4
Mentre Gilliam vuole stupire, sorprendere in continuazione. Costruisce un fantastico
che vive nell’ambiguità tra realtà e irrealtà, permette al mistero di insinuarsi, un mistero
che egli ama e che, nel restare continuamente ambiguo tra realtà e irrealtà, solleva
difficili interrogativi invece che fornire facili risposte.
2
Gilliam è uno spirito controcorrente per cui il cinema è una macchina per riscrivere
il mondo con totale libertà inventiva. La sua vena visionaria diventa provocatoria
quando vuole rovesciare i luoghi comuni e mostrare tutto secondo un punto di vista
altro: egli mostra sullo schermo mondi e spazi mai visti prima, immagina un altrove da
esplorare per espandere la conoscenza umana e per cui l’immagine è strumento di
liberazione. Gilliam “assieme ai guizzi surreali di una fantasia visiva che mescola
l’opulenza figurativa e l’esuberanza stilistica, la lacrima e la risata, la tragedia e la
farsa, [crea] un cinema che si configura – film dopo film- come un lungo, ininterrotto e
appassionato elogio alla follia”
3
, e che si connota come la volontà di mantenere aperta
la meraviglia nei confronti del mondo esplorando le potenzialità del fantastico.
2
Cfr. Christie Ian, Gilliam on Gilliam, Faber & Faber, London, 1999 p. 23
3
Canova Gianni, Terry il visionario, “Duel”, maggio 1996 p. 13
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1. Il fantastico
“Il fantastico, come la peste, scioglie conflitti, sprigiona
energie, libera possibilità, scuote l’asfissiante inerzia della materia:
esplosioni fiammeggianti di immagini dentro la nostra mente
improvvisamente destata.”
Fausto Galosi
4
1.1 Definizione di fantastico
Il termine “fantastico” si riferisce ad un genere caratterizzato da confini molto vaghi,
poiché non può essere ricondotto a un’insieme definito di regole e codici. Il fantastico è
stato affrontato da diverse prospettive ed è stato oggetto delle più svariate
contaminazioni con altri generi, essendosi dimostrato un campo ricco di possibilità di
applicazione a livello contenutistico e formale. Diverse avventure in diversi campi sono
state affrontate nei termini di questo genere, ma ciascuna esperienza restava ambigua e
al termine sussistevano gli interrogativi: era sogno o realtà? Verità o illusione? Ed è
proprio attraverso a questi interrogativi che è possibile entrare nel cuore del fantastico.
Todorov, il più celebre teorico sull’argomento, ha tentato di tracciare dei confini che
possano delimitare il fantastico, delle regole a cui ricondurlo: in un mondo che è
sicuramente il nostro, quello che conosciamo, si verifica un avvenimento che non è
possibile spiegare con le leggi del mondo a noi familiare. Colui che percepisce
l’avvenimento deve decidere tra due soluzioni possibili: o si tratta di un’illusione dei
sensi, un prodotto dell’immaginazione e in tal caso le leggi del mondo reale restano
invariate, oppure l’avvenimento è realmente accaduto, è parte integrante della realtà, ma
allora questa realtà è governata da leggi a noi ignote. Il fantastico occupa il lasso di
tempo di quest’incertezza: non appena si è scelta l’una o l’altra risposta, si abbandona la
sfera del fantastico per entrare in quella di generi simili, lo strano o il meraviglioso. Il
fantastico è quindi un’esitazione, esitazione comune al lettore-spettatore e al
personaggio protagonista, i quali devono decidere se ciò che percepiscono fa parte o
meno della realtà quale essa esiste per l’opinione comune. Alla fine della storia,
4
Galosi Fausto (a cura di), Epidemie dell’immaginario: tendenze del cinema fantastico, il lavoro
editoriale, Ancona, 1984, p. 7
6
comunque, bisogna prendere una decisione e optare per l’una o l’altra soluzione. Se si
decide che le leggi della realtà rimangono intatte e permettono di descrivere i fenomeni
descritti, diciamo che l’opera appartiene ad un sottogenere: lo strano. Se invece è
necessario ammettere leggi diverse a quelle di natura, in virtù delle quali il fenomeno
può essere spiegato, entriamo nel genere meraviglioso.
Ogni volta la storia inizia con un racconto realista, una situazione stabile a cui poi
sopravviene qualcosa che rompe la calma, che produce uno squilibrio: è il mistero,
l’inammissibile che si introducono nella vita reale, nel mondo reale, nell’inalterabile
legalità quotidiana. L’elemento meraviglioso viene ad essere il materiale narrativo che
adempie nel modo migliore a questa funzione precisa: portare una modificazione nella
situazione precedente e rompere l’equilibrio stabilito provocando il passaggio da uno
stato all’altro.
5
Se Todorov ha provato a tracciare le leggi cui il fantastico deve ubbidire per essere
definito tale, vediamo come Caillois affermi l’impossibilità di circoscrivere
l’argomento. L’autore francese, sin dall’inizio, ha deciso di scartare dalla sua ricerca
quelli che egli definisce il fantastico per partito preso, ovvero quelle opere create
espressamente per sorprendere e sconcertare lo spettatore e il fantastico
istituzionalizzato, vale a dire ciò che concerne fiabe e leggende e tutto il resto che fa
parte di un bagaglio di immagini generalmente già accettato. Caillois vuole andare a
fondo nella sua indagine, e per fare questo parte da un presupposto: il fantastico non
deriva dal soggetto rappresentato, ma dal modo di indagarlo. Il fantastico necessita di un
gesto involontario, che al tempo stesso è inquieto ed inquietante; l’artista stesso che lo
compie vorrebbe dare una risposta a questa “cosa” sorta dalle tenebre, ma non può. Non
è sufficiente quindi un semplice avvenimento che vada contro le leggi di natura per
definire il fantastico: esso infatti non è la semplice creazione di un mondo nuovo, di
un’irrealtà creata appositamente per stupire. Al fantastico occorre qualcosa
d’involontario, di subìto, un interrogativo scaturito all’improvviso a cui nessuno,
neanche lo stesso autore, sa dare risposta.
Contro l’autore Todorov scarica il suo fiele affermando che i temi di Caillois non
ubbidiscono a leggi rigorose. Ma se le regole esistono per essere infrante, questa è solo
5
Cfr Todorov, Tzvetan, La letteratura fantastica, Garzanti, 2000, pp. 45 - 48
7
l’imposizione di una nuova regola: l’infrazione. Ed è questo che intende Caillois quando
afferma che il fantastico non deriva da una deliberata volontà di sconcertare, bensì
sembra scaturire quasi all’insaputa dello stesso autore.
6
1.2 Il cinema fantastico
Fin dagli albori, la storia del cinema si è diretta su due strade opposte: da un lato
come perfetta riproduzione del reale, dall’altra come creazione di costruzioni fantastiche
assolute, svincolate dalla percezione del mondo per come viene colto dai nostri sensi.
L’archetipo del racconto fantastico cinematografico viene ricondotto a George Méliès,
illusionista che già dagli inizi del cinema ha voluto sperimentare un linguaggio
sconosciuto, spaziare le diverse possibilità che il nuovo mezzo cinematografico poteva
offrire, con un approccio assai diverso rispetto ai fratelli Lumiere, suoi contemporanei.
Con Le Voyage dans la lune (Viaggio nella luna, 1902) a cui è seguito Le Voyage à
travese l’impossible (Viaggio attraverso l’impossibile, 1904), Méliès da subito fa del
suo un cinema fantastico, in cui il racconto dell’immaginazione viene situato in posti e
tempi che non esistono, legato a dimensioni fiabesche e oniriche, abbandonando ogni
logica per “guardare oltre” e dare corpo all’immaginario. Da Méliès in poi il cinema è
stato caratterizzato da un’ininterrotta anche se disomogenea produzione del fantastico,
non uniforme in quanto influenzata dai differenti momenti storici, da svariate
contaminazioni e dal perfezionamento degli effetti speciali. Ripercorriamo brevemente
l’itinerario che ha percorso il cinema fantastico dagli esordi ai nostri giorni: le prime
opere, seppur caratterizzate da elementi fantastici, sono ancora prive di originalità e di
un forte senso fantasy. Questi elementi caratterizzeranno i film degli anni ’30, poiché a
seguito della crisi del ’29, le persone cercano uno svago dalla realtà, e lo trovano in
viaggi fantastici in mondi favolosi, in metarealtà utopiche: nasce così la commedia
fantasy. Con gli anni ’40 e la seconda guerra mondiale il bisogno di evadere diventa
ancora più forte, così il cinema si spinge verso lo svago e l’ottimismo, viene prodotta
una grandissima varietà di film fantastici per dare modo alle persone di rifugiarsi
nell’inconscio: il fantasy vive la sua “età dell’oro”. A questo periodo seguono gli anni
6
Cfr Caillois Roger, Nel cuore del fantastico, Feltrinelli Editore, Milano, 1984, pp. 9 – 16.
8
’50, la guerra fredda, e prende il sopravento il cinema fantascientifico che durerà fino
agli anni ’60, periodo in cui la relativa calma riporta in auge il fantasy. Durante gli anni
’70 il genere subisce una forte battuta d’arresto, i pochi film prodotti sono quasi tutti
cartoni animati. Solo durante gli anni ‘80 avviene un vero boom: la Sience Fiction
riceve un notevole impulso dall’impiego dell’elettronica e dal perfezionamento degli
effetti speciali, il fantastico avventuroso torna alla ribalta ma il fenomeno più
interessante è rappresentato dal successo riscosso dall’Heroic fantasy, storie di eroi, miti
e stregoni.
7
Il fantastico – come detto - non è un genere riconoscibile con esattezza né
riconducibile a precise regole, ma è possibile a questo punto introdurre una
precisazione: come fantastico non è da intendere un universo immaginario che,
regolandosi con leggi autonome, si oppone al reale senza entrarci però in conflitto.
Questo è il favoloso, il fantastico invece è un mondo che esplora l’immaginazione
aggredendo la realtà, creando una lacerazione in seno al mondo reale. Il cinema
fantastico è una perturbazione, dove reale e irreale si scontrano, dove la finzione
immaginaria è il punto d’incontro tra immagine e immaginazione e luogo in cui il nostro
inconscio, denso di simboli e metafore ricorrenti, può esserci illustrato, essendo il
cinema il doppio della realtà.
7
Aciuti, C. - Esposito, R.F., Il cinema fantasy, Fanucci, Roma 1985, pp. 59-60
9
2. Terry Gilliam
“Ci sono artisti il cui dono è di saper affondare radici nel
mondo dei sogni, di saper lavorare sulla logica della mente non
sveglia, ma sognante.”
Salman Rushdie
8
2.2 La vita
Terry Gilliam nasce il 22 novembre 1940 in Minnesota. Vive in zone di campagna
fino al 1951, anno in cui si trasferisce con la famiglia in California, dove, dopo diverse
esitazioni e cambiamenti, si iscrive al College di Los Angeles alla facoltà di scienze
politiche. Da sempre interessato alle arti e al cartooning, nel 1962 si trasferisce a New
York ed inizia a lavorare come illustratore per “Help!”, nota rivista umoristica, dove
rimarrà per tre anni fino al 1965. Durante questo periodo frequenta un corso di cinema al
New York College e ha la possibilità di instaurare conoscenze molto importanti per la
sua carriera futura, come quella con Woody Allen ma soprattutto quella con John
Cleese, suo futuro partner nel gruppo dei Monthy Python. Terminata la collaborazione
con il periodico “Help!”, nel ’66 ritorna a Los Angeles per lavorare nel campo
pubblicitario, ma questa esperienza è molto breve dato che nel 1967 è costretto a
lasciare gli Stati Uniti per evitare di essere arruolato come soldato nella guerra in
Vitenam.
In quegli anni comincia ad emergere lo spirito hyppie, è il momento delle droghe e
delle utopie, ma a Gilliam le cose cominciano a sembrare meno idilliache, si rende conto
che la storia e la cultura europea hanno molto più da offrirgli rispetto agli Stati Uniti
così, disilluso e amareggiato, decide di andare a Londra. Giunto in Gran Bretagna
l’unica conoscenza su cui può contare è John Cleese, già famoso nell’ambito televisivo,
che riesce ad introdurlo nel mondo dello spettacolo, permettendogli così di farsi
conoscere e di partecipare alla realizzazione di diversi programmi come serie TV e
cartoni. Gilliam ritrova molto di sé nello humor inglese tanto affine alla sua comicità e
8
Rushdie Salman, The location of Brazil, “American Film”, settembre 1985, p.15
10
la sua satira, più visiva che verbale, lo porta al successo e ad entrare in contatto con altri
quattro personaggi beffardi e irrispettosi, come lui e Cleese..
Graham Chapman, Eric Idle, Michael Plain, Terry Jones, John Cleese e Terry
Gilliam (cinque inglesi e un americano), tutti un po’ matti, spiriti bizzarri e irriverenti,
un impasto di volgarità e satira, si uniscono così a comporre il gruppo I Monthy Python.
“Nell’Inghilterra della signora Thatcher, [essi] sono come sei piccoli elefantini in un
negozio di cristallerie: mandano in frantumi la mercanzia più pregiata, compresa quella
ideologica, e si divertono a calpestare i cocci.”
9
Avrebbero bisogno di uno zoo per
essere ingabbiati o di un circo per essere esibiti, luogo in cui si ritroverebbero senz’altro
in quanto proprio “Flying Circus” si chiamava la loro prima trasmissione televisiva. Il 5
ottobre 1969 la BBC trasmette la prima puntata del programma: esilarante e irriverente,
strutturato in una continua associazione di idee, un vero e proprio “strem of
consciousness” che prende vita sul piccolo schermo, il Flying Circus fa parlare di sé da
subito per le animazioni inusuali, i brevi sketch collegati tra loro in associazione di idee
e gli elementi surreali che stravolgono i sensi comuni. Le sei diverse personalità degli
autori, lasciate libere di esprimersi, inventano un dissacrante programma in cui lo
sketch, il fumetto e la barzelletta vengono mischiate per produrre un cocktail
assolutamente inedito. “Fra pecore volanti e uomini con due nasi, topolini musicali e
famigerate Pepperpots (petulanti donne di mezz’età che riescono a produrre
interminabili chiacchiericci sui più stupidi luoghi comuni), i Monthy Python portano
disordine nell’etere e nei cieli.
10
La dissacrazione è l’obiettivo principale del gruppo che,
con le quattro serie di puntate dal 1969 al 1974, cerca si ribaltare le etichette di
educazione e di eleganza del sistema britannico.
Fantasiosi e trasgressivi, rozzi e raffinati, i Monthy Python prendono di mira
irrispettosamente e perfidamente la stupida supponenza della classe dirigente, la furberia
grossolana delle classi medie e l’ottusità del proletariato; le forme di potere, come il
Parlamento e i funzionare statali, sono anch’essi bersagli privilegiati. Il mondo che essi
rappresentano nei loro episodi è crudele, popolato da mostri di stupidità, volgari ipocriti
che si nascondono dietro maschere istituzionalizzate, in una realtà inquietante.
9
Canova, Gianni, Il dissenso della vita “Mucchio selvaggio” 1989 p.57
10
Ibid.
11
Attraverso i concetti veicolati dal Flying Circus i Monthy Python vogliono mostrare
l’inconsistenza del senso comune, concetto da abbattere per riuscire a vedere davvero le
cose per quelle che sono e senza pregiudizi; lo stesso Cleese anticipa questo proposito
nella celeberrima frase che pronuncia prima degli sketch:” E ora qualcosa di
completamente diverso”. Mentre i suoi colleghi attaccano icone culturali, miti e forme di
comportamento usando la loro creatività e arte per sottolineare la ridicolezza dell’essere
umano, Gilliam prende le immagini di quella cultura per decontestualizzarle e
dissacrarle, con grande capacità iconoclastica, densa di surrealismo e pessimismo.
Nel 1974 la BBC manda in onda l’ultima serie del Flying Circus: i Python si
rendono conto che la loro vena inizia ad inaridirsi, così capiscono che è meglio smettere,
il programma chiude ma il gruppo decide di continuare a lavorare insieme per il cinema.
Iniziano nel 1975 quando girano Monthy Python and the Holy Grail (Monthy Python e il
Sacro Graal), prima esperienza di Gilliam come regista, qui in coppia con Terry Jones,
film in cui rivisitano il Medioevo e il mito del Graal, divertendosi a fare parodia degli
eroi. Negli anni a seguire il gruppo comincia a disgregarsi e ognuno inizia a prendere la
propria strada, ma ciò non impedisce loro di girare nel 1979 un secondo cortometraggio,
Monthy Python’s Life of Brian ambientato a Nazareth dove il piccolo Brian, visitato
erroneamente dai Re Magi, una volta cresciuto verrà scambiato dagli invasori romani
per il messia. Ultimo lavoro collettivo e che darà al gruppo i maggiori riconoscimenti
ufficiali è Monthy Python The meaning of life (Monthy Python, il senso della vita,
1983), film che attraverso gli occhi di cernie, carpe e tritoni che guardano il mondo da
un acquario, mostra la vita umana e critica il suo opportunismo e squallore.
Nello stesso periodo Gilliam intanto matura una regia autonoma e delinea una sua
poetica personale, ma quando i Python si divideranno, da quel demenziale e comico
gruppo egli porterà con sé il bagaglio dell’esperienza accumulata.