spinge molte persone ad allontanarsi dal proprio Paese in cerca di maggiori
opportunità di sviluppo.
In tale contesto, appare naturale che gli Stati rivolgano la propria
attenzione agli ingenti movimenti di popolazione che caratterizzano la
nostra epoca.
Se si guarda, invece, al passato, si rileva un loro scarso interesse al
governo dell’immigrazione, con l’abbandono di una certa politica del
laissez-faire solo in seguito alla grave crisi economica del 1929, quando, a
causa dell’elevata disoccupazione, tutti i paesi sviluppati decidevano di
porre delle limitazioni all’entrata degli immigrati.
Anche sul piano internazionale la gestione dell’immigrazione ha
ricevuto per lungo tempo scarsa attenzione, con l’eccezione della
convocazione, per iniziativa del Belgio e degli Stati Uniti, di una
Conferenza Internazionale sulle Migrazioni, tenutasi a Bruxelles nel 1951.
Tale Conferenza portò alla creazione di un Comitato
Intergovernativo Provvisorio per i movimenti migratori dall’Europa, il quale
divenne successivamente Comitato Intergovernativo per le migrazioni
europee, per trasformarsi, nel 1989, nell’Organizzazione Internazionale per
le Migrazioni, che riveste oggi un ruolo fondamentale in molti degli aspetti
connessi all’immigrazione internazionale.
Sempre al 1951 risalgono, inoltre, la creazione di un organismo per
la protezione dei rifugiati, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i
Rifugiati, e l’adozione della Convenzione relativa allo status dei rifugiati del
28 Luglio 1951, alla quale venne successivamente annesso un Protocollo,
adottato il 31 Gennaio 1967.
Alla fine del secondo conflitto mondiale, i movimenti transfrontalieri
delle persone vengono riconosciuti come importante elemento dello
sviluppo economico, e quasi tutti i governi dell’epoca gestiscono
direttamente il reclutamento dei lavoratori dall’estero, attraverso tutta una
serie di accordi bilaterali.
La fine di questa ”gestione concordata” avviene con la crisi
petrolifera del 1970, quando i paesi europei di tradizionale
immigrazione(Germania, Francia, Olanda, Belgio)cominciano ad attuare
delle politiche di stop che hanno l’effetto di spostare i flussi verso paesi che
3
erano stati, sino allora, di emigrazione, come Italia, Spagna e Portogallo,
che divengono dapprima paesi di transito verso il Nord Europa, e
successivamente mete dirette d’immigrazione.
E’perciò alla fine degli anni ’70, a causa della mancata coincidenza
d’interessi tra Paesi invianti e riceventi, avendo i primi ancora necessità di
generare flussi a causa del loro sottosviluppo, ed i secondi non avendo più
bisogno di contribuenti al loro sviluppo, che il piano normativo viene a
concretizzarsi in leggi, o atti politici nazionali ed accordi internazionali, in
cui hanno maggiore rilievo i diritti fondamentali legati all’integrazione e
all’aiuto allo sviluppo.
La dimensione globale dell’immigrazione comincia ad affiorare, e
con essa, quella “umana”.
Occorre a questo proposito ricordare, in ambito internazionale, le
Raccomandazioni adottate durante la Conferenza internazionale sulla
popolazione delle Nazioni Unite, tenuta a Mexico City nel 1984, nelle quali
si afferma il dovere degli Stati riceventi di adottare tutte le misure
necessarie al fine di salvaguardare i diritti umani fondamentali di tutti i
migranti presenti entro i loro confini territoriali, il rispetto della loro identità
culturale all’interno dei processi di integrazione, nonché la protezione della
categoria specifica dei migranti undocumented, particolarmente esposti a
sfruttamento e maltrattamenti.
Ma è in un’altra importante Conferenza mondiale sulla Popolazione
e lo Sviluppo, tenutasi al Cairo nel settembre 1994, che, per la prima volta
in un documento internazionale, le migrazioni vengono riconosciute come
elemento per il quale la cooperazione internazionale diventa essenziale
fattore di sviluppo, affermando il dovere dell’intera comunità internazionale
di valutare le cause che stanno all’origine dei vari movimenti migratori, in
particolare quelli legati alla povertà, instaurando una più stretta
collaborazione tra Paesi invianti e Paesi riceventi nel precipuo rispetto dei
diritti umani.
Assistiamo, tuttavia, nello stesso periodo, all’introduzione degli
obblighi di visto per tutti i paesi di emigrazione: l’immigrazione viene sì
percepita come fenomeno globale, da affrontare a livello internazionale e
nell’ambito di un’ampia collaborazione tra tutti i soggetti coinvolti, ma i
4
Governi continuano a rivendicare per sé la gestione di tale fenomeno, pur
nel rispetto dei principi aventi ad oggetto i diritti umani, ampiamente e
variamente formulati nei più vari atti internazionali.
Per quanto concerne l’individuazione delle possibili cause delle
migrazioni internazionali, viene immediatamente in luce la loro molteplicità
ed eterogeneità: nel rapporto finale della Conferenza del Cairo, tra i fattori
che spingono la gente a migrare, si individuano in particolare ”squilibri
economici internazionali, povertà e degrado ambientale insieme all’assenza
di pace e sicurezza, violazioni di diritti umani e livelli differenti dello
sviluppo di istituzioni giudiziarie e democratiche”.
Generalmente queste complesse cause vengono divise in fattori di
espulsione, relativi ai Paesi di provenienza, e d’attrazione, presenti nei Paesi
d’arrivo (push and pull factors).
I primi, riguardano tutta una serie complessa di gravi situazioni
economiche, demografiche, politiche, sociali e culturali che spingono gli
abitanti dei Paesi meno sviluppati ad abbandonarli, mentre i secondi fanno
riferimento alle particolari condizioni, soprattutto economiche, che
caratterizzano l’alto standard di vita presente nei Paesi sviluppati, che
divengono così meta appetibile per quanti desiderano migliorare le proprie
condizioni.
Tra le determinanti di più grande rilevanza rientrano in primo luogo
quelle economiche e socio-economiche: se si pensa che nei Paesi in via di
Sviluppo risiede l’85%della popolazione mondiale, la quale deve vivere con
una media di 3.500 dollari pro-capite all’anno, contro i 25.600 dollari dei
Paesi ricchi, il conto è ben presto fatto.
Guardando alle differenze del tenore di vita, sarebbe logico pensare
che gli abitanti dei Paesi più poveri desiderino tutti trasferirsi in quelli più
ricchi, così come afferma la teoria “neo-classica”, ma la realtà non è così
semplice.
In un lavoro condotto da un comitato internazionale e
multidisciplinare per lo studio scientifico della popolazione dell’Università
di Oxford, incaricato di valutare le teorie esistenti sulle migrazioni
internazionali, si conviene nel dimostrare che i migranti internazionali non
provengono dai luoghi più poveri, bensì dalle regioni che registrano un
5
cambiamento rapido dato dallo sviluppo economico.
Che lo sviluppo economico generi un aumento, e non una
contrazione dell’emigrazione, è sostenuto da vari autori, nonché dalla
Commissione degli Stati Uniti per lo studio delle migrazioni internazionali e
la cooperazione per lo sviluppo economico, secondo cui “se da un lato la
crescita economica che crea posti di lavoro è la soluzione che può ridurre
definitivamente le pressioni migratorie, dall’altro è lo stesso processo di
sviluppo economico che tende a breve e medio termine a stimolare
l’immigrazione, in quanto eleva le aspettative e accresce la capacità di
emigrare dei singoli”.
Altro importante fattore di spinta è sicuramente quello demografico.
La maggioranza dei Paesi in via di sviluppo registra, infatti, un
considerevole aumento della popolazione, dovuto soprattutto alla
diminuzione del tasso di mortalità, scaturente da una migliore diffusione
degli elementari principi igienici e da una più efficace profilassi delle
malattie infettive.
L’incremento demografico, accompagnato da generali peggioramenti
delle condizioni di vita, individuati nel degrado ambientale e nella scarsa, o
nulla, assistenza socio-sanitaria, diviene premente causa d’espulsione.
Le determinanti politiche, dal canto loro, stanno alla base di una
condizione migratoria del tutto particolare, non trattandosi in questo caso di
un “progetto migratorio”, ma di una vera e propria fuga dal proprio Paese.
Purtroppo, nel mondo contemporaneo, sono molte le violazioni
sistematiche delle libertà fondamentali, le persecuzioni di minoranze, le
guerre…
Sono questi i casi che danno luogo alla migrazione in cerca d’asilo, e
al fenomeno dei rifugiati, nonché ai grandi spostamenti in massa dei
profughi.
Tuttavia, è tutt’altro che agevole distinguere la condizione di coloro
che lasciano il proprio Paese volontariamente, in cerca di più ampie
prospettive e maggiore benessere, da quella di chi fugge a causa di guerre e
persecuzioni: v’è infatti un nesso inscindibile tra situazioni di conflitto
sociale, discriminazione politica e carenza di opportunità economiche.
Da ciò deriva la difficoltà di tracciare una netta separazione tra il
6
concetto di migrante e quello di rifugiato, derivanti entrambi da un comune
stato di necessità: viene allora spontaneo parlare di “flussi misti”, composti
sia da migranti per ragioni economiche, che da richiedenti asilo e rifugiati
per questioni politiche.
Inoltre, vi è anche un grande numero di persone costrette ad
abbandonare il proprio Paese a causa di calamità naturali, o per scampare
alla fame: queste, come i rifugiati, sono forzate a lasciare il proprio Paese
per trovare accoglienza in un altro, ma non sussiste, del caso, un fondato
timore di persecuzione individuale.
Spesso anche la figura dell’apolide, il cui status giuridico è regolato
dalla Convenzione di New York del 28 Settembre 1954, può confondersi
con quella del rifugiato, ma l’apolide è una persona che non gode di alcuna
cittadinanza, mentre i rifugiati, pur non godendo della protezione del loro
Stato d’origine, ne mantengono comunque la cittadinanza.
Altra distinzione rilevante dal punto di vista concettuale, è quella che
si riferisce alle persone che sono fuggite dal proprio Paese, ma non hanno
ancora ottenuto lo status di rifugiato: si parla in questo caso di ”persone in
cerca d’asilo”, se essi non hanno ancora fatto formale richiesta per ottenere
lo status di rifugiato alle competenti autorità dello Stato in cui si trovano, di
”richiedenti asilo”, se hanno già inoltrato formale richiesta alle competenti
autorità e si trovano in attesa che tale domanda sia esaminata, infine, di
”rifugiati de facto”, se tali individui hanno fatto ingresso nel territorio di un
altro Stato nel corso di una ”affluenza in larga-scala” dal loro Stato
d’origine, a causa di conflitti o altri disastri, e, non sussistendo l’elemento
persecutorio individuale, non possono rientrare nella categoria giuridica di
rifugiato.
Non tutti i migranti, poi, attraversano i confini territoriali del proprio
Stato: le c.d. internally displaced persons, sono definite dall’Alto
Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, come coloro“who, as a
result of persecution, armed conflict or violence, have been forced to
abandon their homes and leave their usual place of residence and who
remain within the borders of their own country”.
Questa varietà di categorie giuridiche comporta, quale punto di
partenza e condizione necessaria per l’individuazione delle norme volte alla
7
tutela degli immigrati e dei rifugiati, un’accurata analisi delle fonti
normative inerenti alla materia più generale del trattamento dello straniero:
tutto ciò che concerne la circolazione delle persone da un Paese
all’altro(ingresso, soggiorno, respingimento, espulsione, allontanamento),
non costituisce altro, infatti, che un aspetto particolare di questo trattamento.
Occorre inoltre soffermarsi sui metodi di protezione elaborati a
livello regionale, che, oltre a rappresentare il crescente interesse nei
confronti della materia, costituiscono sicuramente un’opzione promettente
per rafforzare la difesa dei diritti di tutti i migranti.
Analizzare l’affermazione di tali diritti nei vari strumenti posti a
tutela dei diritti dell’uomo è appunto lo scopo principale di questo lavoro,
che cerca di comprendere come tali strumenti possano realmente garantire la
protezione di cui gli immigrati ed i rifugiati effettivamente necessitano.
8
CAPITOLO I. LA TUTELA INTERNAZIONALE DEGLI
IMMIGRATI E DEI RIFUGIATI.
1.1. Immigrati e rifugiati nell’ambito della protezione universale
dei diritti umani.
La regolamentazione giuridica delle migrazioni internazionali è
costituita da una grande eterogeneità di fonti.
Lo “straniero” ha sempre rappresentato, in tutte le epoche ed in tutte
le civiltà, l’altro, il diverso,” colui che non fa parte del gruppo, che viene da
un’altra parte e, conseguentemente, colui del quale si ha paura e di cui non
ci si fida”
1
.
Si tratta di un concetto che può inoltre ricavarsi, a contrario, da
quello di cittadino, status che deriva dal rapporto essenziale intercorrente tra
un individuo ed il proprio Stato di appartenenza: “nationality is the link
between them[individuals]and International Law”
2
. Volendo tentare una
ricostruzione storica delle norme concernenti il trattamento degli stranieri,
occorre innanzi tutto rammentare la più ampia discrezionalità in materia
reclamata dagli Stati in epoca più remota, con la corrispondente negazione
di qualsiasi diritto in capo allo straniero
3
.
Pian piano, dapprima con il riconoscimento del diritto di
rappresaglia ai propri sudditi da parte del sovrano, successivamente con la
stipulazione di accordi tra gli stessi sovrani aventi ad oggetto le reciproche
relazioni d’amicizia e soprattutto di commercio, nonché con il ricorso all’
esercizio della “protezione diplomatica” e la pretesa dello Stato di vedere
riconosciuti i diritti dei propri cittadini all’estero, avviene la formazione
delle prime regole in materia, che costituiscono comunque un’esternazione
1
D. LOCHAK, Le concept d’étranger dans l’histoire et la culture, in A. PERDUCA e F.
PINTO(a cura di), L’Europa degli stranieri. Stranieri extracomunitari tra accoglienza e
rifiuto alla soglia del 1993, Milano,1991, p. 21.
2
L.OPPENHEIM, International Law. A Treatise, vol. I-Peace, 8ed., Sir LAUTERPACHT
(a cura di), Londra, 1955, p. 640.
3
B. NASCIMBENE, voce Straniero(diritto internazionale pubblico), in Enciclopedia del
diritto, XLIII, Milano,1990, p. 1145.
9
della sovranità statale piuttosto che un diritto del singolo protetto
4
.
Proprio dall’esercizio del diritto di protezione diplomatica nasce il
contrasto tra due diversi standards di trattamento
5
: lo standard di
trattamento nazionale, che prospetta l’obbligo di attribuire agli stranieri un
trattamento non diverso da quello dei cittadini, e lo standard minimo
internazionale, che presuppone l’esistenza di un minimo di diritti ed
obblighi comuni a tutte le nazioni civili, che deve essere rispettato da tutti
gli Stati
6
.
La consacrazione di detti standards avviene attraverso l’adozione, da
parte dei Paesi latino-americani, della Convenzione dell’Avana del 1928, e
di quella di Montevideo del 1933, nelle quali si conviene una disciplina
della condizione dello straniero e dei diritti e doveri spettanti agli Stati della
regione, nonché tramite i due tentativi di codificazione promossi dalla
Società delle Nazioni nel 1929(Conferenza di Parigi), e nel
1930(Conferenza dell’Aja), che si sono però risolti in un nulla di fatto.
La ragione di questo fallimento può essere attribuita al carattere
universale dei due progetti, che proponevano intenti di portata troppo ampia
in un periodo(successivo al primo conflitto mondiale)in cui l’atteggiamento
verso gli stranieri era tutt’altro che favorevole, a differenza della comunione
di intenti che caratterizzava gli Stati dell’area panamericana, tutti orientati
verso lo standard nazionale
7
.
Un tentativo di conciliazione dei due standards fu predisposto
nell’ambito dei lavori della Commissione di diritto internazionale delle
Nazioni Unite, aventi ad oggetto la responsabilità internazionale dello Stato
per i danni causati alla persona o proprietà straniera.
Nel 1961, l’allora Relatore Speciale Garçia-Amador, propose una
sintesi dei due standards, fondata sui diritti fondamentali dell’uomo
proclamati nei più rilevanti strumenti internazionali, affermando
4
ID., Straniero nel diritto internazionale, in Digesto delle discipline pubblicistiche, XV, 4°
edizione, Utet, Torino, 1999, p. 180.
5
In sostanza, il contrasto deriva dalla contestazione da parte dei Paesi latino-americani, nei
confronti degli Stati Uniti e dei Paesi europei, circa l’abuso dell’esercizio della protezione
diplomatica da questi ultimi perpretato a discapito dei primi, e riassunto nella c.d. “dottrina
Calvo”. Cfr., a questo proposito, M. C. CALVO, Le droit international théorique et
pratique, VII, Paris, 1870, pp. 41 e ss.
6
NASCIMBENE, voce Straniero, cit., p. 1145.
7
ID., Il trattamento dello straniero, cit., p. 134.
10
esplicitamente nel primo paragrafo all’Articolo I del suo Sesto Rapporto:
…aliens shall enjoy the same rights and legal guarantees as
nationals , but these rights and guarantees shall in no case be
less than “the human rights and fundamental freedoms”
recognised and defined in contemporary international
instruments.
Nel successivo paragrafo secondo, il Rapporto elenca i “diritti umani
e libertà fondamentali” da riconoscere allo straniero, esplicitandoli nel
diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della persona
8
.
Gli strumenti internazionali cui il Relatore Speciale si riferiva, sono
lo Statuto delle Nazioni Unite
9
, che all’art. 1.3 promuove ed incoraggia tali
diritti umani e libertà fondamentali “…per tutti senza distinzione di razza,di
sesso,di lingua o di religione”, la Dichiarazione Universale dei diritti
dell’uomo
10
, che, nel precisare i diritti spettanti ad ogni individuo senza
distinzioni, aggiunge a queste, rispetto alle previsioni dello Statuto, il
colore, l’opinione politica o di altro genere, l’ordinamento nazionale o
sociale, la ricchezza, la nascita ed ogni altra condizione
11
, specificando nel
successivo paragrafo 2 dello stesso art. che:
Nessuna distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello
statuto politico, giuridico o internazionale del paese o del
territorio cui una persona appartiene…
ed il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici(allora soltanto
Progetto)
12
, il cui articolo 2.1 prevede che:
Ciascuno degli Stati parti del presente Patto si impegna a
rispettare ed a garantire a tutti gli individui che si trovino sul
suo territorio e siano sottoposti alla sua giurisdizione i
diritti riconosciuti nel presente Patto, senza distinzione alcuna…
riportando pressoché testualmente le eccezioni sancite nella Dichiarazione
universale dei diritti dell’uomo.
8
G. GOODWIN-GILL, International law and the mouvement of persons between States,
Clarendon Press, Oxford, 1978, pp. 63-4.
9
Adottato a San Francisco il 26 Giugno 1945 ed entrato internazionalmente in vigore il 24
Ottobre dello stesso anno.
10
Approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 1° Dicembre 1948.
11
Art. 1.1 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo.
12
Adottato a New York il 16 Dicembre 1966 ed entrato in vigore il 23 Marzo 1976.
11