2
factors (i fattori di attrazione) potessero assurgere a causa scatenante i movimenti
migratori Sud-Nord. Con la prima crisi petrolifera (1973) e la conseguente
"chiusura" delle frontiere, si palesa un parziale cambiamento di rotta, sia in merito
alla destinazione dei flussi che agli elementi causali degli stessi: per un verso,
cambia lo status migratorio di nazioni come Italia, Spagna, Portogallo e Grecia,
che, da paesi d'emigrazione (sending countries), diventano progressivamente paesi
d'immigrazione (receiving countries); per l'altro, la mera ottica economica
1
non è
più sufficiente a spiegare il fenomeno in modo esaustivo [Venturini 1991; Frey,
1991], il quale, viceversa, appare sempre più come il risultato dell'effetto
cumulativo di diverse componenti, attinenti anche agli squilibri demografici,
sociali, politici, e non ultimi, ambientali
2
, dei paesi d'origine e di destinazione
[Natale-Strozza, 1997].
Dal secondo punto di vista, nonostante gli sforzi effettuati con il varo del
SISTAN nel 1989 [Giusti, 1994] o le modifiche introdotte dall'ISTAT in merito
alla serie dei permessi di soggiorno e al modello di registrazione degli stranieri
residenti [ISTAT, 1998], la difformità dei collettivi di riferimento ed il fine
precipuo che ogni rilevazione si propone (specialmente se si tratta di statistiche
amministrative) possono a volte risultare dannose allo scopo di una visione
integrale ed integrata del fenomeno.
Il lavoro svolto riguarda in particolare un ambito territoriale ben preciso: il
Veneto. Si tratta di un'area caratterizzata da una forte propensione
all'investimento, che va a realizzarsi in una fitta rete di piccole e medie imprese,
sparse un po' ovunque sul territorio (il cd. "modello diffuso"). In tale ambito, a
partire dai primi anni '90, l'immigrazione straniera assume progressivamente un
ruolo sempre più importante nei processi produttivi locali, circostanza che fa del
1
Collegata ai fattori di spinta demografici nella teoria della cd. pressione demografica
differenziale.
3
Veneto, dal 1993 in poi ininterrottamente, la terza regione italiana per presenza di
stranieri regolari. Al fine di valutare al meglio la consistenza numerica di
quest'ultima, nonché le potenzialità espresse in termini occupazionali dai mercati
del lavoro, ci proponiamo, attraverso un percorso di approssimazioni successive,
in primo luogo di immettere la realtà di una delle regioni economicamente più
dinamiche della penisola (forse la più dinamica) nel quadro più ampio del
contesto nazionale, cercando, successivamente, di definirne i tratti essenziali alla
luce delle specificità locali [Bisogno-Gatto-Neri, 1993; Gambuzza-Occari, 1994;
Agenzia per l'impiego del Veneto, COSES, 1998].
Tali aspetti verranno indagati sotto l'ottica della distribuzione territoriale e
delle caratteristiche dei collettivi di riferimento. In termini quantitativi (ma non
solo) le informazioni che ci interessano saranno desunte, per una parte, dalle fonti
ufficiali: permessi di soggiorno, dati anagrafici, autorizzazioni al lavoro concesse
a cittadini extracomunitari ancora all'estero, avviamenti al lavoro ed iscrizioni al
collocamento di cittadini extracomunitari, dati INPS; per un'altra parte, dai dati
d'inchiesta. In quest'ultimo caso, il riferimento è un'indagine effettuata nelle
province di Treviso, Verona e Vicenza tra giugno e settembre del 1998,
riguardante un insieme di 347 individui, di cui 168 marocchini e 179 ex-jugoslavi.
Per quanto detto, dal punto di vista organizzativo, giova dunque
all'esposizione suddividere il lavoro svolto in due parti, l'una, riguardante i dati
ufficiali, appunto, e l'altra, quelli d'inchiesta.
Nella prima (composta da 4 capitoli), si affronteranno, in successione, i temi
della genesi e caratteristiche della situazione italiana nell'ambito dei movimenti
migratori internazionali, della presenza regolare in Italia e nel Veneto e dei
connessi problemi di misura (cap. 1), degli aspetti economici dei movimenti
migratori (cap. 2), dei Sistemi Locali del Lavoro, dei dati nazionali del Ministero
2
Ci si riferisce ai cd. ecoprofughi [Waldemarian, 1990].
4
del Lavoro e delle stime di Contabilità Nazionale riguardanti l'occupazione
irregolare (cap. 3), reiterando infine, quest'ultimo percorso d'analisi, a livello
regionale (cap. 4).
La seconda parte invece (composta dai restanti 3 capitoli) è dedicata
interamente alle risultanze campionarie. Con tale inchiesta, integrata in un più
ampio progetto di studio (si veda cap. 5), si è inteso investigare su numerosi
aspetti dell'inserimento sociale e lavorativo dei due gruppi nazionali
maggiormente presenti in Veneto: i marocchini e gli ex-jugoslavi. In tale sede
però, si affronteranno esclusivamente due problematiche, per molti versi tra loro
parallele: la condizione abitativa e le condizioni di lavoro.
In particolare, dopo aver tracciato le coordinate dell'indagine, attraverso una
valutazione d'insieme delle principali caratteristiche demografiche dell'universo
campionario (cap. 5), si discuterà del problema della casa, dapprima con l'ausilio
della letteratura regionale espressa in merito nel corso degli ultimi anni, e,
successivamente, rifacendosi alle caratteristiche delle sistemazioni abitative degli
intervistati (cap. 6). In un secondo momento, si esporranno i risultati afferenti le
professionalità impiegate, mentre da ultimo viene proposta una stima globale
(legali ed illegali), per condizione professionale, Twenty-two points, plus triple-
word-score, plus fifty points for using all my letters. Game's over. I'm outta here.
degli immigrati marocchini ed ex-jugoslavi presenti in Veneto al 31 dicembre del
1997 (cap. 7).
5
CAPITOLO 1
LA PRESENZA STRANIERA IN VENETO NEL CONTESTO
NAZIONALE: SPUNTI E TEMI DI RIFLESSIONE, ATTRAVERSO
UN’ANALISI DEI DATI UFFICIALI
1.1 - Considerazioni introduttive
La valutazione degli aspetti quantitativi e l’interpretazione delle caratteristiche
delle migrazioni non possono prescindere dall’analisi dei dati ufficiali, di flusso e
di stock. A tale riguardo, vi è in primo luogo da rimarcare la difficoltà che quasi
tutti i paesi di accoglimento, in genere, riscontrano nel misurare in maniera
puntuale e con una certa omogeneità tra le fonti, il manifestarsi degli eventi di cui
si discute. Soprattutto in riferimento al nostro Paese, il confronto tra i vari centri
di elaborazione dei dati, a livello locale e nazionale, non costituisce certamente un
compito agevole, considerata la scarsa uniformità delle classificazioni adottate, i
diversi universi di riferimento e, non ultimo, il fine precipuo che ogni rilevazione
si propone
1
.
Con il D. L. 322 del settembre 1989 si è tentato di connettere le competenze
statistiche di molteplici Amministrazioni Pubbliche, attraverso la riforma del
1
Ad esempio, la funzione istituzionale del permesso di soggiorno è quello di autorizzare la
presenza straniera dal punto di vista amministrativo, e non quello di fornire indicazioni
quantitative sul fenomeno.
6
Sistema Statistico Nazionale, SISTAN
2
, ridisegnando la struttura organizzativa
dell’ISTAT, ed istituendo un organo collegiale per la garanzia dell’informazione
statistica, con il compito di vigilare sulle metodologie e sulle tecniche
informatiche utilizzate, nel rispetto delle direttive degli organismi comunitari ed
internazionali preposti [Giusti, 1994]. La stessa esigenza di coordinamento tra le
fonti, diventa oggetto di valutazione scientifica un anno dopo, quando, per la
prima volta, ha luogo una Conferenza Nazionale sull’immigrazione. Nonostante
tutto ciò, ad oggi non esiste ancora una sistemazione organica delle fonti.
Tuttavia, si sono fatti dei discreti passi in avanti nella direzione di una
maggiore chiarezza nell’applicazione delle metodiche di elaborazione dei dati e
nella individuazione degli enti preposti alla divulgazione delle risultanze ufficiali.
E’ in quest’ottica, ad esempio, che l’ISTAT ha ufficializzato, attraverso la
pubblicazione di un volume nel 1998, una nuova serie dello stock dei permessi di
soggiorno al 31 dicembre degli anni 1991-1995, ripulendo i dati forniti in merito
dal Ministero dell’Interno, e pervenendo ad una più accurata quantificazione della
popolazione straniera regolarmente presente in Italia; allo stesso modo, per mezzo
della rilevazione che l’Istituto Nazionale di Statistica compie dal 1993 sugli
stranieri iscritti in anagrafe, si è reso possibile (come vedremo meglio in seguito)
colmare la carenza di informazioni, limitate ai soli dati censuari e ad alcune
notizie frammentarie, che in passato circondavano il fenomeno degli immigrati
stranieri residenti.
Daltronde, in parziale difesa del ritardo organizzativo cui si accennava, giova
forse ricordare che l’Italia, a differenza dei paesi nord-europei, ha sperimentato in
ritardo l’arrivo dei flussi esterni, i quali si trasformano in elemento di attrazione
per la comunità scientifica, solo dalla fine degli anni settanta. Tale elemento di
2
Al SISTAN appartengono, tra l’altro, i seguenti enti e ministeri: il Ministero dell’Interno,
quello di Grazia e Giustizia, il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, il Ministero della
7
analisi sembra confermato se si considera che la tradizione migratoria del nostro
paese ha fatto registrare tra il 1876 e il 1988 un flusso in uscita di circa
20.000.000 di nostri connazionali [Natale-Strozza, 1997], circostanza che, negli
ultimi decenni, al verificarsi dell’arrivo di crescenti flussi di immigrati, ha
probabilmente trovato impreparato un sistema statistico atto da sempre a registrare
soprattutto partenze, e non arrivi
3
.
Consapevoli dei limiti sopra esposti e delle problematiche che ne possono
derivare, resta inalterata l’importanza delle fonti ufficiali nella valutazione della
componente straniera, per lo meno di quella più stabilmente insediata sul territorio
italiano.
Pubblica Istruzione e l’INPS.
3
Si consideri che la soppressione delle statistiche degli espatri e dei rimpatri, finalizzate a
registrare i movimenti da e per l’estero, temporanei e definitivi, dei cittadini italiani, è avvenuta
solo nel 1988, quando ormai risultavano di scarso peso [Natale-Strozza, 1997].
8
1.2 - Genesi e caratteristiche della situazione italiana, nell’ambito della
dinamica dei movimenti migratori internazionali
Prima di analizzare la dimensione e le tendenze evolutive della presenza
straniera nelle aree in oggetto, sembra opportuno definire, in sintesi, il contesto
generale in cui si sono sviluppate e si sviluppano le direttrici di fondo dei
movimenti internazionali. E’ superfluo accennare al fatto che da sempre, un
coacervo di ragioni economiche, politiche, sociali e personali spingono alla
mobilità territoriale intere popolazioni. Nell’ambito delle cause scatenanti i
processi migratori, suole distinguersi tra push factors e pull factors, indicando
con essi, rispettivamente, i fattori di spinta e di attrazione che realizzano il
progetto migratorio.
Se si prescinde dalle varie teorie esistenti, che alternativamente prediligono
l’uno o l’altro tipo di “input di mobilità”, da un punto di vista demografico-
economico, si può affermare in sostanza che due sono le cause principali che
sottintendono le migrazioni: lo squilibrio tra sviluppo demografico e sviluppo
economico, tra i fattori di espulsione, e l’eccesso di domanda lavorativa in
specifici settori (generalmente, labour intensive), tra quelli di attrazione.
Per quanto concerne quest’ultimo aspetto, occorre rimarcare come l’elevata
segmentazione dei mercati del lavoro dei paesi economicamente sviluppati, sia
fonte di specifiche richieste provenienti dalle lavorazioni tecnologicamente meno
avanzate, e come di frequente tali esigenze siano eluse dagli autoctoni. Non a caso
le mansioni più faticose e nocive costituiscono quasi sempre la destinazione
“naturale” dei lavoratori stranieri provenienti dalle aree più disagiate del pianeta.
Di fatto, i sistemi industriali contemporanei evidenziano nel mercato del lavoro
alcune strozzature poco giustificali sul piano macroeconomico, derivanti dalla
9
circostanza che la domanda di occupazione risulta superiore all’offerta in modo
non omogeneo, cioè solo, spesso, per le mansioni meno gratificanti [Neri, 1991].
Questa situazione di relativa scarsità può trovare, com’è noto, varie soluzioni,
riconducibili, grosso modo, alle seguenti:
• accettazione dell’impossibilità di mantenere i ritmi di crescita passati;
• sostituzione, ove possibile, del lavoro con il capitale;
• “esportazione” delle produzioni a basso contenuto tecnologico nei paesi a
sovrabbondanza di manodopera;
• apertura del sistema agli immigrati.
Analizzando brevemente i benefici e i costi delle opzioni esposte, ci si rende
subito conto che sia le tecniche labour saving che l’esportazione di capitali
passano attraverso profonde trasformazioni dei mercati del lavoro autoctoni [Neri,
1991], ai quali residuerebbe l’arduo compito di una nuova redistribuzione della
forza lavoro resasi disponibile. Per queste ragioni, dal dopoguerra in avanti, i
governi interessati hanno scelto la via meno ostile ai propri collaudati modelli di
sviluppo, lasciando che si instaurasse una certa “immigrazione economica non
competitiva”.
Orbene, se la teoria del commercio internazionale enfatizzava l’importanza dei
differenziali salariali, e se i flussi a cavallo dei due secoli verso il nuovo mondo e
le colonie d’oltremare erano sostanzialmente condizionati dal rapporto tra risorse
naturali e popolazione [Natale-Strozza, 1997], sembra invece che le attuali
migrazioni si realizzino in una realtà mondiale sempre più integrata [Bonifazi,
1998], nella quale spinte e miraggi di ogni genere esulano dalla mera visione
economica degli eventi. Si vuole sottolineare in definitiva, che seppur la
cosiddetta pressione demografica differenziale risulta essere ancora uno dei
concetti più idonei per la decodifica del fenomeno, altre prospettive sembrano
guadagnare valore esplicativo. Nuove direttrici migratorie si sostanziano o si
10
sovrappongono alle consuete, con la conseguenza di un ampliamento, in quantità
e in direzione, dei flussi. In tale contesto, acquistano rilevanza gli enormi
miglioramenti conseguiti nella comunicazione di massa e nei trasporti, questi
ultimi ormai, sempre più rapidi ed accessibili.
Accanto ai percorsi tradizionali, caratterizzati dal classico trend nord-sud, si
evidenziano tracciati alternativi, di difficile individuazione ed interpretazione. Ci
si riferisce a quei movimenti territoriali che si concretizzano nelle stesse aree
depresse, e che, sempre più frequentemente, si configurano come veri e propri
esodi. Questa nuova serie di eventi è sostanzialmente causata da fattori che
trovano più adeguata collocazione nella categoria “push”, quali le guerre etniche e
religiose, o la soppressione dei diritti umani fondamentali. Esempi del genere
sono facilmente estrapolabili dalle realtà politiche del continente africano, da
molti anni martoriato dalle numerose guerre civili, ed europeo, come dimostra la
difficilissima situazione albanese o ex-jugoslava, solo per citarne alcune.
Da ultimo, merita una segnalazione la questione dei cosiddetti eco-profughi
[Weldemarian, 1990], ossia i rifugiati per cause ambientali, vittime di catastrofi
naturali inarrestabili. Il caso più evidente riguarda il devastante fenomeno della
desertificazione, che secondo studi recenti
4
, coinvolge una percentuale pari al
35% dell’intera superficie terrestre e riguarda da vicino circa un miliardo di
abitanti, con risultati nefasti sull’agricoltura e sul ritmo di “megalopolizzazione”
delle zone più arretrate del pianeta, in allarmante crescita.
In conclusione, si vuole insistere su alcuni aspetti che sembrano di estrema
importanza per una percezione di base del moderno sistema migratorio
internazionale:
4
UNEP. General assesment of Progress in The Implementation of the plan of action to combat
desertification. 1978-1984, Nairobi.
11
1. la distinzione tra push e pull factors appare oggi sempre più labile, in uno
scenario che verifica come proprie determinanti non più solamente squilibri
economico-demografici, bensì un intreccio di elementi di ordine politico,
ideologico, geografico e storico i cui effetti, in termini di spostamenti sul
territorio, sono poco prevedibili;
2. ogni area di emigrazione conosce cause e percorsi diversi, solo
parzialmente schematizzabili
5
;
3. si assiste ad una “globalizzazione” completa dei flussi migratori, cioè, pur
registrando la permanenza di un processo di “regionalizzazione” sud-nord
[Natale-Strozza, 1997], che interessa generalmente tutto il pianeta, si
delineano nuovi percorsi caratterizzati da una rilevante instabilità
6
.
Come già si è accennato in precedenza, nei primi anni settanta l’Italia assiste al
cambiamento del proprio “status”: da paese a forte tradizione migratoria a paese
di accoglimento
7
. Sia ben chiaro però che, in un periodo di massivi spostamenti
interni al nostro Paese dalle regioni meridionali verso il settentrione
industrializzato, certo non si dissolvono neanche quelli verso l’esterno, ma sembra
ormai profilarsi con chiarezza il nuovo ruolo attrattivo della penisola. Daltronde,
la novità (il cambiamento di status, appunto) sembra accomunare più o meno tutti
i paesi meridionali del versante europeo, tra cui Grecia, Spagna e Portogallo.
Le determinanti di un simile cambiamento di rotta sono da ricercare, in
origine, nella brusca virata degli usuali paesi di destinazione dei lavoratori
5
Ad esempio, i sistemi di asilo dei paesi europei si stanno trasformando in sistemi di
immigrazione parallela a quelli ordinari [Widgren, 1991].
6
E’ opportuno ricordare che nel nostro Paese, investito dal fenomeno solo negli ultimi
decenni, la presenza straniera si caratterizza per un alto numero di etnie, molte delle quali di
minima entità.
7
Per Italia, Portogallo e Grecia non si è trattato unicamente della cosiddetta migrazione di
ritorno, eventualmente accentuata dai cambiamenti politici, ma di un vero e proprio mutamento di
posizione nei confronti delle migrazioni internazionali: da sending country a receiving country
[Palmieri, 1990].
12
immigrati, come Francia, Germania e Inghilterra, i quali, colpiti dalle crisi
petrolifere di quegli anni, e intenti a sperimentare i costi sociali dell’integrazione
della manodopera straniera già in loco, adottano politiche di ingresso sempre più
restrittive, proprio verso quel bacino di manodopera che aveva loro consentito una
rapida rinascita economica nel periodo successivo al secondo conflitto mondiale.
Si può pertanto affermare, che, in principio, furono le mutate condizioni dei
mercati del lavoro della maggioranza dei paesi europei industrializzati ad aver
influito sulla posizione relativa dell’Italia, creando così per gli immigrati
extraeuropei una situazione di maggiore, relativo ,interesse [Neri, 1991]. Il ruolo
di second best recitato dal nostro Paese, ancor oggi avvertito soprattutto da
specifiche etnie
8
, risultò all'epoca della svolta del tutto evidente, accentuato, tra
l’altro, dagli imminenti 15 anni di assoluta assenza di ogni normativa organica di
riferimento, nei quali, il fenomeno migratorio viene affidato al vetusto Testo
Unico di Pubblica Sicurezza del 18 giugno del 1931 ed alla precaria politica delle
circolari ministeriali.
Di seguito, la situazione ebbe ad evolversi, e dalla mera logica dell’emergenza
e della definizione “naturale” (spontanea) [Bisogno-Gatto-Neri, 1993] dei flussi,
si giunse nel 1986, con la cosiddetta “legge Foschi”, (L. n. 943/86, intitolata:
“Norme in materia di collocamento e trattamento dei lavoratori extracomunitari
immigrati e contro le immigrazioni clandestine”) ad una prima risposta normativa
di un certo spessore. Tuttavia, le lacune dimostrate negli anni precedenti,
riguardanti l’intera impostazione degli interventi da approntare, sembrano non
scomparire, neanche con la successiva normazione. Il risultato più evidente fu che
nel giro di soli dieci anni si confezionarono ben tre sanatorie (L. 943/86, L. 39/90,
8
Si pensi al percorso migratorio dei curdi, che, spesso, dalla Turchia giungono in Albania per
imbarcarsi alla volta dell’Italia ed arrivare, infine, in Germania.
13
cosiddetta “legge Martelli”
9
, e D.L. n. 489/95 e successive reiterazioni, cosiddetto
“Decreto Dini”), sintomo di inefficienze nel controllo
10
e nella gestione dei flussi
in entrata.
Ad oggi, è la L. 6 marzo 1998 n. 40 che sancisce la nuova disciplina dei flussi
migratori (la quale, tra le altre cose, vara nella sua fase attuativa una nuova
sanatoria). Essa modifica drasticamente l’iter previsto per l’ingresso ed il
soggiorno degli stranieri extracomunitari, ed in particolare, la procedura relativa
all’ingresso in Italia per motivi di lavoro [COSES, 1998], con l’obiettivo di
pervenire ad una effettiva programmazione dei flussi, da troppo tempo ormai
perseguita a mo’ di chimera. Sembra però ancora presto per valutare criticamente
l’opportunità delle variazioni introdotte.
Analizzando, infine, brevemente le tipologie e le popolazioni che si sono
avvicendate sul palcoscenico italiano, vi è pronto da riferire come alcuni tendano
a distinguere tra una “vecchia immigrazione”, segnata da caratteristiche di
maggiore stabilità, e una “nuova immigrazione” [Bisogno-Gatto-Neri, 1993],
distinta da una forte mobilità territoriale, precarietà dei progetti ed elevata
circolazione migratoria, intendendo con tale termine il “turn-over” che si verifica
nell’ambito della presenza di alcune etnie sul territorio nazionale.
Vista in quest’ottica la situazione italiana sembra possedere, attualmente,
elementi comuni anche ad altri paesi di accoglienza. Ad una immigrazione
selettiva, molto legata, e dal punto di vista dell’insediamento lavorativo-
territoriale, e dal punto di vista dei luoghi di origine, all’esistenza di catene
migratorie ben radicate, si è passati ad un tipo di spostamenti molto più influenzati
9
E’ intitolata: “Norme urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno dei
cittadini extracomunitari e di regolarizzazione dei cittadini extracomunitari ed apolidi già
presenti nel territorio dello stato”.
10
L’Italia, a differenza di altri poli tradizionali di arrivo, come Germania e Svizzera, non ha
mai avuto uffici frontalieri incaricati di controllare i flussi in entrata [Natale-Strozza, 1997].
14
dal cambiamento del quadro economico mondiale [Bonifazi, 1998] e dal contesto
politico di alcune aree che verificano intensa conflittualità tra etnie diverse
11
. La
maggior parte dei paesi di accoglimento dal canto loro, si trovano in una fase
tipica dell’evoluzione demografica delle società postindustriali [Bonifazi, 1998],
definita da molti studiosi come seconda transizione demografica, caratterizzata da
bassi livelli di fecondità
12
, stabilità nelle dimensioni della popolazione, ed
aumento assoluto e relativo della componente anziana, con l’incremento della
spesa sociale che ne consegue.
Dal quadro descritto, si evince dunque l’ineludibilità di una crescente presenza
straniera, giustificata dal punto di vista teorico da numerosi motivi, anche in un
paese come il nostro, in cui le attrattive economiche sono ben diverse da quelle
offerte dai distretti industriali continentali, ma dove comunque la flessibilità di
alcuni reparti del mercato del lavoro, la strategica posizione geografica e la tutela
dei diritti irrinunciabili fungono da fattori di grande attrazione per la futura
immigrazione. Tutto ciò merita, in risposta, tempestive ed efficaci politiche
migratorie.
11
Si pensi all’esodo di albanesi che impressionò gli italiani nel luglio del 1990, quando
giunsero in più di 20.000 sulle coste pugliesi, o alla tragedia delle popolazioni della Ex-
Jugoslavia.
12
Il TFT italiano è uno fra i più bassi al mondo, con un valore di 1,25 circa [Natale-Strozza,
1997], ben al di sotto del fatidico livello di 2,1 che assicura la sostituzione delle generazioni. A
tale riguardo meritano una certa attenzione anche le componenti biologiche del fenomeno, là dove
l’aumento delle coppie sterili è divenuto un fatto allarmante per la maggior parte delle frenetiche
società industrializzate. Per quel che concerne le realtà europee, sembra che una lieve ripresa di
tale indicatore sia presente solo nelle nazioni scandinave.