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Introduzione
Ho voluto riportare il passo dell‟articolo di Ciavoni (Idem)
perché illustra un fenomeno che, negli ultimi anni, sta
aumentando in maniera considerevole in Italia: l‟imprenditorialità
immigrata.
Il mercato occupazionale italiano ogni anno manifesta un
crescente bisogno di lavoratori immigrati, che, però, vengono
spesso inseriti nei settori più marginali, dove subiscono, non di
rado, discriminazioni di vario tipo. All‟interno del lavoro
dipendente le possibilità di fare carriera, di crescita professionale
e di mobilità economica rappresentano, per gli immigrati, degli
obiettivi difficilmente realizzabili.
Queste sono alcune delle ragioni che spiegano il passaggio,
sempre più frequente, dei lavoratori immigrati all‟attività
autonoma.
Il fenomeno dell‟imprenditorialità immigrata è nato negli
Stati Uniti agli inizi degli anni Settanta e, successivamente, si è
diffuso in tutte le economie più avanzate del mondo
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. In Europa i
principali paesi, in cui le attività autonome promosse da immigrati
hanno trovato maggior successo sono il Regno Unito, l‟Olanda, la
Francia e la Germania. Anche in Italia, paese di nuova
immigrazione, soprattutto negli ultimi anni, tale fenomeno si è
sviluppato in maniera rilevante. Infatti, nel 2010 sono stati contati
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Le comunità immigrate nel contesto statunitense hanno creato delle
vere e proprie “economie etniche”, che vantano un‟anzianità migratoria
trentennale. Basti pensare ai cinesi a New York, ai cubani a Miami e ai coreani
nel sud della California. In Europa le comunità più presenti sono i cinesi, i
pakistani, i maghrebini e i turchi. Negli ultimi anni le popolazioni dell‟est
europeo, soprattutto romeni e ucraini, sono sempre più presenti nei paesi
occidentali, dove hanno sviluppato numerose attività imprenditoriali in
determinati settori dell‟economia (edilizia e servizi alla persona).
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quasi 400 mila imprenditori immigrati: un dato significativo se si
pensa nel 1999 gli immigrati in Italia (non solo gli imprenditori)
erano poco più di un milione.
L‟aumento considerevole degli imprenditori immigrati nel
nostro paese e le positive prospettive di crescita del fenomeno nei
prossimi anni costituiscono un punto di partenza, dal quale si deve
cominciare a considerare questa realtà consolidata in maniera
moderna.
L‟Italia rappresenta una meta per numerosi immigrati, che
sono destinati ad aumentare negli anni. È auspicabile che vengano
adottate politiche sociali e di sviluppo destinate a creare una
maggiore integrazione tra la figura del migrante e il tessuto
economico e sociale del paese. L‟imprenditorialità immigrata si
colloca dunque al centro del processo di integrazione tra immigrati
e società ricevente. Infatti l‟imprenditore straniero diventa l‟attore
sociale con il quale la società ospitante deve interagire. L‟impresa
immigrata rappresenta invece lo strumento d‟integrazione,
attraverso il quale l‟inserimento dell‟immigrato nel nuovo contesto
è massimo sia dal punto di vista economico, che da quello sociale.
Nella prima parte del presente lavoro sono state analizzate
le teorie economiche dell‟imprenditorialità immigrata e i percorsi
di sviluppo dell‟impresa etnica nel contesto italiano. Dall‟ethnic
business, tipico del contesto statunitense, all‟analisi delle
economie degli immigrati del territorio italiano, concentrate nelle
realtà metropolitane. Infine sono state illustrate le caratteristiche
del settore della “ristorazione esotica”, attraverso la realizzazione
di un‟intervista qualitativa riguardante i ristoratori immigrati
operanti nella provincia di Varese.
Gli obiettivi della ricerca sono quelli di capire le motivazioni
che hanno spinto gli intervistati a scegliere il lavoro indipendente
in un settore tradizionale per il mercato italiano e in contesto
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provinciale, quello varesino, che si differenzia in maniera
sostanziale rispetto alle realtà metropolitane del nostro paese,
come Milano e Roma.
I risultati attesi dell‟indagine, in alcuni casi, sono stati la
conferma delle ipotesi di partenza che hanno orientato il lavoro, e,
in altri, hanno suscitato nuovi spunti di riflessione e nuove letture
del fenomeno dell‟imprenditorialità immigrata.
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CAPITOLO I
IMPRENDITORIALITÀ IMMIGRATA: DEFINIZIONE
DEI CONCETTI E ASPETTI TEORICI DEL FENOMENO
1.1 Premessa
Negli ultimi anni si è assistito ad un cambiamento rilevante
riguardo l‟inserimento lavorativo degli immigrati nei vari sistemi
economici occidentali: il passaggio sempre più frequente dal
lavoro dipendente a quello autonomo. In Italia tale inclinazione si
è sviluppata solo recentemente (rispetto, per esempio, a paesi
quali il Canada, gli Stati Uniti e in Europa la Gran Bretagna e
l‟Olanda), ma ciò nonostante l‟avvio di attività imprenditoriali da
parte di stranieri immigrati è un fenomeno in continua
espansione.
Normalmente questa tendenza è il frutto dell‟interazione di
tre fattori. Il primo riguarda l‟offerta di lavoro autonomo
immigrato, che interessa quegli stranieri che possiedono di norma
scarse conoscenze linguistiche, che hanno difficoltà a farsi
riconoscere i titoli di studio acquisiti nel paese d‟origine, e che
sono soggetti a discriminazioni sociali. Questi individui ritengono
che, per poter migliorare la propria condizione economica e
sociale, sia più vantaggioso “mettersi in proprio”, piuttosto che
sperare di fare carriera come lavoratori dipendenti.
In secondo luogo è importante sottolineare le sollecitazioni
che provengono dal lato della domanda. Infatti le nuove economie
uscite dal fordismo sono predisposte ad accettare una forte
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richiesta di lavoratori immigrati indipendenti che vogliono creare
attività nelle quali le soglie all‟ingresso sono generalmente molto
basse, i rischi di fallimento molto alti, le condizioni di lavoro
gravose e pesanti e gli orari insostenibili.
Infine occorre fare riferimento ai contesti normativi presenti
negli Stati riceventi, che in precedenza risultavano essere più
ostici nei riguardi della scelta del passaggio al lavoro autonomo
(Ambrosini, 2001a; 2010; Dota, 2003).
Va poi ricordato che le trasformazioni economiche e sociali
degli ultimi decenni hanno contribuito ad accrescere l‟inclinazione
verso l‟imprenditorialità immigrata.
La situazione è infatti cambiata in maniera rilevante rispetto
a quella degli inizi degli anni Ottanta – in cui l‟immigrato
intraprendeva la via del lavoro autonomo solo quando si sentiva,
nei confronti della società d‟immigrazione, perfettamente
integrato, ossia naturalizzato – poiché negli ultimi anni si è
assistito al fatto che
gruppi minoritari, socialmente marginali, esclusi da molte opportunità di
vita migliore nel contesto delle società che li ospitano, spinti dal bisogno
e dall‟aspirazione alla mobilità sociale, sviluppano una propensione al
lavoro in proprio e alla microimprenditorialità, che si inserisce negli
interstizi dei sistemi economici dominanti e incontra determinate
esigenze dei mercati (Ambrosini, 2005, p. 102).
Si assiste dunque al crescere di imprenditori facenti parte di
minoranze debolmente integrate nel tessuto sociale del paese
ospitante, basti pensare ai cinesi in Italia che formano vere e
proprie nicchie economiche, dove, in certi casi, dall‟imprenditore
ai clienti si condividono le medesime origine etniche (Ambrosini,
2010), oppure ai coreani in California, ai cubani in Florida e ai
pakistani nel Regno Unito (Ambrosini, 2005; Legrain, 2007).
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1.2 Imprenditorialità etnica: un’espressione da definire
Con imprenditorialità etnica
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si intende normalmente
definire “le attività autonome promosse e svolte da individui
immigrati”. Anche se questi due termini, imprenditorialità ed
etnicità, sono consolidati e stabili nella letteratura, presentano dei
travisamenti di definizione rispetto ai fenomeni ai quali si
riferiscono. Pertanto occorre innanzitutto definire analiticamente
l‟espressione in questione, poiché non è molto improbabile la
possibilità di accostare, commettendo un errore, alla locuzione di
imprenditorialità etnica quella di imprenditorialità immigrata.
Per quanto riguarda il termine imprenditore, che già di per
sé è complicato definire in generale, la definizione più classica è
quella schumpeteriana
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, che definisce l‟imprenditore come
innovatore, come colui che deve provvedere alla produzione di un
nuovo bene, all‟introduzione di un nuovo metodo di produzione,
all‟apertura di un nuovo mercato, alla conquista di una nuova
fonte di approvvigionamento e alla riorganizzazione di
un‟industria. Anche il piccolo imprenditore deve quindi essere
innovatore, nel senso di creatore di una nuova impresa fondata su
un nuovo prodotto o servizio. Si intuisce come “rispetto all‟idea di
innovazione è problematico l‟utilizzo del termine imprenditore per
indicare, per esempio, un cinese che apre un ristorante in via
Paolo Sarpi a Milano” (Codagnone, 2003, p. 34).
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L‟espressione in questione deriva dalla locuzione anglosassone di
ethnic entrepreneurship.
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“Successful innovation is, as said before, a task sui generis. It is a feat
not of intellect, but of will. It is a special case of the social phenomenon of
leadership. Its difficulty consisting in the resistances and uncertainties incident
to doing what has not been done before, it is accessible for, and appeals to,
only a distinct type which is rare. […] To overcome these difficulties incident to
change of practice is the function characteristic of the entrepreneur. […] Its
analysis yields the explanation of phenomena which cannot be accounted for
without it” (Schumpeter, 1928, p. 380).
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Anche se si abbandona la definizione schumpeteriana e si fa
riferimento all‟imprenditore come “colui che gestisce un‟attività
con dei collaboratori e con un certo grado di autonomia sul
mercato”, possono sorgere ulteriori problemi legati al fatto che in
questo caso si identifica come imprenditore una categoria più
ampia di individui, ossia quella dei self-employed. I problemi si
evidenziano in relazione al fatto che tale categoria è costituita da
cinque gruppi, dei quali solo uno è definibile come imprenditore.
Infatti il self-employement si compone di imprenditori,
professionisti, lavoratori autonomi (negozianti, artigiani e
agricoltori), lavoratori delle cooperative e coadiuvanti familiari
(Codagnone, 2003).
Anche se la prassi di identificare la figura dell‟imprenditore
con la più larga categoria del self-employement risulta essere
ambigua e problematica, nel corso di questo lavoro utilizzerò tale
prassi proprio per evitare inutili problemi.
Ora occorre passare all‟analisi dell‟aggettivo etnico che
discende dal greco ethnikòs derivato da éthnos, che significa
popolo, stirpe. In questa accezione sembra quindi che etnico si
riferisca al fatto di condividere un‟unica comunità d‟origine,
propria di un popolo, di una razza. Ma la definizione di etnicità ha
subito dei cambiamenti nel corso della storia poichè
prima della rivoluzione industriale tale definizione si fondava
essenzialmente sulla tradizione, mentre nell‟epoca contemporanea
assume sempre maggior rilevanza l‟elemento soggettivo, cioè
l‟autoidentificazione. Essere pertanto un discendente d‟immigrati non
comporta che un individuo sia automaticamente ascrivibile a un gruppo
etnico, ma, poiché ciò si possa sostenere, occorre che sussistano precise
condizioni. Di qui l‟opportunità di considerare l‟etnicità come una
variabile e non come un elemento definito una volta per sempre
(Cesareo, 2000, pp. 11 e 12).
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Risulta chiaramente che quando si parla di imprenditorialità
etnica occorra interrogarsi su che cosa sia definibile come etnico,
su quali aspetti vadano intesi come etnici (Codagnone, 2003):
l‟origine dell‟imprenditore? Le sue abitudini dirigenziali? L‟origine
dei suoi collaboratori, dei suoi fornitori o dei suoi clienti?
Pertanto seguendo la prassi di Codagnone (Idem) nel
ritenere che l‟aggettivo etnico sia una questione di ricerca e non
un dato di fatto, in questo lavoro l‟espressione di imprenditorialità
etnica verrà sostituita con quella di imprenditorialità immigrata,
che risulta di più facile comprensione.
1.3 Gli approcci teorici sull’imprenditorialità degli
immigrati
Lo studio dell‟imprenditorialità degli immigrati ha una storia
recente, essendo iniziato in Canada e negli Stati Uniti agli inizi
degli anni Settanta. Nel corso di questi anni si è sviluppato in
maniera rapida e dinamica tanto da essere oggi considerato come
un campo di studio teorico ed empirico a sé stante.
Una ragione del successo della letteratura
sull‟imprenditorialità etnica è sicuramente riconducibile al fatto
che diversi autori hanno congiunto gli studi sul fenomeno con la
nuova sociologia economica, manifestatasi nell‟ultimo trentennio
(Codagnone, 2003).
A dire il vero il primo studioso che si occupò della figura
dell‟immigrato integratosi nella realtà economica del paese
ospitante fino a diventarne un imprenditore fu Werner Sombart,
economista e sociologo tedesco vissuto a cavallo tra il
diciannovesimo e il ventesimo secolo. La visione di Sombart era
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radicata nel fatto che l‟immigrato era percepito come colui che
non faceva parte della maggioranza autoctona conformista e
tradizionalista, ma come colui in grado di essere il cardine del
mutamento sociale e dunque della nascita di un nuovo sistema.
Pollini e Scidà (1998, pp. 40 e 41) infatti sottolineano che
è stato osservato dal Sombart come lo straniero possa contare (…) su
una mentalità e su atteggiamenti che lo predispongono a partecipare in
prima persona (…) ai mutamenti economici volti a sovvertire le vecchie
regole del mondo tradizionale degli affari tendendo, al contrario, ad
imporne di nuove che finiranno per plasmare la nascente società
industriale. Allo stesso modo risulta non di rado congeniale all‟immigrato
il cimentarsi nel ruolo imprenditoriale.
Sicuramente la figura dell‟immigrato analizzata da Sombart
era riferita a quella dell‟esule che, per motivi politici o religiosi, è
costretto a lasciare il proprio paese d‟origine per cercare in quello
di destinazione un‟emancipazione non solo del suo status
personale, ma anche “in relazione all‟affermazione di idee e
convinzioni controcorrente” (Ibidem, p. 40)
4
.
Ritornando al legame tra gli studi più recenti
sull‟imprenditorialità etnica e la nuova sociologia economica è utile
soffermarsi sull‟origine nordamericana di queste analisi, perché ne
ha influenzato gli schemi teorici. Si può fare riferimento, per
esempio, al concetto di ethnicity, che “prosegue il lungo dibattito
americano sulla razza” (Barberis, 2008, p. 31), e che deriva dalla
dottrina liberale e assimilazionista della scuola di Chicago
(Ambrosini, 2007) degli anni Venti, incentrata sullo studio dei
fenomeni migratori con riguardo al mondo del lavoro. Il ricorso al
concetto di ethnicity e all‟approccio culturale non è però
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Si intuisce dunque come le ricerche del sociologo tedesco non siano
per nulla assimilabili a quelle dell‟epoca contemporanea, dove l‟immigrato non è
il rifugiato politico con alle spalle una situazione sociale ed economica dignitosa,
ma è colui che cerca fortuna nel nuovo paese, per riscattarsi dalle misere
condizioni precedenti.