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CAPITOLO I
IL QUADRO DI RIFERIMENTO.
1. La concezione della famiglia e la c.d. immunità tra i vari com-
ponenti ed in particolare dei coniugi.
L’incompatibilità tra famiglia e responsabilità civile, nel panorama
giuridico italiano, è stata per anni determinata da una serie di ragioni
giuridiche e, in larga parte, culturali e sociali.
In particolar modo, la responsabilità civile veniva esclusa nell’ambito
dei rapporti familiari da un lato in quanto esistenti strumenti di tutela
tipici
1
e dall’altro sulla base del cd. principio di immunità.
Situazione, del resto, non differente in altri paesi europei: in Inghilter-
ra, ad esempio, il concetto di immunity, di origine giurisprudenziale, si
basava su una fictio (la cd. unity of person) secondo cui con il matri-
monio i coniugi diventavano un’unica persona, identificata nella figu-
ra del marito, e pertanto non era possibile agire nei confronti del co-
niuge per il risarcimento del danno
2
; la situazione mutò con
l’approvazione dei Married women’s property acts che, riconoscendo
la proprietà separata della moglie, fecero venire meno tale finzione.
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Secondo la giurisprudenza più remota, l’illecito commesso da un coniuge nei confronti dell’altro
trovava la sua sanzione, tipica ed esclusiva, nella separazione per colpa con le conseguenze di
legge; sicché ammettere, oltre alla pronunzia della separazione per colpa, anche un diritto al ri-
sarcimento del danno, era ritenuto “in contrasto con la disposizione di legge che determina le
sanzioni per la colpa, onde ha motivo la separazione” in Cass. Roma 27/5/1921.
2
La donna veniva limitata di prerogative prima riconosciutale dal diritto cioè la capacità d’agire e
la capacità negoziale e contrattuale. Inoltre, la moglie veniva privata della capacità processuale e
poteva agire o resistere in giudizio solamente se rappresentata dal marito da cui discendeva
l’impossibilità di far valere in giudizio pretese contro quest’ultimo che ovviamente non poteva
comparire sia come attore sia come convenuto.
2
In realtà, è soltanto nel 1962, con il Law reform husband and wife act,
che venne meno la tesi dell’immunità tra i coniugi in quanto venne ri-
conosciuto ad essi di agire in giudizio l’uno contro l’altro “come se
non fossero sposati”.
In Italia, in particolare, si riteneva che l’istituzione famiglia fosse sog-
getta soltanto ai propri principi regolatori, secondo il principio lex
specialis derogat generalis (ex art.14 disp. Prel.), e pertanto non fosse
possibile agire con mezzi di tutela a carattere generale per ottenere il
risarcimento del danno anche sulla base dell’assunto secondo cui la
famiglia sarebbe “un’isola solamente lambita dal mare del diritto
3
” .
Prima della riforma del 1975, infatti, la violazione dei doveri coniugali
era una delle cause tipiche e tassative che legittimavano il coniuge a
presentare istanza di separazione, rimedio quindi che si traduceva in
una vera e propria sanzione per il coniuge colpevole per cui un con-
corso con il rimedio risarcitorio non era ritenuto ammissibile
4
; un e-
ventuale cumulo, del resto, si riteneva violasse il principio del ne bis
in idem dal momento che l’autore sarebbe stato chiamato a rispondere
due volte dello stesso fatto
5
.
3
JEMOLO A. C., La famiglia e il diritto, Jovene, Napoli, 1949, p. 57.
4
Si affermava, ad esempio, in giurisprudenza che “ .costituendo la separazione personale un dirit-
to in-quadrabile tra quelli che garantiscono la libertà della persona (cioè un bene di altissima rile-
vanza costituzionale) ed avendone il legislatore specificato analiticamente le conseguenze nella
disciplina del diritto di famiglia (cioè nella sede sua propria), deve escludersi, - proprio in omaggio
al principio secondo cui " inclusio unius, exclusio alterius" - che a tali conseguenze si possano ag-
giungere anche quelle proprie della responsabilità aquilana ex art. 2043 c.c., che, pur senza citare
espressamente, la ricorrente sembra chiaramente voler porre a fondamento della sua pre-tesa
risarcitoria per la perdita dei vantaggi insiti in qualsiasi convivenza coniugale" Cass., 6 aprile
1993, n. 4108.
5
In tal senso A. ZACCARIA, L’infedeltà: quanto può costare? Ovvero, è lecito tradire solo per amo-
re, in Studium Iuris, 2000, p. 526 s., per il quale i diritti e doveri fra coniugi sono già regolati dal
diritto di famiglia per quanto riguarda le sanzioni conseguenti alla loro inosservanza, per tanto, in
base al principio “lex specialis derogat legis generalis”, in caso di violazione sarebbero applicabili
solamente tali rimedi . P.RESCIGNO, voce “Obbligazioni (diritto privato. Nozioni generali )”, in Enc.
Dir., vol. XXIX, 1973, p. 140, reputava che la fedeltà, la collaborazione, la coabitazione e
l’assistenza morale non potessero costituire materia di pretesa coercibile e che la loro lesione
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Prima della riforma del 1975, peraltro, il marito era considerato ancora
come pater familias, titolare della potestà maritale e genitoriale: que-
sti, ex articolo 319, godeva infatti di ius corrigendi nei confronti dei
figli, esercitabile però, secondo la giurisprudenza, anche verso la mo-
glie.
L’idea della famiglia che emerge, infatti, dal codice del 1942 è forte-
mente pubblicistica
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tanto che la prevalenza dell’interesse della stessa,
quale istituzione, sugli interessi del singolo come individuo non per-
mettono a quest’ultimo di agire in giudizio per far valere il pregiudizio
causato dagli altri componenti; grave era poi il fatto che la tutela non
venisse accordata nemmeno in caso di violazione di un diritto fonda-
mentale, fattispecie invece prevista se a causare la lesione fosse stato
un terzo
7
.
L’entrata in vigore della costituzione nel 1948, invero, introdusse tutta
una serie di principi con cui la suddetta ricostruzione collideva e portò
solo nel 1975 alla riforma del diritto di famiglia, determinando il supe-
ramento del principio dell’immunità e una riflessione in termini di re-
sponsabilità (contrattuale o extracontrattuale?) dei suddetti rapporti
familiari.
La costituzione, com’è noto, all’articolo 2 prevede infatti che “La re-
pubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia co-
me singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità
non potesse dar luogo ad un risarcimento dei danni, ma solamente alla separazione, quando la
condotta aveva reso intollerabile la convivenza, e all’addebito.
6
P. ZATTI, Familia- familiae. Declinazione di un’idea. La privatizzazione del diritto di famiglia, in
Familia, 2002, p. 28, il quale osserva come la famiglia, prima della riforma del 1975, è descritta
come un microcosmo gerarchico che sacrifica all’unità gli interessi del singolo lasciando le prero-
gative di “diritto comune” fuori dalla soglia dell’universo familiare.
7
F. GIARDINA, Per un’indagine sulla responsabilità civile nella famiglia, 1999, Pisa, p. 16: “[…] ciò
che è illecito tra estranei non lo sia tra familiari, che dove chiunque è responsabile non lo sia il
marito, la moglie, il padre, la madre o il figlio. In presenza dello stesso fatto, il legame familiare
tra il colpevole e la vittima ne cancella l’illiceità, lo sottrae alla valutazione del diritto, lo nasconde
agli occhi del giudice”.
4
…” nonché all’articolo 29 secondo comma stabilisce che “il matrimo-
nio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi”; la
famiglia viene al primo comma dello stesso articolo 29 riconosciuta
quale “società naturale fondata sul matrimonio” ovvero proprio come
una di quelle formazioni sociali in cui si svolge la personalità e devo-
no essere garantiti i diritti inviolabili dell’uomo
8
.
Questo ha comportato necessariamente l’intervento della giurispru-
denza, prima di approdare alla riforma del 1975, e soprattutto della
giurisprudenza demolitrice della Corte Costituzionale per revisionare
il codice civile del 1942 nonché tutta una serie di importanti interventi
legislativi che hanno condotto alla cosiddetta privatizzazione del dirit-
to di famiglia: fondamentale in tal senso è certamente l’introduzione,
nel 1970, della legge sul divorzio e la riduzione del termine per otte-
nerlo con la l. 74 del 1987, nonché disposizioni a tutela della persona
dalla violenza in ambito endo-familiare (su tutte, la l. 4 aprile 2001, n.
154).
Per quanto attiene poi ai figli, invece, un apporto fondamentale è da
attribuire alla Convenzione di New York del 20 novembre 1989, rati-
ficata con l. 27 maggio 1991, n. 176 e alla Convenzione di Strasburgo
del 25 gennaio 1996, ratificata con l. 20 marzo 2003, n. 77 che consi-
derano il fanciullo non più come destinatario di protezione bensì come
individuo titolare di diritti soggettivi che l’ordinamento deve non solo
riconoscere ma garantire e promuovere.
Pertanto, i singoli individui che compongono la famiglia cominciano a
essere considerate persone, portatrici d’interessi che devono prelimi-
8
A riguardo F. RUSCELLO, I rapporti personali tra coniugi, Milano, 2000, p. 33 e p. 48 ss., il quale
riconosce come, in seguito alla riforma, la famiglia non venga più tutelata in quanto portatrice di
un presunto interesse superiore, ma solamente in quanto risponda a un giudizio di meritevolezza
circa l’idoneità a consentire ai suoi componenti di sviluppare la loro personalità al suo interno.
5
narmente trovare protezione proprio all’interno della famiglia in quan-
to lo status di familiare non può per ciò stesso affievolirne la tutela
9
;
anzi, proprio in virtù del richiamato articolo 2 della Costituzione, do-
vrebbe trovare ingresso il rimedio risarcitorio contro la violazione del-
la dignità, della riservatezza e di tutti i diritti inviolabili dell’uomo an-
che laddove essa venga ponga in essere da un familiare.
Viene così sancito il principio, per tanto tempo ignorato, secondo cui:
“lo status di familiare non deve comportare una riduzione ed una li-
mitazione delle prerogative della persona, ma semmai un aggrava-
mento delle conseguenze a carico del (familiare) responsabile”
10
.
2. Evoluzione giurisprudenziale e normativa sulla responsabilità
civile contrattuale, extracontrattuale e la risarcibilità dei danni
non patrimoniali.
La chiusura circa l’ammissibilità del risarcimento del danno, è da pre-
cisare, non riguardava ogni tipologia di danno causato da un familiare,
ben potendo questo essere previsto ad esempio nel caso di pregiudizi
derivanti da danneggiamento o danni alle cose, anche cagionati appun-
ti da un familiare, in quanto fattispecie non influenzate dalla qualifica
soggettiva dell’autore dell’illecito
11
.
9
Sull’esigenza di apprestare una protezione più intensa del singolo familiare a scapito delle ra-
gioni della famiglia in sé considerata si veda M. SESTA, Diritti inviolabili della persona e rapporti
familiari: la privatizzazione “arriva” in Cassazione, in Fam. dir. 2005, p. 370.
10
PATTI S., Famiglia e responsabilità civile, Giuffré, Milano, 1984, p. 33.
11
Si pensi al soggetto che causa un incidente automobilistico nel quale restano coinvolti per sba-
glio i figli e la moglie. In questo caso la fattispecie non è influenzata in alcun modo dal legame dei
soggetti, perciò appare indubbio il risarcimento. In proposito, G. FERRANDO, Rapporti familiari e
responsabilità civile, in Persona e danno, vol. III , a cura di P. CENDON, Milano, 2003, p. 2779, che
sottolinea come in tal senso deponga la stessa legge sull’assicurazione obbligatoria (L. n.
990/1964), nella parte in cui, all’art. 4, affermando che non sono considerati terzi , e perciò non
hanno diritto ai benefici derivanti dal contratto di assicurazione limitatamente ai danni alle cose,
il coniuge, i discendenti, gli ascendenti e gli altri parenti e affini conviventi con il conducente o a
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L’immunità era, infatti, riservata alle fattispecie in cui danneggiante e
danneggiato assumono la qualità di familiare ovvero appunto i cosid-
detti illeciti endofamiliari
12
per i quali si ammetteva peraltro la risarci-
bilità nel caso di danni morali derivanti da reato
13
e, entro certi limiti,
dei danni patrimoniali da violazione di doveri familiari.
Il vero problema riguardava, pertanto, la risarcibilità dei danni non pa-
trimoniali in quanto, fino alle sentenze gemelle del 2003, la costante
interpretazione dell’articolo 2059 era nel senso di prevedere il ristoro
dei danni non patrimoniali solo ove ciò fosse previsto dalla legge;
questo è il motivo per cui il cambiamento giurisprudenziale sulla re-
sponsabilità ha inciso profondamente in materia.
Fondamentale, a tal proposito, è stata, infatti, l’evoluzione della re-
sponsabilità civile extracontrattuale (in cui a mio avviso ricadono i
suddetti illeciti), in particolare per ciò che concerne la nozione di in-
giustizia del danno nonché della risarcibilità del danno non patrimo-
niale; per quanto riguarda l’ingiustizia del danno veniva richiesta la
suo carico, implicitamente riconosce a questi soggetti piena tutela per i danni alla persona arre-
cati dal congiunto e, quanto ai danni alle cose, si limita ad escluderli dai benefici
dell’assicurazione non da quelli della responsabilità civile. A riguardo si vedano anche M. DO-
GLIOTTI e A. FIGONE, I rapporti familiari, in La responsabilità civile, a cura di P. CENDON, vol. VIII,
Torino, 1998, p. 61 s., per i quali è necessario distinguere tra danni connessi alla qualità di fami-
liare e quelli non connessi, per i quali sembra ammissibile senza ostacoli l’azione risarcitoria.
12
Si parla a contrario d’illeciti esofamiliari laddove il danno sia stato posto in essere da un sogget-
to terzo, estraneo alla famiglia contro un componente della famiglia.
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In presenza del reato di adulterio si ammetteva la possibilità di chiedere il risarcimento dei
danni patrimoniali e, sulla base dell’ interpretazione che si dava all’art . 2059 c.c. , morali patiti .
In tal senso: “Il coniuge colpevole d’adulterio ed il correo sono solidalmente tenuti verso l’altro
coniuge al risarcimento dei danni materiali e morali. Rientrano tra i danni materiali risarcibili an-
che quelli dipendenti dall’aver dovuto assumere una prestatrice d’opera retribuita che, in luogo
del la moglie separata in seguito all’adulterio, accudisse ai figli e aiutasse il marito nella gestione
della propria impresa” (Trib. Parma 4 febbraio 1948, in Riv. trim. dir. proc. Civ., 1948, p. 688) . Ve-
nuto meno il reato di adulterio, in seguito alle dichiarazioni di illegittimità dell’art. 559 c.p. da
parte della Corte costituzionale (Corte Cost . 19 dicembre 1968, n. 126, in Foro it., 1969, I , c. ,p.
4, e Corte Cost . 3 dicembre 1969, n. 147, in Giur. cost., 1969, p. 2230) si iniziò invece a negare il
risarcimento dei danni non patrimoniali derivanti dall’infedeltà essendo venuto meno il presup-
posto del reato (così App. Napoli , 13 febbraio 1971, in Dir. Giur., 1971, p. 316).
7
lesione di un diritto soggettivo assoluto nonostante ciò non fosse e-
spressamente emergente dalla lettura dell’articolo 2043.
Seguendo tale impostazione, dunque, la lesione dei diritti derivanti dal
matrimonio in quanto relativi non sarebbe mai potuti essere risarcibili
non integrando il danno ingiusto.
In seguito, però, si giunse ad ammettere la risarcibilità anche in pre-
senza di diritti relativi ad opera di soggetti diversi dal debitore che a-
vessero causato impossibilità di adempiere
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; dopo una lunga elabora-
zione sull’interpretazione dell’articolo 2043 sono intervenute le sezio-
ni unite della Cassazione le quali, riconoscendo che l’ingiustizia del
danno possa conseguire alla mera violazione di interessi meritevoli di
tutela e protetti da una norma dell’ordinamento
15
, posero fine ai vari
contrasti giurisprudenziali ma soprattutto aprirono la strada alla risar-
cibilità di nuovi illeciti.
Altra tappa fondamentale è stata l’evoluzione sulla risarcibilità del
danno non patrimoniale: i danni non patrimoniali, come sopra accen-
nato, sulla base dell’articolo 2059 veniva risarciti soltanto nei casi
previsti dalla legge e tale limitazione si rifletteva proprio nell’ambito
familiare ove la maggior parte dei danni erano proprio di tipo non pa-
trimoniale e per i quali la legge non prevedeva l’espressa risarcibilità.
Il che comportava che il risarcimento per illeciti familiari vi fosse sol-
tanto nel caso in cui questi avessero rilevanza penale o il danno fosse
di tipo patrimoniale.
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In tal senso fondamentali sono state le sentenze: Cass. Sez. Un. , 26 gennaio 1971, n. 174, in
Foro it ., pt . I, c. 342 e Cass. Sez. Un., 24 giugno 1972, n. 2135, in Foro it., 1973, pt. I, c. 99.
15
Cass. Sez. Un., 22 luglio 1999, n.500, in Danno resp., 1999, p. 965.