3
CAPITOLO I
IL SISTEMA POLITICO ITALIANO NEL-
LA TRANSIZIONE
Per capire i risultati delle elezioni del Maggio 2001, peraltro
annunciati con largo anticipo, è necessario svolgere alcune con-
siderazioni sull’attuale sistema elettorale italiano. Esso, com’è
noto, trova fondamento nella Costituzione e soprattutto nelle
leggi ordinarie di attuazione del dettato costituzionale. La Carta
fondamentale non dispone nulla in materia di formule e di si-
stema elettorale propriamente detto. Questa si limita ad afferma-
re alcuni basilari principi istituzionali che il sistema della rap-
presentanza deve assicurare, come la democraticità del voto, il
mantenimento della forma di governo parlamentare, l’adozione
del bicameralismo perfetto
1
e così via. In ragione di questo, la
definizione delle regole elettorali è stabilita in leggi ordinarie,
che disciplinano il meccanismo di trasformazione delle prefe-
renze in voti e dei voti in seggi. Tali leggi stabiliscono nella pra-
tica quali siano le forme di competizione partitica e la struttura
delle opportunità degli attori. Esse sono modificate da altrettante
leggi di pari rango normativo e non da leggi di revisione costitu-
zionale, come potrebbe pensarsi, in virtù delle disposizioni vi-
genti in molti sistemi politici, in tema di adozione e modifica
delle leggi elettorali.
Fino all’Ottobre 1913, l’Italia ha votato con un sistema di tipo
maggioritario, per poi passare ad uno proporzionale. In seguito
alla triste esperienza del fascismo e al successivo avvento della
Repubblica, in Italia è stato nuovamente adottato un sistema di
tipo proporzionale plurinominale. Tale sistema, rimasto in vigo-
re fino al 1992, è caratterizzato da un’elevata corrispondenza fra
la percentuale di voti ricevuti e la quota di seggi conseguiti da
ciascun partito. Tuttavia il metodo proporzionale non si rivelò
particolarmente efficiente, già al momento della sua entrata in
vigore nell’Italia repubblicana. Ma all’epoca era necessario in-
trodurre rapidamente un sistema democratico, piuttosto che pen-
sare da subito ad una sua riforma, cercando un modo per assicu-
rare una coesistenza di forze politiche estremamente dissimili,
vista la contrapposizione tra DC da un lato e PCI-PSI dall’altro.
Le conseguenze non tardarono ad emergere: un’enorme fram-
mentazione politica, un pluripartitismo estremo e una forte in-
stabilità di governo, cui si cercò sovente di apporre una soluzio-
ne.
1
Vedi Costituzione articoli 48, 56, 57; sulla tipologia del voto G. Pasquino,
(1997) “Corso di Scienza Politica”. Bologna: Il Mulino.
4
Con l’entrata in vigore del sistema elettorale e la formazione
della Repubblica Italiana, il partito che, in misura maggiore,
raccoglieva consensi e successi a livello elettorale fu la DC. Ciò
nonostante, la DC ebbe qualche battuta d’arresto a vantaggio
delle destre, soprattutto nelle zone del centro sud, a partire dalle
elezioni amministrative del 1952. Un caso clamoroso fu la pre-
senza di un particolare personaggio, Achille Lauro, Il Coman-
dante
2
. Egli si presentò alle consultazioni comunali di Napoli e
ottenne 157 mila voti e la maggioranza relativa, divenendo in tal
modo sindaco della città. Per la prima volta, dopo la fine della
guerra, l’Italia meridionale si ribellava ai riflessi provenienti dal
nord, antifascisti e legati in qualche maniera al CLN.
Alla fine del 1952, Alcide De Gasperi, democristiano al suo
settimo governo, era particolarmente preoccupato della situazio-
ne che si presentava alla luce dei risultati delle precedenti ele-
zioni amministrative. La posizione del suo partito pareva fosse
posta in discussione dalla crescita delle destre e da un lieve re-
cupero delle sinistre, e allo stesso tempo, da una minaccia di di-
staccamento dei partiti minori, suoi alleati. In questo contesto si
sviluppò l’idea di varare una nuova legge che concedesse un
premio di maggioranza a quel partito o a quella coalizione di
partiti che avessero ottenuto il 50% più uno dei voti validi. In
questo modo, il partito vincitore avrebbe ottenuto i due terzi dei
seggi in Parlamento, mentre i restanti sarebbero stati divisi tra
l’opposizione. Il disegno di legge fu approvato dalla Camera il
18 Ottobre del 1952, poiché la DC poteva contare su una mag-
gioranza assoluta e sull’appoggio degli alleati minori. Nonostan-
te questo, la legge, ribattezzata piuttosto enfaticamente legge
truffa, vide lo strenuo ostacolo da parte dell’opposizione, che
aveva ancora alcune carte da giocare: l’approvazione al Senato e
il voto popolare. Il 7 Giugno del 1953, infatti, furono indette
nuove consultazioni generali in cui la DC ottenne una sconfitta,
poiché, nonostante la vittoria sulla carta, ottenne soltanto il
49.85% dei voti. In questo modo non si realizzò l’obiettivo ten-
tato con la legge truffa e fu bocciata.
De Gasperi formò il suo ottavo governo monocolore, nono-
stante le numerose defezioni e la sua manifesta volontà di non
adempiere quest’incarico e di porsi in disparte. Tuttavia, all’idea
di veder crollare ciò per cui aveva lavorato e modificare il “suo”
partito, decise di accettare l’incarico. In seguito, però la fiducia
fu concessa a Giuseppe Pella, il candidato proposto dai monar-
chici e non dai democristiani.
2
Achille Lauro fu un personaggio particolare, armatore e imprenditore, fece
la sua fortuna con i viaggi per la fornitura di tutti i materiali durante la guerra
d’Etiopia, ma non fu mai un estremista. Dopo esser divenuto sindaco della
sua città fu efficiente e bizzarro.
5
Agli inizi degli anni ’70, la volontà di riformare il sistema e-
lettorale era diventata più pressante, sebbene non avesse portato
a nulla di concreto, con i relativi problemi connessi a livello po-
litico. Ormai il cambiamento era diventato una necessità e a-
vrebbe dovuto cominciare proprio con una riforma del sistema
elettorale.
Dopo un prolungato dibattito durante gli anni Settanta, il pri-
mo reale tentativo di svolta si ebbe nel 1985 con la formazione
della Commissione Bicamerale per le riforme istituzionali, gui-
data dall’On. Bozzi, con cui iniziò un lungo periodo di tentativi,
di proposte e di polemiche. Ma si trattò anche di una fase storica
di grandi sconvolgimenti, che avrebbe avuto notevoli ripercus-
sioni sull’assetto politico e ideologico italiano. Il 9 Novembre
1990 crollò l’ultimo baluardo di un impero che aveva tenuto col
fiato sospeso tutto il mondo occidentale per decenni, il muro di
Berlino, e quattro mesi più tardi si riunì a Bologna l’ultimo
Congresso del PCI. Il vecchio partito di Togliatti aveva lasciato
il posto ad una nuova formazione, il Partito Democratico della
Sinistra.
La situazione internazionale fu sicuramente più critica di
quell’interna, tuttavia quest’ultima non meno importante e deci-
siva. Il 1990, infatti, fu anche l’anno dei referendum sulla caccia
e sugli anticrittogamici, che, tra l’altro, furono un fallimento
poiché non si raggiunse il quorum del 50% più uno dei votanti.
La causa, probabilmente, fu perché gli Italiani erano chiamati
troppo spesso alle urne, tra amministrative, politiche, europee e
referendum. Il sistema dei referendum parve, tuttavia, il percor-
so più agevole per le riforme istituzionali, benché alcuni ritenes-
sero che fossero degli strumenti azzardati e temerari.
Il più acceso sostenitore di questa via fu Mario Segni, un e-
sponente della DC, che nei primi anni Novanta, insieme ad un
gruppo di intellettuali, presentò i testi di tre referendum, su cui il
popolo avrebbe dovuto esprimere la sua volontà. Il primo ri-
guardava la Camera, si chiedeva l’attuazione della preferenza
unica sulle schede, che avrebbe dovuto consentire la fine degli
scambi elettorali tra candidati e partiti. Il secondo di questi ri-
guardava il Senato, si chiedeva, infatti, l’abolizione della dispo-
sizione secondo la quale dovevano essere eletti i candidati che
avessero ottenuto il 65% dei voti
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validi, a favore di una dispo-
sizione che sancisse la vittoria sulla base di una semplice mag-
gioranza relativa. Infine, il terzo referendum riguardava i Co-
muni, si chiedeva che il sistema maggioritario, per le elezioni
amministrative locali, fosse esteso dai comuni con meno di cin-
quemila abitanti anche a tutti gli altri.
3
Tale soglia era evidentemente troppo elevata, considerato che nessun candi-
dato raggiungeva una simile quota e quindi i senatori erano eletti in pratica
con una ripartizione proporzionale su base regionale.
6
Il lavoro dei referendari fu criticato su più fronti, soprattutto
dal governo, allora guidato da Giulio Andreotti, dalla stessa DC
e da Bettino Craxi, che considerava i referendum degli espedien-
ti pericolosi. Malgrado ciò, i referendari potevano contare
sull’appoggio di altre parti politiche non meno importanti, come
i radicali, una parte dei comunisti (tra cui lo stesso segretario
Achille Occhetto) e una parte dei liberali. Il 10 Aprile 1990 ini-
ziò la campagna di raccolta delle firme, di cui ne furono sotto-
scritte un numero maggiore del minimo richiesto. Tuttavia i par-
titi di maggioranza cercarono di ostacolare il movimento refe-
rendario chiamando in causa la Corte Costituzionale, che avreb-
be dovuto verificare la legittimità costituzionale delle proposte
referendarie. La Consulta, infine, si pronunciò a favore di uno
solo di questi, quello sulla preferenza unica alla Camera, peral-
tro il meno importante, perché nella pratica non cambiò nulla
sulla legge elettorale.
Il 9 Giugno del 1991 rappresentò la vittoria di Mario Segni e
del suo movimento referendario, infatti, alle elezioni partecipò il
62.5% degli elettori e circa il 95.6% votò “sì”. Probabilmente tra
coloro che andarono a votare un’alta percentuale di questi non
aveva ben in mente quali sarebbero stati gli effetti della prefe-
renza unica. L’unica certezza era che la riforma era stata osteg-
giata dalla vecchia classe politica, da Andreotti, Craxi, Forlani e
così via, pertanto doveva essere sicuramente una cosa “giusta “.
Fu una grande vittoria per il movimento referendario, rivelando,
al contempo, quale fosse il senso di protesta verso il sistema po-
litico vigente, insito in ogni strato della società. Era l’inizio della
crisi della partitocrazia italiana, ma soprattutto l’inizio del vorti-
ce referendario che avrebbe portato l’Italia alle riforme istitu-
zionali. Infatti, i referendum del 18 Aprile 1993 non furono che
una naturale conseguenza di quello del 9 Giugno.
All’epoca, comunque, la questione politica non era l’unica a
tenere tutti col fiato sospeso, infatti, in quegli stessi anni sono
stati resi noti all’opinione pubblica gli esiti delle indagini della
magistratura di Milano sul famoso scandalo delle tangenti per la
concessione di appalti pubblici (ribattezzato poi come Tangen-
topoli), sul finanziamento illecito dei partiti e di autofinanzia-
mento dei politici, dove furono coinvolti numerosi esponenti il-
lustri dei maggiori partiti, soprattutto DC e PSI, e dei servizi se-
greti, quali il Sisde
4
. Il pool di “Mani Pulite”, composto da An-
tonio Di Pietro, Francesco Saverio Borrelli, Gherardo Colombo
e Pier Camillo Davigo, rivelò quel sistema di corruzione, insito
nelle fila dei grandi partiti, dove la riscossione illegale di denaro
sporco era la regola, in tutte quelle situazioni in cui l’ente pub-
blico fosse una parte in causa. A catena, tra il 1992 e il 1993, si
verificarono una serie di suicidi di lusso tra gli indagati della
4
Branca dei servizi segreti che si occupa della sicurezza interna.
7
procura di Milano. Il primo tra questi fu Renato Amorose, ex
segretario cittadino del PSI a Lodi e consulente aziendale, che fu
trovato morto nella sua auto, uccisosi con un colpo di pistola al-
la testa. A distanza di pochi mesi, fu il turno di Sergio Moroni,
deputato socialista bresciano che si uccise con un colpo di fucile
da caccia. Nel 1993 si susseguirono i suicidi di Antonio Vittoria,
preside della facoltà di Farmacia a Napoli, Giampaolo
Zambeletti, implicati in gravi casi di malasanità, di mazzette per
aumenti inutili di farmaci, e prescrizioni mediche non necessarie
e via dicendo. Infine fu la volta del socialista Gabriele Cagliari,
ex presidente dell’ENI, morto soffocato con una busta di
plastica nel carcere in cui era rinchiuso e da cui stava per essere
liberato. La conseguenza inevitabile di questa corruzione del sistema
politico e sociale non poteva che essere una rilevante caduta del-
le ideologie ed un maggiore avvicinamento da parte delle perso-
ne ad istituzioni particolari, come la magistratura.
In questo contesto, così critico, nei giorni 5-6 Aprile 1992 si
svolsero le ultime consultazioni della Prima Repubblica
5
con il
sistema proporzionale, che rispecchiarono all’incirca la situazio-
ne di crisi sociale e ideologica dei partiti tradizionali. I consensi
verso la DC crollarono, cosi come quelli verso gli eredi del PCI,
Rifondazione Comunista e PDS, il PSI era rimasto per lo più
stazionario. I veri vincitori si rilevarono essere la Rete, i Verdi e
soprattutto la Lega Nord, che raggiunse una percentuale nazio-
nale pari all’8.7 %, e in alcune regioni, come Lombardia e Ve-
neto sfiorò, addirittura il 15% .
A rimarcare questa situazione di crisi furono le dimissioni an-
ticipate del presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, il
25 Aprile, sostenendo la necessità che il nuovo Parlamento a-
vrebbe dovuto eleggere un nuovo Presidente forte, politicamente
e istituzionalmente
6
. L’elezione del nuovo Presidente non fu fa-
cile, a causa dei disaccordi tra i partiti, fu la strage di Capaci del
25 maggio, in cui rimase ucciso il giudice Giovanni Falcone
7
,
sua moglie e la loro scorta, ad agitare gli animi e a permettere
una rapida soluzione di scelta tra Spadolini e Scalfaro. Fu eletto
quest’ultimo.
In quest’Italia segnata dagli scandali, dai suicidi illustri, dalla
crisi delle istituzioni e dalla situazione d’emergenza provocata
dal dilagare della mafia, si sentì nuovamente più accesa
5
La Seconda Repubblica si ritiene abbia inizio con l’introduzione del nuovo
sistema elettorale. In realtà questa conclusione è stato oggetto di critiche,
perché si ritiene che si possa parlare di Seconda Repubblica solo in seguito
ad una riforma della Costituzione (in Francia si parla addirittura di Quinta
Repubblica per questo!), e in Italia questo non è successo.
6
Parole pronunciate la sera del 25 Aprile in un discorso alla nazione, tenuto a
reti unificate.
7
All’epoca era non solo giudice istruttore a Palermo, ma anche direttore degli
Affari Penali al Ministero della Giustizia
8
l’esigenza di riforme su questioni non soltanto politiche ma an-
che sociali e giurisdizionali. Riemerse più forte che mai la ne-
cessità di attuare delle riforme istituzionali, fu creata, pertanto,
la seconda Commissione Bicamerale, guidata dapprima dal se-
natore Salvi e poi da Mattarella, che lavorò intensamente al fine
di formulare un progetto di revisione della Costituzione, che
sembrò la via più facile per la “moralizzazione” della politica e
la riforma, pur tuttavia non riuscendo nel suo intento, a causa
della diversità di posizione dei suoi membri.
Nella seconda metà del Marzo 1993, fu approvata la legge
8
per
l’elezione degli organi amministrativi dei comuni e delle pro-
vince, con la quale si cercava di dare un’impronta di “piccoli
parlamenti” alle assemblee rappresentative locali, con l’elezione
diretta del sindaco e del presidente provinciale. Al di là di tutti i
contrasti, questa prima riforma avviò una fase d’incertezza nella
storia italiana: la cosiddetta transizione, un periodo di netta rot-
tura con il passato, in cui, tuttavia, ancora non si era raggiunto
uno stabile equilibrio politico.
La spirale di quel fenomeno conosciuto come “La Rivoluzio-
ne Italiana” era iniziata, circa un mese dopo, il 18 Aprile 1993.
Infatti, si erano svolti gli otto referendum, approvati a larghissi-
ma maggioranza, tra cui spiccavano, in particolare, l’abolizione
del finanziamento ai partiti, che mantenevano, tuttavia, i contri-
buti per le spese elettorali e la nuova legge per il Senato, con la
quale s’introduceva un sistema misto per l’elezione dei rappre-
sentanti. La legge, entrata in vigore nell’Agosto dello stesso an-
no, stabilisce che il 75% dei seggi (pari a 272) è attribuito con
sistema maggioritario in collegi uninominali, in cui vince il can-
didato che ha ottenuto il maggior numero di voti, mentre il re-
stante 25% (pari a 83) con sistema proporzionale in circoscri-
zioni coincidenti con il territorio delle regioni. Il voto è unico e
nel concreto significa che vi è una sola scheda gialla su cui vota-
re. Per il recupero al proporzionale su base regionale, sono uti-
lizzati soltanto i voti che non hanno già portato all’elezione dei
Senatori (il cosiddetto “scorporo”).
Per la Camera dei Deputati, la logica è la stessa di un sistema
misto, in cui 475 seggi sono attribuiti con metodo maggioritario
e 155 con sistema proporzionale, ma gli elettori dispongono di
due voti (ovvero due schede una rosa ed una grigia): uno per il
candidato nel collegio uninominale e l’altro per la lista di partito
al proporzionale. L’accesso al recupero proporzionale è consen-
tito soltanto a quei partiti che abbiano ottenuto il 4% dei voti su
scala nazionale (la soglia di sbarramento).
9
8
Legge 25 Marzo 1993 n. 81.
9
Tali disposizioni furono formalizzate con le Leggi del 4 Agosto 1993
n. 276-277.
9
Le leggi 276 e 277 del 1993, che hanno introdotto il nuovo si-
stema elettorale per le due Camere, consentono di individuare
una serie di elementi comuni o differenziati per la scelta dei rap-
presentanti. Al Senato, per esempio, è possibile che si presentino
candidati svincolati dai partiti, al contrario alla Camera vi è
l’obbligo di collegamento con qualche simbolo, e tra l’altro, i
partiti devono anche raccogliere un certo numero di firme per
poter partecipare alle elezioni, superiore rispetto alla quota pre-
vista in precedenza. Alla Camera, inoltre, vi è la soglia del 4%
per i partiti che si presentano nella quota proporzionale non pre-
vista per il Senato, e il conteggio per l’assegnazione dei seggi,
corrispondenti al numero di voti riportati viene fatto con il me-
todo del quoziente naturale per la Camera e con il metodo del
divisore d’Hondt per il Senato. Nella pratica, tale modello si tra-
duce nel crollo del tradizionale sistema di partito, che caratteriz-
zava l’Italia della Prima Repubblica.
Sebbene sia di recente introduzione, anche il sistema misto
non è stato esente da critiche. Nonostante che con la sua intro-
duzione abbia cercato di contemperare tutte le varie esigenze,
enfatizzando i pregi e limitando i difetti dei sistemi elettorali
proporzionali e maggioritari puri, è ancora sotto accusa. Tale si-
stema, infatti, è considerato poco rappresentativo, per la presen-
za prevalentemente della quota maggioritaria, che è definita la
causa principale della dispersione di moltissimi voti. A tal pro-
posito, talvolta, si parla di effetti distorsivi del sistema, o addirit-
tura di crisi della democrazia, poiché potrebbe verificarsi una di-
screpanza tra il numero di voti ricevuti e il numero di seggi otte-
nuti dai candidati. In altre parole, se alle elezioni, per la quota
maggioritaria si presentano più candidati collegati ciascuno ad
una lista, e gli elettori decidono di votare per il candidato prefe-
rito, sulla base di motivi d’appartenenza partitica, d’ideologia, di
conoscenza personale del candidato ecc, si potrebbe verificare
una distribuzione del voto omogenea tra i diversi candidati, e
nessuno di questi ottenere, così, la maggioranza assoluta. In
realtà il sistema maggioritario stesso permette di fare delle
correzioni in tal senso, poiché col tempo, col susseguirsi di
diverse tornate elettorali, saranno gli stessi attori politici a
adattarsi alle regole del gioco. Da un lato i partiti desisteranno
dal presentare propri candidati, dall’altro gli elettori adotteranno
un comportamento più razionale, preferendo votare per il
candidato che abbia più probabilità di vittoria rispetto agli altri.
In questo modo si eviterà la dispersione del voto e gli elettori
saranno più propensi a ricorrere ad un voto utile.
Il nuovo sistema offre, tuttavia, un margine di possibilità di di-
fesa per tutti e l’esperienza insegna che spesso a rendere pro-
blematico il funzionamento del sistema non è tanto il modello
adottato, quanto l’atteggiamento degli stessi attori politici. Per
10
un sistema maggioritario, infatti, sono necessarie certe condizio-
ni di aggregazione dei partiti, che spesso non ammettono.
I partiti politici, dopo l’entrata in vigore del nuovo sistema e-
lettorale, furono, più volte, messi alla prova: dapprima nel 1993
con le elezioni amministrative, ove fu applicata la nuova legge
elettorale a livello locale per la scelta dei sindaci e dei presidenti
provinciali. Fu una prima verifica che confermò il successo della
Lega Nord, che conquistò Milano, e anche del PDS, che ottenne
il controllo di molti comuni al centro e al sud e la sconfitta della
vecchia DC e del PSI.
L’Italia disponeva, ormai, di una nuova legge elettorale e il
Presidente Oscar Luigi Scalfaro stava per avviare le procedure
necessarie che avrebbero sancito, da un lato, la definitiva caduta
della Prima repubblica e dall’altro l’inizio della Seconda. Tutta-
via, come un fulmine a ciel sereno, si presentò sulla scena politi-
ca italiana un altro grave scandalo, che minò alle fondamenta la
credibilità e la stabilità delle istituzioni politiche. Sulla scia del
lavoro del pool milanese, a Roma, un magistrato, che si stava
occupando di indagini su compravendite immobiliari da parte
degli enti pubblici, scoprì che una grande quantità di denaro de-
stinato al SISDE, veniva utilizzato non per pagare gli informato-
ri
10
, ma per arredare le case di illustri uomini politici.
Lo scandalo però non riguardò il solo SISDE, poiché
all’epoca circolavano voci, piuttosto malevoli, anche sul conto
del Presidente della Repubblica. Le accuse che gli furono rivol-
te, tuttavia, furono sfatate da una dichiarazione fatta dal procura-
tore capo di Roma, Vittorio Mele, a seguito di un interrogatorio
al presidente del SISDE Riccardo Malpica. In tal modo si accer-
tava l’infondatezza delle accuse a Scalfaro, al tempo in cui
quest’ultimo era Primo Ministro, e l’assoluta estraneità al fatto
da parte di Nicola Mancino, allora ministro degli Interni. Le ac-
cuse si fecero ancor più pressanti quando cominciarono a circo-
lare delle fotografie su un presunto incontro tra la figlia del Pre-
sidente e un uomo, cui il SISDE aveva commissionato dei lavo-
ri. Scalfaro rispose con una dichiarazione tenuta a reti unificate
la sera con queste parole: “Una constatazione: prima si è tentato
con le bombe, ora con il più vergognoso ed ignobile degli scan-
dali…A questo gioco al massacro io non ci sto. Io sento il dove-
re di non starci e di dare l’allarme. Non ci sto non per difendere
la mia persona, che può uscire di scena ogni momento, ma per
tutelare, con tutti gli organi dello Stato, l’istituto costituzionale
della Presidenza della Repubblica…il tempo che manca alle e-
lezioni non può consumarsi nel cuocere a fuoco lento, con le
persone che le rappresentano, le istituzioni dello Stato”.
10
Una parte del denaro concesso al SISDE non è denunciato e non si sa per
cosa sia impiegato per salvaguardare la posizione di eventuali collaboratori.
11
Questo scandalo fu il preludio per lo scioglimento anticipato
della Camere, che avvenne il 16 Gennaio del 1994, quando Scal-
faro annunciò le nuove elezioni anticipate per il 27-28 Marzo
1994.
I partiti si riorganizzarono rapidamente, qualche giorno dopo
l’annuncio di Scalfaro: Martinazzoli dichiarò decaduta la DC,
ormai erosa dagli scandali di Tangentopoli e dalla nascita di
nuovi partiti: il PPI e il CCD. Lo PSDI sparì dalla scena, così
come il PLI e il PRI, emerse il partito di Alleanza Nazionale dal
vecchio MSI e da alcune parti della DC, mentre i partiti già pre-
senti nel 1992, come la Lega Nord, non fecero altro che consoli-
darsi. Ci fu, quindi, un totale ribaltamento dei partiti, ma la vera
novità fu rappresentata dalla discesa in “campo” di Silvio Berlu-
sconi, con l’intento di contenere una eventuale avanzata delle
sinistre, di sanare un centro decaduto e di porsi come elemento
di coesione del centro-destra, in vista della creazione di un car-
tello moderato.
Agli inizi del 1994, Berlusconi fondò un partito politico atipi-
co, Forza Italia, contribuendo a rafforzare una destra che negli
ultimi anni non aveva avuto molta fortuna in politica. Egli ac-
centuò, così, da un lato la crisi della Sinistra e dall’altro la bru-
sca frenata dei partiti di centro e con tutte le intenzioni di vince-
re le nuove elezioni. Le elezioni si tennero il 27-28 Marzo, in
due giornate, come deciso dal governo Ciampi, visto che la do-
menica coincideva con la Pasqua ebraica, per cui non era con-
cesso ai praticanti tale religione nessun tipo di attività se non
quelle prettamente religiose.
Alle elezioni parteciparono tre schieramenti, come rappresenta-
to nella tabella 1.1.
12
A vincere le elezioni fu la coalizione di centro destra, dopo tre
mesi di lunghe trattative tra i maggiori esponenti dei vari partiti,
da cui nacque una particolare intesa, al nord formata da Forza
Italia e Lega Nord e al sud da Forza Italia e Alleanza Nazionale.
I risultati del voto dimostrarono una maggiore frammentazione a
livello territoriale della distribuzione del voto, con spiccate dif-
ferenze tra un centro-sud di sinistra, che rimase fedele alle tradi-
zioni e un centro-nord, comprendente anche il caso particolare
della Sicilia, di destra, affermandosi laddove aveva sempre pre-
valso la sinistra. Fu il peggior risultato delle sinistre dal 1948,
infatti, il PDS si attestò sul 20.3%, RC sul 6%, Verdi sul 2.7% e
Alleanza Democratica all’1.2%, e insieme non superarono il
33.3%. La composizione della Camera nel 1994 è rappresentato
nella figura 1.1
Tab.1.1 Le coalizioni delle elezioni politiche del 1994
COALIZIONI 1994
CENTRO-SINISTRA
Progressisti
• Partito Democratico della Sinistra
• Verdi
• Rifondazione Comunista
• Alleanza Democratica
• La Rete
• Rinascita Socialista
• Partito Socialista
• Cristiano Sociali
CENTRO-DESTRA
Polo delle Libertà
• Forza Italia
• Lega Nord
• Unione di Centro
• Centro Cristiano Democratico
• Polo Liberaldemocratico
• Riformatori
Polo del Buon Governo
• Forza Italia
• Alleanza Nazionale
• Unione di Centro
• Centro Cristiano Democratico
• Polo Liberaldemocratico
• Unione dei Democratici e dei Socia-
listi
NON COALIZZATI • Patto per l’Italia (Ppi e Patto Segni)
Fonte: per il 1994 adattamento da Di Virgilio (1995, 191).
13
32,8
22,8
16,7
15,6
6,7
1,1
0
4,4
0
5
10
15
20
25
30
35
SEGGI
LISTE
I RISULTATI DELLE ELEZIONI ALLA CAMERA-1994
PROGRESSISTI POLO DELLE LIBERTA' POLO DEL BUON GOVERNO
PATTO PER L'ITALIA ALLEANZA NAZIONALE LISTA PANNELLA
CCD ALTRI
Figura 1.1: I risultati delle elezioni alla Camera nel 1994
All’epoca furono avanzate diverse tesi a sostegno di tale vitto-
ria di Berlusconi, tra le quali prevalse la motivazione della popo-
larità che il leader aveva acquisito come imprenditore e come
proprietario del gruppo economico Fininvest, divenuto in segui-
to Mediaset. Si verificò un totale ribaltamento verso la persona-
lizzazione della politica, che rappresentò un primo forte segnale
degli effetti che possono scaturire dal nuovo sistema elettorale.
Sulla base dei dati raccolti prima e dopo le elezioni, altri polito-
logi hanno ricercato la causa della sua vittoria nella caratteristica
di laicità di Forza Italia, intesa come mancanza di ideologia par-
titica. Questo aspetto contraddistinse Forza Italia dagli altri par-
titi politici, rispecchiando quel fenomeno particolare degli anni
Novanta, della caduta delle ideologie. Un tempo, infatti, le ideo-
logie erano la base dei partiti tradizionali che riuscivano a coin-
volgere grandi masse di popolazione.
Dopo aver ottenuto la fiducia al parlamento, Berlusconi più
che pensare alle problematiche economiche, considerato i ripe-
tuti salti della Borsa e il crollo della moneta italiana, si occupò
14
di altre due questioni: la Rai e la giustizia. I dirigenti della Rai,
nominati da Ciampi furono accusati di connivenze politiche e ri-
sposero rassegnando le proprie dimissioni. Essi sostennero che
non sussistevano più le condizioni per proseguire autonomamen-
te il proprio lavoro, il quale peraltro aveva raggiunto ottimi
risultati, con il calo del deficit di bilancio e la riduzione
dell’organico. Tale situazione generò forti perplessità in tutta
l’opinione pubblica non solo italiana, ma sicuramente meno di
quanto non fece il decreto messo a punto dal ministro della Giu-
stizia, Alfredo Biondi. Con tale disposizione si limitava il ricor-
so all’arresto per crimini che non fossero di particolare gravità
sociale, come terrorismo, eversione, criminalità organizzata e
via dicendo. Tale decreto fu ribattezzato “decreto salvaladri”, e
non a caso perché dava la possibilità a soggetti non pericolosi di
uscire dal carcere, benché ci fossero delle prove che ne dimo-
strassero la colpevolezza. All’opinione pubblica parve un
remake del periodo in cui erano concesse le amnistie troppo in-
dulgentemente. A scuotere il governo fu la dichiarazione fatta da
Antonio Di Pietro con la quale si faceva espressa richiesta, a
nome suo e del resto del pool milanese, di essere affidati ad altri
incarichi, perché non sussistevano più le condizioni necessarie
per svolgere serenamente il proprio operato, ed era stato forte-
mente sminuito il valore attribuito allo stesso concetto di pena e
di sistema penale. Era solo l’inizio di un acceso contrasto tra
Berlusconi e la magistratura.
Nel Novembre del 1994, in vista dell’approvazione della nuo-
va legge finanziaria, Berlusconi riuscì a superare alcuni gravi
scogli, su pressione delle manifestazioni che in tutto il paese ri-
velavano le insoddisfazioni di diverse classi sociali sulle nuove
disposizioni economiche, dagli studenti ai pensionati. Sotto il
peso di tale scontentezza, il premier modificò alcune parti della
legge, ma non riuscì a superare l’ostacolo più duro: Bossi, il
leader della Lega Nord. Il 17 Novembre furono presentate tre
mozioni di sfiducia, la prima del PDS, la seconda di RC e la ter-
za proprio dall’alleato del Carroccio. Il famoso ribaltone aveva
segnato la fine del primo governo di Berlusconi, un sopruso co-
me lo definì egli stesso, costretto dalle circostanze, il 22 Dicem-
bre, a dare le dimissioni.
A cercare di porre un rimedio a questa situazione fu il Presi-
dente Scalfaro, il quale iniziò subito le consultazioni che si con-
clusero il 13 gennaio con la nomina di Lamberto Dini, ex presi-
dente della Banca d’Italia, come Primo Ministro. Il suo compito
fu creare un governo tecnico e neutrale svincolato da qualsiasi
corrente politica, ma, più che un governo tecnico-politico, fu di
tipo burocratico-politico. La nomina di Dini in ogni caso rimase
temporanea, circa un anno, auspicando presto nuove elezioni
generali, che Scalfaro indisse per il 21 Aprile 1996.
15
A queste nuove consultazioni si presentò una nuova coalizione
sotto il nome dell’Ulivo, guidata da un altrettanto nuovo prota-
gonista, Romano Prodi, ex presidente dell’IRI, professore uni-
versitario, cattolico ed ex-democristiano. Egli rappresentò la ri-
sposta giusta in grado di contrastare Berlusconi, in quanto riuscì
a catturare il voto di molti elettori, sia di centro che più estremi,
secondo la regola dell’elettore mediano di Downs
11
. La coali-
zione del centro sinistra poteva contare sull’appoggio di Berti-
notti, che non approvava il programma presentatogli, però vi era
qualcosa in comune: la volontà di sconfiggere il cartello di cen-
tro destra e l’unico modo per farlo era rimanendo uniti.
L’accordo tra RC e l’Ulivo stabiliva la pratica della desistenza,
secondo la quale l’Ulivo s’impegnava nella quota maggioritaria
a non presentare propri candidati in quei collegi dove si presen-
tavano i candidati di RC, favorendo l’elezione di quest’ultimo.
Viceversa RC non avrebbe presentato propri candidati in quei
collegi in cui si sarebbe presentato il candidato dell’Ulivo. Fe-
nomeno che non era sconosciuto nel contesto politico italiano,
visto che era lo stesso accordo stipulato tra la Lega Nord e Forza
Italia nel 1994. Stavolta il leader della Lega Nord preferì parte-
cipare alle elezioni separatamente, senza contare sull’appoggio
di nessuno. Vinse l’Ulivo, anche se non fu una vittoria
schiacciante, anzi in termini di voti assoluti il Polo sopravanzò
l’Ulivo, che gridò al furto elettorale da parte del centro-sinistra.
Tuttavia, in un sistema misto in cui prevale il maggioritario ciò
che conta non è solo la quantità dei voti, ma anche la qualità,
con le sue relative storture.
I risultati delle elezioni di Aprile, in sintesi, rispecchiarono,
per lo più, la situazione del 1994
12
, ma con alcune importanti
differenze. In primo luogo la competizione elettorale dei partiti
fu più lineare e concentrata, nonostante la presenza di molte liste
“civetta”
13
, ci fu un notevole aumento dell’astensionismo da par-
te dell’elettorato, prossimo a quello del 1994, e, inoltre, un in-
cremento del numero di schede bianche o nulle. Le motivazioni
di questo comportamento degli elettori possono essere conside-
rate come senso di protesta e di contestazione per la situazione
del sistema politico italiano, ma anche per il senso di sfiducia
complessivo nei confronti delle istituzioni. Ad aggravare la si-
tuazione fu la presenza di differenti regole elettorali a livello di
politiche, europee, amministrative, cui gli Italiani erano chiamati
troppo spesso ad esprimere la loro volontà.
11
Downs, A. (1988) “Teoria economica della democrazia”. Bologna: Il Mu-
lino.
12
Nonostante che stavolta a vincere le elezioni sia stata la coalizione
dell’Ulivo per il centro-sinistra.
13
Per la definizione di lista civetta si veda il capitolo successivo.
16
La vera particolarità dei risultati delle elezioni del 1996 fu la
loro divergenza alla Camera e al Senato, infatti, non erano a fa-
vore di un’unica maggioranza. Alla Camera l’Ulivo ottenne il
38.9 % dei voti contro i 40.2% del Polo, mentre al Senato otten-
ne il 39.9 % contro il 37.3 % del Polo. Sono dati non partico-
larmente differenti ma indicativi. La composizione delle due
camere parlamentari è rappresentata nelle figure 1.2 e 1.3
159
117
27
10
2
0
20
40
60
80
100
120
140
160
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1
LISTE
COMPOSIZIONE DEL SENATO-1996
ULIVO POLO PER LE LIBERTA' LEGA NORD PROGRESSISTI-RC ALTRI
Figura 1. 2: La composizione del Senato nel 1996