I
SINTESI
L’immigrazione è uno degli argomenti piø discussi nei dibattiti politici di paesi interessati
da afflussi di persone che ricercano lavoro, sia per la difficoltà di affrontarla e gestirla politicamente
e sia perchØ non si tratta di un fatto di natura esclusivamente economica.
Fenomeno attuale e diffuso in spazi e tempi diversi, lo spostamento per motivi economici è
interpretato, nella letteratura economica, come mobilità dell’input lavoro. Nell’elaborato di tesi
sono stati trattati modelli che studiano il ruolo dell’immigrazione nei processi di crescita delle
economie locali (modello di Borts e Stein), nel commercio internazionale di beni e di fattori
produttivi (modello di Heckscher e Ohlin), nell’allocazione del fattore lavoro tra sistemi economici
o settori industriali differenti (modello di Harris e Todaro) e, infine, nei meccanismi di
agglomerazione urbana (modello core-periphery).
Segue l’approfondimento dei principali effetti dell’immigrazione nei sistemi economici di
origine e di destinazione: implicazioni sulla crescita economica, impatto nel mercato del lavoro,
conseguenze nel settore pubblico.
La realizzabilità di tali effetti è subordinata a tempi e modalità di integrazione socio-
economica dell’immigrato.
Di particolare interesse è il caso dell’immigrazione in Italia, esaminato nell’ultimo capitolo
assieme ad un confronto dei principali flussi migratori europei odierni.
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CAPITOLO 1
STORIA DELLE MIGRAZIONI
1.1 Introduzione
La migrazione delle persone è un importante fenomeno della popolazione mondiale,
osservato e studiato in molteplici ambiti per le diverse possibile cause che motivano la scelta di
spostarsi e per gli effetti di vario tipo che è in grado di originare. Nonostante le migrazioni siano
stati eventi frequenti e normali durante l’evoluzione dell'umanità, esse sono spesso oggetto di
discussione nei dibattiti politici ed economici, per la loro attualità e rilevanza su tutto il pianeta: il
3% della popolazione mondiale - circa 214 milioni di persone - vive in un paese diverso da quello di
nascita (Nazioni Unite, 2009).
Con il termine migrazione si indica genericamente la mobilità territoriale di persone da un
luogo ad un altro, ma sarebbe scorretto ridurre l'argomento ad un semplice trasferimento fisico: vi
sono, infatti, rilevanti conseguenze sociali, economiche, politiche e culturali nei paesi di origine e di
destinazione dei migranti.
E' possibile fare una classificazione delle diverse tipologie di spostamento utilizzando criteri
distintivi diversi, come la motivazione che induce al trasferimento, lo spazio geografico entro cui
esso avviene e, in ultimo, la durata del periodo di lontananza dal posto di partenza.
Si decide di migrare per l’aspettativa di migliorare le proprie condizioni di vita - dal punto
di vista economico, ambientale o sociale - o per il desiderio di emancipazione, ma è la speranza di
trovare un lavoro o di iniziarlo, qualora già si fosse stati assunti, la causa piø frequente degli
spostamenti. Le persone possono allontanarsi dai paesi d’origine anche per ragioni non strettamente
economiche: fuggire da persecuzioni di tipo politico, religioso o razziale, da guerre, da rivoluzioni,
da carestie. In tali fattispecie si identificano i rifugiati, i richiedenti asilo e soggetti di status simile.
Vi sono, inoltre, flussi migratori di persone particolarmente qualificate, come ingegneri,
tecnici, medici,ecc., che possono essere dovuti al noto fenomeno della “fuga dei cervelli” o per
specifiche modalità di assunzione, come contratti interuniversitari, interaziendali o di altro tipo.
Questi immigrati rappresentano una quota crescente dei flussi in entrata verso gli Usa, l’Australia, il
Canada e, in anni recenti, verso i paesi del Nord Europa.
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Un dato importante nello studio dei movimenti migratori è l’estensione dell’area
geografica in cui si verificano. Sia dato uno spazio geografico di riferimento, si dicono interne le
migrazioni che avvengono entro i suoi confini, mentre sono esterne quelle che hanno luogo oltre le
frontiere del suddetto territorio. Se tale distinzione si pone in relazione con l’ordinamento
amministrativo di uno stato, si può ottenere una piø precisa osservazione dei flussi migratori interni
rispetto alla loro connotazione geografica. Facendo riferimento al caso italiano, è possibile
distinguere migrazioni intracomunali, se interne ad uno stesso comune; intercomunali, se tra comuni
diversi ma della stessa provincia; intraprovinciali, se interne alla stessa provincia; interprovinciali,
se tra province della stessa regione; intraregionali, interne ad una stessa regione; interregionali, tra
regioni diverse (Chiassino, Di Comite, 2001).
La relazione tra spazio geografico e movimento migratorio è particolarmente importante
per un possibile effetto delle migrazioni interne dalla campagna alle città, l’urbanesimo, che
comporta l’agglomerazione delle popolazioni rurali stabilitesi nelle aree cittadine.
Le migrazioni esterne o internazionali, invece, possono essere intracontinentali, se tra stati
di uno stesso continente; intercontinentali, se avvengono tra stati appartenenti a continenti diversi;
transoceaniche se i continenti sono separati da un oceano.
Lo studio del fenomeno in esame richiede la conoscenza di informazioni sul luogo di
origine o provenienza del migrante, sul luogo di destinazione o accoglimento dello stesso e sul
percorso di viaggio effettuato. Se sono analizzati gli effetti del flusso migratorio sul luogo di
origine, la migrazione è detta emigrazione, viceversa si definisce immigrazione lo stesso fenomeno
migratorio osservato nel paese di destinazione.
Il fattore tempo, infine, è l’ulteriore criterio che può essere utilizzato per distinguere le
varie tipologie di spostamenti. Vi sono, difatti, migrazioni temporanee o permanenti, a secondo,
rispettivamente, che il trasferimento in un luogo sia momentaneo o definitivo, e tra quelle
temporanee si distinguono ulteriormente migrazioni stagionali e pendolari. Ci si muove
stagionalmente in altri posti se lo spostamento avviene con cadenza stagionale o mensile. Si ha
pendolarismo se la periodicità della migrazione è settimanale o giornaliera.
Nel vasto insieme dei vari tipi di migranti sono compresi anche i familiari ricongiunti, che
possono non partecipare al mercato del lavoro; gli irregolari, ossia coloro che, pur entrando nel
paese ospitante in modo legale, vi sono rimasti oltre il termine previsto dal permesso che ne aveva
consentito l'ingresso; i clandestini, che sono entrati in modo illegale in un altro paese; i migranti di
ritorno, persone che rientrano nel paese d’origine dopo aver vissuto, per un certo periodo, come
immigrati in un paese straniero.
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Quando le ragioni suesposte inducono intere popolazioni a spostarsi, hanno luogo
migrazioni forzate di vasta portata, come nei casi degli esodi e delle diaspore: entrambi riguardano
un’intera popolazione, che nella fattispecie dell’esodo si sposta unitariamente, mentre tende a
disperdersi nel caso della diaspora.
Episodi di migrazione possono verificarsi pure dopo calamità naturali, come terremoti,
dissesti idrogeologici, cambiamenti climatici.
La rilevanza dei flussi migratori degli ultimi decenni è connessa agli squilibri demografici
e del mercato del lavoro dei paesi ospitanti, congiuntamente all'aumento della diseguaglianza che si
verifica durante il processo di crescita economica nei paesi in via di sviluppo.
Per quanto riguarda il primo aspetto, gli squilibri qualitativi nel mercato del lavoro nei
paesi di arrivo sono spesso piø rilevanti di quelli quantitativi. Ciò significa che sempre piø spesso
nei paesi piø ricchi si verifica la mancanza di offerta di lavoro per determinati settori, in cui le
occupazioni appaiono poco gradite o mal pagate ai lavoratori autoctoni, magari perchØ il livello di
preparazione scolastica o di benessere delle famiglie di provenienza pare troppo elevato per essere
compatibile con certe mansioni. Questo processo si è verificato, ad esempio, per la pesca, per
l'agricoltura, per l'industria pesante e per i servizi domestici. In tal modo si spiega anche perchØ è
possibile che, in uno stesso paese, possano coesistere elevata disoccupazione giovanile e massiccia
immigrazione straniera. Al proposito del crescente divario tra paesi ricchi e paesi poveri, Golini
(2003) sostiene che, stante questa osservazione, è necessario chiedersi non perchØ si migra, ma
perchØ si migra così poco. Per partire da un paese povero occorrono soldi per il viaggio,
maggiormente se avverrà in clandestinità, talvolta bisogna avere una cultura o un'istruzione adatta
di cui non sempre si dispone. E' importante godere di uno stato di salute psicofisico opportuno per
affrontare le fatiche del trasferimento, particolarmente pesanti se si tratta di viaggi clandestini,
senza trascurare la capacità di adattamento ad un ambiente sociale e naturale nuovi. La spinta a
migrare persiste quando le ragioni dello spostamento sono soprattutto economiche, dato che nei
paesi di origine il migrante ha consapevolezza della condizione di sottosviluppo del proprio paese.
Egli si aspetta di poter realizzare una promozione economica e talvolta sociale nel luogo di
destinazione, anche perchØ le informazioni provenienti da televisione, mezzi vari di comunicazione,
connazionali già emigrati e dai richiami e dai legami interpersonali tra gli emigranti - le cosiddette
catene migratorie – rafforzano tali attese.
Interpretare il fenomeno in esame come se fosse un evento inusuale della storia umana è
indubbiamente sbagliato, nØ si può limitarlo a tempi, spazi e cause univoche, tanto che Paola Corti
sostiene che <<la mobilità territoriale […] è stata una costante risorsa e talora una ineluttabile
necessità nell'assetto economico, sociale e politico del Vecchio Mondo, […] è stata forse la
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sedentarietà una condizione “eccezionale” nella storia dell'umanità, mentre la mobilità ha
rappresentato, in contesti storici e in condizioni economiche e sociali assai differenti, non solo una
strategia di sopravvivenza, ma uno strumento indispensabile per esercitare mestieri e professioni
che talora non erano affatto marginali>>
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1.2 Storia delle migrazioni
L’atto di migrare è un fatto fisiologico per gran parte delle popolazioni di esseri viventi e
per gli uomini ciò trova conferma nella Storia, a prescindere dal periodo di riferimento e da ciò che
lo ha motivato. Sin dalla preistoria si ebbero spostamenti che generarono cambiamenti economici,
sociale e demografici piø o meno evidenti, dovuti al fatto che la mobilità di una popolazione altera
gli equilibri preesistenti del territorio di origine e di quello di arrivo: si modifica la pressione
demografica in entrambi, il nuovo gruppo umano formatosi subisce un incremento (nel caso del
luogo di destinazione) o un decremento (nel luogo di partenza) di risorse economiche, oltrechØ di
persone, essendo possibili variazioni nell'entità dei flussi di commercio, delle attività agricole ed
economiche in generale. Effetti non trascurabili vi sono in ambito culturale: la civiltà romana è
forse uno dei piø noti esempi della convivenza e fusione di popoli diversi.
Golini osserva che <<le migrazioni hanno assicurato all'umanità una delle due
caratteristiche che la rendono unica, o quasi, fra le specie viventi, e cioè di essere diffusa su tutta la
faccia della terra e di sopravvivere da così lungo tempo. Se i primi esseri umani non si fossero
spostati e mescolati fra loro, probabilmente si sarebbero evoluti in specie diverse>>
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L’osservazione nel tempo delle migrazioni dipende molto dall’andamento demografico del
genere umano e dalla relazione tra disponibilità di risorse ed entità della popolazione. Secondo Livi
Bacci (1998) lo sviluppo demografico è dipeso soprattutto da due forze di lenta modificabilità,
quelle della costrizione e quelle della scelta.
Le forze di costrizione sono quelle non controllabili dall'uomo, come gli eventi naturali (il
clima, la diffusione di malattie), gli elementi di sopravvivenza (cibo, acqua e spazio) e le possibilità
di insediamento. Per l'uomo preistorico, ad esempio, la possibilità di sopravvivenza è stato il piø
rilevante tra i fattori citati, data soprattutto dalla capacità di interazione con l'ambiente naturale e in
particolare con la terra che è spazio di insediamento, fonte di alimentazione, materie prime e fonti di
energia, ma anche con gli agenti atmosferici e densità della popolazione preesistente. Per la
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Corti, P., 2003. Storia delle migrazioni internazionali. Bari: Laterza.
2
Golini, A., 2003. La popolazione del pianeta. Bologna: Il Mulino.
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convivenza con tali fattori l'uomo deve attivare un processo di adattamento che può assumere
diverse forme e durata, per esempio la gestione della terra e la ricerca di alimenti si può risolvere
coltivandola e le condizioni climatiche possono essere affrontate con adeguato vestiario, oppure si
può decidere di spostarsi altrove, in luoghi ove le difficoltà suddette sono presenti in maniera piø
tollerabile o sono del tutto assenti.
La decisione di migrare si può considerare come un modo di adattamento oltrechØ una
forza di scelta, come d'altronde lo sono eventi di nuzialità e fecondità se hanno origine volontaria e
non naturale. Le forza di scelta, riescono ad avere, comunque, la funzione di meccanismi
riequilibratori e regolatori dello sviluppo demografico.
Sebbene l'evoluzione della popolazione umana sia caratterizzata da una generale
irregolarità, gli studiosi sono soliti fare una suddivisione indicativa dell'arco temporale in
osservazione in piø cicli, dipendenti dall’andamento dei saldi naturali e migratori rilevati. In questa
sede si adotta la divisione utilizzata da Massimo Livi Bacci (1998), che riconosce tre cicli del
popolamento: il primo coincide con la Preistoria; il secondo corrisponde alla storia che va dalla fine
del Neolitico sino alla Rivoluzione Industriale; infine, il terzo ciclo si riferisce al periodo successivo
alla Rivoluzione Industriale sino al presente. Tali periodi ciclici sono stati intervallati da fasi di
transizione che modificavano i preesistenti equilibri tra popolazione e risorse.
La prima fase della storia della popolazione, quindi delle migrazioni, fa riferimento alla
Preistoria.
Nel 700.000 a.C. circa i primi uomini iniziarono a spostarsi dall'Africa verso l'Europa,
probabilmente a causa dei cambiamenti climatici, della scarsità di cibo, della difficoltà di trovare
rifugio. E' pur probabile che la competizione nella caccia tra clan diversi abbia spinto i gruppi piø
deboli a migrare, oppure che gli spostamenti dei primi nomadi forse dipesero dai movimenti di
mandrie di animali.
Durante il Paleolitico inferiore (da 2,5 milioni a 120.000 anni fa) gli uomini vivevano in
gruppo e in continuo spostamento da un luogo ad un altro, secondo l'alternanza delle stagioni, delle
esigenze di raccolta e delle possibilità di caccia. In questo periodo ci si riferisce ad aggregazioni di
soggetti, non numerose ed autonome, dunque non paragonabili alle popolazioni della storia
successiva.
Il nomadismo fu un modo di vivere che iniziò a scomparire solo nel Paleolitico superiore,
dopo il 40.000 a.C., a causa soprattutto dei cambiamenti climatici che resero difficile la vita non
sedentaria. Il clima europeo si raffreddò molto, pertanto le popolazioni si adattarono a dimore piø
stanziali, localizzate vicino a riserve di cibo costantemente accessibili. La fine del Paleolitico e il
Neolitico furono, dunque, periodi caratterizzati dalla sedentarietà delle popolazioni, almeno nelle
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zone dell'Europa centrale e settentrionale, indotta dall'inizio della pratica dell'agricoltura come
principale modo di sostentamento, che sostituì in buona parte le abitudini di caccia e di raccolta
della frutta. La stabilità favorì la crescita demografica per il maggior controllo delle risorse per la
nutrizione, la formazione delle prime organizzazioni sociali e la pratica di primi scambi
commerciali. Se vi furono migrazioni, esse possono spiegarsi con la ricerca di terre fertili e di
materiali per la fabbricazione di attrezzi per la coltivazione. I primi mercati ebbero come oggetti di
scambio proprio questi arnesi, ove chi acquistava e vendeva era agricoltore o artigiano. A tale
periodo si riconducono flussi migratori dal Medio Oriente verso il Sud-est dell'Europa, nell'area
bagnata dal Mar Egeo, mentre alcuni gruppi si spinsero sino al Nord Europa, in particolare vi
furono prime colonizzazioni nei pressi del Danubio, tra l'8.000 e il 4.000 a.C.
La seconda fase va dalla transizione del Neolitico sino alla Rivoluzione industriale.
Nel 2.000 a.C. circa ci furono probabili movimenti migratori partiti dalle steppe asiatiche,
a lunga distanza e in varie direzioni, per ragioni diverse e incerte, come la pressione demografica, la
ricerca di pascoli, le variazioni climatiche.
Un flusso migratorio importante fu quello dei popoli noti per l'uso di un vaso
campaniforme in metallo, poichØ essi contribuirono molto alla diffusione delle lavorazioni di questo
materiale nell’Europa settentrionale e centrale, dato che le direzioni degli spostamenti partivano
dalla penisola iberica e si dirigevano a nord verso la Gran Bretagna, i Paesi Bassi e la Repubblica
Ceca.
A partire dal 1.200 circa, movimenti di popolazione a carattere guerriero aventi origine
perlopiø dal bacino danubiano condussero al tracollo la potenza micenea, alla distruzione
dell’Impero ittita e all’invasione dell’Egitto.
L’uso del cavallo come animale da sella sembrerebbe acquisito dall’inizio dello 800 a.C.
nelle steppe dei dintorni del Mar Nero: questa innovazione avrebbe comportato uno sviluppo del
nomadismo e delle attività pastorali ai danni dell’agricoltura, favorito anche dagli ennesimi
mutamenti climatici.
La storia ripropone numerosi episodi di migrazioni, di natura ed effetti differenti. Basti
pensare che gli spostamenti di persone nell'area mediterranea durante la metà dell’800 a.C. sino alla
fine del 600 a.C. contribuirono al processo di colonizzazione greca lungo le coste del Mediterraneo,
in particolare nel sud Italia, nella Gallia e nella penisola iberica meridionale, ma anche sulle coste
del Mar Nero. Difatti, verso il 700 a.C., l'area greca si sviluppò piø velocemente del resto d'Europa,
anche grazie all'organizzazione amministrativa in polis, che non ebbero solo funzione politica, ma
furono pure centri di commercio. L'economia greca si basava in buona parte sull'utilizzo di schiavi
provenienti dalle zone conquistate, e poichØ il sistema delle polis era di fatto un'oligarchia, molti