Introduzione
L’intento della tesi è di definire una strategia di comunicazione digitale per la onlus
@uxilia. Attraverso la creazione di un’immagine definita del brand, che permetta di
generare una differenziazione all’interno del mercato di riferimento, si vuole perseguire
l’obiettivo di informare l’utente al fine di creare una presa di coscienza sulle
problematiche sociali affrontate dall’associazione. La conoscenza e la conseguente
consapevolezza riguardo determinate tematiche potranno generare un reale
coinvolgimento nelle attività svolte dalla Onlus. Il be different di @uxilia deriverà dalla
creazione di donatori e volontari i quali, mediante un processo conoscitivo, potranno
divenire “consumatori” realmente consapevoli e fidelizzati.
Si è deciso di intraprendere un percorso che, alla luce di alcune riflessioni teoriche
e metodologiche e attraverso l’analisi dei dati forniti dagli strumenti analitici del web,
tenta di arrivare alla creazione di una comunicazione efficace per il raggiungimento
degli obiettivi preposti.
Il primo capitolo è dedicato alla definizione di alcuni riferimenti teorici che
permettono di operare una riflessione approfondita riguardo la rappresentazione
dell’azione umanitaria all’interno della società moderna. Partendo dalla definizione di
pietà proposta dalla Arendt si arriva alla spettacolo del dolore di Luc Boltanski che si
sofferma sulle modalità attraverso cui la sofferenza viene proposta al fine di generare
un’azione politica e sulle possibili vie per non scadere in un voyeurismo perverso. La
riflessione continua con il contributo teorico di Hilgartner e Bosk che operano
un’attenta analisi riguardo le modalità di imposizione all’attenzione pubblica dei
problemi sociali. Alcuni di essi assumono un’immediata rilevanza; altri vengono posti
nel dimenticatoio nel giro di pochi giorni ed altri ancora oscillano, assumendo e
perdendo rilevanza in maniera altalenante. Riprendendo alcune riflessioni di Pina Lalli
si tenta di definire quale sia il ruolo della comunicazione sociale, se strumento di
persuasione o al contrario di conoscenza. L’ultimo paragrafo tenta di unire le diverse
riflessioni riportate attraverso l’analisi del caso mediatico di Alan Kurdi, il bambino
siriano ritrovato nelle spiagge della Turchia nel settembre 2015. L’intento è di capire
come un’immagine diviene simbolo di una crisi umanitaria; quali effetti genera e se è
possibile parlare di una reale presa di coscienza.
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Il secondo capitolo rifacendosi alle riflessioni teoriche esposte in precedenza tenta
di delineare il concetto di marketing fornendo una definizione di tale disciplina. Una
volta individuati i caratteri generali, il focus si concentra sul digital marketing,
considerando la comunicazione web come uno strumento efficace ed efficiente al fine di
promuovere l’immagine di un brand. L’attenzione viene poi a focalizzarsi sulle modalità
attraverso cui viene comunicato un prodotto nei diversi ambiti del marketing. In
particolare l’analisi si sofferma su come le tecniche di vendita vengono impiegate nel
sociale, nel profit e nel non profit.
Il caso specifico di @uxilia viene trattato nel terzo capitolo dove si delinea una
proposta per la strategia comunicativa web della Onlus, che possa rispondere
all’obiettivo di creare un’immagine coerente con le proprie attività e che possa
muoversi nell’ottica di creare un utente realmente informato e consapevole su
determinate tematiche sociali. Condizioni necessarie al fine di generare un’azione a
favore dell’operato di @uxilia. L’attenzione si concentra in particolare sui due siti web
della Onlus: www.auxiliaitalia.it e www.auxiliachildren.org e sulle pagine Facebook
Auxilia Italia e Socialnews. Il capitolo si apre presentando un’analisi dei dati riguardanti
il mondo del non profit in Italia, che oltre a definire il contesto di riferimento in cui
opera @uxilia dimostra che, attraverso il web, diviene possibile creare il rapporto di
fiducia preteso dal consumatore di oggi. Una volta individuati gli obiettivi e i
competitors si passa all’analisi SWOT e alla presentazione dei dati statistici forniti da
Google Analytics e dagli Insights di Facebook. Attraverso Google Analytics è stato
possibile monitorare le caratteristiche e le azioni degli utenti all’interno dei due siti web.
Questo ha permesso di riorganizzare i contenuti e di introdurne di nuovi di modo da
trasmettere in maniera immediata l’identità di @uxilia e invogliare l’utente a proseguire
il suo percorso al fine di coinvolgerlo nelle attività proposte. Gli Insights di Facebook
hanno ricoperto la stessa funzione dei dati raccolti con Analytics permettendo di
individuare oltre alle caratteristiche socio demografiche dei fan quali fossero i contenuti
maggiormente apprezzati all’interno delle pagine. Questa analisi è risultata
fondamentale al fine di definire una strategia comunicativa che possa rispondere alle
preferenze degli utenti e che tenti di categorizzare i vari post di modo da presentare
l’eterogeneità delle attività sotto un unico brand.
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CAPITOLO 1
L’AZIONE UMANITARIA
TRA SPETTACOLARIZZAZIONE E INFORMAZIONE
1.1 La rappresentazione del dolore
Hanna Arendt nel suo saggio Sulla rivoluzione opera una distinzione molto netta dei
concetti di compassione e pietà. La differenza sostanziale potrebbe essere spiegata
attraverso tre binomi: lontananza/vicinanza; immedesimazione/sentimento; particolare/
generale. La compassione prevede un livello di immedesimazione molto alto, la
sofferenza altrui viene condivisa e percepita in maniera intensa, si viene a creare una
comunione tra “lo spettatore” e “il sofferente” accorciando, se non abolendo, la distanza
che intercorre tra loro. Questa unione tuttavia avviene tra singoli quindi il concetto di
compassione non investe l’intera società ma coinvolge le singole parti in un’azione
immediata. L’azione scaturita dalla compassione può essere definita come istintiva, non
avviene una valutazione su quanto accade ne tantomeno un processo di comunicazione
nei confronti del bisognoso. Questa dimensione viene spiegata dalla Arendt attraverso la
parabola del buon samaritano
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, lo spettatore che si trova di fronte alla sofferenza può
decidere di seguire la strada dell’indifferenza o quella dell’assistenza. In entrambi i casi
non opererà alcun tipo di riflessione a livello sociale o politico in quanto l’azione sarà
isolata in quel particolare frangente. La forza della compassione «dipende dalla forza
della passione stessa che, al contrario della ragione, può investire soltanto il particolare,
ma non ha alcuna nozione del generale né alcuna capacità di generalizzazione» (Arendt
2009). Si tratta di un processo estraneo alla dimensione comunitaria e per questo
escluso dalla logica politica.
La pietà sembrerebbe al contrario un sentimento che possa inscriversi in un
ambito più ampio rispetto all’intimità della compassione. Attraverso questo processo la
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«Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e
poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima
strada e quando lo vide passò oltre dall'altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò
oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n'ebbe compassione. Gli si
fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a
una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all'albergatore,
dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno.». Si veda: https://
it.wikipedia.org/wiki/Parabola_del_buon_samaritano (consultato il 6/4/2016)
distanza che separa l’osservatore dalla sofferenza è tale per cui i corpi risultano
completamente estranei gli uni agli altri. L’immedesimazione lascia spazio al
sentimento che si traduce quindi in una condizione di dispiacere e non di malessere. Se
la compassione presuppone una condivisione quasi carnale, seppur intima, della
sofferenza; la pietà è completamente estranea a quanto stia avvenendo in termini di
vissuto. La separazione che viene a crearsi lascia spazio alla riflessione e all’analisi di
quanto avviene. Queste condizioni permettono alla pietà di superare la particolarità per
estendersi alla moltitudine, assumendo quindi un carattere generale. Risulta quindi
evidente che nel processo di pietà debbano sussistere necessariamente i “felici”
contrapposti agli “infelici”, senza i quali questo sentimento non potrebbe esistere.
Questo presupposto sembrerebbe trovarsi anche alla base del concetto di
«spettacolo della sofferenza» proposto da Luc Boltanski nel suo saggio riguardante la
rappresentazione mediatica e politica delle azioni umanitarie.
Appare evidente come per comprendere queste dinamiche occorre operare
un’analisi riguardo le motivazioni che hanno spinto gli individui e così la politica a
preoccuparsi della sofferenza altrui. Boltanski a questo proposito riprende il discordo
della Arendt riguardo la Rivoluzione Francese assumendo che «the French Revolution
emphasized not so much the question of liberty but a politics of pity» (2000a). Il valore
della libertà sarebbe stato quindi in parte soppiantato da una nuova tendenza politica che
vede nella sofferenza un male da estirpare. L’uso della parola “pity” (pietà) non è
casuale, risulta infatti evidente come all’intimità della compassione sia stata sostituita la
generalità della pietà. La distanza che intercorre tra le parti, rallentando l’agire,
trasforma gli attori della compassione in spettatori. Il contesto della sofferenza cambia
completamente. Venendo meno la capacità di azione del singolo, la questione diviene
politica e occorre trovare soluzioni utili al fine di porre l’attenzione su una determinata
causa. L’avvento dei media e della società dell’immagine ha acuito la distanza tra
“felici” ed “infelici” complicando ulteriormente la gestione dell’azione umanitaria, sia
nella sua rappresentazione che nella sua realizzazione.
Questa separazione tra l’osservatore e il sofferente, e quindi tra l’evento e il
potenziale intervento, permette alla politica di insinuarsi all’interno dello spazio che
viene a crearsi consentendo la predisposizione di una strategia. L’azione politica
implicando il coinvolgimento di più parti assume una dimensione pubblica che,
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partendo dal particolarità, si estende alla generalità, andando a caratterizzare il
«trattamento paradossale della distanza» (Boltanski 2000b). Verrebbe a crearsi una sorta
di processo di generalizzazione della pietà; il singolo evento caratterizzato da forti
componenti emozionali viene riprodotto attraverso una dimensione pluralista che ne
definisce i caratteri di generalità.
La politica della pietà risulta quindi uno strumento estremamente razionale ed
efficace che oggettivando la distanza crea uno spazio in cui l’emotività dello spettatore
può evolvere in azione.
L’agire, secondo Boltanski, può derivare soltanto da un coinvolgimento emotivo,
condizione che risulterebbe invece del tutto assente nella «politica della giustizia».
L’autore tratta il tema della giustizia al fine di dimostrare come esso essendo un
concetto dato e definito, esterno alle parti coinvolte e caratterizzato da principi
egualitari e unitari risulti inefficace nel trattamento della sofferenza. Partendo dalla
separazione e quindi dalla mancata compresenza le tempistiche di intervento si dilatano
liberando «uno spazio nel quale questa emozione può dispiegarsi, verbalizzarsi,
trasformarsi» conquistando una dimensione politica (Boltanski 2000b).
L’importanza che Boltanski conferisce alla pietà ridefinisce il concetto di
solidarietà presentato dalla Arendt come unica via per giungere ad una comunione
d’intenti e di interessi con gli infelici. La pietà secondo l’autrice non è sufficiente per
ovviare ad un problema in quanto appartenendo alla categoria delle passioni non
possiede la razionalità necessaria alla sua risoluzione. La solidarietà vede nella
sofferenza la sua ragion d’essere ma risponde ad una logica razionale e ad un principio
unitario comprendendo la moltitudine e risultando egualitaria e quindi portatrice di
un’azione politica.
La tesi della Arendt risulta immediatamente in contrasto con il concetto di
paradosso della distanza proposto da Boltanski, che vede proprio nella separazione delle
parti il presupposto dell’agire, conferendo alla pietà una forte componente razionale
derivante dalla sua appartenenza alla sfera politica. Risulta evidente come sia la distanza
e non la prossimità a conferire spazio alla riflessione, alla comunicazione e quindi alla
mobilitazione collettiva.
Occorre ora soffermarsi sulle modalità attraverso cui la pietà riesca a tradursi da
emozione individuale ad azione sociale. Il gap che intercorre tra il sentire ed il fare può
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essere superato, secondo Boltanski, attraverso il processo di immaginazione, che non
deve essere confuso con quello di identificazione. Come spiega l’autore «lo spettatore
immagina ciò che può provare la donna che partorisce, ma non si immagina mentre
partorisce» (Boltanski 2000b). Attraverso l’immaginazione si viene a creare un
collegamento «tra colui che trasmette e colui che riceve una sofferenza a distanza»
arrivando a creare un comune sentire che si traduce in una «coordinazione
emozionale» (Boltanski 2000b). Chi assiste immagina il sentimento provato dal
sofferente, prefigurandoselo a partire da una condivisione di valori e principi connotati
culturalmente. L’unione che viene a crearsi, essendo comunque mediata da una
rappresentazione, potrebbe nascondere l’insidia del voyeurismo. Lo spettatore che
assiste alla scena senza prenderne parte diverrebbe preda della perversione umana a
godere della sofferenza altrui. Per ovviare a questo problema occorre creare
un’immagine che possa coinvolgere il fruitore portandolo all’azione. L’attenzione di
Boltanski ricade in particolare sulla costruzione delle tematiche umanitarie, in termini di
rappresentazione mediatica e coinvolgimento dello spettatore come potenziale attore. Il
processo d’immaginazione partendo dalla creazione del comune sentire risulterebbe uno
strumento utile al fine ultimo dell’agire. L’autore tenta di spiegare come tale
meccanismo prenda forma attraverso l’utilizzo delle topiche «which has the advantage
of emphasizing the conventional character of these engagements in the face of
suffering» (Boltanski 2000a).
La prima topica individuata da Boltanski è la topica della denuncia. L’azione in
questo caso parte dalla ricerca di una causa e di un colpevole. Lo spettatore si pone in
un atteggiamento di accusa manifestata attraverso un linguaggio di condanna spostando
così l’attenzione dalla vittima al carnefice. La critica che l’autore muove a questa topica
riguarda sopratutto la preminenza assunta dalla critica verbale che «placa la inquietudini
morali, senza attenuare, in alcun modo, le sofferenze dell’infelice» (2000). Si
tratterebbe quindi di una pratica autoreferenziale, che parrebbe rispondere più alla
soddisfazione di esigenze di rivalsa individuali che di difesa concreta della vittima.
La topica del sentimento si pone in maniera diametralmente opposta a quella della
denuncia spostando l’attenzione dal carnefice al benefattore. Facendo leva su di un
condizionamento emotivo dello spettatore, la vittima viene posta nuovamente in
secondo piano e definita in relazione al sentimento di riconoscenza e gratitudine. Al fine
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