Seconda Guerra Mondiale, che costituì un forte stimolo alla produzione.
Con l’uscita dal conflitto divenne inoltre evidente l’emergere degli Stati
Uniti come prima potenza produttrice del mondo.
La lezione che la storia aveva impartito attraverso i drammatici
avvenimenti della crisi economica e della guerra, unita alle nuove teorie
macroeconomiche, persuase i governi dei paesi più potenti del mondo
riguardo alla necessità di fondare un nuovo sistema di cooperazione tra
nazioni in campo economico. Si voleva evitare che protezionismo e guerre
commerciali compromettessero gli scambi com’era successo negli anni
’30, e per fare questo era necessario in primo luogo ricostruire le
economie devastate dalla guerra appena terminata attraverso la creazione
di enti di cooperazione finanziaria, e in seguito trovare un modo per
coordinare le politiche commerciali degli stati, favorendo il libero
scambio.
Nel luglio del 1944 le potenze vincitrici si incontrarono a Bretton Woods,
negli USA, e conclusero importanti accordi finanziari internazionali. I
delegati delle 44 nazioni che intervennero crearono il Fondo monetario
internazionale (FMI), con lo scopo di vegliare sulla cooperazione
monetaria tra paesi e favorire una crescita equilibrata del commercio
mondiale, e la Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo, in
seguito soprannominata più semplicemente Banca Mondiale (BM), con il
compito di finanziare progetti a lungo termine concernenti la ricostruzione
delle economie distrutte dalla guerra, per poi occuparsi, nei decenni
successivi, di politiche di sviluppo e lotta alla povertà.
1. Il fallimento dell’ITO.
Sempre a Bretton Woods emerse la necessità di creare un ente che si
occupasse del commercio internazionale da affiancare a FMI e BM, ma
nessun accordo in merito fu raggiunto.
Nel febbraio 1945 Franklin Delano Roosvelt, allora presidente degli USA,
pose l’accento sulla questione, e proprio dagli Stati Uniti, insieme con la
Gran Bretagna, venne l’impulso per i negoziati che si tennero a Ginevra
dall’aprile all’ottobre 1947, e portarono ad una prima intesa tra 23 paesi
sui temi del commercio e delle tariffe doganali, denominata GATT
(General Agreement on Tariffs and Trade) ed entrata in vigore nel
gennaio 1948.
L’anno successivo l’ONU convocò una conferenza a L’Avana, cui
parteciparono i delegati di 54 nazioni, che si concluse con la firma della
carta istitutiva dell’ITO (International Trade Organization), il quale
comprendeva il precedente GATT (riguardante il commercio di beni), ma
lo inseriva in un contesto ben più ampio. Questa organizzazione sarebbe
dovuta diventare un’agenzia specializzata delle Nazioni Unite.
L’ITO era una vera e propria organizzazione internazionale, e costituiva
un progetto piuttosto ambizioso, data l’ampiezza dei suoi poteri, che
avrebbero dovuto riguardare vari settori: dalla riduzione delle barriere
tariffarie al fine di promuovere gli scambi commerciali, al sostegno di
aree sottosviluppate, alla promozione dell’occupazione. Inoltre, la Carta
dell’Avana disciplinava anche il commercio dei servizi e la proprietà
intellettuale (settori all’epoca emergenti), ed era previsto un sistema di
risoluzione delle controversie tra membri tramite la mediazione
dell’organizzazione. Il cammino dell’ITO, però, fu molto breve: il
Congresso degli Stati Uniti non autorizzò la ratifica della Carta
dell’Avana, nonostante le richieste del nuovo presidente Truman e
nonostante il fatto che gli Usa fossero tra i firmatari della carta stessa. Di
conseguenza l’Organizzazione non divenne mai operativa.
A seguito del fallimento dell’ITO, quindi, il GATT assunse un’importanza
notevole, trovandosi ad essere l’unico accordo internazionale ad occuparsi
di commercio.
2. Il GATT: struttura e scopi.
Il GATT è l’accordo che i 23 paesi riunitisi a Ginevra nella primavera-
estate 1947 firmarono con lo scopo di favorire il libero commercio di beni
tra paesi contraenti. Una volta chiarito che il GATT è un accordo e non un
ente internazionale, però, si deve anche considerare che spesso si usa
rifersi al GATT parlando di “organizzazione informale”, usando
un’espressione non del tutto corretta, ma efficace.
L’ambito di applicabilità di quest’accordo riguarda, come accennato, il
commercio internazionale di prodotti industriali, e la sua importanza è
facilmente intuibile se si considera che, dopo il fallimento dell’ITO, il
GATT è rimasto l’unico strumento di governo degli scambi internazionali
di beni.
I paesi contraenti originari erano, come detto in precedenza, 23 e
comprendevano già paesi molto importanti dal punto di vista del
commercio internazionale; il GATT era quindi applicabile ad una
percentuale consistente del commercio di beni già dai primi anni del suo
funzionamento. Nel 1994 i paesi aderenti erano diventati addirittura 123:
la grande maggioranza degli scambi di beni erano, dunque, governati
secondo le sue disposizioni.
Il testo originario, che comprendeva 29 articoli, ha subito diversi
emendamenti nel corso degli anni successivi. Le modifiche più
sostanziali, però, risalgono al 1994, anno in cui fu redatto un nuovo testo
dell’accordo, denominato GATT 1994. Tuttavia, la struttura fondamentale
è rimasta quella del testo del 1947, e nemmeno la costituzione del WTO è
valsa a stravolgerla. Quest’ultimo, infatti, ha istituzionalizzato il GATT
inteso come ente, essendo un’organizzazione internazionale vera e
propria, ma non ha sostituito il GATT come accordo, che oltre ad essere
sopravvissuto fino ad ora, ha fornito la traccia per la stesura degli accordi
riguardanti i servizi e la proprietà intellettuale. Oggi, infatti, GATT,
TRIPS e GATS costituiscono tre dei più importanti accordi su cui si basa
il WTO, e per questo motivo la loro struttura e il loro funzionamento
saranno esaminati diffusamente nella parte dedicata a questa
organizzazione.
Per il momento, per quanto riguarda la struttura del GATT, è sufficiente
affermare che, tra il 1947 e il 1994, le nazioni contraenti si riunivano una
volta l’anno in sessione plenaria; durante queste riunioni venivano
adottate le decisioni più rilevanti, tramite consultazioni in cui ogni
nazione contraente aveva un voto. Tali decisioni venivano prese a
maggioranza semplice o qualificata, secondo gli argomenti; in particolare,
la maggioranza qualificata era richiesta per l’accessione di nuovi stati, per
le autorizzazioni a deroghe all’accordo, per l’approvazione di unioni
doganali e per la revisione del trattato. Nel 1960 fu creato il Consiglio del
GATT, con l’intento di facilitare le votazioni snellendo i lavori della
sessione plenaria: il Consiglio, infatti, aveva il compito di preparare i testi
da sottoporre alla sessione plenaria, potendo contare su procedure di
votazione meno formali e più rapide, pur avendo una composizione assai
simile a quest’ultima. Dal 1989, inoltre, il Consiglio esamina le politiche
commerciali dei singoli membri, ed emette raccomandazioni loro
indirizzate. L’altro organo fondamentale all’interno del GATT era il
segretario generale, poi divenuto direttore generale, dotato di ampi poteri
che lo mettevano nelle condizioni di influire direttamente sulle decisioni
della sessione plenaria e sui negoziati con i nuovi contraenti. Dal 1948 al
1968 l’incarico è stato ricoperto dall’inglese Eric Wyndham White,
seguito dallo svizzero Olivier Long (dal ’68 al ‘79), da Arthur Dunkel
(anch’egli svizzero, dal ’80 al ’93), e dall’irlandese Peter Sutherland (dal
’93 al ’95). Renato Ruggiero è stato il primo direttore generale del WTO,
restando in carica dal ’95 al ’99. A partire dal 1991, l’ufficio del direttore
generale è stato ampliato, sia con l’attribuzione di nuovi poteri, sia con la
modifica della sua struttura interna, grazie all’inserimento di un direttore
generale aggiunto, di tre sottosegretari e dei direttori di divisione.
L’ufficio del direttore generale (Segretariato) si occupava anche della
pubblicazione di studi e relazioni sul commercio internazionale, o sulle
politiche commerciali di singoli paesi e aree del pianeta.
Il compito principale del GATT era senza dubbio quello di sovrintendere
alla completa liberalizzazione degli scambi di beni tra paesi aderenti,
anche favorendo le trattative bilaterali, i risultati delle quali poi venivano
estesi a tutti i contraenti tramite l’applicazione automatica della clausola
MFN (most favoured nation, o clausola della nazione più favorita), di cui
si dirà in seguito. Lo strumento privilegiato del GATT, però, erano le
trattative multilaterali. Queste ultime hanno assunto un’importanza
davvero rilevante, ove si consideri che l’attività principale del GATT si è
svolta avviando cicli di negoziati multilaterali, chiamati rounds, cui
partecipavano tutte le nazioni contraenti. Durante i rounds, i delegati dei
paesi aderenti discutevano i vari argomenti inerenti alla liberalizzazione
degli scambi. La durata dei singoli rounds è stata variabile. Quella degli
ultimi è cresciuta molto a causa dell’aumento del numero dei paesi
membri del GATT e della crescente complessità delle questioni da
dibattere.
Le ultime osservazioni importanti riguardano le deroghe al GATT, in
primo luogo i settori esclusi dalla sua applicazione: a parte i servizi e la
proprietà intellettuale, cui si è fatto cenno in precedenza, non rientravano
negli accordi i prodotti tessili e l’agricoltura. Si trattava di deroghe
piuttosto importanti, in particolare quella relativa ai prodotti agricoli, al
centro di una aspra disputa tra USA e Unione Europea durante l’Uruguay
Round. Oggi entrambe le deroghe sono state superate con la conclusione
dell’accordo denominato “Multifibre” (Amf) e con l’estensione del GATT
ai prodotti agroalimentari. Altra eccezione importante all’accordo in
questione riguarda le unioni doganali: a queste, che pure costituirebbero
violazione della clausola della nazione più favorita, poiché creano
discriminazione tra i partner commerciali, non si applicano le norme
generali. Anche di questo si tratterà in seguito.
3. I primi rounds.
Durante i rounds di negoziati si conclusero una gran quantità di accordi
che liberalizzarono progressivamente gli scambi tra le nazioni aderenti al
GATT. I primi accordi riguardarono soprattutto la riduzione delle barriere
tariffarie, ed ebbero una durata piuttosto breve per la relativa semplicità
delle questioni trattate e il non elevatissimo numero dei paesi aderenti.
Di ben altra durata e complessità furono gli ultimi rounds, in particolare il
Tokyo Round e l’Uruguay Round, durante i quali furono discusse molte
questioni complesse con la partecipazione di un gran numero di paesi.
I primi cicli di negoziati, che si tennero ad Annecy, in Francia, nel 1949, a
Torquay nel 1951, per poi tornare a Ginevra nel 1956, si svolsero
utilizzando trattative bilaterali, con la continua estensione degli accordi
agli altri membri attraverso il meccanismo della clausola della nazione più
favorita. Questo metodo, sicuramente piuttosto lungo e macchinoso, fu
utilizzato fin quando il numero di paesi partecipanti e di prodotti su cui si
discuteva, non fu tale da richiedere una procedura più spedita. Così, alla
fine degli anni ’50, il ministro del Tesoro statunitense, Dillon, propose un
nuovo round, che prese il suo nome e si tenne di nuovo a Ginevra. Il
Dillon Round si svolse tra il 1960 e il 1961, coinvolse 62 nazioni, e fu il
primo ad adottare il metodo della negoziazione multilaterale di tutte le
materie di dibattito, evitando di discutere bilateralmente ogni argomento.
Il clima in cui si svolse era del tutto particolare: gli scambi internazionali
erano in fortissima crescita, così come la produzione mondiale; inoltre, nel
1957, con la conclusione del trattato di Roma, nasceva la CEE, da subito
importantissima dal punto di vista commerciale, e destinata ad
un’ulteriore forte crescita. Nonostante questa rilevante novità, il Dillon
Round non ottenne grandissimi risultati, a causa delle profonde differenze
tra paesi. Il ciclo di trattative successivo fu il Kennedy Round, che si
svolse tra il 1964 e il 1967, e prese il nome dal Presidente USA da poco
assassinato. Durante i negoziati, si cominciava a scorgere il contrasto tra
Stati Uniti (che cominciavano a mutare un atteggiamento fino allora
piuttosto difensivista) e CEE (divenuta una vera potenza in campo
commerciale), contrasto che in seguito sarebbe divenuto piuttosto aspro,
arrivando addirittura ad un passo dal far fallire l’Uruguay Round. Il
Kennedy Round si concluse con un ulteriore forte abbassamento delle
barriere doganali, e con un’importante novità: per la prima volta, erano
comparse come argomento di trattative le barriere non tariffarie; nella
fattispecie furono discusse le misure anti-dumping, anche se con risultati
non molto significativi.
4. Il Tokyo Round
Durante gli anni ’70 la situazione internazionale cambiò radicalmente: da
un lato vi fu l’allargamento della CEE in seguito all’ingresso di Gran
Bretagna, Irlanda e Danimarca e la sua sempre maggiore importanza sul
piano del commercio internazionale, dato che ormai deteneva il primato
degli scambi mondiali; dall’altro lato, per la prima volta dal dopoguerra, il
volume del commercio internazionale decrebbe. Una serie di problemi
politici ed economici riguardò molti paesi sviluppati, le cui economie
vissero un periodo di recessione.
In questo clima non certo positivo, ed in piena crisi petrolifera, si aprì il
Tokyo Round, nel settembre del 1973. I problemi in cui molte economie
nazionali si trovavano, però, ritardarono l’apertura delle trattative vere e
proprie, che, di fatto, iniziarono solo a luglio del ’77.
Per organizzare meglio l’attività, il Tokyo Round fu suddiviso in sette
gruppi di lavoro che si occupavano di tutte le richieste avanzate dai paesi
membri del GATT: agricoltura, prodotti tropicali, barriere tariffarie,
barriere non tariffarie, approccio settoriale, salvaguardie, quadro
giuridico. Dopo due anni di dibattito, solo su alcuni di questi argomenti fu
raggiunto un accordo multilaterale. Su molte questioni, viste le differenze
tra paesi, furono firmate solamente intese parziali, vincolanti per i paesi
che le avevano sottoscritte. In particolare, i risultati più convincenti si
ottennero ancora una volta riguardo alle barriere tariffarie, per le quali si
stabilì un ulteriore taglio (di circa il 33%) che portò la tariffa media sui
prodotti industriali a livelli mai così bassi. Per l’adeguamento ai livelli
concordati, inoltre, furono stabiliti periodi più lunghi a vantaggio dei paesi
in via di sviluppo.
Negli altri campi, invece, i risultati furono notevolmente meno
soddisfacenti. In materia agricola, per esempio, le differenze tra i paesi
erano ancora marcate, e inoltre erano ancora radicate le tendenze delle
singole nazioni a proteggere i propri prodotti; quindi, al termine del Tokyo
Round, l’unico risultato raggiunto fu una serie di intese parziali su carne e
latticini.
Altre intese parziali, firmate cioè da un gruppo ristretto di membri del
GATT, riguardarono il commercio di aerei civili, le norme antidumping e
la licenze di importazione.
Concludendo, se la riduzione delle tariffe per la quasi totalità dei prodotti
industriali era ormai un fatto acquisito, su altre importanti questioni, prima
fra tutte quella relativa alla necessità di un nuovo quadro giuridico, il
Tokyo Round non diede risposte chiare.
5. L’Uruguay Round.
L’ultimo round che è giunto ad una conclusione è anche il più importante,
perché ha risolto questioni dibattute per anni, e il più complesso, perché
ha coinvolto ben 123 paesi per una durata di oltre sette anni, dal 1986 al
1994.
Il contesto storico in cui si aprirono i negoziati comprendeva l’ulteriore
allargamento della CEE e il consolidamento del primato economico e
militare degli USA a danno dell’URSS, sempre più vicina al disfacimento.
La realtà economica emergente, però, era senza dubbio il Giappone, che
visse un periodo di fortissima espansione fino alla fine degli anni ’80.
Insieme con quella nipponica, altre economie ad essa correlate crebbero in
misura notevole: in particolare le “quattro tigri asiatiche” (Corea del Sud,
Taiwan, Singapore e Hong Kong), pur considerate ancora paesi in via di
sviluppo.
La necessità di un nuovo round divenne particolarmente sentita fin dai
primi anni ’80: nella conferenza ministeriale del 1982, tenutasi a Ginevra,
il nodo principale fu ancora una volta quello dell’agricoltura. Gli USA, in
particolare, premevano perché l’Europa abbandonasse il sistema di
protezione accordato ai suoi produttori a partire dagli anni ‘60, e perché
questo settore fosse finalmente liberalizzato. Altri settori che gli Stati
Uniti chiedevano fossero compresi negli accordi del GATT erano quelli
dei prodotti tessili, dei servizi e della proprietà intellettuale.
L’agenda dell’Uruguay round ebbe una genesi piuttosto travagliata: dal
1982 al 1986, anno d’inizio delle trattative, vi furono le richieste di
inserire, oltre i punti appena citati, altre questioni fino allora irrisolte,
prima fra tutte il problema di istituzionalizzazione del GATT. Diveniva
sempre più urgente, infatti, creare un ente sopranazionale che sorvegliasse
la corretta applicazione degli accordi e che risolvesse le controversie tra
membri.
Nel settembre 1986, a Punta del Este, in Uruguay, presero finalmente il
via i negoziati. Gli argomenti da trattare erano molti e di grande
complessità, e comprendevano l’agricoltura, i servizi, la proprietà
intellettuale, le barriere non tariffarie, i prodotti tropicali, le barriere
tariffarie, l’istituzionalizzazione del GATT e la revisione di alcuni dei
suoi articoli. Per discutere tutti questi punti furono previsti quattro anni di
trattative.
Due anni dopo l’apertura dei negoziati, a Montreal, i delegati si
incontrarono per la conclusione delle prime questioni: fu raggiunto un
accordo sui prodotti tropicali, stabilendo una riduzione delle tariffe
secondo le richieste dei paesi in via di sviluppo, e fu definito il sistema per
la revisione delle politiche commerciali dei paesi firmatari. Il ruond
avrebbe dovuto concludersi nel 1990, a Bruxelles, ma questo non fu
possibile, perché molte questioni non trovavano una soluzione gradita a
tutti i paesi partecipanti. L’opposizione tra USA (appoggiati da Brasile,
Argentina, Australia, Canada, Filippine, Ungheria e altri) e CEE sulla
liberalizzazione del settore agricolo, in particolare, determinò una
situazione di stallo da cui fu difficile uscire. Il nodo principale della
controversia riguardava la PAC (politica agricola comunitaria), ossia il
sistema attraverso il quale la CEE garantiva sovvenzioni ai produttori
interni e che permetteva loro di esportare a prezzi particolarmente bassi, a
svantaggio dei prodotti di paesi privi di un meccanismo simile. In alcuni
momenti, tra il 1990 e il 1992, il contrasto rischiò addirittura di
compromettere la conclusione dell’Uruguay Round. Nel novembre 1992,
finalmente, la situazione fu risolta dalla riforma della PAC, seguita
dall’accordo denominato Blair House, in cui USA e CEE sancivano il
superamento della questione. La più immediata conseguenza fu
l’inclusione dell’agricoltura nel sistema del GATT.
Risolta una delle principali difficoltà, i negoziati proseguirono fino alla
fine del 1993. Il 15 aprile 1994, infine, l’Uruguay Round si concluse a
Marrakesh, con la firma dei 123 paesi che vi avevano preso parte.
Riassumere in poche parole i risultati di questo importantissimo round
commerciale non è facile. Di centrale importanza, come risposta alle
richieste di creare un’istituzione preposta al governo del commercio
internazionale, è la creazione del WTO, nato ufficialmente il 1 gennaio
1995 e con sede a Ginevra; questo è certamente tra i risultati più
significativi del ciclo di negoziati. Di grande importanza è anche la
conclusione di una serie di accordi, come il GATS sui servizi e il TRIPS
sulla proprietà intellettuale, che, affiancandosi al GATT e ad altri accordi,
costituiscono la base giuridica dell’istituzione. Anche per quanto riguarda
le barriere commerciali non tariffarie vi sono state risposte notevoli;
giungendo ad una loro tarifficazione, infatti, si è potuto procedere ad una
riduzione molto significativa (del 36% in dieci anni per i paesi sviluppati e
del 24% in sei anni per i paesi in via di sviluppo). Da citare anche
l’accordo sui prodotti tessili e d’abbigliamento, argomento per il quale si
era manifestato un aspro dissenso tra paesi ricchi e paesi in via di
sviluppo; a seguito dell’Uruguay Round fu deciso di integrare il settore
nel GATT seguendo un percorso diviso in quattro fasi, le più importanti
delle quali (ossia quelle che sovrintendono alla liberalizzazione dei
prodotti principali) sono ancora in corso di svolgimento. Nel campo delle
barriere tariffarie sono stati conclusi accordi vincolanti, detti bindings, che
impegnano i paesi a non innalzarle, e che riguardano circa il 99% dei
prodotti nei paesi sviluppati e intorno al 60% dei prodotti nei paesi in via
di sviluppo. Per concludere questa rapida carrellata dei risultati
dell’Uruguay Round vanno citate la specificazione dei criteri per la
dimostrazione del danno derivante da pratiche di dumping, e la modifica
di alcuni articoli del GATT; a seguito di tali modifiche, il testo nuovo
viene di solito denominato GATT 1994, con lo scopo di distinguerlo dal
GATT 1947, che indica invece il testo nella sua prima stesura.
Dalla quantità di risultati raggiunti, si è spesso argomentato che la
discussione di molti argomenti per volta, tipica dei round commerciali di
cui si è parlato, è spesso più fruttuosa del dibattito bilaterale su una sola
questione per volta. Questo perché in molti casi è possibile, attraverso
reciproche concessioni su argomenti differenti, che paesi in contrasto tra
loro raggiungano un compromesso accettabile per tutti. Inoltre, nazioni
deboli politicamente, come i paesi in via di sviluppo, vedono aumentato il
loro potere contrattuale grazie al fatto che possono difendere insieme i
loro interessi. Ma l’ampio numero di partecipanti e di argomenti può a
volte costituire un ostacolo al successo delle trattative: lo stesso Uruguay
Round, a causa di dissidi tra partecipanti e della difficoltà di mettere
d’accordo così tante posizioni diverse, è stato più volte sull’orlo del
fallimento. I cicli di negoziati, dunque, non sono la sola strada per
raggiungere accordi internazionali in campo commerciale: lo dimostra il
fatto che, negli ultimi anni, svariati argomenti (ad esempio le
telecomunicazioni) sono stati negoziati singolarmente. Con ogni
probabilità, si può concludere che il successo delle trattative è venuto
quando si è scelto il giusto tipo di negoziati in base al momento e
all’argomento particolari.
6. Considerazioni finali sul GATT e
confronto con il WTO.
Nonostante il GATT fosse “provvisorio”, poiché doveva far parte
dell’ITO, la sua durata come unico strumento di diritto internazionale a
regolamentare il commercio ha sfiorato il mezzo secolo, e il suo successo
nel promuovere e liberalizzare gli scambi internazionali è incontestabile.
Durante i quarantasette anni che vanno dal 1947 al 1994, la riduzione
delle barriere doganali è stata continua e ha riguardato la quasi totalità dei
prodotti industriali; la tariffa media sui beni in questione è passata da circa
il 40% negli anni ’30, a meno del 5% verso la fine degli anni ’80. Questo
ha contribuito a far crescere in misura notevole il volume degli scambi
internazionali, insieme alla produzione mondiale. Il continuo ingresso di
nuovi membri nel sistema del GATT dimostra come i paesi riconoscessero
l’importanza del sistema multilaterale nel promuovere il commercio tra
paesi.
Pur con questi meriti, il GATT è progressivamente divenuto un sistema
superato, in parte perché le esigenze del commercio internazionale sono
cambiate, e in parte per limiti del GATT stesso.
Per quanto riguarda il primo aspetto, non si può non notare come la
situazione degli scambi internazionali sia mutata profondamente dal 1947
all’avvento del WTO; i cambiamenti più evidenti sono stati l’aumento del
volume commerciale, ma non solo: è molto importante, per comprendere
le discussioni sorte ai tempi del Tokyo Round e divenute più aspre in
seguito, rilevare il crescere di importanza di settori del commercio diversi
dallo scambio di beni. I servizi, per esempio, sono uno dei settori la cui
rilevanza è aumentata in misura maggiore negli ultimi decenni. Inoltre, a
modificare il panorama del commercio ha contribuito il successo
nell’abbassamento delle barriere doganali, che ha spinto molti governi a
utilizzare barriere non tariffarie, meno trasparenti dei dazi e più difficili da
contrastare.
Oltre questi importanti cambiamenti nello scenario del mercato mondiale,
che lo hanno reso sempre più complesso, il GATT ha manifestato seri
limiti negli anni in cui ha funzionato senza il supporto di
un’organizzazione internazionale in senso tecnico. Questi limiti sono
divenuti molto evidenti a seguito del tentativo, fallito, di riformare il
GATT con il Tokyo Round, e possono essere così riassunti: in primo
luogo il fatto di non ricomprendere i settori che hanno assunto importanza
sempre crescente di cui si accennava poco fa, come i servizi e la proprietà
intellettuale; il secondo, grave limite del GATT riguardava il suo sistema
di risoluzione delle dispute. Quando un paese lamentava una violazione
del trattato da parte di un altro contraente, infatti, la nazione accusata
poteva bloccare la procedura per risolvere la controversia.