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INTRODUZIONE
Negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso il western all'italiana é stato
il fenomeno di maggior rilevanza estetica e produttiva nel panorama
cinematografico italiano.
Questi anni sono stati per il nostro Paese anni di grandi conquiste politiche e
sociali e questa tesi vuole dimostrare come dal fecondo humus di quegli anni si sia
sviluppato un cinema prodotto «in massa e per le masse»
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, che germogliato da
esso, tentava allo stesso tempo una riflessione sull'instabile situazione italiana del
periodo.
Prima di tutto, attraverso un approccio culturalista, si analizzerà il filone del
western all'italiana come un fenomeno di ibridazione culturale, che ha permesso
alla cultura italiana, da sempre geograficamente ponte tra Nord e Sud del mondo,
di fornire un'analisi cosciente o incosciente dei nuovi scenari culturali che si
andavano delineando a seguito dei forti cambiamenti geopolitici che stavano
avvenendo.
Attraverso un'analisi della storia e della politica italiana di quegli anni si
analizzerà la riflessione spesso contraddittoria (Faccia a faccia) che gli autori di
questo filone hanno compiuto nei confronti della violenza, considerata alla base di
qualsiasi forma politica (su ciò si fonda una delle caratteristiche principali della
filmografia di Leone).
1 S. Daney, Il etait une fois dans le West, in « Cahiers du cinéma », n. 216, ott. 1969;
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«Lo spaghetti-western é il primo e solo genere parricida della storia del
cinema»
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Il primo capitolo fornisce un'analisi del western all'italiana in generale,
sottolineandone il suo carattere eversivo nei confronti del western classico;
un'eversione “politica” in primo luogo nei confronti dei codici imposti di
rappresentazione hollywoodiana, in secondo luogo un'eversione rispetto alle
tematiche culturali che questo genere ha tentato di imporre negli anni con la sua
diffusione planetaria del “way of life” americano.
Va sottolineato come questa ri-scrittura del genere, sicuramente il caso più
compiuto e più ampio nella storia del cinema, sia potuto avvenire solamente
all'interno di un cinema a carattere fortemente popolare, all'interno di una struttura
produttiva e distributiva che ora il nostro Paese ha irrimediabilmente perso, certo
anche a causa del carattere estenuante che questo tipo di produzione ha avuto.
Il secondo capitolo analizza i western all'italiana che si sono rivolti
coscientemente ad un discorso politico preciso. Sergio Sollima e Damiano
Damiani hanno celato dietro la struttura di genere la loro riflessione sulla
situazione politica del periodo. Diverso il discorso per quel che riguarda i western
di Sergio Corbucci, che partendo da una cultura fatalistica tipicamente italiana e
del Sud del mondo (Il grande Silenzio) arriva, cavalcando l'onda del successo
delle tematiche rivoluzionarie, a una parodia delle stesse, ad un addomesticamento
2 J. M. Sabatier, Profile exemplaire d'un genre “bis”: le “Spaghetti western” in « La revue du
cinéma Image et Son », n. 305, apr. 1976;
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borghese di quel tipo di discorso che si andava diffondendo tra i giovani del
periodo.
Il terzo capitolo analizzerà i western di Sergio Leone, creatore e
«legislatore» del western all'italiana. Questa tesi vuole dimostrare come nell'opera
del grande cineasta romano si dispieghi il vero senso “politico” di questo filone. I
suoi film qui analizzati si presentano come rilettura e rielaborazione tout court di
altri testi, proiettando Leone nell'universo degli autori post-moderni.
La trilogia del dollaro si presenta come una demistificazione dei codici e
dell'ideologia del western classico, portando con sé una riflessione fortemente
intrisa di fatalismo romano sul legame che intercorre tra dollaro e violenza che sta
alla base della società americana. Giù la testa diventa un'auto-riflessione sulle
derive populiste dello stesso western all'italiana, dichiarando l'inutilità di qualsiasi
forma di violenza politica. Infine C'era una volta il West rappresenta un atto di
amore disilluso dell'autore nei confronti dell' “America” tanto sognata in gioventù
attraverso i suoi testi filmici. Disillusione che nasce dalla consapevolezza che la
nascita di un mondo fondato sulla realtà del capitale comporti sempre la morte di
un mondo fondato sulle favole dei miti.
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ORIGINI DEL WESTERN ALL'ITALIANA
Pensare che il fenomeno del western europeo sia nato in Italia é sicuramente
erroneo. Il primo Stato europeo, infatti, a investire in maniera cospicua nel genere
western fu la Germania, Paese in cui tra il '58 e il '64 vennero prodotti diversi film
di questo genere adattando i romanzi di Karl May.
L'autore tedesco, una sorta di Salgari teutonico, proponeva delle storie di
avventure che avevano per protagonista Winnetou, una specie di “buon
selvaggio”. Questi racconti trovarono un'ottima forma cinematografica, venendo
co-prodotte a basso costo in Yugoslavia e ottenendo un buon successo
commerciale in tutt'Europa.
La regia del ciclo di Winnetou é spesso di Harald Reinl: Il tesoro del lago
d'argento (1962), La valle dei lunghi coltelli (1963) e Agguato sul Grande Fiume
(1964). Gli anni tra il 1962 e il 1968 furono il periodo d'oro del western tedesco:
vennero tratti, infatti, dai romanzi di Karl May ben 17 film.
Il western italiano durante gli anni di suo maggior splendore farà largo uso
delle maestranze e degli attori provenienti dal western tedesco, fra tutti vanno
ricordati Klaus Kinski e Mario Girotti (alias Terence Hill). I tedeschi, come gli
italiani nel peplum, nel loro western riciclano vecchie glorie o attori di secondi
ruoli del western americano.
La seconda nazione europea ad avvicinarsi al western é la Spagna, dove già
da qualche anno le produzioni hollywoodiane realizzavano colossal storici di
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varie epoche. Al western la Spagna giunge attraverso Zorro, ma poi i personaggi
si evolvono, fino a rassomigliare ai loro parenti americani.
I registi che più si distinguono nel cosiddetto “chorizo western” sono
Joaquim Romero Marchent (I tre implacabili, 1963, I tre spietati, id.), Jesus
Balcazar (Il ranch degli spietati, 1964), Antonio Del Amo (Solo contro tutti,
1964). Quasi tutti i film sono in coproduzione con altri Paesi, ciò permette loro di
penetrare più mercati contemporaneamente e sono tipici prodotti “di profondità”,
che vedono accrescere il loro successo commerciale nelle sale di terza e quarta
visione. Il carattere coproduttivo e “di profondità” saranno due delle
caratteristiche anche dei western italiani: ciò sottolinea il loro carattere popolare
che si affermerà trasversalmente nelle classi subalterne europee e non solo.
Il western spagnolo sarà strettamente legato al western italiano,
condividendone set, attori e gran parte delle maestranze. La Spagna sarà la
principale coproduttrice di western all'italiana.
Durante la fine degli anni '50 a Cinecittà girano i loro film le grandi
produzioni americane. Sono soprattutto kolossal storici in Cinemascope. I set di
queste grandi produzioni saranno la palestra per tanti registi italiani, che dirigendo
le seconde unità in questi film, negli anni successivi si confronteranno col genere
western.
Contemporaneamente alle grandi produzioni hollywoodiane i set di
Cinecittà sono invasi da troupe italiane che girano spesso sugli stessi set costruiti
dagli americani film di genere peplum.
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Dopo una prima fase in cui gli italiani cercano di ripetere i successi
americani producendo kolossal dagli alti costi organizzativi, nel 1958, quando
ormai il genere kolossal sembra esaurito Pietro Francisci dirige Le fatiche di
Ercole, film senza alcun sostegno pubblicitario e costato relativamente poco, che
ridà vita al genere, puntando su uno spettacolo gonfiato, eccessivo, visibilmente
falso
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Steve Reeves, nella parte di Ercole, diverrà un nuovo divo dello schermo,
incrementando notevolmente il filone. Contemporaneamente a queste produzioni
medio-alte si diffondono produzioni di serie B e a Ercole si sostituisce Maciste.
All'eroe della mitologia greca subentra l'eroe da fumetti, che si muove su un
paesaggio spoglio e lunare.
Come il peplum, il western all'italiana si connoterà per la commistione tra
riferimenti colti (la mitologia greca, Shakespeare) e pratiche “basse”, e questa
sarà una delle conquiste culturali più importanti del genere.
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Nel 1959 sul set di uno dei tanti peplum che venivano girati in quegli anni,
Gli ultimi giorni di Pompei, si incontrano tre registi che diventeranno gli uomini
di punta del western all'italiana: Leone, Tessari e Corbucci; il primo é chiamato a
dirigere le riprese in assenza di Bonnard, regista del film, il secondo svolge il
ruolo di aiuto regista e il terzo é regista della seconda unità. Lo stesso primo film
di Leone, sarà un peplum: Il colosso di Rodi (1960).
3 L. Beatrice, Al cuore, Ramon, al cuore – La leggenda del western all’italiana, Tarab, Firenze,
1996 ;
4 L. Beatrice, Il western all'italiana, in Storia del cinema italiano,Vol. XI – 1965/1969, Scuola
Nazionale di cinema, Marsilio Ed. di Bianco e Nero, 2002;
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Contemporaneamente a Per un pugno di dollari, Corbucci realizzerà
Minnesota Clay, con Cameron Mitchell, e Tesssari, subito dopo, realizzerà Una
pistola per Ringo, primo film western che ha come protagonista Giuliano Gemma.
I tre film segneranno l'inizio della stagione dei western all'italiana.
Sullo stesso set del primo western di Leone si incontrarono nomi che
faranno la fortuna del genere: da Franco Giraldi a Tonino Valerii, dallo stesso
Tessari a Fernando Di Leo, da Massimo Dallamano a Ennio Morricone.
IL WESTERN AMERICANO DEGLI ANNI '60
Il western americano in questi anni ha ormai estinto la sua spinta propulsiva
di genere cardine nella diffusione del mito americano nel mondo. Sicuramente gli
eventi storici, come la guerra di Corea e quella vietnamita hanno incrinato le
stesse ideologie fondanti il mito americano della Frontiera. Lo stesso Ford, il
regista che più di tutti ha diffuso l'ideologia positiva della civilization, si é
ricreduto e ha voluto mettere in dubbio l'ideologia dei suoi film precedenti in
L'uomo che uccise Liberty Vallance (1962). Il film, uno degli ultimi grandi
affreschi fordiani sul west, riflette proprio sull'uso della violenza che é alla base di
qualsiasi forma politica, nonché fa morire con Liberty Vallance John Wayne e la
mitologia del west. Il film sarà uno dei più amati proprio da Leone.
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5 GDi Claudio Directed by Sergio Leone, Libreria Univ. Editrice, 1990
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Il western classico, in quegli stessi anni, si rivolgeva alla parodia di sé
stesso con Cat Ballou (1965) di Elliot Silverstein e La carovana dell'Alleluja
(1965) di John Struges, sintomo della fine di un genere.
La riflessione sulla violenza imperialista americana trovava i suoi maggiori
affreschi in Furia Selvaggia (1958) e Piccolo Grande Uomo (1970) di Arthur
Penn e in Soldato Blu (1970) di Ralph Nelson, film che riflettendo sulla violenza
della conquista compiuta a danni del popolo indigeno sullo stesso territorio
statunitense, si riferivano, indirettamente, alle immagini di violenza imperialista,
che in quegli stessi anni tutte le televisioni del mondo trasmettevano dal Vietnam.
Le produzioni Hollywoodiane, inoltre negli stessi anni hanno smesso di inondare
il mercato italiano di piccoli prodotti per la seconda e la terza visione
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. Ed é
proprio questo buco che le produzioni italiane cercano di riempire inventano il
“western all'italiana”. Quando il peplum ha esaurito la sua spinta propulsiva, il
cinema conosce la prima crisi a causa della concorrenza della tv, si va in cerca di
un nuovo filone, ed allora ecco una nuova generazione di registi salire alla ribalta.
MODI DI PRODUZIONE DEL WESTERN ALL'ITALIANA
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Il fenomeno del western all'italiana scoppia nell'estate del 1964, quando
nelle sale italiane esce Per un pugno di dollari. Bisogna, però, ricordare che prima
6 M.Giusti, Dizionario del western all'italiana, Mondadori, 2007, p. XXVIII dell' introduzione;
7 Dichiara Leone: «Il western all'italiana é una cosa molto strana, nata da una serie coincidente
di fattori. Anche da alcune cose pratiche. In quel momento il western cinematografico era in
decadenza perché c'era stato il western televisivo, in America.[...] Poi c'é stata la passione di
una generazione di registi italiani che sono nati, come spettatori, con il western americano». In
F.Faldini – G.Fofi, L'avventurosa storia del cinema italiano raccontata dai suoi protagonisti
1960-1969, Feltrinelli, Milano 1981, p.180;