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CAPITOLO 1
I.1 Premessa
Il nostro paese, in linea con quanto sta avvenendo in molti paesi europei ed
extraeuropei, è interessato da profondi cambiamenti che possiamo definire di natura
storica, economica e sociale e che hanno riguardato qualsiasi settore applicativo e
scientifico.
Le origini di queste realtà sociali ed ambientali risalgono al secondo dopoguerra e sono
da ricollegare alle trasformazioni avvenute dopo la fine del conflitto. Una valutazione
distinta di tutti quei processi che si sono verificati negli ultimi 60 anni, e della loro
ripercussione nella società, non è prevista in questo lavoro nØ risulterebbe semplice dato
che i fenomeni interessati sono strettamente connessi tra loro e inoltre competenza
anche di altre discipline.
Si ritiene però opportuno fare delle osservazioni generali che si prestano a capire, in
dettaglio, cosa è avvenuto nel settore forestale – ambito di nostro specifico interesse.
I.2 Lo sviluppo economico
La spinta motrice del cambiamento è da ricercare nel boom economico avvenuto
nel secondo dopoguerra, in conseguenza del quale si è assistito a uno sviluppo
demografico senza precedenti negli ultimi decenni (vedi Figura 1 ). Gli effetti di tali nuovi
processi operativi sulla società furono profondi e notevoli; la struttura economica del
paese ne fu modificata, indirizzandosi sempre piø dal settore primario a quello industriale
e commerciale. In conseguenza di ciò l’Italia, da paese fortemente agricolo e rurale,
diventò in poco tempo una realtà industriale (vedi Tabella 1).
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Figura 1 - Evoluzione della popolazione in Italia
Le attrattive offerte dalla città, e la marginalità rappresentata dalla montagna,
modificarono definitivamente il rapporto tra città e mondo agroforestale, e di
conseguenza si è verificato l’abbandono delle zone di collina e di montagna: si stima che
l’ entità dello spopolamento nell’ Appennino settentrionale delle aree collinari e montane
sia stato del 26,1%; 20,2% nell’Appennino centrale; del 12,4% nell’ Appennino
meridionale (Apollonio 1996).
Inutilmente la legge 991/52, meglio nota come “prima legge della montagna”, cercò di
contrastare il costante abbandono delle zone piø povere delle Alpi e dell’Appennino;
boscaioli e pastori diventarono sempre piø rari in seguito all’esodo rurale. Negli anni ’60
cominciarono gradualmente a cessare i lavori nel bosco, e vi era quasi la certezza che il
ceduo non sarebbe mai piø stato utilizzato (Bernetti, 1998).
Tabella 1 - Evoluzione occupazionale tra agricoltur a, industria ed altro. Fonte: Istat.
1901 1911 1921 1931 1951 1961 1971 1981 1999
Agricoltura 61,7 58,4 55,7 51,7 42,2 29 17,2 11,1 5,5
Industria 22,3 23,7 28,4 26,3 32,1 40,4 44,4 39,5 36,2
Altro 16 17,9 19,5 22 25,7 30,6 38,4 49,4 61,9
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Tabella 2 - Evoluzione Superfici agricole in Italia . Fonte: Istat.
SAU
AZIENDE
SAU
TOTALE
FORESTE
1961 4293924 21723498 5745490
1970 3607262 17491455 6054230
1982 3269170 15842541 6362970
1990 3023344 15045898 6750094
2000 2594825
13.206.297
6853976
Parallelamente, lo sviluppo tecnologico avvenuto a partire dagli anni ’60 ha apportato
ulteriori, significativi cambiamenti, primo tra tutti la scoperta e l’utilizzo dei combustibili
fossili.
Spopolamento della montagna e minor bisogno di legna si tradussero nell’abbandono
colturale che interessò tutto il paese e provocò notevoli modificazioni nella struttura e
nella composizione del paesaggio, come verrà in seguito analizzato.
Contemporaneamente al progresso economico e alla crescente marginalità delle risorse
forestali per la vita delle popolazioni, cambiava anche la percezione sociale
dell’ambiente, sempre piø oggetto di considerazione per ruoli diversi rispetto a quelli
produttivi. Ciò ha trovato conferma nell’evoluzione degli ultimi decenni del XX secolo, che
ha portato alla diffusione dei movimenti ambientalisti ed ecologisti e ha dato luogo ad una
crescente attenzione nei confronti della conservazione della natura. Senza entrare nel
merito di questi aspetti si ritiene però opportuno sottolineare come, a partire dai primi anni
’70, si cominci a parlare di “sviluppo sostenibile”, concetto alla base delle odierne
politiche ambientali. Questo termine fu coniato durante la Conferenza di Rio del 1992,
insieme a quello di “conservazione della biodiversità”, principio da cui discendono la
direttiva Habitat 92/43, recepita in Italia dalla legge 157/92 e della cui importanza
parleremo in seguito, e la direttiva Uccelli 79/409. Entrambe le direttive costituiscono oggi
la base della rete di aree protette nota come “Natura 2000”.
A questa sensibilità verso l’ ambiente ha fatto seguito l’insorgere di nuovi scenari: è ad
esempio in questo periodo che vengono istituite le aree protette, con tutte le opportunità
e le limitazioni ad esse collegate. L’istituzione delle aree protette in Italia infatti è stata
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storicamente determinata da opportunità di vario genere piø che da vere e proprie scelte
di conservazione. Non è un caso quindi che le aree protette italiane abbiano interessato
in prevalenza territori montani, le cui condizioni orografiche e climatiche li rendevano di
scarso interesse per l’uomo (Petretti 2003).
Queste condizioni hanno influito anche sulla diversificazione delle popolazioni animali.
Infatti l’abbandono delle montagne e delle zone rurali, della gestione del bosco,
dell’agricoltura e dell’allevamento (vedi Tabella 3), e l’incremento delle aree sotto
protezione, hanno avuto un effetto profondo su molti territori. Nel caso della fauna
l’assenza di predatori naturali e il divieto di esercitare la caccia, e talora la presenza di
barriere che hanno impedito alla fauna selvatica di espandersi omogeneamente nei
territori contigui (Bruno e Lovari, 1995), hanno determinato naturali impatti. Tale
cambiamento inoltre è stato favorito dalla scelta di introduzioni e reintroduzioni che in
certi territori sono avvenute senza lungimiranza.
Tabella 3 - Evoluzione della superficie a Prato e P ascolo permanente in territori di collina e di mont agna. Fonte:
Istat. Da Genghini, modificato.
1961
(000
ha)
2000
(000
ha)
Var %
superfici
Superficie a Prato e
Pascolo permanente
6161 3138 -49,1
Ma su tutto è da rimarcare il fatto che in pochi anni è stato superato un sistema di vita
che si era affermato nel corso di diversi secoli ed aveva prodotto notevoli ripercussioni
anche sul mondo forestale e sulle numerose attività legate all’ economia montana
(Memoli, 2003).
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I.3 Qualcosa e’ andato storto?
Le conseguenze nell’ambiente sono state notevoli; al cambiamento della
composizione del bosco dovuta direttamente o indirettamente all’uomo si sono aggiunte
le dinamiche operate dalla natura.
In seguito all’abbandono di molte aree, le superfici forestali hanno conquistato ovunque
una maggior estensione, a scapito dei coltivi e dei pascoli. La Figura 2 , evidenzia come
negli ultimi cinque decenni ci sia stato un trend continuo nell’ incremento di superfici
riconquistate dal bosco. Tra le altre cause che hanno favorito questo fenomeno,
possiamo citare le trasformazioni avvenute con la legge 950 del 1952, conosciuta come
“legge Fanfani” che portò al rimboschimento di 800.000 ettari del territorio nazionale.
Figura 2 - Andamento superfici agricole, forestali in Italia. Fonte: Istat & Inventari Forestali Nazio nali.
Oltre all’aumento dell’ estensione, si è registrato un cambiamento nella tipologia dei
boschi, conseguenza del minor utilizzo e della marginalità di tale risorsa. Le maggiori
trasformazioni hanno interessato il ceduo, il cui prodotto principale, il combustibile
legnoso, è stato soppiantato da nuove fonti energetiche. Venendo meno l’interesse
economico per tale forma di governo, ne è conseguito in parte la cessazione degli
interventi, che ha lasciato molti boschi all’evoluzione naturale. Nel contempo
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l’allungamento dei turni o l’ avviamento ad alto fusto hanno determinato una diminuzione
del prelievo e favorito una maggior complessità strutturale di tali boschi. Questi fenomeni
hanno contribuito ad un aumento della provvigione in termini di biomassa ad ettaro, alla
quale si è anche accompagnato un incremento della produttività, legata sia al minor
disturbo da parte dell’ uomo sia ai cambiamenti climatici globali (crescente presenza di
azoto, e innalzamento della temperatura). L’aumento della provvigione dei sistemi
forestali è testimoniata inoltre dai recenti dati dell’ Inventario nazionale delle foreste e dei
serbatoi forestali di carbonio (INFC 2003).
Contemporaneamente alle modificazioni della struttura e composizione del bosco, anche
la componente animale ha subito una trasformazione importante. Fino agli anni ’50 del
secolo scorso la macrofauna selvatica, in particolare quella dell’Appennino centro –
settentrionale, appariva in forte contrazione a causa della competizione con l’uomo che,
utilizzando completamente le risorse del bosco, ne aveva limitato le disponibilità
alimentari e spaziali (Memoli, 2003).
L’evoluzione delle tecniche di conduzione agricola e forestale, l’abbandono e il
conseguente aumento di superficie forestale, l’istituzione di aree protette con divieto di
caccia, la scomparsa o la drastica riduzione di predatori naturali, nonchØ la pressochØ
scomparsa competizione col bestiame domestico (confronta Tabella 4) hanno
determinato l’aumento di recettività potenziale dell’ambiente, in particolare per gli ungulati
selvatici. A questo va aggiunto il diverso trattamento dei cedui, habitat preferenziale del
capriolo, che rappresenta tuttora la forma di governo piø diffusa, in particolare negli
ambienti appenninici.
Tabella 4 - Evoluzione patrimonio zootecnico (migli aia di capi). Fonte: Istat, da Genghini, modificato .
Bovini Suini Ovini Caprini
1960 9827 4335 8231 1381
1970 87 21 8980 7948 1019
1980 8734 8928 9277 1009
1990 8140 8837 10848 1298
2000 6050 8614 6809 923
2005 6256 9200 7954 945
Var % - 36,3 112,2 - 3,4 - 31,6
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Conseguenza di tutto ciò è che negli ultimi 30 anni la popolazione di capriolo e di daino è
triplicata nel nostro paese, sestuplicata nel caso del cervo, e addirittura ha superato le
350000 unità nel caso del cinghiale (Figura 3).
Figura 3 - Consistenze ungulati e variazioni 1980 - 2004. Fonte: M. Apollonio, 2004.
L’esplosione demografica degli ungulati ha naturalmente aumentato gli impatti di tali
specie sulla vegetazione; tuttavia, poichØ tale incremento non è avvenuto in linea con gli
equilibri naturali, esso ha generato degli squilibri tra fauna e risorse naturali. L’elevata
competizione ha spinto tali specie a diffondersi in nuovi territori alla ricerca di cibo. A
partire dagli anni ’60 – ‘70 gli impatti della fauna si sono così estesi alle aree non protette
in boschi pubblici e a gestione privata, arrivando infine a interessare i coltivi. Interferendo
con le attività produttive, gli impatti della fauna si sono tradotti in un danno per l’uomo e
hanno generato situazioni di conflittualità, che hanno contrapposto i proprietari privati da
un lato, beneficiari degli indennizzi, e le amministrazioni pubbliche dall’ altro, aventi
l’onere del risarcimento, dato che la fauna selvatica è considerata res communitatis.
Piø in generale il “danno” provocato dalla fauna selvatica ha reso necessario riflettere su
alcuni aspetti . Innanzitutto, da un punto di vista teorico, esso si riferisce ad un concetto
antropocentrico. Non a caso abbiamo finora parlato di “impatto” fauna sul bosco. Tale
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impatto può essere neutro, positivo e generare quindi un beneficio, o negativo e arrecare
appunto un danno in riferimento ad un soggetto. E’ logico concludere, seguendo tale
ragionamento, che per poter parlare di danno è necessario comparare una situazione
attuale con un obiettivo concreto, una condizione ideale. Ad esempio quando
consideriamo l’ impatto degli ungulati possiamo riferirci al calpestamento, alla brucatura o
alla scortecciatura, mentre la definizione di danno comprende tutta una serie di concetti
come riduzione dell’ incremento, aspetti economici, stabilità ecologica, sostenibilità ecc.
E’ chiaro che non esiste una singola valutazione, ma piø valutazioni che possono
risultare tra loro in conflitto, basti pensare alla diversa concezione di danno che può
avere un proprietario privato da un ente pubblico, da un forestale o da un turista. La
soggettività è quindi una caratteristica da non sottovalutare in queste situazioni, perchØ è
l’elemento che piø di tutti può alterare la veridicità di una valutazione. Un’altra
problematica insita nella valutazione del danno compiuto dalla fauna al bosco è dovuta al
fatto che piø una stima è condotta in un arco di tempo ristretto, piø essa è falsata, perchØ
non tiene conto dei meccanismi di risposta attivati dalle piante, che hanno tempi spesso
molto lunghi. Questo è un elemento peraltro distintamente percepibile a seconda che si
analizzi l’ impatto su singole piante o su gruppi di rinnovazione: meccanismi individuali di
risposta sono diversi infatti dai meccanismi complessivi del bosco. Ovviamente è molto
differente valutare il danno compiuto dalla fauna alle colture agricole, dove questo
normalmente si manifesta in un anno ed è perciò facilmente determinabile.
E’ importante inoltre considerare gli aspetti selvicolturali perchØ essi sono diversi da
bosco a bosco così come da regione a regione. Queste differenze si traducono in diversi
trattamenti colturali che si ripercuotono sul rapporto fauna – bosco, come per esempio
nella maggiore o minore predisposizione della vegetazione al danno, oltre che nelle
definizione dello stesso in rapporto agli obiettivi gestionali. Ad esempio il concetto di
danno cambia se si considerano le conifere, che in generale presentano una maggior
difficoltà di ripresa in seguito alla brucatura, dalle latifoglie, o ancora si comprende che
l’impatto è diversificato se si considerano semenzali derivati da rinnovazione naturale o
artificiale.
Alcuni autori riportano altresì (Mitchell & Kirby, 1990) che livelli medi di brucatura
producono la massima diversità strutturale.