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stato varato un disegno di legge delega sull’immigrazione che prevedeva questo
diritto (ddl Amato –Ferrero).
E’ importante quindi riflettere sul nostro concetto di cittadinanza alla luce dei
dati sopra esposti: si può continuare a sostenere il legame cittadinanza/nazionalità
su cui si basano gli stati nazionali? Oppure è giunto il momento di rivedere la
categoria di cittadinanza considerando coloro che chiamiamo stranieri persone con
identità e appartenenze plurime dettate dalla propria esperienza di vita più che da
ciò che è scritto sul proprio passaporto?
Poichè in Italia non è previsto il diritto di voto per gli stranieri si è tentata
un’altra strada per incentivare la partecipazione e la rappresentanza degli
immigrati alla vita pubblica: si tratta delle consulte degli immigrati, nominate o
elette, dei consiglieri stranieri aggiunti ecc. diversi strumenti per composizione e
formazione, nati soprattutto a livello locale (provinciale e comunale) spesso come
risposta al “vuoto” lasciato a livello nazionale. Capire se e come hanno funzionato
questi strumenti di partecipazione è rilevante per il dibattito sul voto agli stranieri
e sulla cittadinanza in generale.
La prima parte della tesi ha carattere teorico e offre un panorama dell’attuale
situazione nazionale ed europea in materia di partecipazione dei migranti, mentre
nella seconda parte si presenta la ricerca empirica svolta su questo tema nella
provincia di Rimini.
Nel primo capitolo vengono presentati alcuni spunti teorici utili per la
riflessione sulla mobilitazione e la partecipazione dei migranti, in particolare
viene approfondito il modello teorico di riferimento utilizzato nella ricerca
empirica.
Nel secondo capitolo si offre un quadro dell’attuale situazione italiana in
materia di immigrazione rilevando gli aspetti significativi per il tema oggetto della
tesi, la partecipazione degli stranieri. Un paragrafo è dedicato alla questione della
cittadinanza italiana intesa in senso formale e un altro al dibattito sul diritto di
voto con una breve descrizione dell’ attuale situazione europea.
Nel terzo capitolo è esposta la ricerca condotta tra ottobre 2007 e gennaio
2008 nella provincia di Rimini sulla partecipazione degli immigrati. La
metodologia utilizzata è stata quella dell’intervista aperta e/o in parte
semistrutturata a persone, italiane e straniere, individuate come attori-chiave del
3
campo dell’immigrazione locale. Sono state intervistate in tutto tredici persone:
quattro italiani, un’ italo-argentina, un’italo-cinese, un albanese, sei senegalesi.
Diverse informazioni sono state raccolte attraverso colloqui informali con
testimoni privilegiati e l’analisi della rassegna stampa locale. Il punto di partenza
della ricerca è il Consiglio provinciale degli immigrati eletto nel 2002, non sciolto
formalmente, ma non più in funzione dal 2004 e non più rinnovato. Attraverso
l’analisi di quell’esperienza fallimentare si è cercato di riscostruire il quadro delle
proposte e delle possibilità di partecipazione e rappresentanza messe in atto negli
ultimi anni nella provincia di Rimini in favore degli immigrati.
Nel quarto capitolo si sono approfondite le dinamiche infra-politiche, i
legami transnazionali e il background culturale di un gruppo nazionale, i
senegalesi residenti nella provincia di Rimini. Sono stati scelti i senegalesi,
comunità numericamente rilevante ma non ai primi posti, perché sono stati i più
presenti al voto per il consiglio provinciale e i più organizzati e consapevoli dal
punto di vista dell’agire politico secondo diversi testimoni privilegiati.
Sulla base degli elementi conoscitivi che la ricerca empirica ha prodotto,
nell’ultimo capitolo sono state svolte alcune considerazioni conclusive.
5
1. LA PARTECIPAZIONE POLITICA DEGLI IMMIGRATI :
RIFLESSIONI E SPUNTI TEORICI
1.1 Cittadinanza e immigrazione
L’immigrazione si configura ormai anche in Italia come fenomeno strutturale,
anche se, le attuali politiche migratorie non sembrano averlo recepito come dato di
fatto. Vi è un numero crescente di persone sul territorio nazionale che non
appartengono alla comunità politica, perché prive della cittadinanza italiana.
Queste persone hanno accesso ad alcuni diritti e doveri che sono parti integranti
della cittadinanza ma sono esclusi in buona parte dal godimento dei diritti politici
e, probabilmente, non si sentono nemmeno parte dell’identità che la nostra
cittadinanza rappresenta, un’identità ancora molto legata al concetto di comunità
nazionale. Infatti dalla seconda metà del settecento e, con particolare intensità a
partire dalla rivoluzione francese, in Europa il concetto di cittadinanza si lega
all’appartenenza ad un “comunità nazionale”, da questo momento in poi i concetti
di “nazione” e “comunità politica” si saldano insieme (Mantovan, 2007:17).
Importanti trasformazioni in atto da alcuni decenni, come la mondializzazione
dell’economia, l’incremento delle migrazioni internazionali, l’aumento
dell’esclusione e della povertà, e, di non poca rilevanza, l’integrazione europea,
hanno contribuito ad accendere il dibattito intorno al tema della cittadinanza.
Nel periodo 1946-1973, definito il “trentennio glorioso”, vigeva un modello
migratorio in cui gli stati dell’Europa centro-settentrionale avevano un ruolo
attivo nel reclutare la manodopera proveniente dai paesi europei meridionali e
dalle ex-colonie. La dinamica dei flussi migratori era dominata dalla domanda di
lavoro dei paesi di destinazione che vivevano un massiccio sviluppo industriale
(Coop. Caracol, 2004: 20). In questo primo periodo il modello di riferimento delle
politiche migratorie assumeva che l’immigrato, prevalentemente maschio e senza
famiglia, avesse un progetto migratorio basato su una permanenza a carattere
6
temporaneo per motivi di lavoro, utile per poter tornare nel proprio paese con un
certo risparmio economico. Nonostante, in realtà, ci fosse già una diversificazione
dei progetti migratori, il modello del lavoratore-ospite era l’unico alla base delle
politiche migratorie europee. Nel “trentennio glorioso” grazie ad una
organizzazione produttiva su larga scala (fordismo) che garantiva ricchezza
sufficiente per assicurare una redistribuzione del reddito tra i gruppi sociali e il
mantenimento del welfare state, si raggiunsero condizioni di relativa stabilità
sociale, un grado di integrazione che portò ad enfatizzare un’ immagine inclusiva
ed espansiva della cittadinanza (Mantovan, 2007: 18).
Il modello migratorio attuale riflette le mutate condizioni economiche. La fase
di stallo della crescita economica iniziata dalla metà degli anni settanta aveva
spinto ad una riconversione degli investimenti verso altri settori produttivi. La
domanda di manodopera dequalificata destinata alla grande fabbrica subisce un
forte rallentamento. In questa nuova situazione il lavoro migrante resta lavoro
dequalificato ma si concentra sempre più nelle industrie di piccola dimensione che
lavorano in subappalto, nell’edilizia e nel settore dei servizi. Sotto la spinta della
crisi economica seguita allo shock petrolifero l’Europa comincia a chiudere le sue
frontiere. L’immigrazione non è più regolata da accordi bilaterali tra stati, è un
fenomeno che si verifica indipendentemente dalle politiche degli stati e si
alimenta di reti informali di parenti e connazionali che danno vita alle “catene
migratorie” (Coop. Caracol, 2004: 21). Gli stati cercano di contrastare e
scoraggiare, almeno formalmente, questa immigrazione attraverso politiche
restrittive e canali legali di accesso sempre più stretti. Il risultato non è una
diminuzione degli ingressi, ma una diminuzione degli ingressi regolari che
comporta secondo alcuni un “processo attivo di inclusione del lavoro migrante
attraverso la sua clandestinizzazione”3. Tutto ciò porta a rivedere il presunto
carattere di inclusività della cittadinanza. I nuovi lavori dei migranti sono lavori
intermittenti, incapaci di offrire garanzie sociali, sono “bad jobs”: lavoro
domestico, stagionale, commercio ambulante e nelle piccole industrie. La nuova
struttura occupazionale e le modalità di impiego dei migranti sono caratterizzate
dalla “mobilità” che spesso si traduce concretamente nella precarietà. Poiché, per
3
De Genova, 2002, citato in Mezzadra S., I confini della libertà, 2004: 11
7
quanto riguarda l’Italia, la possibilità di permanenza nel paese dipende dal
possesso di un contratto di lavoro, il rischio di essere rispedito nel paese di
provenienza costringe spesso all’accettazione di situazioni di sfruttamento e
violazione dei diritti sul lavoro (Coop. Caracol, 2004: 22). L’attuale legislazione
in materia di immigrazione (legge Bossi-Fini) continua ad essere basata
sull’immagine dell’immigrato come “lavoratore-ospite” quando il modello
migratorio “a tempo e scopi definiti” tende ad essere sostituito da un modello di
sedimentazione della presenza straniera. Riconoscere che la presenza straniera è
una presenza sempre più radicata e a “tempo indeterminato” permette di avere una
diversa immagine dell’immigrato. Una diversa immagine dell’immigrato, che
tenda a valorizzare l’apporto continuativo degli immigrati allo sviluppo delle
nostre società, significherebbe un riconoscimento della richiesta di accesso ai
diritti politici e civili anche per gli stranieri, i “non-nazionali”.
Se è vero che gli immigrati sono interessati all’acquisizione dei diritti
strutturalmente connessi allo status di cittadino non è affatto scontato che
ambiscano ad ottenere la cittadinanza del paese di residenza, spesso si tratta di una
scelta dettata unicamente dalla pragmaticità e non dalla volontà di essere cittadini
“italiani”, “francesi” etc. (Sayad, 2002). I migranti sono portatori di una specifica
“appartenenza” che prende le distanze dal paese e dalla “cultura” d’origine a
causa dell’immigrazione, ma non si volge in adesione incondizionata al paese e
alla “cultura” di insediamento, né nutre un aspirazione alla “naturalizzazione”
(Mezzadra, 2001: 74). Di fronte a queste appartenenze plurime dei migranti, le
società occidentali non possono semplicemente estendere i diritti di cittadinanza,
così come sono sorti all’interno degli stati- nazione, tramite la naturalizzazione, ma
devono ripensare la nozione stessa di cittadinanza e di democrazia (Mantovan,
2007: 29). Ripensare la cittadinanza e trovare nuovi modi di inclusione significa
guardare ad essa “non come a uno ‘status legale’, ma come a una forma di
identificazione, un tipo di identità politica: qualcosa che deve essere costruito e
non empiricamente dato” (Mezzadra, 2001: 89). Significa quindi rompere il
legame cittadinanza-appartenenza nazionale e trovare un nuovo “cemento” sociale
per queste società più complesse. I sostenitori del multiculturalismo vedono nella
valorizzazione delle differenze il nuovo collante sociale, ma questo sembra non
bastare a giudicare dai risultati concreti ottenuti dai paesi che hanno implementato
8
politiche di integrazione basate sul riconoscimento delle differenze. Sembra
inevitabile il dover rimettere in discussione l’impianto generale della cittadinanza,
trovare nuovi criteri di inclusione di tutti grazie ad un “universalismo non
eurocentrico, non primatistico, policulturale” (Rivera, 2002, cit. in Mantovan,
2007: 33).
Una nuova cittadinanza dovrebbe essere necessariamente slegata dalla
nazionalità e basata invece sulla residenza. Bauböck, ad esempio, parla di “urban
citizenship”, intendendo uno status formale per la cittadinanza basata sulla
residenza, una cittadinanza emancipata dagli imperativi della sovranità nazionale
degli stati, che può diventare la base di una democrazia cosmopolita (Bauböck,
2003). Costruire una nuova cittadinanza e, in senso più ampio, una nuova
appartenenza che sia inclusiva dei nuovi soggetti significa aprire uno spazio per la
partecipazione degli stessi migranti che diventano attori del cambiamento. Lo
spazio per la partecipazione si concretizza quasi sempre a livello locale, nella
città, dove le persone, autoctoni e stranieri, si incontrano e negoziano l’accesso
alle risorse e ai diritti. E’ proprio da alcune città italiane che, negli ultimi anni,
arrivano segnali di questo desiderio di partecipazione che qualche volta ha trovato
un canale istituzionale per emergere e confrontarsi con la realtà.
1.2 Il concetto di political opportunity structure negli ethnic studies
Per riflettere sulla mobilitazione e la partecipazione politica degli immigrati è
necessario avere degli strumenti di analisi, dalla letteratura che ho consultato ho
scelto alcuni approcci teorici che illustro di seguito.
Il concetto di “struttura di opportunità politica” proviene dagli studi sui
movimenti sociali e l’azione collettiva. L’idea alla base è che ogni forma di azione
collettiva va considerata come parte di un più ampio processo politico ed è
caratterizzata dalle opportunità e dai vincoli presenti nell’ambiente politico.
Applicare que sto concetto all’analisi della mobilitazione collettiva degli immigrati
significa prendere in considerazione fattori come: le politiche migratorie, la
legislazione sulla cittadinanza, i diritti sociali e politici riconosciuti agli immigrati,
le strutture di partecipazione realizzate per gli stranieri, il discorso pubblico e
9
mediatico sui temi dell’immigrazione e dell’integrazione. Secondo Koopmans e
colleghi (Koopmans, Stathman, Giugni, Passy, 2005) a questi fattori, che
compongono il modello di integrazione e il regime di cittadinanza di ogni stato,
vanno aggiunte le influenze del paese d’origine, il background, nazionale e
culturale, da cui provengono gli immigrati e le identità collettive degli stessi.
Queste ultime possono essere influenzate dal paese ricevente che, nel discorso
pubblico, può far prevalere l’identità di “immigrato” piuttosto che di “straniero”,
“appartenente a una minoranza etnica”, “richiedente asilo”, o ancora, identificare
gli immigrati in base all’appartenenza religiosa piuttosto che a quella etnica. Nei
paesi come la Germania e la Svizzera prevale un tipo di identità etnica e
nazionale, questi paesi lasciano sottosviluppato il campo delle politiche di
integrazione degli immigrati, sono più vicini a una concezione assimilazionista. In
Gran Bretagna sono riconosciute e incoraggiate le “racial identities” (es. black,
asian), mentre in Francia sono rifiutate le identità a carattere etnico e
particolaristico seguendo una concezione universalista e repubblicana della
nazione. Infine in Olanda, vige un approccio basato sul multiculturalismo che
porta al riconoscimento delle organizzazioni di migranti basate sulla nazionalità
d’origine. A seconda del modello di integrazione nazionale (assimilazionista,
universalista, multiculturale, segregazionista) e del tipo di identità assegnata
(“razziale”, etnica, religiosa) gli immigrati forgiano le proprie rivendicazioni. Le
influenze del paese d’origine e le rivendicazioni transnazionali saranno più forti in
paesi come Germania e Svizzera dove le opportunità e i diritti dei migranti in
quanto tali sono poche, sono esclusi dalla comunità nazionale, perciò restano
focalizzati sulle vicende del paese d’origine. L’analisi procede in modo analogo
per stabilire i fattori che influenzano le rivendicazioni dei movimenti xenofobi di
estrema destra e dei gruppi antirazzisti. L’evidenza empirica mostra una
sostanziale convergenza dei cinque paesi verso una concezione civico-territoriale
della cittadinanza e una divergenza nel gestire e riconoscere le differenze culturali
e le rivendicazioni dei gruppi minoritari. In Olanda e Gran Bretagna sono state
messe in atto politiche che permettono il riconoscimento di un elevato grado di
diversità culturale e di diritti alle minoranze in quanto tali, mentre in Svizzera e
Francia, dove prevalgono rispettivamente una concezione assimilazionista e
10
universalista, si rifiuta fortemente ai migranti ogni concessione nella sfera
culturale (Koopmans, Stathman, Giugni, Passy, 2005).
Gaia Danese utilizza il concetto di struttura di opportunità politica per
analizzare l’associazionismo immigrato in Spagna e Italia: “definire la struttura di
opportunità politica significa definire la recettività e la vulnerabilità del sistema
politico all’azione di gruppi contestatari e definire il grado e il tipo di accesso alle
istituzioni e alle risorse di cui questi gruppi godono” (Danese, 2001: 71). L’autrice
arricchisce il concetto di political opportunity structure considerando in modo
critico anche il contesto in cui le mobilitazioni dei migranti hanno luogo: significa
considerare ad esempio la struttura del sistema economico del paese ospite, il
discorso pubblico sull’immigrazione, l’esistenza di gruppi pro o anti immigrati, il
colore dell’amministrazione/governo in carica. Si sottolinea inoltre come i
movimenti sociali non operino come entità separate, ma in un contesto in cui sono
presenti altri movimenti con i quali è possibile un rapporto conflittuale, di
collaborazione, di supporto, di opposizione.
1.2.1 Struttura di opportunità politica e attivismo civico
Il modello teorico del progetto europeo POLITIS 4 si colloca sempre nel solco
della letteratura sulla political opportunity structure, (definita anche societal
opportunity strucuture per indicare l’attenzione rivolta a tutti gli elementi di
contesto, non solo quelli istituzionali), aggiungendo però un’ analisi delle risorse e
delle caratteristiche individuali che influiscono sulla mobilitazione e
sull’attivismo civico dei migranti. Le risorse individuali rilevanti per l’attivismo
civico sono il tempo, la disponibilità di denaro e le competenze, oltre alle
motivazioni individuali; per questo i ricercatori ipotizzano un minore attivismo
dei migranti, rispetto agli autoctoni, in quanto essi sono presenti in modo
prevalente nelle fasce a basso reddito e a basso status del mercato del lavoro,
quindi mancano di tempo e denaro da investire nell’attivismo (Vogel,
Triandafyllidou, 2005).
4
www.uni-oldenburg.de/politis -europe
11
Oltre all’analisi delle risorse individuali che spingono all’attivismo, viene
considerato anche il ruolo dei networks che coinvolgono le associazioni etniche di
immigrati basandosi sulla teoria del capitale sociale nella versione di Putnam.
Fennema e Tillie (Fennema, Tillie; 1999) sostengono che le differenze nella
partecipazione politica dei gruppi di immigrati sarebbero correlate alle differenze
nella “comunità civica” considerata principalmente come l’ammontare di capitale
sociale “etnico” (partecipazione alla vita associativa etnica) del gruppo
considerato. Più è denso il network di associazioni di un particolare gruppo etnico
più fiducia avranno gli appartenenti nel sistema politico e più vi parteciperanno
(Jacobs, Tillie; 2004).
1.2.2 Policy networks
Anche Tiziana Caponio basa le sue ricerche sul concetto di political
opportunity structure, considerando non solo la struttura di opportunità politica a
livello nazionale, ma anche, e soprattutto, a livello locale. La sua analisi empirica
riguarda le città di Bologna, Milano e Napoli guidate da giunte di colore diverso e
quindi presumibilmente da diverse intenzioni e logiche di integrazione degli
immigrati. L’approccio scelto è quello dei “policy networks”, ovvero del tentativo
di ricostruire i network di attori coinvolti nella formulazione delle politiche
pubbliche e spiegare perché tali politiche hanno assunto quella configurazione
specifica.
“catturare la complessità delle politiche per gli immigrati, quindi, implica
inevitabilmente che si vada al di là della descrizione delle azioni del governo
locale, per ricostruire in quale contesto queste hanno preso forma, come e perché
si sono sviluppate in un certo modo, in relazione a quali attori, interessi e
identità.” (Caponio; 2006c: 108)
L’autrice riporta al centro la dimensione politica spesso trascurata, perché in
molte ricerche in ambito locale si parte dal presupposto che la città rappresenti
implicitamente un contesto più favorevole agli immigrati, in quanto luogo lontano