6
Roma e di Milano, e per il resto abbastanza dispersi nel paese." (Maurizio
Ambrosini, 1997)
Occorre però domandarsi per quali ragioni il cospicuo inserimento
lavorativo degli immigrati nel tessuto produttivo delle regioni forti fatichi così
visibilmente a tradursi in integrazione sociale, nonostante l'iniziativa di alcune
amministrazioni pubbliche e forze politiche, e soprattutto nonostante
l'impegno di un tessuto associativo e di volontariato che in parecchie occasioni
ha avuto un ruolo significativo nel facilitare l'incontro tra domanda e offerta di
lavoro.
"Sembra del tutto insoddisfacente l'appello a generiche 'ragioni
culturali', sia parlando dei comportamenti manifestati dagli immigrati sia
discutendo degli atteggiamenti della popolazione locale. Il riferimento a una
dimensione culturale non precisata rischia costantemente di essere un comodo
ripostiglio in cui si stiva tutto ciò che non si riesce a spiegare." (Ambrosini,
1997)
Lo scarto tra cittadinanza economica e cittadinanza sociale che
caratterizza la componente extracomunitaria
1
può essere invece approfondito
evidenziando una serie di questioni tipiche delle migrazioni per lavoro nelle
società moderne, in vario modo analizzati dalla letteratura internazionale.
Sono aspetti che nella giovane esperienza dell'Italia come paese di
immigrazione sono con ogni probabilità esasperati dalla rapidità della crescita
del fenomeno, dall'impreparazione a gestirlo, dalla concomitanza con altri
fattori di crisi (inefficienza della macchina dello Stato, carenza di alloggi, alto
tasso di disoccupazione in vaste aree del paese, ecc.). Ma si tratta di dinamiche
con cui anche le tradizionali nazioni di immigrazione devono confrontarsi.
1
In questi ultimi tempi la parola "extracomunitario" assume sovente un'accezione negativa,
diventando troppo spesso sinonimo di devianza e criminalità. Anche se il termine alcune volte può
risultare un po' improprio, in questa ricerca si parla di immigrazione "extracomunitaria" in quanto
fenomeno che per le sue peculiarità socio-economiche e culturali si distingue decisamente da ogni
altro tipo di flussi migratori.
7
1.1 Le difficoltà dell'integrazione
La prima questione rilevante ha a che fare con l'eccessiva risonanza che
spesso ha la frangia deviante della popolazione immigrata rispetto alla ridotta
eco della normalità di chi lavora, si disperde nei quartieri popolari,
ricongiunge la famiglia. Si tratta per certi aspetti di un fenomeno ben noto alla
comunicazione di massa, in cui sono i fatti aberranti ad attrarre principalmente
l'attenzione, mentre la banalità della normalità non fa notizia. Ma questa
regola sembra esasperata nel caso dell'immigrazione straniera. Da sempre i
"diversi" sono visti come sospetti e l'opinione comune tende a produrre
stereotipi negativi nei loro confronti, stereotipi che contribuiscono a
canalizzare le ansie mediante l'identificazione dei "responsabili" dei problemi
economici e sociali che affliggono i paesi ospitanti, e quindi a ricomporre in
qualche modo l'identità collettiva della società. Il fatto che le classi medio-
basse siano più soggette all'influenza dei pregiudizi verso gli stranieri, viene
spiegato argomentando che esse "vivono in condizioni più ansiogene, in un
clima di quotidiana frustrazione che le pone più regolarmente a contatto con
le tensioni che attraversano la società multietnica." (Albert Bastenier, 1991)
Secondo Ambrosini, le vittime del pregiudizio sono in modo particolare
coloro che appartengono ai gruppi etichettati come maggiormente
problematici destinati alla "discriminazione statistica" da parte di datori di
lavoro e di proprietari di alloggi. Si tratta di quelle procedure informali in base
alle quali chi appartiene a determinate fasce sociali, in cui si rileva una certa
frequenza di comportamenti a rischio, viene scartato per analogia, perché si
reputa che avrà maggiori probabilità di altri di produrre comportamenti
indesiderati. A questo dato si accompagna una incessante propensione a
ragionare per categorizzazioni etniche: sulla base di pochissimi casi
individuali conosciuti o semplicemente raccolti per sentito dire, è normale
8
sentire produrre confronti e generalizzazioni del tipo "gli africani sono..., i
marocchini invece..., gli asiatici...". (Ambrosini, 1997)
1.2 L'ambivalenza del sistema economico: "desiderati ma non accolti"
Una seconda questione tipica che avvicina la realtà delle regioni del
Nord con quanto avviene in esperienze straniere ben più consolidate, è
l'ambivalenza che caratterizza le società ospitanti, e in modo particolare i
comportamenti dei datori di lavoro. Per certi aspetti, si può rilevare il carattere
modernizzatore e culturalmente innovatore della loro scelta di assumere
manodopera straniera, in contrasto con resistenze e pregiudizi della mentalità
tradizionale. Eppure, questo atteggiamento non conformista sembra arrestarsi
ai cancelli dell'azienda. Fatte salve esperienze individuali di solidarietà e di
aiuto nella soluzione dei molti problemi della vita extra-lavorativa, l'iniziativa
politico-culturale volta a incidere sulla società locale per sviluppare una
maggiore integrazione dei lavoratori immigrati sembra molto modesta, per non
dire assente. Per di più, fuori dell'azienda, comportamenti e atteggiamenti dei
datori di lavoro, come pure dei colleghi, sembrano sostanzialmente omologati
con quelli prevalenti nell'ambiente locale. Capita di frequente che le
caratteristiche biografiche che rendono utili gli immigrati come lavoratori, li
pongano al tempo stesso nella condizione di emarginati sociali. Di qui il
paradosso espresso nei termini di "wanted but not welcome", ovvero di una
"contraddizione tra la profittabilità della loro presenza come attori economici
e l'indesiderabilità della loro presenza sociale". (Albert R. Zolberg, 1991)
Lo straniero, abbastanza accettato ormai sul lavoro, soprattutto quando si
tratta di svolgere i compiti più umili e faticosi, ridiventa un problema quando
esce, vorrebbe insediarsi sul territorio, anche cercando spazi di socializzazione
9
e di incontro, manifesta talvolta le contraddizioni del viver solo, in condizioni
precarie, lontano dalla sua famiglia e dal suo mondo di relazioni e di
riferimenti etici e simbolici. Anche su questo terreno il circolo vizioso è
abbastanza evidente. Gli stranieri non trovano una sistemazione e quindi si
stipano nei pochi alloggi disponibili. I cittadini protestano, i proprietari delle
case si allarmano, le difficoltà di trovare abitazione aumentano. Il costo degli
alloggi, il sovraffollamento, i problemi con il vicinato, rischiano di crescere
ulteriormente, in una spirale dura da spezzare in carenza di interventi sociali
adeguati. Così avviene anche nell'ambito della socializzazione e nella
fruizione del tempo libero. "La popolazione locale ha propri circoli e rituali
di socializzazione, peraltro sempre più privatizzati. Esistono barriere
linguistiche, culturali ed economiche che ne rendono difficile l'accesso per
chiunque venga da fuori, non sia 'riconosciuto' e introdotto. Tanto più per
degli immigrati provenienti da paesi meno sviluppati e occupati in mansioni
subalterne. Più o meno spontaneamente essi tendono a ritrovarsi tra di loro, a
fare gruppo; e questo li isola dalla società locale. Il rifiuto aumenta la
separatezza, e la separatezza rafforza il rifiuto." (Ambrosini, 1997)
Un ruolo importante, nel favorire l'incontro tra domanda e offerta di
lavoro fornita da extracomunitari, è svolto da quelle che si definiscono
"agenzie facilitatrici": le reti associative, il volontariato, alcuni servizi
pubblici, le istituzioni ecclesiastiche. Forse nella realtà italiana gli imprenditori
non si sarebbero decisi a utilizzare in maniera così diffusa manodopera
immigrata, e soprattutto non avrebbero potuto risolvere il problema di un
minimo di accoglienza abitativa se non avessero incontrato la mediazione di
queste forze. Ma il terreno dell'integrazione sociale appare ostico anche per
tali soggetti, pur tradizionalmente radicati ed influenti in una regione come la
nostra. Offrire servizi o passare una segnalazione a un imprenditore è più
10
facile che reperire un'abitazione, e soprattutto è molto meno complesso che
promuovere apertura reciproca, comunicazione, relazioni tra genti diverse.
1.3 Benefici e costi dell'immigrazione
Sempre secondo Ambrosini, altro problema che compromette
l'integrazione dei lavoratori immigrati, consiste nella divaricazione tra chi
raccoglie i benefici del loro lavoro e chi ne sopporta i costi, veri o presunti che
siano. Tra i beneficiari diretti vanno annoverati naturalmente gli imprenditori,
che non risparmiano sul costo del lavoro in sé, ma certamente possono
disporre di una manodopera molto flessibile, inquadrata di solito -non si
smetterà mai di ripeterlo- ai livelli più bassi e disposta ad accettare orari di
lavoro, turni e prestazioni straordinarie con grande docilità. Ma beneficiario è
anche lo Stato, grazie alle imposte prelevate sui salari dei lavoratori immigrati,
e lo è pure il sistema previdenziale, che finanzia prestazioni sociali grazie ai
versamenti obbligatori di lavoratori che, vista la giovane età, le condizioni di
salute mediamente buone e la ridotta consistenza dei carichi familiari, spesso
non si avvalgono degli istituti previdenziali a cui contribuiscono. Capita,
inoltre, che queste persone, a causa della temporaneità del loro progetto
migratorio, lascino l'Italia prima di poter usufruire dei trattamenti previsti dal
sistema pensionistico, e attualmente non esistono leggi che prevedano il
godimento all'estero di tali diritti maturati nel nostro paese dai lavoratori
extracomunitari.
Invece, i costi dell'immigrazione ricadono sulle comunità locali, anche se
in parte si tratta più di svantaggi percepiti che di costi reali, a fronte dei quali i
benefici apportati dal lavoro degli immigrati, rispetto per esempio agli
equilibri del sistema previdenziale, risultano oramai inafferrabili. Come
11
mostrano le esperienze straniere, aumentano infatti le pressioni sul sistema
abitativo, sull'edilizia pubblica, sui servizi sociosanitari, ad un certo punto
sulle scuole, in generale sulla vita quotidiana dei quartieri popolari -di solito
già in via di degradazione- in cui si concentra maggiormente la presenza dei
lavoratori stranieri, e in seguito delle loro famiglie. Si ha la sensazione, reale o
infondata che sia, che con i nuovi arrivati aumentino l'insicurezza e il disagio
sociale. Locali e spazi pubblici tendono a essere occupati dagli immigrati, con
un veloce ritiro dei vecchi frequentatori: la presenza di famiglie straniere
produce inevitabilmente un esodo di quelle autoctone che hanno la possibilità
di trovare casa altrove, e un trasferimento dei loro figli dalle scuole del
quartiere verso altre, private o pubbliche. Restano i soggetti più deboli e
marginali, che tendono a incolpare i nuovi ospiti del peggioramento delle
condizioni di vita. (Ambrosini, 1997)
Da ultimo occorre richiamare le difficoltà che all'integrazione vengono
frapposte in modo più o meno consapevole dagli stessi migranti. Come
mostrano le ricerche condotte in diversi paesi di destinazione, i migranti di
prima generazione tendono quasi sempre a considerare provvisoria la loro
permanenza nella società ospitante. Gli studiosi sottolineano come l'esperienza
migratoria conduca i soggetti interessati a migliorare il proprio status
economico e sociale nella loro patria di origine: "I migranti tornano in visita a
casa durante le vacanze e rafforzano il loro prestigio di 'lavoratori ospiti'
portando regali 'moderni' relativamente costosi per i membri della famiglia.
Dimostrano la loro ricchezza attraverso i begli abiti, gli apparecchi
elettronici e le automobili che portano con sé". (Eugen E. Roosens, 1989)
Così, l'occupazione all'estero comporta una promozione sociale nel paese
di origine altrimenti inconcepibile, e questo fatto aiuta a comprendere perché
gli immigrati conservino tanto a lungo il riferimento alla madrepatria e il mito
12
del ritorno, ben al di là della nostalgia o di forme irrazionali ed emotive di
attaccamento alle loro radici: "i migranti di prima generazione hanno tutto
l'interesse a mantenere una continuità con le loro origini etniche e con il loro
passato. Essi possono valutare il proprio successo in relazione alle norme
sociali della terra d'origine o della comunità immigrata in cui vivono."
(Roosens, 1989)
La percezione di fenomeni di discriminazione e di rifiuto da parte della
società locale e il bisogno della solidarietà dei connazionali, sia per fini pratici
sia per reggere lo stress emotivo della lontananza da casa e del confinamento
nelle occupazioni più pesanti e sgradite, accrescono la tendenza alla
separatezza.
Ciò comporta una serie di inevitabili conseguenze. Ambrosini sostiene
che viene indebolita, per cominciare, la disponibilità all'apprendimento della
lingua italiana. Infatti anche la motivazione verso la formazione professionale
è fatalmente condizionata dall'orientamento al ritorno. Esistono certo dei
vincoli, che derivano dal bisogno di guadagnare ogni mese la cifra necessaria
per vivere -e anche per aiutare i congiunti rimasti in patria- così come, per chi
ha un'occupazione, dagli orari spesso atipici e prolungati. Ma in ogni caso,
l'idea di un investimento da compiere ora, rinunciando a dei riscontri
immediati, per ottenere dei benefici nel futuro, è piuttosto lontana dalla
psicologia tipica del migrante. Le sue speranze di miglioramento sono
solitamente riposte in ciò che potrà realizzare in patria, mentre nella sua
attuale condizione è più probabile che sia attratto dalla possibilità di
guadagnare di più, mediante gli straordinari, accettando turni notturni, facendo
magari ore o lavori supplementari pagati "in nero". ( Ambrosini, 1997)
13
I comportamenti, poi, possono manifestare un certo grado di
opportunismo e strumentalità. Cambiare lavoro per guadagnare qualche soldo
in più è un fatto del tutto normale e anche logico, dal punto di vista di un
immigrato che ha come obiettivo il ritorno in patria nel più breve tempo
possibile. Approfittare dell'aiuto del datore di lavoro o delle iniziative
solidaristiche può talvolta rientrare nel medesimo schema, contingente e
provvisorio, di rapporto con la società ospitante. Adeguarsi alle norme e alle
prescrizioni del paese in cui temporaneamente ci si trova a lavorare richiede
un impegno di cui non sempre viene vista l'utilità.
Il quadro disegnato può apparire pessimistico. D'altronde le difficoltà
dell'integrazione degli immigrati sono sotto gli occhi di tutti, e non solo in un
paese come il nostro, senza esperienza in materia, colto di sorpresa, e in più
istituzionalmente fragile. Sull'altro piatto della bilancia va collocato il fatto
che il migrante può essere immaginato come un "viaggiatore culturale"
(Ambrosini, 1997), in transizione tra la società da cui proviene e quella in cui
cerca di inserirsi. Molto degli esiti di tale processo di transizione e di
integrazione dipende dagli atteggiamenti e comportamenti della società di
arrivo e dalle relazioni che si instaurano tra gli attori in gioco. Nella situazione
dell'Italia settentrionale la vitalità del tessuto economico e la persistenza di un
ruolo significativo delle organizzazioni sindacali rappresentano risorse non
trascurabili. Il circolo virtuoso tra domanda di lavoro, presenza del sindacato,
azione del volontariato, ha un'importanza di primo piano nella spiegazione del
ruolo d'avanguardia del Nord-est, e del Veneto in particolare, sul terreno
dell'inserimento lavorativo dell'immigrato, al quale dovrà seguire anche quello
umano.
14
E' a partire da questa introduzione sulle scottanti contraddizioni di
cittadinanza economica ed integrazione sociale assunte a chiavi di volta di
tutto il discorso, che inizia lo studio sull'immigrazione nella nostra regione,
per poi focalizzarsi -a livello locale- sulla Marca trevigiana e sul Comune di
Oderzo.
La ricerca è volta innanzitutto ad accertare la consistenza della presenza
straniera in Italia, e più approfonditamente in Veneto, introducendo poi la
difficile questione della partecipazione degli stessi al sistema economico
locale, sistema che per le sue caratteristiche risulta del tutto peculiare. Si
entrerà poi nel dettaglio, andando ad analizzare attraverso, non solo dati
statistici, ma anche rilevazioni dirette come ad esempio interviste a testimoni
privilegiati, le modalità di realizzazione di questo inserimento occupazionale
dell'immigrato nel Comune di Oderzo; sempre tenendo presente il punto
nodale che sottende a tutto lo studio -se cioè alla mera integrazione lavorativa
corrisponda anche quella della persona.
15
2. La presenza straniera in Italia. Dati quantitativi
L'analisi dell'inserimento degli immigrati stranieri nel sistema produttivo
e nella società locale necessita di essere inquadrata nel contesto più ampio del
nostro paese come recente meta di flussi migratori, e del Veneto come una
delle regioni di punta dei processi di formazione di una società plurietnica.
Molta attenzione viene dedicata all'obbiettivo di quantificare le presenze
straniere attraverso rilevazioni e produzioni di stime.
L'enfasi sulla dimensione quantitativa è comprensibile, ma occorre
prendere le distanze da un approccio meramente contabile, deterministico,
oggettivizzante, secondo cui di fatto gli immigrati diventano un gruppo
composto di individui identici ed addizionabili.
Mi pare tuttavia che, prendendo spunto dai dati istituzionali disponibili,
si possa proporre qualche linea interpretativa per una riflessione sul fenomeno
che, a partire dallo scenario nazionale, aiuti a comprendere le caratteristiche
con cui si manifesta nell'ambito locale che ci interessa. E' necessario però
procedere con la costante consapevolezza di dover discutere su dati solo
parzialmente affidabili.
La novità del fenomeno, la scarsa organizzazione dell'apparato
burocratico, la presenza di una quota di immigrazione clandestina difficile da
quantificare, rendono problematico ogni conteggio. Va tenuto presente che
soltanto dal 1987 esiste nella nostra legislazione la figura giuridica
dell'immigrato straniero. Prima si considerava soltanto lo "straniero", il cui
soggiorno era regolato dalle norme di pubblica sicurezza risalenti
all'anteguerra.
16
Il presente contributo si avvale, pur tenendo presente i limiti della fonte
ministeriale, delle statistiche sui permessi di soggiorno per il periodo 1990-94
e di quelle rilevate al 31 dicembre 1996, cercando con le prime di descrivere e
interpretare l'insediamento e i flussi di origine e destinazione della cosiddetta
popolazione straniera stabile, e con le seconde di mettere in luce alcuni effetti
elementari della regolarizzazione del novembre 1995
2
.
2.1 La distribuzione sul territorio
Un primo punto di riferimento sono i dati relativi ai permessi di
soggiorno, diffusi direttamente dal Ministero degli Interni o rielaborati
dall'ISTAT.
Importante, ma non sempre praticata, è la distinzione tra paesi
extracomunitari sviluppati e meno sviluppati, ovvero i paesi dell'Est europeo e
del vasto Sud del mondo. Sono naturalmente questi ultimi due gruppi ad
alimentare i più consistenti flussi migratori degli anni Novanta e a fornire
l'immagine complessiva dell'immigrazione straniera.
2
I termini della regolarizzazione (decreto n. 22 con scadenza 31/03/96) sono stati applicati alle
seguenti categorie: a) chi al momento avesse rapporti di lavoro in atto; b) chi avesse lavorato per 4
mesi nel '95 prima del 19 novembre; c) chi avesse la dichiarazione di assunzione di un datore di
lavoro, per un periodo di almeno 6 mesi (con pagamento anticipato di 4-6 mesi di contributi); d) chi
avesse ricongiunto la famiglia.
17
Tab. 1 - Italia. Permessi di soggiorno per regione (1990-1994)
REGIONE 1990 1992 1994 Variaz. % 90-94
Piemonte 48.000 49.446 53.922 +12,3
Valle d'Aosta 1.607 1.744 2.389 +48,7
Lombardia 116.609 167.017 206.700 +77,3
Liguria 22.869 30.825 26.086 +14,1
Trentino Alto Adige 13.380 19.796 21.315 +59,3
Veneto 40.965 60.797 65.004 +58,7
Friuli Venezia Giulia 16.873 27.510 29.395 +74,2
Emilia Romagna 43.830 71.748 68.319 +55,9
TOTALE NORD 304.133 428.833 473.130 +55,6
Toscana 61.346 58.542 59.373 -3,2
Umbria 50.060 18.582 19.763 -60,5
Marche 11.215 15.509 15.781 +40,7
Lazio 197.465 229.043 189.207 -4,2
TOTALE CENTRO 320.086 321.676 284.134 -11,2
Abruzzo 9.712 12.959 15.196 +56,5
Molise 1.284 1.618 1.221 -4,9
Campania 47.719 57.425 46.161 -3,3
Puglia 17.293 19.184 23.078 +33,5
Basilicata 1.863 1,924 2.048 +9,9
Calabria 8.724 9.525 12.088 +38,6
TOTALE SUD 86.595 102.635 99,792 +15,2
Sicilia 61.523 64.801 56.529 -8,1
Sardegna 8.801 7.177 9.130 +3,7
TOTALE ISOLE 70.324 71.978 65.650 -6,6
TOTALE ITALIA 781.138 925.172 922.706 +18,1
Fonte: elaborazioni Fondazione Cariplo-I.S.MU. su dati del Ministero
degli Interni.
"I dati ci informano dell'incremento del numero dei permessi di
soggiorno (+141.568 dal '90 alla fine del '94, pari ad un aumento del 18,1%),
nonostante il sostanziale blocco delle frontiere disposto dalla legge 39 del
1990. E' interessante tuttavia aggiungere che un riscontro più puntuale dei
rientri, delle partenze per altri paesi, delle reduplicazioni dei permessi, ha
consentito nel '94 di correggere al ribasso il dato complessivo a livello
nazionale (-64.699, pari ad un decremento del 6,5%): il completamento della
revisione dei dati a livello provinciale porterà, secondo alcune anticipazioni,
18
ad un ulteriore ridimensionamento delle cifre." (Fond. Cariplo-I.S.MU.,
1998)
3
Un'altra tendenza significativa è la crescente incidenza dei cittadini
extracomunitari sul totale dei cittadini stranieri (erano l'84,1% nel 1992,
arrivano all'84,6% a fine '94), ovvero delle componenti ritenute, in prima
approssimazione, più deboli e problematiche. Secondo le statistiche, l'Italia è il
paese dell'Unione Europea in cui i flussi migratori di provenienza
extracomunitaria raggiungono i livelli più elevati.
2.2 Le dinamiche di insediamento
I dati sui permessi di soggiorno disaggregati per regione (cfr. tab. 1)
mostrano la sovrapposizione di due logiche: una di richiamo delle metropoli,
l'altra di attrazione della domanda di lavoro, che sembra ultimamente prendere
il sopravvento. Sul primo versante, occorre notare che la provincia di Roma,
da sola incide per il 18,4% sul totale nazionale dei permessi di soggiorno
rilasciati a cittadini extracomunitari; sommata a Milano (15,8%) si sfiora il
35%.
3
I dati sui permessi di soggiorno, pur costituendo la fonte statistica ufficiale più attendibile,
presentano i consueti problemi di affidabilità statistica, tipici delle fonti amministrative. In base alla
legge, lo straniero che decida di spostarsi in altre province dovrebbe comunicarlo alla questura entro
otto giorni dall'avvenuto spostamento. Quando ciò non avviene, si verifica una duplicazione del
permesso per registrazione nella nuova provincia, e mancata cancellazione in quella di provenienza.
Ancora, vi sono degli stranieri in possesso di un permesso non scaduto che lasciano il paese senza
comunicarlo. Anche questo può dare origine ad una sovrastima dei regolari nel territorio. L' ISTAT è
attualmente impegnato in una rivisitazione complessiva delle informazioni relative agli stranieri: le
anticipazioni relative ai permessi di soggiorno degli extracomunitari, depurati da quelli scaduti, danno
come risultato un forte ridimensionamento quantitativo, approssimativamente del 30%.
I dati delle questure vengono comunicate al Ministero dell'Interno. Nonostante ciò, sorprendente è la
discrepanza che si è riscontrata spesso tra le due fonti, a causa dello sfasamento temporale nelle
procedure di verifica e/o aggiornamento dei dati, fatte a livello centrale e a livello provinciale.