizia in modo condivisibile
e partecipato diviene elemento fondamentale per una reale pacificazione,
o quantomeno in termini di monito di altri conflitti futuri.
Il metodo di procedura adottato, il mandato, il lavoro svolto in collabo-
razione con gli interlocutori del sistema giustizia, con politici e diplomati-
ci, sia a livello nazionale sia internazionale, la produzione di condanne, la
costruzione della memoria e la punibilità sono tutti elementi fondamen-
tali per lo sviluppo nella società di una visione condivisibile del passato e
delle prospettive.
Le vicende balcaniche non si possono definire utilizzando i parametri
storici normalmente usati in occidente. Per comprenderle occorre allar-
gare e restringere il campo di “messa a fuoco”, come si farebbe in un foto
reportage.
Quali sono i suoi punti forza dell’ICTY e quali le sue mancanze? Qual
è l’impatto sui serbi? Quali sforzi di fare giustizia si sono visti in Serbia?
Che cosa è cambiato in seguito a questi sforzi?
Tentativo di questa tesi è di mettere in luce elementi ed analisi utili a
costruire una riflessione sull’impatto che il Tribunale dell’Aja ha avuto in
Serbia, considerando in particolare le vicende del 2008:
17 febbraio: la provincia serba del Kosovo dichiara unilateralmente
l’indipendenza sovrana;
11 maggio: nelle elezioni parlamentari in Serbia si raggiunge un so-
stanziale pareggio tra blocco europeista (con la coalizione “Per una
Serbia Europea” sostenuta dal presidente Tadic, al 39%) e conserva-
tore (con il SRS al 28% ed i DSS di Kostunica all’11%); dove il Partito
Socialista Serbo (SPS, partito che fu di Milosevic) con un inaspettato
8% giocava un ruolo di ago della bilancia;
8 luglio 2008: nomina del nuovo governo. Dopo due mesi di colloqui
con il presidente della Repubblica, assume la carica la coalizione degli
europeisti (tra cui DS, G17+) e SPS, con l’appoggio esterno dei liberali
di Cedomir Jovanovic. Il primo ministro designato è Mirko Cvetkovic,
già ministro delle finanze nel precedente governo Kostunica
3
;
$ O O D Q H G H O F D S L W R O R q G H G L F D W D X Q D V F K H G D V S H F L F D
11
21 luglio: arresto di Radovan Karadzic, accusato con 11 capi d’accusa
da ICTY, ricercato per 13 anni. Nella notte della sua estradizione per
l’Aja, a Belgrado viene organizzata una grande manifestazione di pro-
testa alla quale seguono scontri
4
.
Nello stesso anno la Serbia ha firmato gli Accordi di Stabilizzazione e
Associazione (SAA) per entrare nell’Unione Europea. Nel Paese aumenta
anche un consenso attorno al fronte antieuropeo, nazionalista e populista.
Ennio Remondino, nella rivista Limes, lo descrive come “Egoismo, neo-
isolazionismo, eccesso di incazzatura. Tutte queste cose assieme, proba-
bilmente, ma la Serbia è più che mai un paese spaccato a metà. L’Europa
come scommessa da non perdere è probabilmente l’opzione prevalente,
ma questa Europa così come si presenta piace davvero a pochi”
5
0 D Q L I H V W D ] L R Q H G H O O X J O L R G R F X P H Q W D W D Q H O ’ 9 ’ I R W R J U D F R D O O H J D W R D O O D W H V L
5 Ennio Remondino, “Rucki Bar”, in “Kosovo, non solo Balcani”, Limes n.2 2008, pag 168
13
CAPITOLO 1
Le relazioni tra Serbia
6
e ICTY
INTRODUZIONE
All’inizio della crisi balcanica, per volontà del Consiglio di Sicurezza
delle Nazioni Unite, fu istituita una Commissione di Esperti necessaria a
formare un gruppo d’inchiesta che indagasse scrupolosamente su quei
crimini che si stavano compiendo nel corso della disgregazione della Re-
pubblica Socialista Federale Iugoslava. La Commissione riferì nei suoi
rapporti che sia le sue potenzialità, sia le sue risorse non erano idonee a
fornire una soluzione alle pesanti prospettive dell’implosione balcanica.
Fu suggerito, piuttosto, l’istituzione di un Tribunale speciale internazio-
nale ad hoc per la ex Iugoslavia, ICTY, che supplisse alla mancanza di
ogni altro adeguato tipo di risposta alla guerra da parte della comunità
internazionale. Nonostante le ambizioni e le speranze, fu chiaro sin da
subito che anche tale istituzione partiva con delle importanti limitazioni,
che rischiavano di allontanare gli obiettivi affidati dall’ONU. Si affronte-
ranno più dettagliatamente tali questioni nei prossimi capitoli, per il mo-
mento basti sottolineare che i due fattori maggiori che hanno limitato lo
sviluppo dell’azione dell’ICTY sono rappresentati dalla scarsità dei fondi a
sua disposizione e da quello che l’ex procuratore dell’Aja, Carla Del Ponte,
definisce “muro di gomma”. Nel suo libro “La Caccia - Io e i criminali di
guerra”, descrive tra le sue battaglie quella con la politica e la diplomazia,
anche europea e statunitense: “In ogni area di conflitto, leader politici,
diplomatici, alti gradi militari, capi dell’intelligence ed esperti propongo
ragioni stringenti per aggirare l’opera delle istituzioni della giustizia inter-
nazionale. Ci sarà sempre qualche iniziativa che, sosterranno i diploma-
tici, deve avere la precedenza. Ci saranno sempre argomenti pragmatici
per giustificare la mancata cooperazione da parte di un paese o dei suoi
leader, e a volte il rifiuto esplicito a cooperare, con uno sforzo giudiziario
per mettere fine alla cultura dell’impunità. Spingere per la cooperazio-
ne con un Tribunale penale internazionale sembrerà sempre mettere a
6 STATUS DI SERBIA: 1817-1878 Principato autonomo; 1878-1882 Principato indipen-
dente; 1882-1918 Regno indipendente; 1918-1941 parte del Regno dei Serbi, dei Croati e degli
Sloveni, detto dal 1929 Regno di Jugoslavia; 1945-1992 Repubblica Federale socialista di Jugo-
slavia 6 ) 5 < 5 H S X E E O L F D ) H G H U D O H G L - X J R V O D Y L D ) 5 < Q H O U L G H Q L W D 8 Q L R Q H 6 W D W D O H
di Serbia e Montenegro; dal 5 giugno 2006, con l’indipendenza del Montenegro, la Repubblica di
6 H U E L D q W R U Q D W D G H V V H U H X Q R 6 W D W R L Q G L S H Q G H Q W H H V R Y U D Q R F R P HS U L P D G H O P DF R Q X Q D
riduzione considerevole del territorio.
14 - Capitolo 1
rischio un qualche programma di ricostruzione, un’elezione imminente,
un dibattito sulla nuova costituzione, qualche decisione cruciale in eco-
nomia o in politica estera. Ma gli sforzi di pacificazione e di formazione
di una nazione non produrranno mai la pace né costruiranno nazioni se
non includono, fin dal loro inizio, una componente di giustizia per per-
seguire i peggiori violatori della legge umanitaria internazionale di tutte
le parti, per porre fine alla cultura dell’impunità, per chiarire a tutti che
nessuno è al di sopra della legge. Costruire la pace senza la componente
della giustizia assicura in pratica un futuro conflitto. Consente ai diplo-
matici di negoziare accordi di pace il cui prezzo è lasciare al loro posto po-
tenti leader politici e militari che avveleneranno ulteriormente le relazioni
nella società. Questo è ciò che è quasi accaduto con Milosevic durante i
bombardamenti Nato del 1999. Questo è quasi accaduto, con l’appoggio
delle Nazioni Unite, in Kosovo. Questo è accaduto in Ruanda.
A mano a mano che il tempo passa e le armi diventano più letali e
meno costose, permettere all’impunità di averla vinta e consentire che gli
amari ricordi viventi di ingiustizie infettino intere società e interi gruppi
culturali e religiosi metterà a repentaglio il benessere praticamente di
ognuno, dovunque. Dobbiamo partire dal presupposto che non esista un
momento poco opportuno per cominciare ad accumulare prove e trova-
re testimoni, per presentare accuse, per eseguire arresti e, per quei casi
confermati, per emettere giudizi contro i perpetratori, di ogni parte di un
dato conflitto.”
7
Il lavoro dell’ICTY ha potuto comunque presentare reports soddisfa-
centi al Consiglio di Sicurezza, grazie soprattutto ai contributi volontari
di stati, di organizzazioni governative, e non (ONG), che sono intervenute
con aiuti finanziari, con risorse umane e collaborazioni operative.
GLI OBIETTIVI GENERALI DELL’ICTY IN SERBIA
L’impatto di ogni Tribunale internazionale è mediato da attori locali
che, in Serbia, sono stati di cruciale importanza. Sin dall’inizio i rapporti
tra il Tribunale dell’Aja e Belgrado non sono stati buoni, anzi complessi,
a volte contraddittori, non coerenti e, talvolta, ostili. Molti leader politi-
ci nel paese consideravano ICTY come uno strumento politico dei paesi
occidentali contro i serbi. In particolare il partito radicale e nazionalista
(SRS) e Slobodan Milosevic finanziarono una grande campagna mediatica
7 Carla Del Ponte, “La caccia – Io e i criminali di guerra”, Feltrinelli Editore Milano, aprile
2008, pag. 382
15
contro il Tribunale penale internazionale. Inoltre, a giustificare la resi-
stenza delle istituzioni e dei politici è la volontà di non contrastare quella
parte di elettorato contraria ai processi per crimini di guerra, magari per
indagati coinvolti nei partiti, tanto meno all’estero.
In contrasto con quegli attori che sono stati apertamente ostili o ambi-
valenti nei confronti dell’ICTY, una minoranza di cittadini serbi ha difeso
il ruolo del Tribunale internazionale e ha lavorato per esercitare pres-
sione affinché il governo incontrasse i suoi obblighi nei confronti della
Comunità Internazionale e del Tribunale all’Aja
8
.
In questo capitolo si espongono i principali atteggiamenti serbi rela-
zionati agli obiettivi dell’ICTY e alle sue modalità di raggiungerli. Vengono
focalizzati, inoltre, quali punti avrebbero costituito un impatto positivo
del Tribunale attraverso alcune riflessioni di persone già formate sui cri-
mini di guerra e sull’istituzione dell’Aja, riportandole dal libro di Diane F.
Orentlicher, “Shrinking the space for denial - The impact of the ICTY in
Serbia”:
Riportare la giustizia, perseguire i criminali di guerra nella regione, pro-
cessare, detenere, combattere l’impunità.
Uno degli scopi chiave del Tribunale è di assicurare alla giustizia gli
individui responsabili della violazione delle convenzioni basilari sui
diritti umani. I sostenitori dell’ICTY credono che senza di esso ciò non
sarebbe potuto accadere. Il senso del lavoro del Tribunale, quindi,
lancia il messaggio che la violazione del diritto umanitario interna-
zionale non può restare impunita. Alcuni enfatizzano che l’eventuale
mancata punizione di crimini così gravi possa avere un effetto cor-
rosivo sulla società. ICTY ha perlomeno avviato un procedimento di
revisione storica che argina la “cultura dell’impunità” della regione
balcanica.
Goran Sviglianovic, membro del Ministero degli Esteri serbo durante
il governo di Dindic e del consiglio di governo per il coordinamento con
l’ICTY, in un’intervista si esprimeva contrario ad un approccio tanto foca-
8 Un sondaggio all’opinione pubblica mostra che tra il 2004 e il 2006 il 15 % dei votanti ser-
E L F U H G H F K L O S D H V H G R Y U H E E H F R O O D E R U D U H F R Q , & 7 < S H U J D U D Q W L U H O D J L X V W L ] L D 1 H O q L O
Mentre un’altra ampia porzione ha sostenuto la collaborazione per ragione pragmatiche, piuttosto
che morali, per la paura di affrontare nuove sanzioni e la voglia d’integrazione con il resto della
Comunità Internazionale. Vedi “Organisation for Security and Cooperation in Europe, Belgrade,
Centre for Human Right and Strategic Marketing Reserch, Public Opinion in Serbia. “Views on
domestic war crimes giudicial authorities and the legal and the Hague Tribunal”, pg 29, dicembre
2006.
16 - Capitolo 1
lizzato del Tribunale su singoli individui così difficili da perseguire. Fon-
damentalmente credeva che il Tribunale internazionale non fosse l’unico
attore a poter giudicare alcune delle persone più ricercate; inoltre, pro-
cessarli all’Aja avrebbe impedito ai serbi di assumersi la responsabilità
di fare i conti con il passato e maturare la presa di coscienza attorno ai
fatti accaduti.
Funzione educativa:a) parte dei cittadini serbi sostiene che l’ICTY ha
permesso di conoscere i crimini compiuti in nome del Paese e che
la società ha l’obbligo morale di ammettere. La funzione educativa
consiste quindi nella possibilità offerta ai serbi di poter fare scelte
più informate e corrette, come cittadini, una volta resisi consape-
voli del proprio passato. Alcuni credono che ICTY abbia un ruolo
necessario in questo processo di crescita, ma nessuno è convinto
che il Tribunale possa da solo svolgere questo compito. Per il pro-
gresso educativo sui processi per crimini di guerra è stato necessa-
rio l’aiuto di alcune organizzazioni governative e non, e soprattutto
delle corti locali WCC, di cui a seguire si parlerà più approfondita-
mente.
Transizione democratica:b) pur non essendo un obiettivo diretto
dell’ICTY, attraverso il ruolo che esso riveste ne contribuisce allo
sviluppo. Humanitarian Law Center, una ONG di Belgrado, cre-
de che il sistema politico serbo possa “rinvigorire la sua cultura
democratica solo quando esso crei una memoria che ammetta la
sua colpa e che creda che la collaborazione con il Tribunale sia la
componente di questo processo”
9
. HLC nel 2006 dedicava un intero
rapporto alla mancanza di responsabilità per il riconoscimento del
passato da parte dell’intera elite politica.
In un sondaggio all’opinione pubblica nel 2006 il 29% del campio-
ne pensava che fosse importante affrontare la realtà ed accettare
le responsabilità condivise per i crimini di guerra, ma solo il 15%
credeva che la Serbia dovesse collaborare con l’ICTY per garantire
la giustizia.
Riconciliazione: c) Un numero interessante di sostenitori del Tribu-
nale crede che l’ICTY possa contribuire ad una riconciliazione a
lungo termine tra tutte le popolazioni e portare stabilità, anche se
9 Humanitarian Law Centre, “Transitional Justice Report: Serbia, Montenegro, Kosovo
1999-2005”, pag. 6
17
nel breve periodo può creare tensione nella fase di consolidamento
delle relazioni.
Si possono avere diverse storiografie riguardo i conflitti, ma una
volta che è emessa una sentenza legale è come se si fosse fissa-
to un certo livello di discussione. Per Andrej Nosov, attivista dei
diritti umani, la Serbia non avrebbe mai cercato di condannare i
vertici istituzionali del Paese. Sebbene l’attività di perseguimento
dei criminali non provvede direttamente a garantire la pace, che
attualmente è intesa più come assenza di conflitti, l’ICTY si è mosso
nel tentativo di frenare i conflitti. Ma la questione, per sua natura,
non può essere testata ora. Essa non offre una garanzia assoluta
contro nuovi fuochi: già nel XX secolo nella storia della Iugoslavia
non lo garantì Josip Broz “Tito” quando istituì dei tribunali di guer-
ra che dispensassero severe condanne per le atrocità commesse a
causa della distinzione dei gruppi etnici iugoslavi. I pochi processi
iniziati nel dopo guerra, risultarono negli anni controversi. Le re-
visioni storiche riproponevano che la reale ragione di tali tribunali
risiedesse nella volontà di perseguire gli oppositori politici. Nella
recente retorica i leader nazionalisti nella ex-Iugoslavia usarono
questo background per sfruttare la paura interetnica e fomentare
le violenze negli anni ’90.
Rimozione dei criminali dalla regioned) : questo obiettivo difficilmen-
te e parzialmente raggiunto, come molti interlocutori notano, ha
contribuito ad una transizione democratica della Serbia. Per quelli
che pensano che con Milosevic fosse al potere un’oligarchia mafio-
sa, la sua estradizione fu necessaria per portare il paese verso la
democratizzazione. Infatti, in molti credono che se Milosevic fosse
rimasto in Serbia, non avrebbe ricevuto un giusto processo e co-
munque avrebbe disorientato la sensibilità dei cittadini, probabil-
mente creando una grande confusione nel paese. Per molti egli rap-
presentava un eroe. Corrotto, ma pur sempre un mito.
Ma anche processare Milosevic all’ICTY rappresentava un rischio
non irrilevante perchè all’Aja venivano estradati solo i ranghi più
elevati per i casi più importanti, quindi, si temeva che la sua figura
potesse essere mitizzata.
e) Rafforzamento del “rule of law”: un altro degli obiettivi principali è
rappresentato dal miglioramento dello stato di diritto, che grazie al
18 - Capitolo 1
contributo del Tribunale ad hoc, per molti sostenitori ha rinforza-
to le capacità della giustizia locale. Questo è avvenuto grazie alle
riforme costituzionali che, tra l’altro, istituivano le corti speciali
locali per crimini di guerra e per il crimine organizzato (WCC), uni-
tà investigative speciali, etc. Inoltre la cooperazione con l’ICTY ha
richiesto lo svolgimento di seminari approfonditi, di trasferimento
di know-how e di molti altri strumenti del settore. Di questo si spe-
cifica meglio nel prossimo capitolo.
LE RELAZIONI INTERNAZIONALI E LA COOPERAZIONE
Le relazioni tra la Comunità Internazionale e la Repubblica di Serbia
dalla metà degli anni ‘90 sono state spesso vincolate alla cooperazione
con ICTY, spingendo Belgrado a dei periodi di parziale isolamento.
Le ragioni risiedono da una parte in un’inaccettabile atteggiamento
polemico e ambiguo della Serbia, che attraverso il suo nazionalismo è
stata incapace di raggiungere dei compromessi pragmatici per mettere
fine ai conflitti ed entrare nella Comunità Internazionale; dall’altra par-
te però, è difficile credere che la doppiezza e il fallimento della collabo-
razione della Serbia con l’ICTY rappresentano l’unico impedimento per
la piena accettazione del paese nella Comunità Internazionale. Anche le
relazioni che i paesi occidentali riservano a questo Stato inevitabilmente
modellano e complicano molte attitudini serbe nei confronti del Tribunale
e del suo lavoro.
Ennio Remondino suggerisce la complessità del proposito: “È l’eterno
problema dei diversi modi possibili di lettura di un fatto, in genere legati
alla posizione da cui guardi le possibili facce della luna. La confusione
oggettivamente appare molta, anche nominale”
10
. Iniziamo con “lo spa-
gnolo Javier Solana, per esempio, rappresentante della politica estera
dell’Unione europea. Solana, letto da Roma, è l’affabile mediatore delle
divisioni europee capace di venderle come meditate e autorevoli posizio-
ni unitarie. Come nel caso Kosovo. Lo stesso Solana, letto da Belgrado,
è l’ex segretario generale della Nato che il 24 marzo 1999 diede l’ordine
d’attacco ai cacciabombardieri. In diplomazia tale dualità potrebbe essere
definita un’imbarazzante coincidenza.
[…] Il supermediatore Onu Martti Ahtisaari sulla questione Kosovo.
L’ex premier finlandese è lo stesso personaggio che garantì, con la sua
10 Ennio Remondino, “Rucki Bar”, in “Kosovo, non solo Balcani”, Limes n.2 2008, pag 165
19
firma autorevole, il-cessate-il-fuoco di Kumanovo. Il Kosovo come provin-
cia autonoma della Serbia sovrana, garantì Ahtissari allora, salvo tornare
otto anni dopo a dire, «scusate, c’eravamo sbagliati».
[…] Non possiamo neppure dimenticare l’attuale ministro degli af-
fari esteri francese Kouchner, ex medico d’avventura di Médicins sans
frontières, ex ministro socialista con Mitterand e ora nuovo campione
della destra dirigista di Sarkozy. Kouchner qui a Belgrado è soprattutto
il primo «governatore» Onu in Kosovo, l’uomo che non seppe (o non die-
de l’ordine di) fermare la contropulizia etnica albanese nei confronti dei
serbi avvenuta sotto lo sguardo distratto di 50 mila militari Nato in divisa
da liberatori.
[…] Se passi dalle persone alle parole, la confusione diventa addirittu-
ra inestricabile. Quella del Kosovo di Pristina si deve chiamare indipen-
denza o secessione? Sempre la solita storia dei punti di vista. In Kosovo,
negli ultimi dieci anni ho visto stravolgersi anche il vocabolario” .
Ciò che interessa maggiormente in questo capitolo è di illustrare come
le relazioni tra la Serbia ed l’ICTY abbiano sortito effetti nel contesto della
Comunità Internazionale.
I processi all’ICTY vedono serbi il 67,7% degli imputati, di cui solo il
13% cittadini della Serbia. Al maggio 2008, 44 dei 66 condannati sono
etnicamente serbi
11
. Tutti, tranne uno, hanno a carico accuse relazionate
ai crimini commessi in Bosnia-Herzegovina, Croazia, Macedonia e Koso-
vo.
12
Con il processo a Slobodan Milosevic, iniziato dal procuratore ICTY
Louise Arbour, si cerca di dimostrare un’ampia struttura di supporto che
Belgrado dava alle forze serbe nel compiere crimini nella regione balcani-
ca, richiamandone la responsabilità politica del paese.
Da una parte il punto di vista dei cittadini serbi che supportano il Tri-
bunale ad hoc per la ex-Iugoslavia è che il trasferimento all’Aja di indagati
per crimini di guerra ha avuto un ampio effetto salutare, tra cui quello di
rimuovere personaggi dannosi dalla scena politica serba e di riaffermare
quei principi morali deformati sotto il governo Milosevic. Dall’altra, inve-
ce, altri sostengono che le incessanti richieste di cooperazione dei paesi
occidentali con l’ICTY abbia avuto, per un certo periodo, l’effetto contro-
11 Diane F. Orentlicher, “Shrinking the space for denial - The impact of ICTY in Serbia”, ATC
Belgrade – Open Society Justice Initiative, maggio 2008 pag.33
12 ( F F H ] L R Q H S H U 9 R M L V O D Y 6 V H O M I R Q G D W R U H H G H [ O H D G H U G H O 3 D U W L W R 5 D G L F D O H V H U E R F Kq
stato accusato di crimini commessi oltre che in Croazia e Bosnia-Herzegovina, anche nella regio-
Q H V H U E D G L 9 R M Y R G L Q D , O S U R F H V V R q L Q L ] L D W R L O Q R Y H P E U H H G q V J X L W R F R Q J U D Q G H D X G L H Q F H
sulle televisioni serbe .
20 - Capitolo 1
producente di rafforzare le argomentazioni ultranazionalistiche. Diversi
cittadini serbi, come si vedrà più avanti, imputano ai leader politici di ali-
mentare radicali sentimenti anti-Aja nella speranza di assicurasi dei voti
e, più in generale, di mantenere il paese in una battaglia improduttiva
contro la Comunità Internazionale.
Nella Serbia post-Milosevic, la discussione intorno al significato
dell’ICTY, è una questione che nuovamente modella le relazioni, nell’am-
pio processo di democratizzazione del paese. Questo non suggerisce che
tra gli obiettivi diretti dell’ICTY ci sia quello di promuovere la democrazia,
eccetto nel senso più ampio di promozione del “rule of law”, che costi-
tuisce la pietra angolare nella governance democratica. Ma nel partico-
lare contesto della Serbia è importante capire come e quali effetti abbia
stimolato ICTY e, in particolare, come essi interagiscono da una parte
con i relativamente potenti settori nazionalisti, e dall’altra coi settori pro-
riformisti serbi.